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mercoledì 20 aprile 2011

La Città dei Vecchietti

Che Boris sarebbe stato un flop avremmo potuto capirlo già entrando nella sala vuota, rischiarata dall'argento delle chiome dei rari spettatori. C'è da dire che il sabato in prima serata da noi è davvero solo roba da vecchietti. Sarà colpa del precariato, dei siti russi pirati, dello strascicamento dell'aperitivo. Si rifaranno con la seconda proiezione, pensavamo. Dai dai dai. Ho passato un'ora e mezza a chiedermi se ai vecchietti sarebbe piaciuto, se ci avrebbero capito qualcosa. Non vanno sottovalutati, i vecchietti; magari non capiscono al volo, ma hanno molta esperienza e pazienza. Che poi non era mica un film difficile. Dai che magari gli piace. Dai che parte il tam tam della bocciofila. Dai.

Non è andata. Boris è stato meta anche nel suo essere un flop: un metaflop. Il film che racconta quanto sia difficile inventarsi qualcosa di nuovo quando il tuo pubblico è composto per lo più da vecchietti, è stato dai vecchietti sostanzialmente snobbato. Amen. La settimana dopo siamo tornati per il film di Moretti. Stesse teste canute. Qualche risata in più. Del resto era più facile seguire, rispetto al Caimano Moretti ha rallentato in un modo impressionante. I personaggi sono anziani, spesso stranieri, e parlano lentamente. Moretti pure parla lentamente; molte battute le ripete più volte, con la manifesta preoccupazione di farsi capire. Anche alcune scene vengono riprese due volte (il balcone in diretta e in tv). Dopo un po', sarà anche perché c'è Piccoli, mi vengono in mente certi film d'Oliveira, ma è un sospetto che caccio come una zanzara. Qualche scena dopo i personaggi si ritrovano in bocca le battute di Cechov, roba da Divina Comedia, ma vuoi vedere che Moretti si sta oliveirizzando sul serio? Voglio dire, consapevolmente?

Adesso scrivo che è un bel film, così non si offende nessuno. Aggiungo anche che non sono un esperto, metti caso che qualcuno mi scambi per uno che dà le stelline, non è davvero il mio mestiere. M'intriga soltanto questo dettaglio, magari banale, magari fuorviante: negli anni in cui le sale si riempiono coi vecchietti (o col 3d), Moretti ha fatto un film di vecchietti. Tante grazie direte voi, son cardinali. Ma sono davvero cardinali? Li avete presenti i cardinali veri? Confrontate anche soltanto gli amabili giocatori di scopone di Moretti con quegli uomini di potere che in questi giorni si stanno scagliando contro di lui: volete mettere? Non è che Moretti abbia voluto darci una versione edulcorata di un conclave: a lui proprio un conclave vero non interessava, il suo è tutta un'altra cosa, una metafora, un pretesto. Il tutto si denuncia da solo in quel balletto iniziale in cui tutti si mettono a pregare “Non scegliere me Signore”: ecco, mettere in scena un consesso di uomini di potere tutti improvvisamente refrattari alla più umana delle pulsioni – l'ambizione – è surrealismo puro: ceci n'est pas un conclave. Malvino: “Il Papa e il Vaticano c’entrano poco o niente: si offrono come espedienti, e vengono trattati con la delicatezza di chi vuole riconsegnarli intatti dopo l’uso”.

