L'11 novembre in Polonia si celebra l'indipendenza, ottenuta alla fine della Prima Guerra Mondiale. Per una curiosa coincidenza, il giorno seguente si celebrano due martiri intimamente legati alla storia della chiesa polacca – anche se uno era ucraino e l'altro veniva da Benevento.
Per affermare che il primo martire polacco sia giunto da Benevento, bisogna comunque forzare la definizione del termine: per quanto possiamo presumerlo pronto a morire per difendere la sua fede, Benevento più probabilmente fu ucciso per un equivoco, da una banda di ladri che sperava di trovare addosso a lui e ai suoi compagni dieci libbre d'argento. Perché tra le varie cose a cui si sono prestate, nei secoli, le agiografie, c'è anche la condivisione dei fatti di cronaca: il martirio di Benedetto purtroppo non è una leggenda, ma un episodio riportato da più fonti, con variazioni interessanti, ma tutte circoscritte nell'ambito del verosimile.
Benedetto, in Polonia, c'era finito in un periodo storico in cui l'Europa dell'est era ancora un mondo selvaggio e inesplorato. Il fatto che avesse accettato la missione depone a favore del suo coraggio. Era nato a Benevento, 34 anni prima; era stato ordinato sacerdote ad appena 18, probabilmente per l'interessamento di una famiglia che aveva i mezzi per fargli fare carriera ecclesiastica. Ai tempi era normale che una famiglia brigasse per ottenere al proprio rampollo un buon posto nella gerarchia della Chiesa: ma per quanto abituale, si trattava comunque di una prassi pubblicamente esecrata, alla quale era stata trovata un'etichetta d'infamia: simonia, dal nome del mago che aveva cercato di corrompere Pietro per diventare apostolo. Qualche agiografo sostiene appunto che Benedetto si rifugiò in un eremo sul monte Soratte per evitare non tanto le accuse di simonia, ma l'intima consapevolezza di aver partecipato coi genitori a un progetto simoniaco.
Dopo tre anni di solitudine, Benedetto si lasciò attirare a quello che da secoli era il centro di gravità del monachesimo italiano: l'abbazia di Montecassino. Lì sentì parlare, forse per la prima volta, del leggendario eremita in cui avrebbe riconosciuto il suo maestro: Romualdo di Camaldoli. Quando quest'ultimo passò da Montecassino, nel 999, Benedetto ripartì con lui, riconoscendo in lui quell'approccio intransigente che cercava. Si stabilirono a Ravenna, dove l'imperatore Ottone III, in segno di devozione per un personaggio che ormai era un santo in vita, aveva fatto costruire un cenobio per lui e i suoi discepoli. Benedetto a quel punto era già in lizza per diventarne l'abate, ma forse in cambio di tanta generosità, Ottone III aveva da chiedere un favore: Boleslao il Valoroso, principe di Polonia, intendeva evangelizzare le sue terre ancora pagane, e chiedeva dunque l'intervento del sant'uomo più famoso d'Europa in quel momento, ovvero appunto Romualdo. Il quale però di andare in Polonia non aveva così voglia. Andava per i cinquant'anni, buona parte dei quali passati in eremi sperditi e in monasteri scomodi – da quelli comodi di solito si faceva cacciare. Così al suo posto partirono Benedetto, col collega Giovanni della Casa. A un terzo confratello – Brunone di Querfurt – viene affidata la missione di raggiungere Roma, ottenere l'autorizzazione papale per predicare il Vangelo ai pagani: e sarà proprio Brunone il primo a documentare l'esito tragico della spedizione a cui non partecipò. Giovanni e Benedetto, infatti, dopo essere stati accolti con tutti gli onori dal principe Boleslao; dopo aver studiato per qualche mese la lingua slava, diventano impazienti. Fuori dal loro cenobio di Kaziemerz (dove in seguito si formerà il quartiere ebraico di Cracovia; ma gran parte degli ebrei nel 1000 non erano ancora arrivati) c'è un mondo pagano che aspetta soltanto di essere battezzato ed evangelizzato: ma finché non arriva Brunone da Roma col