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mercoledì 20 gennaio 2016

L'ultimo gigante

Ettore Scola era l'ultimo. La commedia all'italiana, nella versione ripulita dagli errori di percorso che ci ha tramandato la tv serale e pomeridiana, in quel segmento aureo che grosso modo va dal 1955 al 1975, sembra il risultato del lavoro di un gruppo singolarmente ristretto di talenti. Cinque attori indispensabili, tutti nati nei primi anni Venti, cinque volti immediatamente riconoscibili dal pubblico, ma anche in qualche modo intercambiabili (in Riusciranno i nostri eroi era previsto che Manfredi desse la caccia a Sordi, ma il primo aveva più impegni e così si scambiarono i ruoli). Pochi autori e bravissimi, tra cui gli onnipresenti Age e Scarpelli (classe '19) e lo stesso Scola che comincia a scrivere a vent'anni e mette le mani in tantissimi film. Anche i registi sono una manciata: tra questi, Scola è l'unico nato dopo il 1930. Quando gira la Terrazza, i suoi eroi ingrigiti e terrorizzati dalla vecchiaia e dalla morte stanno intravedendo la boa dei sessant'anni; lui non ne aveva ancora compiuti cinquanta. Era destinato a essere l'epigono: se immaginiamo Risi e Monicelli come i due autori della tarda classicità, potremmo vedere in Scola il manierista - l'allievo precoce che ha saltato qualche classe e si ritrova circondato da compagni più grandi.

Dei tre è il più borghese, quello che meno si vergogna di esserlo: è difficile immaginare Risi e Monicelli alle prese con il manifesto antipauperista di Brutti, sporchi e cattivi (Pasolini invece pare che volesse girarne il prologo, magari una versione in pellicola dell'Abiura). È anche quello che ha più ambizioni autoriali: nel 1970 fora la quarta parete in Dramma della gelosia, ma forse il vero choc del film è che il sex symbol Mastroianni è un marito becco e ingrigito con un destino da straccione; l'anno dopo coinvolge Sordi nella rischiosa trasposizione cinematografica della Panne di Dürrenmatt, La migliore serata della mia vita. Non è che tutto fili liscio, ma si capisce che all'alba degli anni Settanta la commedia gli sta stretta. Ci lavorava da vent'anni; era parte integrante di un sistema che funzionava, che riempiva le sale (restava da conquistare la critica, ma quella ci mette sempre un po' più tempo). Avrebbe potuto riprodurre le stesse formule ancora per parecchio. Ma tutti i suoi uomini stanno invecchiando, e lui è il primo a rendersene conto. Lui e Germi, che muore nel '74 passando a Monicelli la pratica di Amici Miei. Nello stesso anno esce C'eravamo tanto amati. Le maschere della commedia all'italiana si scoprono le rughe; si staccano dalla ribalta del presente e cominciavano a guardarsi intorno: chi eravamo? Cosa siamo diventati? E ora cosa ci succederà?

Dovendo scegliere un film solo di tutto un periodo e di un genere, a malincuore sceglierei C'eravamo tanto amati, che pure non è così tanto rappresentativo. È davvero un film manierista, se non barocco. Dentro c'è tutto: il romanzo generazionale, il conflitto sociale, il gioco delle citazioni non solo cinematografiche ma anche teatrali e televisive, la quarta parete fatta a pezzi. È anche il primo vero film forrestgumpista, in straordinario anticipo rispetto agli epigoni italiani, indegni di comparire al suo cospetto (La meglio gioventù? Per favore, dai). Ogni volta che lo vedo ci trovo qualcosa di nuovo - o che probabilmente mi ero dimenticato, e di nuovo rabbrividisco al pensiero che una volta gli italiani sapevano fare film così. In realtà di film davvero così ce n'è uno solo, e forse si poteva realizzare soltanto in un periodo in cui gli italiani il biglietto l'avrebbero staccato comunque. Bastava che in cartellone ci fossero Gassman e Manfredi - e la Sandrelli, certo.