Certo, volendo mettere in scena un Rifiuto, gli sceneggiatori non potevano trovarne uno più grande. La Coppola per raccontarci la sua formazione occupa Versailles o il Chateau Marmont, Moretti per descriverci un esaurimento nervoso noleggia Palazzo Farnese. Il Vaticano ricostruito a Cinecittà è un po' come l'Altare della Patria dell'Ora di religione di Bellocchio, un feticcio da profanare per questioni sostanzialmente private. È un intimismo kolossal che un po' ti disorienta, ci vuole un bel polso per maneggiare una cosa pesante come la Chiesa Cattolica con un tocco così lieve, riducendola alla quinta di un dramma interiore. Quindi, insomma, non è di Ratzinger che si parla (ma neanche di Papa Luciani). E quindi di chi. Potrebbe davvero trattarsi di Nanni Moretti? Ne avrebbe diritto, per carità. Ma anche lui sembra un po' evasivo. Non vuole fare un film sulla Chiesa, ma neanche sulla psicoanalisi (che sembra anch'essa poco più di un pretesto). A un certo punto poteva diventare un film sulla recitazione: ho avuto i brividi mentre Piccoli diceva alla Buy che di mestiere era un attore, sta' a vedere che crolla la quarta parete... no, niente, falso allarme, anche la recitazione rimane un po' ai margini. Niente, è proprio un film sul rifiuto. Quando tutti vogliono che tu faccia una cosa e tu non la vuoi fare.

E non è neanche il primo. Si fa un po' fatica a unire i puntini, c'è sempre tantissimo spazio bianco tra un'apparizione di Moretti e l'altra; però la sensazione è che da più di dieci anni, almeno da Aprile in poi, ci stia dicendo: Non Voglio Fare Quello Che Mi Volete Far Fare. Non voglio fare il documentario sui leghisti, voglio andare al bar. Non voglio fare il solito film di nannimoretti, voglio parlare di un lutto privato senza regalarvi nessun fulminante tormentone. Non voglio fare un film su Berlusconi, mi avete incastrato con quella cosa dei girotondi, ma fino agli ultimi dieci minuti il mio film non parlerà di Berlusconi. Non voglio dirigere, voglio stare su una panchina e guardare il mondo scorrermi ai lati. Non voglio essere il più bravo, non voglio darvi a ogni mio film lo stato dell'arte sull'etnologia della sinistra italiana, non voglio fare film a tema, non voglio puntellare analisi sociologiche di critici e blogger dopolavoristi, non voglio, non voglio. Giusto. Hai ragione. Però nel frattempo cosa vuoi fare? Cosa fai? Un film di vecchietti. Un meraviglioso film di fantastici vecchietti che fanno smorfie superbe, ti viene quasi voglia di iscriverti alla loro bocciofila. Vecchietti dolenti, vecchietti rintronati, vecchietti drogati, vecchietti che giocano alla palla, e Moretti arbitra. Più o meno il sogno erotico di Fabio Fazio.

Di sicuro mi sbaglio, però Fazio mi è sempre sembrato il ragazzino che cresce coi nonni, in un contesto di bocciofila, e che una volta adulto continua istintivamente a circondarsi di persone anziane e rassicuranti. Ma per Fazio la capacità di trovarsi a proprio agio con gli anziani si è rivelata un vero e proprio vantaggio evolutivo: in una RAI e in una società italiana in rapido invecchiamento, è riuscito a proporsi come intermediario tra i Titani del passato e precari del presente. Gli diedero Sanremo, lui si portò Dulbecco. Prima che arrivasse Saviano ad abbassarla un po', l'età media degli ospiti di una puntata di Che tempo che fa poteva benissimo oltrepassare gli ottanta. Più sono anziani, più l'eterno ragazzino è a suo agio con loro. Questo rende magari Fazio il conduttore del futuro (un futuro di dinosauri in dismissione). Ma Nanni Moretti?

Lui non è cresciuto tra nonni rassicuranti; tutta la sua filmografia contiene atti d'accusa nei confronti di una generazione di genitori distratti che quando piangeva non accorrevano ad allattarlo. Qualcuno ha fatto il conto di quante volte Michele Apicella mette le mani addosso ai genitori? Nella Messa è finita, in particolare, il prete d'assalto spintona con violenza un padre in crisi di mezz'età, che si è messo con una ragazzina ma pietisce l'assoluzione. C'è stata, fino a un certo punto, una questione generazionale anche in Moretti.

