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martedì 30 gennaio 2007

Angela credimi, io non volevo


Di un amore, ormai troppo lontano

#1. Mentre i ventennali e i quarantennali di solito funzionano bene, i trentennali hanno un che di bolso. Saranno i capelli grigi e radi, o i chili superflui, ma insomma, è così. Io non ho veramente voglia di sentire Lucia Annunziata che parla del ’77. Piuttosto rimettete su Tenco, lui sì che si è conservato in forma.

#2. Come fa a non piacerti Tenco? E d’altro canto: chi può dire di amarlo davvero? Quanto resiste una raccolta di Tenco sul tuo lettore? Se è ancora un amore, è comunque molto impegnativo. Con quella voce così educata. Un po' troppo perfetta.

#3. Nessuno canta come Tenco. Ieri sera Baglioni in tv è uscito a pezzi da Lontano lontano. Non c’è verso di cantarla senza sgolarsi. Tenco (almeno in studio) non si sgolava mai. Arrivava a tutte le note che voleva, col timbro giusto e l’espressione adatta. Ma è una perfezione un po’ fredda, ecco.

#4. Di Tenco conosciamo tutti solo una manciata di canzoni, eppure è stato un artista prolifico e, a suo modo, versatile. Ha svariato in tutti i generi a disposizione in quel momento: rock’n’roll alla Celentano, jazz, spiritual, canzone di protesta. Ha fatto in tempo a scoprire lo yé-yé (non fu una grandissima scoperta). Ma sotto tante maschere la voce era sempre la stessa, scolpita e inconfondibile.
Su alcuni esperimenti è calato un omertoso silenzio: per esempio, è molto difficile trovare la sua versione beat di Blowing in the wind in italiano. Ripeto: esiste una versione beat di Blowing in the wind in italiano. Cantata da Luigi Tenco. Funziona? Mica tanto. A Tenco venivano bene le canzoni confidenziali. Ma a lui stavano strette. Era uno sperimentatore, mettiamola così. La leggenda dell’artista maledetto fa a pugni con un repertorio molto più paraculo: uno che il successo lo ha corteggiato in tanti modi, senza mai trovarci la soddisfazione che cercava.

#5. (Ma le hai mai sentite le versioni jazz di Tiziana Ghiglioni, magari con Fresu alla tromba? Io le preferisco spesso agli originali. Ma conosco gente che non le sopporta). Qui c'è Mi sono innamorato di te.

#6. Di solito una canzone mette in versi una storia, o un sentimento. Ma Tenco a volte quando canta lascia l’impressione di dire le cose come stanno, senza neanche un grammo di poesia. “Tu non hai capito niente”. “Quando la sera ritorno a casa non ho neanche la voglia di parlare”. Questa non è poesia, è prosa. Vedi una strofa come questa:
Io sono uno che sorride di rado, questo è vero, ma in giro ce ne sono già tanti che ridono e sorridono sempre però poi non ti dicono mai cosa pensano dentro.

Non mancano solo le rime: manca qualsiasi figura retorica, anche minima; qualunque velleità di far poesia. Mondo Marcio è molto, molto più formale. Luigi Tenco, il Grado Zero della canzone.

#7. La retorica dell’uomo di poche parole che dice solo la verità col tempo stucca. Ma alcune di queste canzoni a grado zero sono davvero capolavori di chiarezza e di sintesi: strofe che puoi scolpire sulle lapidi. Tra trenta o novant’anni sarà difficile capire quel che avevano da dire De Gregori o Frankie Hi-NRG. Troppi riferimenti culturali, che col tempo scadono.
Invece Ciao Amore Ciao vorrà sempre dire Ciao Amore Ciao. Per anni in quella canzone non ho trovato niente di speciale, niente per cui valesse la pena spararsi in testa. Poi forse ho capito: è un inno scritto col lessico di una lista della spesa. Le parole del ’67 suonano uguali nel ’07, e i nostri nipoti le riascolteranno tali e quali nel ’47.

#8. Anche Tenco sapeva raccontare una storia, quando voleva. La mia preferita è Angela, una delle poche canzoni italiane ‘teatrali’ che reggono il confronto con Jacques Brel. Guarda il bel tenebroso trasfigurarsi in un libertino senza cuore…
Volevo farti piangere
vedere le tue lacrime
sentire che il tuo cuore
è nelle miiie mani.

(Senti quanto freddo in quelle suuue mani).
…finché il sipario non si strappa e non rivela altro che un vitellone sfigato! Ti prego, Angela, no, non andartene, non puoi lasciarmi quaggiù da solo… E tutto in meno di tre minuti! Avesse inciso solo questa canzone, sarebbe già il grande Luigi Tenco. Ed era una delle sue prime canzoni.

#9. Invece la canzone più brutta di Tenco (secondo me) si chiama No, non è vero. È un esperimento strano, ispirato al call-and-response degli spiritual americani: c’è un coro che martella, e Tenco in mezzo vocalizza. Il problema è che il coro esordisce con amenità del tipo “La tua donna se n’è andata e mai più ritornerà”, mentre Tenco continua a sgolarsi cantando “No, non è possibile, vi prego, no, no, no”. Tre minuti di sgozzamento emotivo.

#10. Il rovescio di Angela è Lontano lontano, una fantasia di morte da adolescenti. Sindrome di onnipotenza: per quanto tu possa andare lontano, ti porterai sempre con te il mio fantasma. Sempre.
Crescendo scopriamo che non è così: che le persone amate si dimenticano, eccome. Si dimenticano anche i morti. Si dimentica tutto, per sopravvivere. C’è gente al mondo, neanche troppo lontano da qui, che non mi ricorda più: a cui non capita più di parlare di me con nessuno, né per caso né per scelta. E anch’io faccio lo stesso.

Ma questo forse non vale per Tenco. Ancora adesso, senza un perché, mi capita di pensare a lui.

mercoledì 24 gennaio 2007

so you think 2007 is going to be...

Tanti auguri a me
E sì, anche quest’anno il blog ha compiuto gli anni.
Sono sei. Sono troppi. Nessun altro blog, in Italia, può vantare sei anni di archivio autentico. Del resto, perché ci si dovrebbe vantare di una cosa del genere? I più vecchi di me si nascondono: cambiano dominio e si mimetizzano tra i più giovani. Io invece qui invecchio pian piano, senza vergogna.

