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domenica 2 aprile 2023

Il periodo Polydor e l'album perduto (1968/69)

(Prosegue la discografia di Franco Battiato. 

L'episodio precedente: i primi singoli

L'album successivo: Fetus)

Nell'estate del 1968 "Franco Battiato" è un nome ormai ricorrente nei cartelloni delle balere milanesi: in classifica però non lo ha ancora visto nessuno. Dopo la deludente esperienza con la Jolly Records, è un'etichetta della Philips, la Polydor, a interessarsi alle sue proposte. Con la Polydor Battiato accantonerà i toni 'esistenzialisti' dei singoli Jolly e cercherà di accreditarsi come cantante confidenziale. È una scelta che ottiene subito un buon risultato (almeno il primo singolo, È l'amore, finalmente porta Battiato in radio) ma di cui in seguito si vergognerà profondamente – dovranno passare almeno trent'anni perché Battiato ritorni con Fleurs al genere confidenziale, accettando un passato da cui fino a quel momento si era ritratto con esibito fastidio. Anche in seguito, nessun brano del periodo Polydor è stato riabilitato, reinciso o interpretato dal vivo: al punto che si ha la sensazione, riascoltando queste canzonette, di fargli un torto. A imbarazzarlo, più che le canzoni in sé, doveva essere stata la posa da chansonnier che gli era capitato di assumere: una "maschera inutile" che gli aveva consentito di rimanere un po' sulla breccia, ma che col senno del poi andava liquidata come una perdita di tempo. 

In effetti gli esordi compositivi di Battiato (finalmente iscritto alla Siae) sono più frustranti di quelli di altri autori, che sin dalle prime prove dimostrano la propria identità: si fa davvero molta fatica a trovare Battiato in È l'amore o Sembrava una serata come tante. È come se nel 1968 Battiato non esistesse ancora: le canzoni che scrive col chitarrista Giorgio Logiri sono completamente funzionali al contesto in cui si è ritrovato. Sono scritte per passare alla radio o per essere suonate in balera. Per cercare l'autore Battiato dobbiamo ridurci a far caso agli inciampi, ai motivi per cui dopo il primo singolo gli altri brani in effetti in radio non passavano (e magari in balera facevano il vuoto); l'ingenuità dei testi, i vezzi stilistici (quei ritornelli rallentati), le incursioni rock di Logiri, che sogna il rock inglese ma deve anche suonare le mazurke. 

1968: È l'amore (#244) 

Guarda le sere che passo se non sei con me. Di fronte a È l'amore bisogna avere pazienza e ricordare che se in seguito abbiamo potuto godere di Battiato, del privilegio di ascoltarlo e di invecchiarci un po' assieme, lo dobbiamo anche a questa canzonetta senza visibili pretese, con la fisarmonica nel ritornello addirittura, e notate che era il 1968, il maggio parigino, le pantere nere alle Olimpiadi mostravano il pugno e Battiato cantava È l'amore su una base di fisarmonica, nella vita può capitare anche questo. È l'unico singolo che riuscì a mandare in classifica negli anni Sessanta (si parla di "centomila copia vendute"), sono numeri che oggi sembrano impossibili ma al tempo forse no. È quello che gli permise di tenere insieme un complesso, "il suo complesso", e andare avanti con le serate. Non è neanche una canzone così terribile, e tradisce già uno dei temi ossessivi che FB porterà con sé per tutta la carriera, l'associazione dell'amore alla stagionalità. Forse Battiato aveva già dimostrato di avere qualcosa da dire più interessante di "è l’amore che mi prende piano piano per la mano", però "mentre l’acqua dietro ai vetri già discende lentamente" prometteva bene. Il brano fu coverizzato sia in francese (Formidable) che in inglese (Winter Love). 


1968: Fumo di una sigaretta (Battiato/Logiri, #245) 

L'amore? È meglio se lo sognerai in cucina, l'amore. Il lato B di È l'amore mette a fuoco l'ambiguità della coppia Battiato/Logiri: il primo è ancora un cantante deciso a sfondare nell'ambito sentimentale (l'unico in cui sia immaginabile sfondare in Italia anche in quel 1968); il secondo è un chitarrista infatuato di Jimi Hendrix: una passione che sul lato A si deve per forza contenere, ma esplode poi nel lato B creando quest'ibrido abbastanza peculiare tra Sanremo e il rhythm'n'blues, struggimento d'amore e assoli distorti. Battiato è un ex innamorato deluso dell'amore che rifiuta le avances di una ragazzina – per la verità non le ha proprio rifiutate del tutto, un bacetto c'è stato ma è poca roba, non ti credere, torna a casa bimba, non hai idea. La chitarra dovrebbe sottolineare questo messaggio virile: l'amore è roba da adulti, ti devasta, stanne fuori. È difficile non riderci sopra, oggi, soprattutto pensando a quanto poco si sarebbero adattate ai Battiati successivi le pose sentimentali o machiste. E comunque la canzone non è che giri tantissimo, è una strana chimera che non poteva andare lontano. Ma ci voleva del coraggio, della disponibilità a sperimentare, e Battiato ce l'aveva.
 