La commedia all'italiana mi piace tutta, dai Soliti ignoti fino alla Terrazza. È un amore nato davanti alla televisione; maturato con la serale complicità di Retequattro; integrato con qualche videocassetta. Ci ho messo parecchio a capire cosa mi piacesse davvero tanto in quei film, cosa invidiavo ai miei genitori che avevano vissuto in un mondo di mostri di bravura, anche se al cinema loro non ci andavano spesso. Non un attore in particolare, per quanto i loro volti ricorrenti mi rassicurassero; nemmeno un regista. Alla fine mi sono reso conto che sono i dialoghi di Age e Scarpelli, e un po' anche di Scola. Credo che la differenza con quello che è venuto dopo sia tutta qui. Non ho paura ad affermare che oggi in Italia ci sono molto più che cinque attori bravi, per tacere delle attrici (c'erano anche allora, ma lo star system era una cosa molto angusta). Anche i registi: ne abbiamo senz'altro all'altezza dei grandi degli anni Sessanta, se non altro perché sono seduti sulle loro spalle. Il problema è che questi bravi attori, ripresi da ottimi registi, molto spesso non hanno niente d'interessante da dire. Non c'è più Age, non c'è più Scarpelli, adesso non c'è più Scola. Dispiace? Sì, mica da oggi. È da 35 anni che non lavoravano più assieme. Nel frattempo altre due generazioni hanno provato a raccontarsi; il confronto è impietoso.

7 commenti:

  1. secondo me il punto è: non aver niente d'interessante da dire.
    poi mi sa che non sono neanche tanto d'accordo su "bravi attori, ripresi da ottimi registi"...
    il problema dei film italiani attuali è che non puoi neanche dare la colpa al doppiaggio o all'adattamento: nel migliore dei casi sono esili, tisichelli oserei dire
    ho rivisto da poco e nuovo cinema paradiso... e ho pensato che se se questo è il top siamo davvero messi male, ah, ma noi siamo davvero messi male!

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    1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    2. rivisti da poco mediterraneo e nuovo cinema paradiso...

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    3. Scusa se mi intrometto ma, limitatamente alle mie capacità cognitive, Mediterraneo e Nuovo Cinema Paradiso non sono la "commedia all'italiana" di cui si parlava qui sopra. Peraltro il pezzo si chiude con un perentorio "il confronto è impietoso", insomma su antichi vs moderni non so quanto siate realmente in disaccordo.
      Un disaccordo magari lo leggo più sul "manierismo", sulla sua ragion d'essere; Leonardo mi pare dica che tutto sommato gli va ancora bene, a patto che a farlo ci sia gente brava, tu sembri considerare essenziale il punto di avere qualcosa (qualcosa di nuovo?, perchè, insomma, è pur sempre una "scuola") da dire.

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    4. E poi, in ogni caso, Mediterraneo ha più di vent'anni e Nuovo Cinema Paradiso quasi trenta!

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  2. ho fatto 2 esempi di film che hanno vinto l'oscar e danno lustro al cinema italiano e - secondo me - sono un'estensione del genere commedia all'italiana
    ma, volevo fare un esempio di quando si ha poco da dire...
    non sono un esperto di cinema, ma secondo me se questi sono parte del moglior cinema italiano stiamo messi male - a pare mio - su tutti i fronti: scrittura, regia, recitazione
    poi il successo - la misura del successo - di checco zalone potrebbe essere una conferma a quel che dico

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  3. Moretti la sua generazione, quella appunto successiva ai Maestri, l'ha saputa raccontare. Oltre lui però il diluvio.
    Il problema, è risaputo, è senz'altro di scrittura (ma qualche dubbio lo mantengo anche sul valore degli attori a disposizione...).Non credo sia un problema di formazione, ma di specializzazione e, forse banalmente, di mancanza di talento.
    Sorrentino è bravo e se avesse un Age a smussare i suoi soggetti reggerebbe il confronto con i grandi del passato. Ma non ce l'ha e fa quasi tutto da solo, con risultati di scrittura che spesso poco fluidi e che evidenziano la non specializzazione.
    Il primo Salvatores, a mio parere, va salvato. L'idea stessa di servirsi sempre dello stesso gruppo di attori-amici riprende la nostra migliore tradizione. L'Abatantuono dell'epoca era forse l'unica 'star' italiana per cui si pagava il biglietto a prescindere. Forse assieme a Verdone.
    Tornatore credo appartenga a un altro genere, quello dei Bertolucci, per intenderci. È certamente più internazionale (qualunque cosa voglia dire, ma sì dai, lo sappiamo cosa vuole dire...), però non racconta né il paese, né una generazione.
    Poco altro. Il trio Vendruscolo, Ciarrapico e Torre qualcosa lo smuove, anche in questo caso, appoggiandosi all'unica formula che pare funzionare nel nostro paese, quella del clan.
    Mi permetto, infine, di segnalare un film italiano del 2012 che mi piacque molto e che credo racconti bene (come lo si faceva ai tempi belli) un pezzo dei nostri anni: 'Gli equlibristi' di Ivano Di Matteo. Non conosco altre sue prove, però.
    Ecco, qualche nome l'ho fatto.
    Un saluto

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