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venerdì 10 maggio 2013

Morire con Miele

Miele (Valeria Golino, 2013)


Ecco in questa scena il broncetto lo voglio così
Irene (nome in codice Miele) è quel tipo di donna-ragazza che potrebbe averne venti come trentacinque, e se l'incontri in uno scompartimento, o in coda in farmacia, con le cuffiette e il piercing, ti domandi cosa può fare un tipo così, ti fai tutta una serie di viaggi: per esempio potrebbe ancora vivere con suo padre e aver abbandonato l'università da un paio d'anni senza dirgli niente; oppure potrebbe far parte di un nucleo di combattenti per l'eutanasia che aiutano in modo molto discreto i malati terminali che non ce la fanno più, ecco, beccato. Ma non era così difficile, ormai l'eutanasia sta diventando un genere cinematografico a tutti gli effetti; se ci fossero ancora i videonoleggi tra un po' troveremmo la targhetta sullo scaffale, insieme alle altre: Poliziesco, Dramma, Commedia, Romantico, Azione, Eutanasia.
"E di eutanasia cosa avete?"
"Ci ho tutto il meglio che è uscito quest'anno, Haneke, Bellocchio, tutto".
"Perché stasera ho proprio voglia di vedermi un film di eutanasia".
"Eh, la capisco. Ci ho anche l'opera prima di Valeria Golino, con Jasmine Trinca, molto interessante".
"E chi s'ammazza? La Golino?"
"No, lei non recita, dirige soltanto".
"Che peccato".

Io non lo so come funzioni, francamente non mi capita mai di aver voglia di vedere un film di eutanasia, neanche uno di quelli premiatissimi, neanche se c'è Jasmine Trinca che si spoglia spesso, neanche così. Ma evidentemente c'è un mercato, voglio dire, ne fanno veramente parecchi. Forse come argomento è l'equivalente dell'adulterio a fine Ottocento: lo fanno tutti ma non se ne può parlare, non resta che metterlo in scena. Anche gli scrittori fanno ancora un po' fatica a essere espliciti: quando quattro anni fa Mauro Covacich scrisse Vi perdono, il libro da cui è stato tratto il film, decise di pubblicarlo con uno pseudonimo; poi scrisse un altro libro sulla scelta di pubblicare il precedente con lo pseudonimo, ecc. Per il suo esordio da regista, dunque, Valeria Golino si è andata a scegliere il tema più scabroso e nel contempo inflazionato: e com'è andata? Non male, dai (continua su +eventi!) Andrà pure a Cannes (sezione Un certain regard), non ci si può davvero lamentare. All’inizio sembra quasi che la regista indulga in un vezzo di molti esordienti, l’abbondanza di raccordi: per fare entrare un personaggio in una casa lo mostri mentre esce dalla sua, poi sull’autobus, poi al citofono, poi per le scale, e così via. Ma dopo un po’ capisci che è una scelta stilistica: di tutte le angolazioni che si potevano scegliere per raccontare l’ennesima storia di Eutanasia, la Golino ha scelto di descrivere la vita quotidiana di un’operatrice clandestina.

Broncetto intenso.
Ne risulta un documentario su Jasmine Trinca imbronciata. Jasmine Trinca che si fa il caffè, Jasmine Trinca che nuota con la muta (sigh), Jasmine Trinca che prende l’aereo, prende la corriera, prende il treno, prende l’autobus, prende la bicicletta, prende i barbiturici in una farmacia messicana, prende un drink, Jasmine Trinca che ascolta i Caribou, ascolta l’opera, ascolta i Talking Heads, Jasmine Trinca con le occhiaie, con le palpitazioni, col sangue al naso, Jasmine Trinca che fa sesso in roulotte, in macchina, in due o tre altre stanze, e preciso che sono favorevole a un film di Jasmine Trinca che si spoglia in molti posti compreso sott’acqua, anche se non è chiaro il perché (ci sarà sotto una metafora), io non ho obiezioni a guardarmi novanta minuti di Jasmine Trinca, salvo forse una. Jasmine Trinca è ottima, finché è soltanto imbronciata – cioè per quasi tutto il film – e va benissimo, se passaste il tempo a contrabbandare barbiturici e a guardar gente morire e pensare alla mamma morta sareste imbronciatini anche voi, problemi? Volevate un film da ridere? non sceglievate lo scaffale Eutanasia. Ma a un certo punto il film richiede che s’incazzi davvero, c’è anche una mezza colluttazione, ed è il punto in cui come spettatore non ce l’ho più fatta. Ho smesso di crederci, e mi dispiace, perché stava andando tutto bene, ma la Trinca incazzata, la Trinca che assale Carlo Cecchi perché non è un malato terminale, l’ha fregata, è solo un anziano professore che si annoia e vuole togliersi di mezzo… non va, mi compromette la sospensione della credulità, da lì in poi non ce l’ho fatta più. Addirittura gli urla dalle scale “vaffanculo cane rognoso”, eddai sceneggiatori, chi è che parla così quando è incazzato? “cane rognoso”?

