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mercoledì 13 agosto 2014

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13 agosto 1942 - prima mondiale di Bambi

Settantadue anni fa stasera, centinaia di bambini entrano accompagnati dalle loro mamme e dai loro papà nei cinema in cui si proietta il quinto lungometraggio animato della Disney. Non sanno ancora che mamma cervo muore. Lo impareranno all'improvviso durante il film. Una corsa affannosa nella neve, una fucilata - ma Bambi è salvo. "Ce l'abbiamo fatta. Che corsa, eh, mamma?"
Mamma?

Bambi non è solo al terzo posto nella top10 delle pellicole d'animazione secondo l'American Fim Institute (dietro Biancaneve e Pinocchio; ma Shrek arriva misteriosamente settimo). Bambi è anche ventunesimo nella top25 dei film horror di tutti i tempi secondo Time), per "lo shock primario che ancora affligge gli anziani che lo videro quaranta, cinquanta, sessantacinque anni fa". E pensare che Disney stavolta si era pure autocensurato.


Tutti i primi lungometraggi disneyani hanno un lato inquietante e orrorifico: la matrigna che si trasforma in strega, Pinocchio e Lucignolo in somari, il terrificante viaggio psichedelico di Dumbo. Anche in Bambi la mamma doveva morire davanti agli occhi degli spettatori - poi Disney in sede di montaggio decise che la cosa era un po' troppo forte. L'orrore di Bambi è più sottile e profondo. La mamma non c'è più. Un momento prima c'era. Un momento dopo non risponde più. Non risponderà mai più. È stato l'uomo.

Anche l'uomo fu tagliato in sede di montaggio. All'inizio si pensava di mostrarne due: l'assassino della mamma e il piromane nell'ultima sequenza. Quest'ultimo doveva bruciare vivo. Alla fine si decise di farne a meno. Era soprattutto una questione di coerenza stilistica. Bambi era un progetto che si trascinava da più di cinque anni - Disney aveva acquistato i diritti del romanzo di Felix Salten nel 1937, e aveva iniziato a lavorarci immediatamente dopo Biancaneve. L'idea originale era forse quella di un film adulto, realistico, con gli animali meno antropomorfi mai visti in scena: la sfida dell'animazione in technicolor ai documentari. D'altro canto bisognava anche far cassetta, e così - tentativo dopo tentativo - gli occhioni di Bambi e dei suoi amici divennero sempre più grandi, e nacque Tippete, forse l'animale più pucci di tutto l'universo Disney. Ma per quanto deformato in senso cartonesco, il bosco di Bambi rimane un luogo radicalmente non-umano. Il nemico viene da fuori e sa soltanto uccidere e distruggere l'equilibrio perfetto della natura.

Il film sarà criticato, per le ambizioni e la crudezza, e non riempirà le sale come previsto: l'incasso della prima uscita sarà inferiore al budget di sessantamila dollari (la guerra era un grosso ostacolo, specie per il mercato europeo). Disney si rifarà ampiamente con le uscite successive - ancor più importante, anche se non monetizzabile, sarà l'esperienza maturata dagli animatori durante la realizzazione del film: un nuovo modo di realizzare la natura e di dare sentimenti agli animali. Bambi permetterà a Disney di realizzare film sempre migliori. Ma Disney non realizzerà più un film come Bambi. Se l'horror tornerà, saltuariamente, molto più edulcorato (Sleepy Hollow), i personaggi importanti non moriranno mai più così all'improvviso. Bambi è l'ultima pellicola di una trilogia del cinismo partita con Pinocchio e proseguita con Dumbo. L'umanità di questi film, che mamma Dumbo non aveva tutti i torti a voler schiacciare, è naturalmente ipocrita e crudele; una tribù malvagia da cui gli eroi di cartone coi grandi occhi dovrebbero tenersi il più lontano possibile.

Nel giro di un anno questa misantropia sarà un ricordo lontano. La guerra interrompe la produzione di lungometraggi e porta molti disegnatori sul fronte della propaganda. Il lungometraggio Disney del 1943 è un docufilm, Victory Through Air Power, la trasposizione su pellicola di un best seller che stava cambiando la prospettiva degli americani su come si vince una guerra mondiale: conquistando lo spazio aereo e bombardando a tappeto. Era stato lo stesso Disney a comprarsi i diritti del libro e a decidere di usare tutta la sapienza dei propri studios per trasformarlo in un pamphlet di immagini. La guerra lo aveva fatto passare dalla parte degli uomini: quelli che uccidono, che bruciano, che distruggono, per motivi solo a loro comprensibili.

6 commenti:

  1. Hai dimenticato "Il Re leone"
    (che come trama ha quella dell'Amleto).
    Per il resto concordo in pieno.
    Ciao

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    1. Beh, il Re leone non è proprio un film di Walt Disney, è uscito 30 anni dopo la sua morte.

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  2. Il post è al solito molto interessante, ma con questi titoli andrai avanti ancora per molto? :D Perché mi sta venendo il dubbio che piuttosto che utilizzarli per "satireggiare" stia volontariamente adattandoti ai modi comunicativi della "concorrenza" :O

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    1. Mi unisco al dubbio.
      Sintetizzerei (ahahaha) (cioè no dico, io sintetizzare) con "il gioco è bello quando dura poco" ma temo sembrerebbe una critica a una scelta che continuo a ritenere legittima.
      Il punto è che dopo i primi, che potevano essere spiegati con la provocazione, ora la cosa ha evidentemente dietro altre motivazioni, solo che sfuggono.