1969: Bella ragazza (Battiato/Logiri, #242)

Bella ragazza Occhi d'or è il 45 giri con cui Battiato e Logiri dilapidano il capitale di credibilità acquisito con È l'amore. Accade qui per la prima volta quello che si ripeterà poi in diverse situazioni (ad esempio con Aries L'arca di Noè): appena FB capisce di aver trovato una formula che piace al pubblico, la butta via. In questo caso la dilapidazione avviene su due fronti: su quello testuale, Battiato riparte con la solita tritissima retorica degli amori stagionali – stavolta lui è al mare e lei non c'è, chiamiamola posizione dell'Azzurro rovesciato – e la porta avanti fino all'autoparodia: piove, lui è triste, pensa a lei e non riesce a divertirsi, ma poi nella seconda strofa finisce di piovere e lui ha già smesso di essere triste, insomma credevate che fosse amore ed era meteoropatia. Sul fronte degli arrangiamenti, Bella ragazza è un esempio tipico di cosa succede quando lasciate dei ragazzi volonterosi ma inesperti con un medio budget e un registratore otto piste: un'orgia sonora. Si parte con chitarre, violini e batteria (e un clap di mani riverberato) e si arriva coi fiati e sul finale c'è persino una specie di assolo di tastiera che ha già qualcosa di Fetus. Al centro compare quel vezzo compositivo che compromette ulteriormente la potenzialità commerciale del brano: Battiato rallenta il ritmo nel ritornello. Succederà anche in Vento caldo e non ha molto senso: ma forse è il primo tentativo di realizzare quella sospensione ritmica che riascolteremo poi in Summer On a Solitary Beach o nel Vento caldo dell'estate


1969: Occhi d'or (testo di Paolo Farnetti; musica di Federico Mompellio e Giorgio Logiri, #252)


Laggiù, tra deserti d'or, ho lasciato il cuor. La canzone più folle del Battiato anni '60 – l'unica che lascia presagire le bizzarrie del decennio successivo. Invece nulla di quanto aveva fatto fino a quel momento poteva preparare l'incauto ascoltatore a Occhi d'or, infida già dal titolo – chi sospetterebbe mai, voltando il 45 giri di una canzoncina orecchiabile come Bella ragazza, di incappare sul lato B in una deriva psichedelica del genere, un kolossal in technicolor? È incredibile pensare che Battiato non ne abbia scritto né testo né musica – ma per metterci la faccia e la voce ci voleva comunque un certo coraggio. A questo punto della sua traiettoria, FB è un cantante di medio successo (unicamente grazie al singolo È l'amore) ma soprattutto un onesto artigiano della canzonetta: le scrive, riesce a piazzarle anche all'estero (Bella ragazza avrà una traduzione in inglese, in francese e fiammingo), collabora con Gaber, Maurizio Arcieri, Daniela Ghibli. È il momento in cui forse puoi cominciare ad allargarti un po', a mostrare quello che saresti in grado di fare se non fossi incatenato al formato dei tre minuti. Questo tipo di sperimentazioni erano ammesse soltanto sui lati B, e in Occhi d'or Battiato e il compare Logiri sembrano voler condensare in un solo lato B decine di esperimenti. C'è una varietà di strumenti mai sentita prima (un gong?), un orientalismo che è ancora posticcio ma col senno di poi sappiamo quanto sia anticipatore; il coraggio già progressive di cambiare completamente ritmo a due minuti dall'inizio; e poi, due minuti dopo, cambiare tutto di nuovo con una coda che è copiata di pacca da Hey Jude. Che viaggio.