Per una storia breve del primo quinquennio, vi rimando al pezzo dell’anno scorso. Rimane da capire com’è andato il 2006. Poteva andare meglio, per tante ragioni.

Dalla politica alle ciabattine (e ritorno?)
Esattamente un anno fa avevo promesso di fare una cosa più politica, più seria. “Quando tutto quello che diciamo è indicizzato, forse dovremmo dire meno cazzate e più verità”, scrivevo. In effetti la politica è stato il tema caldo per i primi quattro mesi del 2006. Poi ci sono state le elezioni. E un po' di stanchezza, dopo le elezioni, era prevedibile. Passare da blog di lotta a blog di governo, ecc. ecc.

Ma quello che è successo alle ultime elezioni mi ha veramente stroncato. Senza troppo accorgermene, avevo davvero investito qualche energia nella speranza che da aprile in poi si voltasse pagina. Da lì in poi pensavo che si sarebbero aperti nuovi spazi – anche per criticare Prodi, una volta eliminata l’alternativa B.
Il pari e patta elettorale, da questo punto di vista, mi ha ucciso. Fuori o dentro Palazzo Chigi, Berlusconi continua a dominare il dibattito politico. Con lui in testa ai sondaggi, di parlar male di Prodi proprio non mi sento, passo, fate voi.

Così da maggio in poi qui c’è stata una svolta intimista (anche grazie a Grazia). In luglio, negli Usa, ho avuto la sensazione di poter scrivere qualunque cosa senza troppo preoccuparmi, tanto c’è un pubblico per ogni cosa. In autunno sono tornato a temi più ambiziosi, ma mi chiedo sempre più spesso che senso ha. Forse non ne ha.

Che ci fate (ancora) qui?
Io qui potrei scagliare la pietra per primo, e cominciare a lamentarmi del calo qualitativo e quantitativo, accusando la redazione di rifriggere sempre gli stessi argomenti (guerra-Berlusconi-latino-religione-Berlusconi-religione-latino-guerra). Potrei farlo, e potreste farlo anche voi. Ma attenzione. Prima di ogni valutazione bisogna arrendersi a un fatto: il blog non è mai andato bene come in questi ultimi mesi. Cinque-seicento accessi medi al giorno non li avevo mai avuti. Come mai continua ad arrivare tutta questa gente? Onestamente, non lo so.

A dire il vero, conosco solo dei motivi per cui la gente dovrebbe smettere di leggermi. Un blog generalista e tuttologo come questo non ha molte possibilità di sopravvivere, in un panorama complesso e specializzato come il nostro.
Io, per dire, se fossi un lettore mi sarei stancato da un pezzo. Negli ultimi anni il tempo che dedico ai blog è un po’ calato. Raramente mi capita di cercarne di nuovi. Gli unici che m’interessano solo quelli che conosco già e che trattano argomenti specifici in un modo familiare. In pratica: se voglio sapere qualcosa su un film, vado su un blog di cinema (sempre quello, al massimo un paio). Se voglio sapere che musica tira, vado da Enzo o da Inkiostro, (e tanto peggio se pigliano cantonate). Se voglio sentir parlare di tv… di web... o di letteratura… litigare con un giornalista nevrotico… riempite i puntini. Credo che l’approccio degli adulti ai blog sia più o meno questo: evitare le sorprese, consultare i più fidati.

Ma proprio da questo punto di vista, non riesco a capire bene chi viene qui. Leonardo è un blog senza tema (anche se le idee fisse non mancano): nessuno sa esattamente cosa troverà, quando clicca qui. Si parla di cinema o musica ma senza molto impegno; di politica, ma in modo sempre più tangenziale: si mettono insieme pensieri intelligenti, ma senza il tempo e la capacità di sistemarli. Gira che ti gira, è rimasto un blog “alla 2003”: un diario in pubblico. Evidentemente alla gente piace così.

Anche questo però ha un senso molto relativo. Chi è poi tutta questa “gente”? Che ci fai, oggi, con 600 accessi al giorno? Basta vedere quel che succede ogni volta che qualcuno s’inventa una nuova top 100 dei blog italiani: dopo qualche mese di saliscendi, Leonardo saluta e scompare. Perché il traffico vero ormai passa altrove. E non si capisce davvero perché continuo a dare importanza agli accessi o al ranking, visto che non sto vendendo niente. Ah no, scusate. Sto vendendo il libro. Già. Pensavo che il blog potesse lanciare un po’ il libro. In realtà per ora sta succedendo il contrario: il libro attira gente che prima non passava

Progetti per il futuro?
E quindi insomma, cosa fare nel 2007? Mah. L’anno scorso mi stavo prendendo ancora un po’ troppo sul serio. Ora, come vedete, anche se inizio a parlare di politica finisco con Bud Spencer. Sarà il riflusso, sarà l’età, la coscienza dei propri limiti.
In una formula: basta pipponi. Scrivere pezzi più leggeri. Magari un po’ più brevi (come dicevo quattr’anni fa). Magari scriverne un po’ di più. E forse pian piano riuscirò a specializzarmi anch’io, in qualcosa che ancora non so cos’è.

Fuori dalla Storia
Quanto alla Storia del Blog Italiano, quella non passa da qui da un pezzo. Il futuro sono i video – come ha capito persino Di Pietro: il blog del futuro è pieno di immagini in movimento che mostrano facce immobili che ti fissano e ti parlano. A me i mezzibusti annoiano, per cui mi fermo qui. A chi continuerà a passare, in deroga alle mode e alle teorie di scienze della comunicazione, un grazie dal più profondo del cuore – e compratemi il libro. Sono sei euro e venti. Che ci fai oggi con sei euro e venti?

