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venerdì 20 giugno 2003

Tifiamo rivolta

A chi mi chiede di manifestare per gli studenti di Teheran, così come a chi mi chiedeva di manifestare per la buonuscita di Saddam Hussein, e, perché no, per la pace nel Congo, per l’indipendenza del Tibet, per il disarmo nordcoreano: mi sembrano tutte nobili cause, ma ho la sensazione che una chiassata davanti a un’ambasciata non servirebbe a niente.

(Perché invece cortei di milioni di persone contro l’articolo 18 e la guerra sono serviti a qualcosa? Domanda interessante).

Non credo che una manifestazione in Italia potrebbe ammorbidire la polizia di Teheran o convincere un tiranno alle dimissioni. Di solito preferisco manifestare contro le scelte che non apprezzo del mio governo e dei suoi principali alleati.

Mi sembra che questo tipo di manifestazioni servano più a chi le fa: se io scendo in piazza contro gli ayatollah dimostro a tutto il mondo, ma soprattutto a me stesso, che sono contro un odioso regime. Insomma, tifo rivolta. È anche un modo di sgravarsi la coscienza.

Così nessuno potrà dire che i pacifisti sono complici dei fondamentalisti… no, guardate, continueranno a dirlo. Le manifestazioni a Teheran sono seguite da tutti gli organi di stampa, compresi quelli vicini al Movimento. E dai siti d’informazione indipendente. Ma non importa. Ci sarà sempre qualche anima bella pronta a parlare di “indifferenza”. Se io non mi riempio la bocca tutti i giorni di paroloni come democrazia e libertà, questo non significa che io sia indifferente. Siamo tutti buoni a tifare rivolta, a mille e mille chilometri di distanza.

D’altro canto, se io fossi uno studente di Teheran, forse mi piacerebbe sapere che qualcuno in Italia tifa per me. (Dopodiché verrò ugualmente arrestato e torturato con utensili di fabbricazione italiana, ma è già qualcosa).
Per questo motivo mi sembra pur giusto aderire all’iniziativa di Sinistro (Ma perché chiamarla “Sweet Home Teheran”? Cosa c’entra l’Alabama?)

In seguito, se qualcuno un po’ volenteroso fosse in grado di informarci sulle aziende che fanno buoni affari col governo di Teheran, magari con commesse militari, si potrenbbe anche provare a fare qualche boicottaggio, eh? Che ne dite?

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Qui sotto, senza troppo chiasso (a quest’ora del venerdì la maggior parte della gente se n’è andata), vorrei tornare sul caso Camillo-museo. Mi dispiace aver abusato della vostra pazienza e di aver trasformato questo Museo in una specie di caso personale. Spero che si tratti dell’ultima volta.
Sapete, io sto pensando a una cosa. Il saccheggio del Museo (che non è stato difeso dagli americani, per loro stessa ammissione) è il tipico mostro in prima pagina: titoloni, tinte forti, e qualche settimana dopo la smentita in un trafiletto in terza pagina. Ci scandalizziamo? Succede così anche per gli assassini, per i p e d o f i l i, per le giovani guerriere USA salvate dagli eroici commandos americani.

Qualunque altro propagandista avrebbe potuto rivoltare la frittata ad arte: vedete, gli americani hanno salvato il museo dagli iracheni. E Camillo c’ha provato. Ma – questo è il punto – è riuscito infilarsi in un pasticcio notevole, praticamente da solo.
Ora, mentre altri giornalisti ci informano che la guerra non è mica finita, lui insiste nel conteggio delle opere mancanti. Siccome il direttore del museo, George, continua a lamentarsi del furto, per Camillo George è un fascista, George è "diventato un'icona della sinistra europea", e i milioni di ingenui italiani che gli danno retta sono filo-fascisti pure loro. E chi non ci crede è un credulone.

Purtroppo per Camillo, questi milioni di italiani ingenui non esistono. Ci sono, questo sì, migliaia di italiani che hanno letto su Repubblica che era stato trovato “il Tesoro degli Assiri” e hanno capito che si trattava del grosso dei tesori del Museo, perché, incredibile a dirsi, non hanno letto soltanto il titolo.
E poi c’è un piccolo italiano senza cognome, il sottoscritto, che si è dato la pena di tradurre le lamentele di George, visto che Camillo le lincava. Non l’avessi mai fatto!

Ora, qui c’è un problema. Forse George è davvero un poco di buono, un collaborazionista del Baath, quel che volete. Ma le prove dove sono? Negli articoli del Guardian non ci sono. Si tratta di illazioni. Nel frattempo George rimane al suo posto. Nessun ufficiale americano si è dato la pena di arrestarlo, o almeno di sollevarlo dall’incarico, malgrado ci siano giornalisti italiani e inglesi con tanto di nomi e cognomi che lo accusano di furto.

Naturalmente tutti i giorni accade qualcosa, e domani George, manette ai polsi, potrebbe indicare agli americani dove tiene il bottino. Ma Camillo non lo sa. O lo sa? Sa qualcosa che non vuole dirci? O è solo un altro bluff?

D’altro canto bisogna ammettere che sta migliorando a vista d’occhio. Cita lunghi brani d’inglese nel tentativo di non farsi prendere in castagna. L’altro giorno ha addirittura scoperto che a Guantanamo non si sta poi così tanto bene. Oggi linca anche un altro pezzo del Guardian, con una tesi del tutto diversa sul caso del Museo. Insomma, ha capito di non avere a che fare con dei cretini. Questo è molto incoraggiante

E allora facciamo così: se entro giovedì arrestano George con l’accusa di furto e collaborazione col nemico, io pago a Camillo un caffè. Corretto.

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