L'album perduto

Nell'aprile del 1969, pochi giorni dopo aver completato il singolo Bella ragazza / Occhi d'or, Battiato e Logiri entrano nella sala di registrazione della Philips in piazza Cavour a Milano per registrare un intero 33 giri con un'orchestra. Si tratta di un investimento inusuale per il mercato discografico del tempo, tanto che il dirigente che aveva dato il via libera (Maso Biggero) raccontò di essere stato rimproverato dai superiori per i soldi buttati via. Se fosse uscito, sarebbe stato uno dei primi 33 giri italiani a non essere concepiti come una semplice raccolta di singoli (anche se i brani sui due già incisi erano compresi), e avrebbe illuminato di una luce diversa gli esordi di Battiato, dimostrando che anche nel periodo più canzonettistico Battiato non aveva rinunciato alla sperimentazione. Potrebbe persino trattarsi del primo concept album italiano, se le canzoni – come sembra di poter dedurre dalla scaletta dei titoli – raccontano una storia, ovviamente d'amore. L'album però fu bocciato: a decidere che Battiato, dopo il successo non clamoroso di un unico singolo, non valesse l'investimento di un LP, fu Alain Trossat, il boss Philips del tempo: questo almeno a detta di Biggero. Il disco non è propriamente un incompiuto: i brani furono tutti registrati, ma mai incisi su LP. Lo stesso Logiri non li riascoltò mai. Non sappiamo nemmeno quale dovesse essere il titolo. Secondo il fonico Bruno Malasoma avrebbe potuto intitolarsi Mesopotamia o Iloponitnatsoc: due titoli veramente improbabili per il mercato discografico del tempo. 

Conservati nei forzieri della Philips, in seguito rilevata dalla Universal, i nastri furono ritrovati nel 2003 da Franco Zanetti, che sperava di poterli pubblicare in un cofanetto antologico: un progetto contro il quale Battiato si sarebbe opposto "fieramente". La circostanza è raccontata dallo stesso Zanetti in appendice al volume di Carla Spessato, Franco Battiato, Giunti 2021. Dell'album dunque conosciamo solo i brani che in seguito furono pubblicati su 45 giri o altre raccolte. Zanetti ha trovato diverse scalette e dà la sensazione di aver ascoltato tutte le canzoni tranne una misteriosa, Ciao Marlene, che in un primo momento avrebbe dovuto essere la traccia finale del lato B, ma "nessuno dei partecipanti ai lavori se ne ricorda". Potrebbe trattarsi semplicemente di un titolo provvisorio per Marciapiede, che in un'altra scaletta era intitolata La battona.  

È facile immaginare che la bocciatura del progetto sia stato uno dei motivi per cui Battiato nel 1969 decide di stracciare il contratto con la Polydor: da lui volevano soltanto dei singoli e a lui tutti questi singoli di successo non stavano riuscendo. In realtà lo strappo sarebbe avvenuto qualche mese dopo, magari in seguito all'insuccesso di Sembrava una serata come tante


1969: Gente (Bonoldi/Logiri, #246)

Una battuta forse involontaria che ho trovato su Youtube è "Gente è Iloponitnatsoc registrata al contrario", ok, è una battuta per battiatofili spinti; diciamo che Iloponitnatsoc – un frammento di Gente inciso al contrario – rischia davvero di essere relativamente più famoso di Gente, uno dei brani più anonimi che Battiato abbia inciso. La melodia era tutta di Logiri e Battiato stavolta si astenne anche dal partecipare con il testo. Quest'ultimo potrebbe essere il prodotto di un generatore di canzoni d'amore triste: le frasi che Giovanni Bonoldi mette assieme sono di una banalità che sconfina nel nonsense ("Quante notti da solo aspettando l’aurora: fino a domani estate sarà") Battiato le canta senza crederci troppo, suggerendo qua e là una sensazione di autosabotaggio. Il brano sarebbe poi finito sul lato B di Sembrava una serata come tante.

1969: Lume di candela (Battiato/Logiri)

Diverse canzoni dell'album perduto non possiamo semplicemente ascoltarle: non solo Battiato si è opposto fieramente alla pubblicazione, ma non sono state depositate alla Siae. Lume di candela però era depositata, perché già incisa da Daniela Ghibli, ex valletta di Settevoci, che malgrado il cognome evochi subito dune e venti del deserto così cari all'immaginario battiatesco, è nata a Velezzo Lomellina. La versione battiatesca invece fu pubblicata già negli anni Ottanta in un'antologia dell'Armando Curcio Editore. A orecchio non sembra un provino per la Ghibli, ma anzi suona arrangiata o almeno prodotta un po' meglio: segno che davvero per qualche giorno Battiato nella sala Cavour aveva potuto disporre di un budget di tutto rispetto. L'avesse incisa lui, sarebbe stata facilmente il suo migliore singolo del periodo Polydor: un bel pezzo italiano ma con qualche reminiscenza di Procol Harum, che in quel 1969 era il punto di arrivo di chi dal rock cercava di gettare il ponte verso qualcosa di più melodico. Insomma questo Logiri le canzoni stava imparando a scriverle, forse avrebbe dovuto continuare; e lo stesso Battiato qualche passo avanti con le parole lo stava facendo.  