Il post dell’anno
Come ogni anno, qui sotto potete farmi un regalo scrivendo qual è stato il post che vi è piaciuto di più nel 2006. Potete anche scrivere quello che v’è piaciuto di meno. Se siete indecisi, scrivete il primo che vi viene in mente: è quello giusto.

martedì 23 gennaio 2007

antiamerica

Il fattore B

Ma l’anti-americanismo dev’essere di sinistra per forza? E non mi riferisco, per carità, a quello residuale di neo e post-fascisti. No, guardo più in basso, terra-terra: c’è davvero bisogno di sfoggiare un’ideologia, per farsi stare sulle palle gli americani?

E se fosse populismo, semplicemente, populismo bello e buono? Populismo ipocrita, perché sputa nel piatto atlantico in cui sforchetta avidamente da 60 anni; populismo sacrosanto, perché fondato su episodi oggettivamente difficili da mandar giù: Ustica, Cermis, e tante altre tragedie di cui, non avendo il diritto di conoscere la verità, ci siamo conquistati quello di covare dubbi e dietrologie da qui all'eternità.

Ma scusate: davvero nel 2007, per essere un comunista, mi è sufficiente protestare perché un estraneo pretende di accamparsi perpetuamente in casa mia? Ma ci hanno pensato bene, a destra, prima di montare questa polemica? Perché l’aspirazione a non avere estranei armati in casa è la cosa più naturale e qualunquista del mondo: ha più a che vedere col mito dei sacri confini della Patria (o più semplicemente del mio orticello) che con l’internazionalismo socialista. Insomma, è una tigre che Berlusconi & co. dovrebbero coltivare per primi, invece di lasciare il campo libero a populisti fai-da-te come i noglobbal. E non ci sarebbe niente di male: dopotutto quand'è che Berlusconi sarebbe stato un vero filo-americano? Quando ha prestato un fondale di cartapesta al vertice di Pratica di Mare? O per i due contingenti omeopatici mobilitati per la guerra al Terrore? Forse è anche grazie ad amici così, che Bush si trova nella peste in cui si trova.

E poi, sì, d’accordo, amiamo tutti la cultura americana, i film il rock e così via. Ma non abbiamo mai apprezzato la loro cucina, i loro sport di squadra assurdi e la loro arroganza. È un rapporto complesso, come ogni rapporto tra padrone e sottoposto. A volte prevale l’odio di classe (e Sanguineti è contento), altre volta la solidarietà aziendale. Dipende anche da come vanno le cose.

Ultimamente vanno male, e non è mica colpa nostra. Se volessimo disegnare un grafico dell’antiamericanismo storico, ci troveremmo due picchi: uno a metà anni Settanta, con l’escalation in Vietnam. Una guerra orribile, senz’altro: ma soprattutto, una guerra persa.
L’altro picco arriva dopo l’undici settembre: anche in questo caso, cos’è che ci rende davvero invisi gli americani? Il fatto che combattano tante guerre, o il fatto che non le vincano?

Tra un picco e l’altro, i gloriosi anni Ottanta, quando Reagan vinceva il bluff della Guerra Fredda costruendo missili e guardandosi bene dall’adoperarli: l’operazione militare stelle-e-strisce più eccitante della mia infanzia fu lo sbarco nell’isoletta di Granada (metà dell’impresa consisteva nel rintracciarla sull’atlante).
Detesto Reagan quanto Bush II, ma non posso non notare la differenza: il primo vinceva senza combattere, il secondo fa tutto il contrario. E indovinate un po’: alla gente piacciono i vincenti (Scoop!) Vi disturba l'antiamericanismo? La prossima volta, provate a vincere una guerra.

Nessuno ama gli arroganti, anche quando portano doni. E tuttavia li sopportiamo volentieri – finché sono potenti e ci difendono. Ma se cominciano a perdere i colpi, perdono anche il loro appeal, e il comunismo c’entra ben poco. L’antiamericanismo che annuso in questi giorni ha una fragranza assai più familiare. Sembra di stare di nuovo in quei film con Bud Spencer, gli unici a mettere in scena la vita nell’indotto delle basi americane. Quei film con gli americani alti robusti e biondi, stereotipo di chiara derivazione dagli übermenschen nazisti. Quanto sono bravi, quanto sono tosti, quanta soddisfazione a pigliarli a calci in culo. Non lo faremo mai, ma lo abbiamo tutti sognato da bambini.

E se alla radice dell’antiamericanismo della mia generazione ci fosse soltanto... lui? Altro che Bertinotti. Lo spettro di Bomber, Bulldozer, quel personaggio a mille nomi che comincia sempre per B e finisce sempre col suffisso di Spencer. Il virus dell’antiamericanismo popolare che viaggiava libero in provincia, in un ventennio di sogni 100% americani. L’uomo che rese ridicolo il western, portò il poliziesco a Napoli, sconfisse il contingente NATO a football e poi a boxe. E adesso milita in Forza Italia. I suoi film vanno in onda ogni sei mesi, su Rete 4. Berlusconi ci dovrebbe fare un pensiero: tenersi caro Bush II, o Carlo Pedersoli? Io non avrei dubbi, è chiaro. Ma ognuno ha il fattore B che si merita.

giovedì 18 gennaio 2007

de guribus

Dietro di te vedo i milioni

Ma io non mi vergogno mai di quel che scrivo? Spesso. Molto. Non mi cancello per pura pigrizia. Mesi fa per esempio scrissi una sciocchezza su Giovanni Lindo Ferretti, che è stata ingiustamente apprezzata da parecchi. Non saprei dire se mi fosse mai capitato di scrivere qualcosa di altrettanto fazioso e impreciso (probabilmente sì). Nel pezzo mi abbandonavo ad affermazioni incontrollabili, come ad esempio: “Nessun campanaro è mai stato fatto santo”. Ci hanno messo pochi giorni a sbugiardarmi, ovviamente.
Ma soprattutto devo rimangiarmi un’affermazione. Ho scritto: “quello è stonato”. Be’, ma che ne sapevo? Devo rimangiarmela perché sabato sono stato trascinato a un suo concerto, in una sala municipale persa da qualche parte nella nebbia piemontese. Ferretti salmodiava accompagnato da un violinista, un bandoleon e un altro cantante, con qualche ottava in più di lui. Io temevo di stramazzare dopo pochi minuti, e invece sono riuscito a stare sveglio per i tre quarti. Intorno a me il pubblico seduto apprezzava, applaudiva e adorava. Senza essere il grande cantante che non ha mai preteso di essere, Ferretti ha dimostrato un carisma impressionante, e non ha steccato mai. Ma quand'è che invece lo avevo sentito steccare, Ferretti? Mi sono reso conto solo allora che quella era la prima volta che lo vedevo cantare dal vivo. Sul serio. Un reggiano. Mai stato a un suo concerto. Per evitarlo tutti questi anni devo averci messo dell’impegno, eppure giuro di non essermene mai accorto. Insomma, io sono uno che tiene un blog e sputacchia le sue sentenze su cantanti che non ha mai ascoltato dal vivo in vita sua. Non mi vergogno mai? Talvolta.