permesso non si può fare niente, bisogna aspettare quel maledetto pezzo di carta. A un certo punto i due decidono di mettersi in strada per cercarlo. Con loro si portano i due novizi che gli hanno impartito lezioni di polacco, Matteo e Isacco. Lungo la strada, invece di trovare Brunone, si imbattono nel principe Boleslao, che oltre a salutarli e riverirli, offre a Benedetto una cospicua somma in pezzi d'argento: dieci libbre. Forse erano le spese di viaggio. Forse Boleslao aveva immaginato che, cercando a ritroso le tracce del loro confratello, sarebbero giunti fino a Roma, e le dieci libbre servivano a convincere il papa ad elevare Boleslao alla dignità regale. Pier delle Vigne, che riporta l'episodio, sostiene che Benedetto l'argento lo rifiutò, il che è coerente con le sue posizioni: a diciott'anni aveva rifiutato la carriera che i genitori gli avrebbero comprato, a trenta aveva rifiutato di restare nell'orbita gloriosa di Romualdo per partire in una missione pericolosa, perché avrebbe dovuto accettare una somma dal principe? Ma nel frattempo qualcuno (forse un servo di Boleslao) lo aveva visto vicino a dei sacchetti d'argento, e questo gli sarebbe stato fatale. Una volta tornati a Kazimierz, Benedetto, Giovanni, Isacco e Matteo vengono trucidati da una banda di rapinatori che irrompono nottetempo nel cenobio; con loro muore anche il cuoco Cristiano. Non è chiaro sei i ladri e omicidi siano mai stati identificati; anche del bottino non si sa più niente, e quindi non è detto che ci fosse.
Nato a Wolodymyr (oggi Ucraina) e cresciuto a Vilnius (oggi Lituania), Giosafat aderisce alla Chiesa Unita, che come capita spesso lo era solo di nome, e corrispondeva alla volontà della monarchia polacco-lituana (al tempo una delle più grandi d'Europa) di controllare anche le diocesi di lingua slava. Queste ultime, riconoscendosi nel credo ortodosso, subivano l'influenza del clero russo. Il re invece era cattolico e li avrebbe voluti tutti fedeli ai papa: quest'ultimo, (Clemente VIII), pur di acquisire queste diocesi si era mostrato piuttosto ragionevole e disponibile a chiudere un occhio sul fatto che i sacerdoti orientali non fossero celibi e continuassero a officiare in greco (o addirittura nelle lingue slave).
Gli uniati sono stati uno dei più importanti tentativi di risolvere lo scisma d'Oriente, il più antico e il più apparentemente facile da dipanare, perché è da secoli che la polemica sul filioque non appassiona più i teologi. Evidentemente sotto la teologia esistono rapporti di forza che non si lasciano incrinare: un dissidio tra occidente e oriente che non è solo linguistico, e che resiste a ogni buona volontà di mettersi d'accordo; la pretesa universalistica di Roma che si infrange contro i nazionalismi slavi. Giosafat, che non aveva 20 anni quando il sinodo di Brest sancì la nascita di questa nuova chiesa cattolica ma di rito greco, si ritrovò a gestirla in una delle regioni più complicate d'Europa, la Rutenia Transcarpatica, detta anche Ucraina carpatica. Oggi è la regione più occidentale dell'Ucraina, l'unica a ovest dei Carpazi (il che la rendeva una zona di grande importanza strategica per l'URSS: i carri armati potevano invadere l'Europa senza transitare da valichi di montagna). Si tratta quasi di un exclave ucrainofona tra Romania, Polonia, Ungheria e Slovacchia. In questa terra difficile, Giosafat non doveva soltanto gestire una Chiesa di Stato, ma anche di segnalare alle autorità i sacerdoti di rito ortodosso. Fu proprio l'arresto di uno di questi a causare una sommossa popolare che culminò col linciaggio di Giosafat. Il suo corpo fu gettato nella Dvina. Forse era il 12 novembre del 1628, o forse no perché un'altra concessione che gli uniati avevano strappato al Papa era il permesso di continuare a ignorare il calendario gregoriano.
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