1969: Iloponitnatsoc (Battiato/Logiri)

Il titolo è "Costantinopoli" al contrario, e la canzone è un frammento di Gente incisa al contrario. Tutto qui, e ben tre anni dopo che Napoleon XIV aveva pubblicato  aaaH-aH ,yawA eM ekaT ot gnimoC er 'yehT. Niente di pionieristico, insomma; però qualcosa di decisamente diverso da quanto Battiato avesse fatto fino a quel momento, e di più simile a quello che farà dal '72 in poi. Probabilmente si trattava di poco più di uno scherzo per aumentare il minutaggio del disco: secondo Logiri peraltro l'idea fu sua, non di Battiato. Il quale Battiato comunque non avrebbe più smesso di pasticciare coi nastri rovesciati. Il brano finì pubblicato, per ragioni imponderabili, su un'antologia della Philips, Hit Parade Vol. 2, una cosa che cominciava con gli Aphrodite's Child, passava per Israelites di Desmond Dekker e finiva con Oh Happy Day, per cui persino un Battiato rovesciato tutto sommato poteva starci.  

1969: Lacrime e pioggia (Pachelbel/Pallavicini/Papathanassiou)

Lacrime e pioggia è una cover di Rain and Tears degli Aphrodite's Child, il brano con cui la progressione Pachelbel entra ufficialmente a far parte della musica pop europea – il debito è talmente evidente che l'oscuro compositore è incluso nei credits accanto a Vangelis Papathanassiou. Quando Battiato ci si cimenta, erano probabilmente già nei negozi di dischi un paio di cover italiane con lo stesso testo di Pallavicini. Rispetto ai Trolls e ai Quelli, Battiato ha l'impudenza di dare maggior risalto alla sua prestazione vocale, ovvero di sfidare Demis Roussos nel suo campo! E pur essendo un confronto impari, non ne esce malaccio (forse è più ispirato dalla cover italiana di Dalida che da Roussos). Registrata probabilmente durante la lavorazione dell'album perduto, Lacrime e pioggia non compare però in nessuna delle scalette dell'album – segno che Battiato e Logiri pensavano a un disco organico, senza cover. Fu pubblicata per la prima volta nella raccolta pubblicata dalla Armando Curcio Editore nel 1982, quando il nome "Battiato" avrebbe venduto qualsiasi cosa. Nel 2008 poi Battiato si ricorderà degli Aphrodite's Child riprendendo It's Five O'Clock, neanche a farlo apposta un'altra Pachelbel. Ma era meglio questa.


1969: Sembrava una serata come tante (Battiato/Logiri, #254)

Non ti avrei detto sì: chiudiamola qui. Di Sembrava una serata su Youtube resiste la versione cantata dal vivo con l'orchestra alla "Mostra Internazionale di Musica Leggera di Venezia" che non doveva essere proprio un festival di secondo piano, visto che sul palco si aggirava Mike Bongiorno. Dovrebbe trattarsi della "sfortunata esibizione televisiva" citata da Fabio Zuffanti (2020) con "l'orchestra che sbaglia clamorosamente la tonalità", episodio che "spingerà il nostro a serie decisioni sul suo futuro musicale". Quel che è certo è che non c'è esattamente sintonia tra l'orchestra e il giovane cantante con basette e occhialoni alla Nicola Di Bari, così poco soddisfatto della sua esibizione da scappare dal palco proprio subito dopo aver cantato "chiudiamola qui", senza aspettare gli applausi. Sarebbe stato di parola: Sembrava una serata come tante è il suo ultimo tentativo di sfondare come cantante confidenziale (l'ultimissimo singolo per la Philips, Vento caldo, sarebbe uscito a contratto già stracciato). È l'episodio più simil-francese di questa sua prima carriera, ma è anche una dimostrazione del fatto che Battiato questi francesi li ammirava senza capirli bene: la canzone che gioca sulla disillusione dell'innamorato che si scopre tradito è un classico della linea Brel-Aznavour, richiede un approccio teatrale, il cantante deve trasformarsi in un patetico oggetto di derisione e Battiato questo non era proprio in grado di farlo, né nel 1969 né in seguito. Lo spiega proprio qui: "Se non avessi avuto l'orgoglio che c'è in me": appunto, per fare canzoni del genere bisogna rinnegare l'orgoglio. 