C’è questa polemica sulle sue vecchie canzoni. L’ho letta spesso, anche nei miei commenti: se ha cambiato idea va bene, ma non dovrebbe più cantare le sue vecchie canzoni. Il problema è che forse lui non ha cambiato idea. Ieri come oggi continua a cantare la decadenza del corpo umano e di quanto siano invece fighi i corpi incontaminati dei cavalli. Queste scemenze idilliache, o se preferite apocalittiche, erano già dominanti in Linea Gotica (e forse prima), e se non ve ne siete accorti è per il frastuono di tutte quelle chitarre. Sarà un bravo cantante, ma è da più di dieci anni che si atteggia a guru anti-moderno, e a me i guru non piacciono. È una cosa che mi porto dietro da lontano.

I meno giovani ricorderanno di quando Bono perse la testa, e da ragazzaccio di Dublino s’improvvisò predicatore alle masse? Più o meno ai tempi di Rattle and Hum – io divorziai dagli U2 in quel momento. Adesso andiamo d’accordo, più o meno da quando il gran cantante ha scoperto una cosa che si chiama autoironia. Ma posso risalire ancora più lontano. Voi lo avete mai visto Tommy? È un film pazzesco. Una di quelle cose che può piacere a Valido.

Con ordine. Tommy in principio era un fantastico disco degli Who, scritto da Pete Townshend in un periodo in cui il giovane chitarrista era effettivamente seguace di questo o quel guru. Tommy è un ragazzo sordo, muto e cieco, che dopo vari abusi diventa campione di flipper, guarisce dalle sue infermità e diventa un profeta. La storia era sconclusionata e incomprensibile, ma la musica era potente. Si passavano serate a guardare la puntina del giradischi e ad ascoltare questo disco oscuro e abbagliante, che parlava di violenze sui minori e viaggi acidi. E verso la metà, e alla fine, c’era un inno fantastico:

Listening to you I get the music.
Gazing at you I get the heat.
Following you I climb the mountain.
I get excitement at your feet!
Right behind you I see the millions.
On you I see the glory.
From you I get opinions.
From you I get the story.

…ma non è che si sapessero bene le parole, a quei tempi. Però era esaltante.
Qualche anno dopo Ken Russel trasformò la storia in un film che definire visionario è riduttivo (oltre che banale). In questo film viene reso evidente qualcosa che nel disco non era affatto chiaro: Tommy è uno psicopatico. Per guarire i suoi adepti dal logorio della vita moderna, vuole renderli sordi, muti e ciechi, com’era lui. È guarito dalla sordità e dalla cecità soltanto per regalarla agli altri. Come dice questo critico, John Demetry: "Tommy's liberation becomes a means of mass exploitation".

Per me il Tommy di Russel è quasi una parodia di quello di Townshend, anche se canta più o meno le stesse canzoni. Tutto l’entusiasmo ingenuo, la pura fede del disco del 1969, nel 1975 è diventata una truffa, un sogno acido, una sagra pop. Cos’era successo? I guru di cinque anni prima avevano perso tutto il loro appeal. E l’inno finale di Tommy, nella versione sottotitolata in italiano, suonava sinistro: aveva un che di nazista.
Ascoltando te, io ricevo la musica,
guardando te, io traggo il calore.
Seguendo te, io scalo la montagna,
ai tuoi piedi io provo eccitazione.
Dietro di te, io vedo i milioni;
su di te, io vedo la Gloria.
Da te, io prendo le mie opinioni;
da te, io imparo la Storia.

Il bello è che a tutt’oggi non riesco ad ascoltare quella canzone senza provare un desiderio struggente di scalare una montagna dietro un qualsivoglia leader, persino Lindo andrebbe bene, traendo eccitazione e lezioni di Storia dal suo tallone. Ogni volta che mi chiedo “ma come hanno fatto milioni di tedeschi a seguire uno psicopatico”, mi basta pensare a quel coro di Tommy. Probabilmente loro usavano materiale più professionale, Wagner & co., ma Tommy basta e avanza per farsi un’idea. “Dietro di te, io vedo i milioni…” Millionen stehen hinter mir, si diceva un tempo. Milioni di persone eccitate ai tuoi piedi, disposte a non guardare, e a non sentire. Forse in ogni cantante un po’ esaltato c’è un führer in potenza. Forse in ogni pubblico estatico c'è il brodo di cultura delle prossime SS. Poco male, basta saperlo. Se io l’ho capito guardando Tommy, c’è una speranza davvero per tutti.

[Ps: di Tommy vorrei salvare due versi magnifici. Uno dice “When I see your smile, I can face brave weather”. (“Quando vedo il tuo sorriso, so che posso affrontare il cattivo tempo”). L’altro andrebbe scritto a grandi caratteri su tutte le case del Regno, e recita: “La libertà ha il sapore della realtà”. In inglese è molto meglio: “Freedom tastes of reality”. Ci si mette molti anni a capirlo, ma è vero. Townshend c’è arrivato presto – forse il suo guru non era così male, dopo tutto].

martedì 16 gennaio 2007

attenzione: catena!

Blogging for aliens

Mi hanno chiesto di descrivere un blog (già fatto un centinaio di volte, lo so) in duemila battute – ecco, questo è interessante. Io con 2000 battute non butto giù manco la lista della spesa.
Ma ci proverò. Fingerò di saltar fuori da un cassetto frigorifero, nel trentamila dopocristo, e di dover spiegare a una razza aliena in corso formazione che cos’era un blog all’inizio del terzo millennio: ma svelto, sennò mi squaglio davvero e poi non mi possono più ricongelare, esattamente come i quarti di manzo, bravi.

