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giovedì 5 dicembre 2002

Compartecipazione psichica
Senz'altro non è un bel modo di esprimersi. Il composto "Compartecipazione" andrebbe radiato dal dizionario, in quanto inutilmente ridondante (cosa distingue una compartecipazione da una semplice partecipazione?). L'aggettivo "psichico", dal suono sinistro e dalla pronuncia disagevole, dovrebbe essere circoscritto alle pubblicazioni mediche, e sostituito ove possibile con "mentale". Insieme, queste due parole, fanno un certo effetto. Specie se sono scritte sul pezzo di carta che ti manda in prigione.

Di "compartecipazione psichica" si parla a pagina 53 dell'ordinanza di custodia cautelare della procura di Genova. (Ma nessuno, al momento, è agli arresti per compartecipazione; i "compartecipanti" sono indagati a piede libero). Leggendo di qua e di là, non sono riuscito a capire se si tratti di un'espressione prevista dal codice penale, o di un'infelice invenzione linguistica del Gip.
La "compartecipazione psichica", si spiega, è una forma di concorso in reato che si verifica "nella fase di ideazione". Se non è cospirazione, insomma, poco ci manca.
Il gip la distingue in due tipi: la "determinazione", "che fa sorgere in altri un proposito criminoso che prima non esisteva"; e l'"istigazione", "che si limita a rafforzare in un'altra persona un proposito criminoso in essa gia' esistente". Determinatori e istigatori non si sporcano le mani con spranghe o estintori, ma sono di fronte alla legge ugualmente colpevoli, perché… perché "psichicamente compartecipi".

È, insomma, un modo lambiccato di dire una mezza ovvietà: che gli organizzatori e i complici dei devastatori di Genova sono ugualmente colpevoli. Resta da capire perché, invece di parlare di istigazione a delinquere, complicità, apologia di reato, ecc.… il gip scelga una formula tanto inquietante.

Un'"istigazione" prevede un istigatore e un istigato. Una "determinazione" richiede un determinatore e un determinato. Il reato ha come una direzione: c'è un mittente (mandante) e un esecutore. Ma la "compartecipazione" è qualcosa di diverso. È un modo di descrivere i fatti che si adegua un po' meglio a quanto è successo in certe piazze di Genova. Prendiamo per esempio i blecbloc di Piazza Paolo da Novi, descritti da Giulietto Chiesa in "Genova/G8" (Einaudi)

si trovavano diversi gruppi di giovani molti dei quali vestiti di nero, con passamontagna calati sul volto, caschi, maschere, fazzoletti; non scherzavano, erano impegnati a scavare, a fare emergere dal selciato le pietre; alcuni svellevano parte della segnaletica stradale, altri spezzavano le recinzioni metalliche delle aiuole. L'impressione era quella che non ci fosse nessuno che dava ordini, ciascuno faceva per conto proprio, ma comunque si trattava di un lavoro organizzato..

Non c'è un portavoce, uno stratega, un capopopolo: l'organizzazione non è verticale, ma orizzontale: non istigata, ma "compartecipata". Ironia della sorte, una delle parole d'ordine del Movimento, la "partecipazione" (vedi la democrazia partecipata, i bilanci partecipativi), qui gli si rivolge contro. In polemica con chi sostiene che le devastazioni furono episodi circoscritti, il gip evoca una "guerriglia urbana preordinata" e ampiamente compartecipata.

E a questo punto – mi pare di capire – nessuno dei manifestanti di Genova è al di sopra del sospetto. Io, per esempio, nel primo pomeriggio di venerdì mi sono trovato nel mezzo di quello che credevo fosse il corteo dei Cobas, già pieno di gente con le facce coperte e le spranghe in mano, dagli intenti evidentemente criminosi. Intenti che in quel momento mi sono ben guardato di ostacolare. Ma in questo modo non ho forse con la mia passività "rafforzato in un'altra persona un proposito criminoso"? C'è modo di provare davanti a una giuria che in quel momento non ero "psichicamente compartecipe" dei primi cassonetti dati alle fiamme? Mediante perizia psichiatrica? Macchina della verità? Ipnosi?

Tutto questo, naturalmente, non reggerebbe di fronte al tribunale del riesame. Ma intanto i potenziali indagati aumentano in misura esponenziale. È sufficiente esser stato fotografato o ripreso nei pressi di uno scontro, o di un atto di vandalismo, in atteggiamento "compartecipe". Naturalmente gli eventuali organizzatori, portavoce, ecc., sono anche loro "compartecipi" per aver "fatto sorgere" o "rafforzato" in altri un "proposito criminoso".

Per un anno e mezzo abbiamo collezionato, ingrandito e scandagliato qualsiasi fotogramma riguardante Piazza Alimonda e il caso Giuliani-Placanica. Era solo l'inizio. Nei prossimi giorni, mesi, anni, assisteremo alla moltiplicazione dei fotogrammi. Per ogni arrestato presente e futuro troveremo le immagini che ne provano l'innocenza e quelle che ne provano la colpevolezza, o meglio, la "compartecipazione". Ci saranno processi e controprocessi, sentenze annullate e ribadite. È facile pensare che parecchi innocenti si ritroveranno la vita rovinata. È lecito sperare che, in mezzo a tutto questo, si farà anche un po' di luce sui fatti di Genova e sui misteriosi blecbloc.

Ma in questo gioco al massacro il Movimento rischia qualcosa di più: di 'baschizzarsi', di appassionarsi alla causa dei "compagni in carcere" fino a perdere di vista i suoi ideali e i suoi contenuti. Di trasformarsi nella solita accolita di rancorosi reduci dalle galere, un po' suonati, che hanno mille sacrosante ragioni di lamentarsi, e che oltre a lamentarsi non sanno più che fare. Ne abbiamo visti tanti, finire così – siamo sicuri di essere migliori?

Il comunicato stampa del Genoa Legal Forum

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