Probabilmente non è colpa sua. Magari è mia, in quasi tutti i film italiani c’è questa scena in cui i protagonisti si mangiano la faccia e io resto in imbarazzo. Non saprei dire esattamente cosa c’è che non va: so solo che non va. Forse è solo un’idiosincrasia personale: non mi piacciono le piazzate all’italiana. Forse è uno stile di recitazione che non funziona, urlano troppo o non urlano le cose giuste. O un problema di scrittura. Non lo so. Fatto sta che in mezzo minuto la Trinca da personaggio interessante diventa così odiosa che vien voglia di suicidarsi per farle un dispetto, “io non ammazzo i depressi”, dice, vaffanculo Irene, cos’hai contro i depressi, eh? eh? lo decidi tu chi sta male e chi no, e su che base? dall’alto di che pulpito? ma va’ a fare i tuoi broncetti in riva al mare, va’. Però mi dispiace. Era partito bene, con un paio di scene commoventi ma veramente molto misurate, e sapete che in un film di Eutanasia il segreto è la misura: agonie ma non troppo, piaghe da decubito ma senza esagerare. In seguito si risolleva, ma il danno è fatto. 

C’è poi la questione della colonna sonora, risolta con una playlist eterogenea e un po’ troppo condizionata dai gusti della regista, à la Sofia Coppola: anche se c’è una giustificazione narrativa (ogni assistito deve ascoltare la sua canzone preferita), il risultato è spesso frastornante e rischia di essere l’elemento più deteriorabile del film. Finché a un certo punto persino Irene sbotta che non ne può più, che vuole silenzio. Cecchi capisce, ma poi mette su Brassens. Non credo sia una coincidenza che il pezzo che si adatta meno alla situazione sia l’unico citato nel romanzo.

Alla fine, se vi piacciono i film di Eutanasia, cosa state aspettando? Muore un sacco di gente disperata, con almeno tre metodi diversi, è anche abbastanza istruttivo. Se vi piacciono i film con Jasmine Trinca, è semplicemente imperdibile. Se per un’incredibile coincidenza siete appassionati di entrambe le cose, questo è il vostro Intrattenimento Finale, da guardare a ripetizione il giorno che decidete di mettervi a letto non rialzarvi più. Buona visione (Miele è uscito la settimana scorsa ma sarà ancora al Fiamma di Cuneo fino mercoledì prossimo; proiezione unica alle nove nei giorni festivi; sabato 11 alle 17.30, alle 20.20 e alle 22.30; domenica alle 15.15, alle 18.15 e alle 21.00; ricordo che è la Festa del Cinema, il biglietto costa tre euro, che altro ci fate con tre euro? Per dire, persino ammazzarsi costa un sacco di più).

9 commenti:

  1. brutto... da morire (ok battuta facile, scusate)

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  2. Ma com'è possibile che questo film si intitoli come l'ultimo romanzo di McEwan "Miele"?? Lo trovo per lo meno fuorviante.
    In effetti leggendo la tua recensione del film non mi capacitavo della storia dell'eutanasia perché il bel romanzo di McEwan parla di tutt'altro. Il libro di McEwan è uscito prima, la produzione del film non poteva trovare un titolo diverso?
    Marco

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  3. Non lo so, ma mi è venuto in mente che sul tema McEwan ha scritto una delle cose più divertenti, Amsterdam. E nessuno ancora ci ha fatto un film.

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  4. E' vero. Anche "Sabato" sarebbe un ottimo film. Ho trovato questo interessante articolo sui film tratti da romanzi di McEwan e sui suoi libri da cui non sono (ancora) stati tratti film.
    Marco

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  5. Ecco il link:
    http://www.timeout.com/london/film/ian-mcewan-adaptations-on-dvd

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  6. ...credevo fosse un film di denuncia dell'obsolescenza programmata negli elettrodomestici fighetto/cari...

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  7. Hai scritto Jasmine Trinca che si spoglia spesso o ho letto male?
    K

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