“Immagino che qualcun altro vi abbia spiegato cos’era il www. Bene. Il blog è la forma che hanno preso le identità individuali, sul www, a partire dal 2000. In Italia hanno attecchito 3 anni dopo (ma mi rendo conto che non sapete cosa sia l’Italia, da come agitate gli pseudopodi).
Prima dei blog c’erano i cosiddetti “siti personali”. Eravamo tutti convinti che prima o poi ne avremmo aperto uno. Ci avremmo messo una foto nostra, una del gatto, il curriculum, il romanzo nel cassetto e la playlist. Ne eravamo convinti, ma appena inciampavamo in una pagina web fatta così scappavamo via. Dopo due minuti che erano aperte sembravano ammuffite, vetrine polverose coi perenni segnali di lavori in corso. Perché non funzionavano?

Perché le identità non si presentano in questo modo. Nessuno viene a te per la prima volta col suo curriculum, la lista dei libri che ha letto e la galleria fotografica: nessuno che voglia davvero conoscerti, o che tu voglia veramente conoscere. Le identità individuali non si scambiano playlist al primo incontro, scherziamo? C’è qualcosa di meno romantico di un biglietto da visita? Le identità s’incontrano per caso, in un capannello di gente che chiacchiera di un argomento qualunque. Ci si ascolta parlare di politica o di gatti, e ci si sorprende a pensare: però, quel tipo, simpatico. Ci si scopre un po’, giorno per giorno. I blog erano spogliarelli per gente educata, contraete le ventose se avete capito.

La prima volta che ho visto un blog mi sono chiesto: ma perché i pezzi sono pubblicati a rovescio, dall’ultimo al primo? Quanto ero stupido: come lo spettatore dei Lumière, che fugge davanti alla locomotiva. Il blog è essenzialmente questo: un sito sempre aggiornato. Potevano essere ed erano spesso puttanate, ma sempre fresche di giornata. Ami gettati per le altre identità curiose. Chi abboccava poi avrebbe risalito il corso dell’archivio; e prima o poi avrebbe raggiunto il romanzo nel cassetto, i dischi dell’anno e la foto del gatto. Ma l’identità rimaneva sempre sotterranea, mi capite? Chi trascorreva tempo sui blog girava in superficie, e aveva la sensazione di muoversi in un bar o in una festa, dove si parla di sport o tv ma senza impegno.

Il tutto rigorosamente in forma scritta, perché la banda era quello che era. Verso la metà del decennio l'offerta di banda aumentò, e i contenuti multimediali fecero esplodere il sistema. Il blog si evolse in una specie di videocitofono personale, e cambiò nome, perché i nomi vecchi stancano. I nostalgici che continuavano a pubblicare paginette web in forma scritta facevano una cosa che fu chiamata retroblogging. Corre voce che continuassero a divertirsi e a uscire con ragazze/i interessanti.
Ma io forse non c’ero già più, non ricordo bene. Ora se per favore mi rimettete al mio posto… scusate, eh, ma tra un po’ ricomincerò a starnutire e non hanno ancora inventato il vaccino”.


Duemilatrecento spazi esclusi, di più non ce la fo.

La catena volevo tenerla per me, ma ripensandoci credo che la manderò almeno a Sviluppina (che le sa apprezzare).
E già che ci sono anche a Dr Psycho, Mauro, Valido e... Paolo Guzzanti. Solo una scusa per lincare gente che non linco praticamente mai, perché sono pigro. Scusate. E (se vi va) provate a descrivere i blog ai beduini del deserto, o a Galileo Galilei, o ai vertici del Kgb durante una seduta spiritica. Magari è divertente.

giovedì 11 gennaio 2007

tabula rasa!

Bisogna distruggere il latino

Caro Leonardo, hai sentito di quel quindicenne romano che avrebbe scritto all’economista di Financial Times chiedendo se è davvero così utile studiare il latino?

Sì, e ho anche trovato il link: toh.

Ma è scritto in inglese da economisti, non si capisce.

Già, è duro l’inglese, specie se lo studi nei ritagli di tempo tra una versione di latino e una di greco. Per fortuna la rubrica di Harford viene sempre tradotta in italiano da Internazionale: dovrebbe uscire in uno dei prossimi numeri.

Un quindicenne romano scrive all’economista del FT? Ce la beviamo?

Perché no? Dear economist è uno spasso. Harford risponde a qualsiasi domanda, ma con un’impostazione rigorosamente economista. Una volta ha risposto a un tale che chiedeva se in bagno fosse più conveniente abbassare o lasciare alzata la tavoletta. Perché non dovrebbe rispondere al 15enne romano?

L'economista risponde che il latino serve soltanto a discutere col Papa, e che il cinese sarebbe più utile. Tu naturalmente sei d’accordo con lui...


Al 90%. Specie quando sfata la leggenda che il latino ci aiuti a raffinare le nostre capacità logiche. È una sciocchezza. Quale sarebbe esattamente il contenuto ‘logico’ del latino? Le regole di morfologia e sintassi sono costruzioni a posteriori, piene di eccezioni e casi particolari. Al massimo si può dire che il latino sia molto complesso. Ma non più complesso della fisica quantistica o del cinese. Chi sostiene che l’apprendimento del latino renda più ‘elastici’ di una qualsiasi lingua straniera, di solito non ha studiato bene nessuna lingua straniera oltre al latino: insomma, è tutt’altro che un’intelligenza ‘elastica’.

Ma è una tesi sostenuta da molti…

…da molti insegnanti di latino, sì

Eppure chi si diploma al classico con buoni voti se la cava bene in qualsiasi facoltà.


Magari è anche vero. Ma non perché abbia studiato latino; semplicemente perché è una persona intelligente. In una buona percentuale è anche un ragazzo benestante, che gode nella sua famiglia di un’offerta culturale molto superiore a quella che gli offre la scuola. Nelle sua casa ci sono mensole piene di libri, canali satellitari di approfondimento, Internet, quotidiani già sfogliati, parenti laureati con i quali può scambiarsi opinioni. Gente così di solito va a scuola più per intrecciare relazioni che per approfondire conoscenze: se si trattasse solo di questo, potrebbe studiare in casa con molto più profitto.

