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lunedì 19 ottobre 2015

(Sprofonderemo saturi) Suburra

Suburra (Stefano Sollima, 2015).

Certe serate
È stato quattro anni fa, noi chissà dove eravamo. Più facilmente in coda a un semaforo, e intanto tutto intorno a noi stava finendo. Sotto la pioggia il parlamento stava per sciogliersi, Berlusconi scappava dalla porta di servizio, il Papa meditava di abdicare, e per qualche giorno Roma non è più stata di nessuno. In quel momento magico avrebbe potuto spuntare qualsiasi cosa: anche una Las Vegas tra le baracche di Ostia. Quattro anni dopo eccoci qui, a domandarci cos'è cambiato. Al cinema però c'è un buon film italiano, ecco, questa è una relativa novità. Da cosa si riconosce che è un buon film?

Sicuramente non dalla fotografia.

Certe cerette 
Che è smagliante e impeccabile, ma appunto, è quello che potremmo dire per qualsiasi film italiano degli ultimi cinque anni. Soggetti fritti e rifritti, dialoghi inverosimili, musiche pretenziose e ingombranti, fantastica fotografia. Una maledizione. Persino il Ragazzo Inguardabile aveva delle inquadrature memorabili. Sprofonderemo saturi e patinatissimi. Suburra forse è un buon film perché all'ottima fotografia dopo un po' non fai più caso. C'è altra carne sul fuoco, e attenzione, non è tutta roba necessariamente nuova o di buona qualità. Ma funziona.

Forse è un buon film proprio per l'arroganza con cui arriva per ultimo nei luoghi tra più frequentati da cinema e tv, guarda tutti a grugno duro e fa capire che non pagherà nessun debito, anzi: tocca agli altri alzarsi e fargli spazio. Ci saranno feste danzanti e fogge cardinalizie - ma non ci sarà tempo per pensare alla Grande Bellezza. La folla circonderà Palazzo Chigi senza nessun riferimento al Divo o al Caimano. Se entri aspettandoti Gomorra - il film o la serie - dopo un po' ti accorgi che non ci stai pensando più. Anche Romanzo Criminale è in qualche modo lontano (continua su +eventi!)

Eppure Sollima è esattamente lui, continua ad appoggiarsi su quei tappeti sonori asfissianti - quelle basi elettroniche o postrock che negli episodi di Gomorra ti danno il minutaggio preciso, quando parte la chitarra o il tastierone è come se l'hostess ti avvertisse "allacciate le cinture, tra dieci minuti è tutto finito". Al cinema può contare su facce più conosciute, ma è un vantaggio discutibile, se a Favino e a Germano è chiesto di ridurre l'espressività a quelle tre o quattro smorfie - e ad Amendola di imbalsamarsi. Così che prevedibilmente le figure più memorabili restano i comprimari, gli assassini nati Greta Scarano e Alessandro Borghi, o Adamo Dionisi nei panni firmati di un cravattaro zingaro che vorrebbe accreditarsi come boss ma non riesce a far silenzio nemmeno in quel soggiorno che è la migliore invenzione del film, e lo racchiude: Roma come un open space in cui i bambini giocano a palla coi cani mentre i mafiosi torturano i sequestrati, a un divano di distanza.
Sollima si può persino permettere - come già in Gomorra - il lusso dell'anticlimax nelle scene d'azione, inquadrate con un realismo che castra ogni tentazione epica. Nella città di Suburra ci si ammazza solo alle spalle, e non c'è un gangster che non faccia almeno un numero da fesso. Il più furbo di tutti gira senza scorta, provando a dare un senso a tutto il caos. Ma le variabili sono troppe e sono tutte impazzite. Suburra non è quella riflessione sulla decadenza dei costumi che qualcuno cerca di vendervi - il suo pessimismo è quello dei noir d'ordinanza - ma non è nemmeno un semplice film di genere. Non sarà un capolavoro, ma quest'anno è uno dei migliori film che ho visto in sala - non solo tra gli italiani. Questa settimana è al Citiplex di Alba, al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo, all'Impero di Bra, al Fiamma di Cuneo, all'Italia di Saluzzo e al Cinecittà di Savigliano.

3 commenti:

  1. [no offence intended] si vede che non vivi a Roma.
    Evidentemente il film voleva azzuppare il pane nella faccenda di Mafia Capitale, volevano che la gente andasse a vederlo pensando di vedere un film su Mafia Capitale, e invece è un normalissimo gangster-movie in cui incidentalmente c’è un politico (anche un po’ poliziottesco anni 70 a dirla tutta, manca solo il commissario tutto d'un pezzo).
    La romanità è fastidiosamente ostentata e si è sempre alla ricerca della frase lapidaria/memorabile tipo “pijamose Roma”.
    La perla di regia/sceneggiatura che durante un temporale viene inquadrato un tombino delle fogne che trabocca e rigurgita schifo, non so se cogliete la metafora, se non cogliete magari ve ce metto pure un sottotitolo? Guardate che è un momento de aRtissimo ciMEna sa’! - è semplicemente patetica.
    Il libro me lo ricordo poco, però sono sicura che non finiva in modo così ridicolmente consolatorio – e il finale della vicenda era PROPRIO DIVERSO.
    Io da romana l'ho trovato un film dimenticabilissimo.

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    1. Ma la romanità è *sempre* fastidiosamente ostentata, cioè è un concetto che fuori dal GRA ci ha il fastidio incorporato.
      Poi non mi sembra che finisca così consolatorio, anzi.

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    2. mbè ma alla fine [SPOILER] tutti i malvagi ricevono la giusta punizione che manco nei Promessi Sposi. Tranne la tossica, che però tutto sommato tanto cattiva non è, è 'NNAMMORATA, si sa che le donne quando sono innamorate possono fare tutto e il contrario di tutto (SGRUNT)
      Yes romanità fastidiosa, mi rendo conto :(

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