Dalla nostra distanza è facile capire che Battiato si stava infilando in un vicolo cieco: insomma, era già il 1969, l'anno di Woodstock, Tommy Abbey Road, e Battiato si ritrovava in abito scuro davanti a un'orchestra a cantare di splendide serate finite male, un chansonnier fuori tempo massimo, con questa mania di rallentare i ritornelli per dare rilievo a un'interpretazione enfatica che la sua voce non sempre riusciva a sostenere dal vivo – sul serio, vien da pensare: chiudiamola qui. Non fosse che.
Non fosse che in quello stesso 1969, in un altro festival della musica leggera, un ragazzo similmente riccioluto e non del tutto a suo agio con l'orchestra porta una canzone scritta da lui, con cambi di tempo e interpretazione un po' enfatica: la canzone era Un'avventura, non a tutti piacque, ma oggi nessuno pensa che Lucio Battisti avrebbe fatto meglio a chiuderla lì e a buttarsi sull'elettronica. 


1968: Vento caldo (#256)


Tra 1965 e 1968 Battiato le prova un po' tutte, accodandosi a più di una tendenza musicale. Vento caldo è il suo tentativo proto-prog, ed è uno dei mille brani che in quel periodo risentono del successo di A Whiter Shade of Pale dei Procol Harum tentando di imitarne la formula: l'inserimento di melodie classiche nei brani pop. Se i Procol si erano limitati a ispirarsi a Bach, l'anno dopo gli Aphrodite's Child avevano fatto il botto copiando di pacca il Canone Pachelbel ed evidenziando i vantaggi economici del procedimento: i compositori classici non ti possono denunciare, non possono prendersi i diritti, non sono neanche iscritti alla Siae e incidentalmente hanno scritto un sacco di riff orecchiabili: bisogna essere fessi per non provare a scopiazzare qualcosa. Battiato fesso non è, ma ha comunque idee strane: è la prima volta che arrangia un brano e non vuole rispettare i 4/4 che per l'hit parade italiana sono ancora molto importanti e forse è ossessionato da un brano non così facilmente canzonettabile come il Concerto n.1 per pianoforte e orchestra di Ciaikovskij. Lo ritroveremo trent'anni più tardi in un brano di Ferro Battuto, ancora abbastanza incongruo – ma nel frattempo lo avremo memorizzato a causa di caroselli e pubblicità. Il testo è l'ennesima variazione su un tema che perseguitava ben più ossessivamente gli ascoltatori di canzonette: l'estate sta finendo. Anche Battiato in seguito ci regalerà variazioni esistenziali e metafisiche sul tema, ma qui siamo ancora al grado zero: l'estate sta finendo e ti devo lasciare. È anche un involontario commiato di FB alla Polydor, che lo fece uscire solo nel 1971 quando l'artista era ormai assorbito da altre avventure musicali. 

1969: Marciapiede (#251)

Quando ti ho conosciuta, un anno fa, solo per poche lire davi te: ora sei una signora, già si sa: eri sul marciapiede e sei con me. Con Marciapiede finisce, abbastanza ingloriosamente, l'avventura canzonettistica di Battiato: è il lato B del suo ultimo singolo (Vento caldo) ed è anche la prima canzone completamente firmata da lui. I lati B com'è noto servivano a sperimentare cose un po' meno formalizzate; qui invece la musica è abbastanza semplice, in compenso l'argomento è per i tempi piuttosto scandaloso: la storia di un amore che dovrebbe redimere una prostituta di strada – ma Battiato essendo già Battiato, l'amore è destinato a finire e la ragazza a tornare sul marciapiede. Un soggetto da cui Brel o Brassens avrebbero potuto trarre romanze in dieci strofe, purtroppo viene affrontato dal giovane paroliere con espressioni di una banalità sconfortante. Battiato, che nei dischi della maturità abbandonerà la metrica tradizionale, qui vi si muove impettito come in un colletto troppo inamidato, limitandosi alle rime tronche ("sa/già, te/me"). Sembra veramente crederci poco: e del resto racconta la storia dalla parte dell'innamorato che non ci crede più, nel momento in cui la passione cede il passo alla repulsione. Il disco non arrivò nemmeno nei negozi: Battiato aveva già rescisso il contratto con la Polygram, ne furono pubblicate soltanto copie promozionali per la stampa. Lui ci aveva anche provato, a innamorarsi della Canzonetta, ma troppo spesso aveva visto la Canzonetta baciare qualcun altro per continuare a illudersi sulla di lei moralità.



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