Da soli? In casa?

Hai colto il problema: non si può. Per questi studenti cosiddetti ‘brillanti’, il liceo è soprattutto un parcheggio. E per un parcheggio quinquennale il latino è la materia ideale: non serve a nulla, ma occupa un sacco di tempo, e impararlo (approssimativamente) dà una certa soddisfazione. Ma non è che il latino ci renda più intelligenti: semplicemente, abbiamo deciso che gli alunni più intelligenti debbano sorbirsi cinque anni di latino. Se un giorno decidessimo di farli giocare per cinque anni a Yu-Gi-Oh, probabilmente il loro rendimento all'università sarebbe simile. Invece storicamente abbiamo scelto il latino, e continuiamo a insegnarglielo. Se almeno lo imparassero davvero.

Non lo imparano?


Una volta lo imparavano, forse. Ma prova a dare in mano l’Eneide a un qualunque diplomato della mia età. Chiedi di leggerlo e tradurtelo all’impronta. Non ce la farà. Ha studiato latino per cinque anni, ma senza vocabolario è un analfabeta. L’ottanta per cento, all’indomani dalla maturità, non riuscirà a decifrarti una banalissima lapide di chiesa.

Perché è una lingua molto difficile.


Forse. Oppure perché gli insegnanti del liceo non sono bravi. Oppure sono bravissimi, ma il metodo è tutto sbagliato. In ogni caso c’è qualcosa che non va. Dedichiamo al latino come minimo cinque anni della nostra vita, eppure nessuno lo sa, nessuno lo parla. Com'è possibile? Se l'insegnamento del latino fosse così efficace, dovremmo sfornare torme di latinisti. Non solo. Com’è che noi italiani abbiamo delle scuole elementari fantastiche e una percentuale di laureati da terzo mondo? Tra l’istruzione elementare e quella accademica c’è un dislivello pauroso: qualcosa in mezzo evidentemente non funziona, e nessuno ci ha ancora spiegato cos’è.

Magari è la Scuola media inferiore.

Magari sì. Però potrebbe anche essere il modello del Liceo, dove si continua a dare tanta importanza a una materia come il latino che – ammesso serva a qualcosa – comunque nessuno riesce a imparare come si deve.

Ma non è un’ossessione, quella del latino? È davvero così importante? Sul Giornale Lorenzo Scandroglio sostiene che il classico ormai è una riserva indiana. "Anche qualora si sia scelto un liceo, dove resistono le ultime sacche di «lingue antiche» sottoposte ad attacchi sempre più pressanti, sono ormai sempre più diffuse le sezioni sperimentali, senza la minima traccia né di latino, né di greco".


Io non so di che territorio parli Scandroglio: posso parlare del mio. Ogni anno mi arriva il libretto con l’offerta formativa delle scuole della provincia. Posso affermare che non esiste un solo liceo scientifico o classico, nella mia città, con una sperimentazione de-latinizzata. Se vuoi studiare spagnolo e tedesco, puoi: però devi farti anche le tue tre-quattro ore settimanali di latino. Affidate al prof di italiano, che di fatto diventerà il Boss del Consiglio di classe. Risultato: l’adolescente sarà istintivamente più motivato a sprecare un pomeriggio sulla versione che a memorizzare le declinazioni del tedesco (che pure sarebbero altrettanto “complesse”).

(Continua, stavolta sul serio)

martedì 9 gennaio 2007

de te fabula?

Il film non partiva neanche male.
La prima scena è una matrioska, contiene tutto il film liofilizzato. Bonolis e consorte, a teatro, guardano uno spettacolo che è scemenza pura. (Lo spettacolo è Commedia Sexi, appunto). Tutti ridono, tranne Bonolis un poco imbarazzato. Questi sono gli italiani, dice. Questa è la gente che ce tocca governà. E la moglie: maddai, in fondo è divertente.
Lo spettacolo finisce sulle note di “Tutti fanno le corna, e chi se ne frega, ecc.”; la moglie esce, Bonolis si attarda nel camerino con la ballerina e… ripete, per filo e per segno, la scenetta che ha appena visto recitare. È un ipocrita, è ridicolo, è farsesco, ma è credibile. La realtà imita la farsa, quindi non bisogna disprezzare la farsa: parla di te. Quindi non bisogna disprezzare le commedie sexy. Quindi ho fatto bene ad andare a vedere Commedia Sexi?
No.

Nessun popolo si merita questo

Mettiamo in chiaro una cosa: non sono fiero di quello che sto facendo. Non ci vuole nessuna abilità a parlar male di Commedia Sexi. Chiunque è capace.
Io avrei voluto essere l’originale fantasista che riesce a parlare bene anche di Commedia Sexi. Se ce l’ho fatta con Muccino, perché no?
E mettiamo in chiaro un’altra cosa: nessuno si aspetta che D’Alatri faccia il Bergman. Ma neanche il Pietro Germi. In effetti, nessuno si aspetta molto da D’Alatri.
Giusto qualche sorpresa. Commedia Sexi dovrebbe essere il film che, senza pretese intellettuali, ti piazza lì un paio d’istantanee riuscite, sicché io dovrei uscire dalla sala pensando: in fondo la vita è così. Più farsa che tragedia. Più D’Alatri che Bergman.
E invece no, più ci penso e più mi sembra una tragedia. Non tanto la vita in generale, ma il tempo e il denaro buttato via in Commedia Sexi. Una farsa con delle pretese. Benissimo, andiamo a vedere queste pretese.

Non si può fare il cinema se non dialogando con il popolo, questo film è stato realizzato per rispondere a delle necessità espresse, cercando di apportare qualche cosa di nuovo.

L’ambizione del film è divertire il pubblico natalizio con qualcosa di popolare, originale, moderno. E cioè? Una storia di corna. Ah però. Il pubblico resterà senza fiato. Il pubblico poi sarebbe lo stesso (un po’ imbolsito) che andò a vedere il primo panettone dei Vanzina e ci trovò Christian De Sica a letto con un uomo. Sembra fantascienza, ed era il 1983 (Moonlight shadow). Per dire che sì, ci tocca rimpiangere i Vanzina. Loro qualche istantanea l’azzeccavano.