      Secondo me sta conducendo un esperimento suo personale per misurare le reazioni web e trarne delle conclusioni social/commerciali.
      Se così fosse lo prego di pubblicare quei risultati, perché io glieli compro al volo per tutta una serie di motivi miei.

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  3. Io credo che la Disney abbia in maniera più o meno volontaria fatto propria, nel ventesimo secolo, quella funzione che nelle tradizioni popolari "pre-visuali" (l'ho inventato, fai che il significato è abbastanza intuibile) era svolta dai racconti orali intergenerazionali.
    Mi riferisco a una funzione educativa svolta dalle storie che gli adulti racconta(va)no ai propri figli non per astrarli dalla realtà portandoli temporaneamente in una parallela fantasiosa, ma proprio per il suo opposto e cioè per introdurli in quella nella quale si apprestano a entrare, attraverso un linguaggio volutamente semplificato e fatto di immagini così che i concetti base fossero istintitvamente assimilabili.
    Ciò che comunemente viene identificato nella categoria "Fiabe" racchiude una varietà che solo per la sua minima parte è composta da racconti morbidi e al gusto di marshmallows, mentre per la stragrande maggioranza è composta da racconti caratterizzati da un moralismo spinto così all'estremo da risultare quasi fuori luogo se si pensa all'età della mente alla quale sono destinate, da una totale assenza di variazioni moderate dei sentimenti, se è paura è cieca, se è morte è definitiva, se è amore è per sempre, e da un baricentro fatto di un significato unico e immediato che, se (quando) assimilato correttamente va a far parte delle coordinate che compongono la mappa necessaria a orientarsi in molti momenti della vita personale adulta successiva.

    Perché tutto questo avvenga, è necessario che quelle coordinate siano necessariamente semplificate in maniera da essere decifrabili da menti non sofisticate e quindi assimilabili e in questo senso la fiaba svolge un ruolo fondamentale non in quanto fine ma in quanto mezzo, per cominciare dal "semplice" l'opera di traduzione nella mente nuova di tutti i concetti con i quali avrà a che fare nella vita e che porta il generico nome di "Educazione".
    Fino all'arrivo delle arti visive questa opera di educazione veniva svolta da ciascun singolo genitore all'interno del proprio focolare domestico, una volta arrivate le arti visive di massa questa funzione è stata, come molte altre, delegata a un "genitore" superiore che si occupa di spiegare ai bambini la morte in-vece dei genitori che sempre meno sanno maneggiarla a loro volta, figuriamoci spiegarla.

    Credo Disney abbia semplicemente intuito la dimensione della richiesta di quella delega e abbia capito la nobiltà del ruolo nonché la monetizzabilità dello stesso.
    Ovvio che quando assumi quel compito non ti accontenti di spiegare l'amore, sai che è tuo compito spiegare anche la morte, la guerra, la fallibilità dell'uomo.

    Mio padre quando in vita tra le molte cose che faceva si occupava di traduzione cinese.
    Non cinese-italiano, ma cinese-cinese, nel senso che parlava la maggior parte dei diversi tipi di cinese esistenti, compresi i dialetti e il cinese antico, del quale era uno dei pochi traduttori viventi, compresi quelli in cina, al punto da essere diventato interprete non solo tra occidentali e cinesi ma anche tra cinesi stessi provenienti da aree diverse della nazione che, come si sa, tra di loro si capiscono quanto un dialettale lombardo comprende un sardo.
    Scrisse molti libri, nessuno dei quali su storie inventate ma tutti fatti da racconti e fiabe raccolti dalla tradizione orale, unica forma che in cina fino a pochi anni fa (e in alcune aree interne ancora oggi) era quella usata per tramandare una narrativa che nessuno si prese mai la briga di mettere su carta.
    Lui girava per i villaggi, si faceva raccontare le fiabe orali, le traduceva le metteva per iscritto e le pubblicava.
    Per salvarle dall'oblìo.
    Uno dei libri che scrisse si chiama "Fiabe Tahur" e quando lo presi ricordo iniziai a leggerlo con la modalità che si ha quando ci si avvia a un mondo fatato, perché tale era il titolo.
    Entro le prime dieci pagine ero sconvolto dalla violenza, dalla durezza e dalla ruvidezza dei contenuti.
    Erano fiabe sì, ma di guerra antica, cavalieri e sangue.
    Un tesoro.

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  4. Mi domando come mai nessuno si è mai accorto che i bambini trasformati in asini nella storia di Pinocchio creano uno schock a livello psicologico per moltissimi bambini, un terrore mai analizzato che viene tenuto nascosto. Si domanda qualcuno perchè non hanno fatto vedere che fine fanno gli asini nelle miniere? Nella storia originale di Collodi l'asino muore di fatica e quell'asino era Lucignolo. Mai lasciare i bambini nelle mani di insegnanti artistici che fanno le cose solo per denaro.

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