E può darsi che ci sia ancora, anche se in fase di risoluzione – che questi mirabili vecchietti siano l'ombra dei nobili padri, dei venerabili maestri coi quali volente e nolente Moretti ha dovuto misurarsi fin qui. Ora però se ne stanno andando, per una mera questione anagrafica, e il regista li segue con affetto, li accompagna con allegria verso il nulla, dosando con sapienza gli antidepressivi. Non è più tempo di condurre, ma di essere condotti, già, e da chi? Non si sa, ma nel frattempo chi organizza il tempo libero è il regista. Paradossalmente, ha smesso di dare troppa importanza a quel deficit di accudimento che lo ha tormentato per tutta la vita. Lo riconosce per quello che è: una formuletta per tranquillizzare gli anziani. Adesso tocca a loro fare le scenate in pubblico, rompere le tazzine, regredire a quello stato di grazia in cui si gioca a pallone e si canta tutti assieme la canzoncina. Habemus Papam sarebbe il film in cui il Padre accetta non già di morire, ma di farsi mettere a riposo. E dopo di lui chi si affaccerà al balcone? Dopo il Padre toccherebbe al figlio, ma il figlio non vuole, lo si nota di più se non viene. In fondo nel film precedente l'attore-Moretti non faceva che nicchiare per tutto il film davanti a un pubblico che lo implorava Dai Facci Berlusconi. Alla fine cedeva (e l'unica cosa che tutti si ricordano è quel finale, mi pare). Stavolta no, il pubblico non avrà nessuna soddisfazione, la messa è finita davvero, andate a casa.

O no? Magari è ancora un po' presto per accettare un pontificato; però Moretti qualche tentazione ecumenica ce l'ha. Rallenta il ritmo, consapevole che il pubblico invecchia e ha bisogno di essere preso per mano e guidato al finale; che i guizzi di follia di Sogni d'oro o Palombella Rossa non sono più praticabili. I vecchietti forse non comandano più, ma sono ancora la maggioranza di quella minoranza che entra nelle sale, e Moretti lo sa. Ma è un problema? Oliveira dovrebbe aver compiuto centodue anni, e ancora macina film, porta a casa statuette. Negli anni in cui le sale si riempiono coi vecchietti (o col 3d), Moretti si prende cura dei suoi vecchietti. O dovrebbe buttarsi sul 3d?

Secondo me sì. Moretti 3d, che fa le scenate e ti getta le tazzine addosso, figata. No, dai, scherzo.

17 commenti:

  1. sul film sarebbe lungo commentare...più facile su Fazio che ormai con il suo programma Endemol, condito da buonismo imperante, fa solo da scendiletto a potenti di ogni risma, dalla Gelmini e Stefania Craxi...

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  2. Moretti che fa le scenate è sempre da oscar, gli viene proprio naturale, forse è così anche nella vita di tutti i giorni, cioè quando non è davanti ad una telecamera.

    Saluti
    Mauro

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  3. Io invece il film l'ho visto ieri in un cinema padovano in cui c'erano solo ventenni (c'è lo sconto il martedì sera). Sarà per questo che habemus papam non mi è piaciuto? Troppo lento, troppe scene e battute ripetute (all'inizio e alla fine c'è anche un copia incolla della folla che esulta). Io non sono cresciuto coi nonni, vivo in una città che è straordinariamente fuori dalla media nazionale (a Padova ci sono 70.000 universitari su 200.000 abitanti), quindi forse hai ragione, questo film non era per me.

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  4. mi sa che ci hai preso, circa Piccoli e De Oliveira. Oltre alla Divina Comedia, suggerisco la visione complementare di Vou para casa, in cui lo stesso protagonista interpreta un personaggio al centro di sviluppi drammatici che per molti versi possono ricordare la vicenda presente del cardinale di Moretti.

    http://www.imdb.com/title/tt0283422/

    elmyr

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  5. È la più bella recensione del film che ho letto finora...mi sa che devo proprio guardarlo :D

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  6. Prova questa: http://secondavisione.wordpress.com/2011/04/20/habemus-papam-nanni-moretti-2011/

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  7. Mi spiace, ma ho l'impressione che il recensore non capisca assolutamente nulla di nanni Moretti. Ahimè.