D’Alatri manco ci prova. Lui si affida all’intreccio, tutto basato su un’idea di un’inconsistenza singolare: se una velina ha una storia con un politico, basta intestare tutto all’autista, e nessuno sospetterà niente. Ma proprio nessuno. Anche quelli pagati per sospettare. Non solo: ma l’autista entrerà nello star system dalla porta principale, perché tutti sono curiosissimi di conoscere un mister nessuno che paga le bollette a una velina. È storia di tutti i giorni, no? Le pagine del gossip sono piene di mister nessuno che fanno innamorare donne bellissime.

E poi ci sono gli attori. Con la farsa vai tranquillo: devono essere macchiette. Se davvero hai qualche pretesa, puoi chiedere all’attore di lavorare sulla sua macchietta, di problematizzarla un po’, di trasformarla in un personaggio. Il mito della commedia all’italiana nasce così. Persino Goldoni è partito così: prima canovacci con le maschere, poi sempre meno maschere e sempre più persone.
Qui invece si assiste al fenomeno contrario. Una manciata di attori magari anche buoni che s’ingegna a trasformarsi in macchiette per il gusto del pubblico bue. È la farsa del Cuoco Porco e della Moglie Ipocondriaca: indovinate un po’ chi hanno chiamato a indossare queste due mascherine. Ma non s'è un po' rotto i coglioni, Michele Placido? Lui è famoso financo in Afganistan, potrebbe fare il mafioso cattivo in qualche produzione di Karachi, non sarebbe più dignitoso di questo? Alla fine ci fanno una figura migliore Bonolis e la Santarelli, proprio perché nessuno si aspetta da loro niente che non siano già.

E poi c’è il Figlio Segaiolo, la Figlia Apprendista Zoccola, ma niente paura che tutto si sistema: basta andare in tv a Porta a Porta. Dove (in presenza del direttore di Chi, garanzia di moralità) accade un corto circuito logico: l’autista carezza la velina e implora alla moglie di tornare. Se fossimo in casa davanti alla tv gli tireremmo in testa il telecomando: siccome siamo al cinema ci tocca dargliela per buona. Se Bonolis è un ipocrita, il suo autista chi è? Perché gli deve andare tutto bene, visto che mente esattamente come il suo padrone? Soltanto perché il padrone è il padrone e Arlecchino è un suo servitore?

E perché la tv deve guarirci da ogni male? La figlia non ha più bisogno di psicologi, la moglie cornuta può buttar via pillole e flaconi. Non c’è niente di più salutare di una spaghettata su un terrazzo con una velina e il suo maestro di danza. Tanto paga Pantalone Bonolis. Lui però deve finire disonorato, scornato, pussa via. Così impara. In fondo l’unica cosa che ha azzeccato D’Alatri è la gran voglia che c’è in giro di capri espiatori. E Bonolis ha il phisyque du role: oggi non c’è niente di più napoleonico del ruolo del Presentatore, dalla polvere all’altare alla polvere nel giri di sei mesi. Bonolis parla a nome di Moggi, di Savoia, di Lapo, di tutti i potenti che abbiamo trovato con le dita nella stessa marmellata che piacerebbe tanto anche a noi. Li prendiamo per il culo per un po’, e poi magari li riabilitiamo, in fondo cosa senza di loro non sapremmo di chi parlare. In casa o a Porta a porta.

Rimane una cosa da dire, un po’ imbarazzante. Il film fa ridere.
Non tanto me, ma le dieci persone che avevo dietro facevano confusione per cinquanta. E non si capisce per cosa, davvero. Battute memorabili non ce ne sono. A dire il vero non mi ricordo proprio una battuta che sia una. Forse è qualcosa che mettono nel popcorn.
Ma davvero, a un certo punto ti sembra di essere come Bonolis all’inizio del film: sono davvero questi gli italiani? Il problema è che almeno Bonolis è un ipocrita: io no, io sono proprio così. Nessuna velina mi aspetta in nessun camerino, la gente tutt’intorno ride e io non mi diverto. È un problema solo mio? Guardo su internet. No. È un problema anche di Broono. Phew. Viva i blog.

venerdì 5 gennaio 2007

Treccani omofoba?

Povero Antinoo

È stato più di una settimana fa.
“Buon giorno, esce ancora Repubblica?”
“A volte”.
“Oddio, e questo pacco cos’è, la Bibbia a fumetti?”
“Mi ha chiesto Repubblica, le ho dato Repubblica”.
“Accetta il bancomat?”
“Ma no, l’enciclopedia è in omaggio”.
Ah, gli omaggi... Vabbè, è pur sempre una Treccani. Biografica. Ultimamente vanno le biografiche, avete notato?
Avete anche notato che io sono la vittima designata delle enciclopedie? Ci sono i tipi da romanzo e i tipi da cronaca nera. Io m’incanto più facilmente davanti a un’enciclopedia – ci trovi sempre qualcosa d’interessante. Quando non c’era Internet, l’unico modo di perdersi nello scibile umano era consultare la voce Pragmatismo per attardarsi sulle foto di Praga, le statue di Prassitele e la Prammatica Sanzione. Per cui ci do subito un’occhiata, all’enciclopedia biografica Treccani. In fondo c’è un sacco di gente interessante che comincia con la lettera A.

Dopo neanche due minuti, maturo una convinzione: è una ciofeca, questa Treccani. V’eravate affezionati, volevate finirla? Lasciate perdere, piuttosto le garzatine. L’operazione ha tutta l’aria di una rivendita di fondi di magazzino. Anzitutto è scritta in grosso: diffidare sempre dei libri scritti in grosso, soprattutto se dizionari o enciclopedie. E poi è materiale vecchio. Si vede a occhio.