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  8. leonardo, secondo me anche il rifiuto è un pretesto.

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  9. ... potevo anche non scrivere niente. Che ho da dire?
    Il film di Moretti non l'ho visto (in genere non lo amo tanto), la trasmissione di Fazio la vedo di rado.

    Però leggo quasi sempre Leonardo e mi sembra di osservare che la lunghezza media dei post stia aumentando, a mio avviso troppo.
    Per tutto il resto c'è Visa e questo è uno dei migliori blog che conosco.

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  10. Come al solito non hai capito un cazzo. La tua ignoranza è allarmante.

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  11. Ce la facciamo anche ad argomentare, o basta scrivere "cazzo" e scappare subito via, come ai cessi del dams? (ma anche della stazione)

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  12. Ho provato ieri e oggi a postare lo stesso commento, ma il sito non me l'ha pubblicato.

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  13. Scusa, stavolta nella casella spam non c'è niente. Non ho idea di cosa stia succedendo

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  14. Riprovo riportando pressoché il medesimo commento.

    Questi tuoi riferimenti e accostamenti (alcuni significati nascosti dietro a un film come "Habemus Papam"/le trasmissioni serali di Fazio/certi caratteri identitari dei relativi e ingenti pubblici nazionali, tutti elementi riuniti sotto il segno e l'egida culturale di una "vecchiaia" prima "spirituale" che anagrafica, che non disprezza concedersi qualche vezzo tardivo, più o meno autoreferenziale: la giovialità del "giovane" interlocutore televisivo che ti intrattiene e ti prende a cuore/l'"intimismo kolossal" di un film sull'umiltà e sul senso di inadeguatezza con un Papa come protagonista e girato in parte a Palazzo Farnese) secondo me colpiscono davvero nel segno...
    Non condivido minimamente il tuo giudizio su "Il caimano" dello stesso Moretti (quanto sono carichi di risvolti socio-culturali, dolorosissimi e stranianti, i primi 3/4 del film, prima che ci venga proposto quel finale, a suo modo così catartico e liberatorio!) ma, per quel poco che possono contare, ti faccio in ogni caso i miei complimenti.

    Ciao

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  15. Sono la stessa persona che postò un po' di tempo fa il commento qui sopra.
    Ho cambiato giudizio sul film di Moretti (ora positivo), ma continuo a trovare molto stimolante questo articolo sicchè, in parziale continuità con quanto da te scritto sul tuo blog, ti posto queste mie osservazioni.
    Ciò che secondo me Moretti voleva colpire (e secondo te, e qui è la differenza tra i nostri giudizi sul film, compiacere) è la vecchiaia (anagrafica e insieme spirituale) di molta cultura italiana che ama definirsi progressista ma che poi se ne frega della vita che scorre al di là del proprio orticello dorato (che siano immigrati, berlusconiani livorosi e disperati, giovani disoccupati, non fa differenza; l'indifferenza è effettivamente la loro arma migliore per cancellare dal loro mondo l'esistenza concreta e perturbante del diverso): una classe "dirigente" economicamente arrivata, che dietro i propri manifesti identitari d'appartenenza sbandierati sulle varie piattaforme mediali per far tacere gli ultimi singulti delle loro coscienze da zombi addormentati, disinteressati del mondo, della vita e, non ultimi, di se stessi, nasconde per l'appunto un'atrofia del cuore, del cervello e dell'azione agghiaccianti.
    Il papa che abdica è l'unico che prende atto del fallimento storico della propria casta d'appartenenza e scappa da quelle mura (che sono al tempo stesso territoriali-nazionali, identitarie, mediatiche, e che danno corpo simbolicamente al concetto di difesa dalla vita che scorre, dall'esperienza affettiva e dialettica che travolge e, non ultimi, dallo straniero e dalla promiscuità del multiculturalismo che avanzano) semplicemente perchè non ne vuole sapere più niente di quella arteriosclerotica e snobistica claustrofilia e perchè vuole morire in pace.
    Per gli altri, invece, i più, non c'è speranza.

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