Prendiamo uno degli uomini più grandi e fortunati della Storia del mondo: l’imperatore Adriano. La sua è una voce scritta negli anni Cinquanta. Al massimo Sessanta (ma potrebbe anche essere Trenta). Certo, non è che nel frattempo abbia fatto molto di nuovo, l’imperatore Adriano. Ma non c’entra. Le enciclopedie si aggiornano sempre, perché anche se gli imperatori restano fermi, noi ci muoviamo. E si vede. La voce Adriano avrà cinquanta, sessant’anni, ma sembra più vecchia dell’imperatore stesso. Adriano, come tanti principi del tempo, era bisessuale. Regolarmente sposato, aveva una relazione con uno schiavo. La relazione la possiamo chiamare tranquillamente pederastia: anche se la parola pare brutta, essa designa per l’appunto i rapporti tra maschi adulti e maschi adolescenti.

Ma la Biografica Universale Treccani non parla di pederastia, né di omo o bisessualità, bensì di “turpi e palesi trasporti”. Proprio così.
Non aveva infatti figliuoli, né aveva saputo conservarsi l’affetto della bella Sabina, che aveva così gravemente offesa con i turpi e palesi trasporti per Antinoo.

Ora, non bisogna essere alfieri del politically correct o delle tematiche LBGT per affermare che qualcosa non va.
E non in Adriano. Lui, quando morì Antinoo, fece innalzare statue e templi in tutto l’impero. Gli dedicò persino una città (Antinoupolis), per cui evidentemente sì, il trasporto era palese. Ma non si può leggere “turpe” in un’enciclopedia comprata nel 2006. È una parola che dice più cose su di noi che sull’imperatore Adriano.

E poi uno dice non fidatevi di wikipedia. Quanto resisterebbe, una frase come quella, in una voce di wikipedia? Una mezza giornata, due ore? Sulla Treccani c’è da mezzo secolo. E potrebbe passarne un altro mezzo. Se la civiltà occidentale si mantiene, naturalmente.

giovedì 4 gennaio 2007

è arrivato l'arrotino

Ehilà, pensate un po', ma lo sapete che ho scritto un libro? lo avete già comprato? da quand'è che non lo comprate?

Qualcuno, come temevo, comincia a notare i refusi. Non sono tantissimi, ma dovevano essere meno.
È un peccato che Leonardo abbia un blog. Se avesse una rubrica periodica su un quotidiano, avrebbe molti più lettori, e se li meriterebbe tutti, perché come commentatore politico - di parte, ça va sans dire - è davvero imbattibile, a differenza di quando si dedica al racconto: 2025 non era il massimo.
Ma qui (Leonardo, Storia d'Italia al rovescio (2006-2001), Scrittomisto, Unwired Media, 2006, pag. 90, € 6.5, ISBN 8860840228) abbiamo una selezione dei migliori articoli... ehm, post del nostro, che ci permettono di riportare alla mente quanto successo negli ultimi anni e di rivederlo con una doppia lente: quella del tempo passato che ci permette di vedere tutto in un contesto più ampio, e quella di Leonardo, che si diverte a spostare il punto di vista. Quando ad esempio parla della Sura della Genesi, sono certo che a qualcuno verrà un colpo...
Vale insomma la pena di comprarlo anche se si è già letto tutto online a suo tempo, e nonostante qualche refuso che è scappato. E nella peggiore delle ipotesi, lo si legge in fretta...

Notiziole di .mau

mercoledì 3 gennaio 2007

fioretti per l'anno nuovo, 1

Un sano colpo alla botte

Numero uno, non si sfottono più i Neoconi. Basta. Finito.
Aveva un senso nel Duemilaetré. Continuava a essere divertente nel Duemilaequattro. Nel Cinque era trito, ma funzionava. Ma nel Sette basta, ormai è roba da Vanzina.

Eppure la tentazione c’è, voglio dire, come si fa? Basta un clic, e ti trovi davanti Camillo stizzito perché si sono permessi di mettere in dubbio l’intelligenza di George W, uno che si è laureato in STORIA a Yale. Scritto proprio così, tutto maiuscolo, perché si capisca che è Yale, mica un corso di ricamo. No, dico, provatevi voi a laurearvi in STORIA a Yale. E "con voti migliori di John Kerry” (John chi?)

Sì, sì, certo, ma è facile adesso. Ben altra cosa quattro anni fa. A quel tempo tutto sommato i neoconi erano il massimo. Viaggiavano col vento il poppa, avevano l’aria di chi risistema la Storia con una giocata. Era un bluff, ma è così facile, visto dal fosso del senno del poi. In realtà uno come Camillo è da apprezzare per la coerenza. È lì sulla linea da sei anni, e non si muove di un centimetro. Vi ricordate quando lanciò l’islamofascismo? Beh, lui è ancora lì: Con gli islamofascisti non si discute! Averne, di uomini come lui.

Io dico che con l’anno nuovo bisogna iniziare a preoccuparsi di una razza diversa. È tempo di dare un sano colpo alla botte.
Perché a furia di dire che gli americani hanno sbagliato tutto, qui si perde il lume. Tutti questi festeggiamenti per la tremillesima bara a stelle e strisce sono repellenti. Tutta questa intelligenza col nemico – ehi, guardate che è pur sempre un nemico. Un fanatico. Il migliore c’ha la rogna.

Prendete al Sistani. Ce l’abbiamo col Papa perché non vuole i Pacs; provate a chiederli ad al Sistani, che proibisce di parlare alle donne non sposate. No, giusto per mantenere le proporzioni. Perché tra un po’ rischiamo di farne un santino, di questo al Sistani. C’è persino un giornalista italiano che lo ha già nominato Uomo del 2007 – al Sistani, non so se ci siamo spiegati.
Che giornalista? Mah, uno di quelli dal dialogo facile con l'islam... uno senza permalink, maledizione. Aspettate, eccolo qui.

lunedì 1 gennaio 2007

I can stand the sight of worms

Io sono un figlio del mio tempo, e il mio tempo è quel che è.
L'Etiopia invade la Somalia, e ci sbadiglio. Ammazzano un ex tiranno, e che problema c'è. Bombe a Bangkok, vabbè succede. E l'Eta, l'Eta, non sarà l'Eta a farmi commuovere. Ah no. Perché sono un figlio del mio tempo.

Ma non fatemi rivedere Dumbo.



Dumbo è veramente troppo per me.

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