14 novembre: San Rufo confessore
Ci sono giorni del calendario così traboccanti di interessanti vite di santi che è così difficile sceglierne uno... non è il caso di oggi, 14 novembre, giornata davvero fiacca dal punto di vista agiografico. Per esempio è la festa di San Rufo, di cui conosciamo solo il nome perché Paolo di Tarso lo saluta nella Lettera ai Romani, definendolo "prescelto dal Signore": è chiaro che con una raccomandazione del genere nel calendario devi andarci per forza, ma altre notizie su Rufo non ne abbiamo. Più tardi è stato identificato come il primo vescovo di Avignone, grande confessore.
| Santa Maria a Pugliano, Ercolano |
Oggi è anche la festa di Veneranda vergine, altra santa di cui sappiamo pochissimo, anzi forse nulla visto che "veneranda" significa "da venerare", insomma potrebbe essere il nome appioppato a qualche santa di cui si conservava un'icona o una reliquia, ma non il nome di battesimo. Ciò ha probabilmente fatto sì che Veneranda sia una delle sante più venerate tra quelle che non hanno più nemmeno una voce nei martirologi. Esistono reliquie a suo nome un po' dappertutto, da Mortara (PV) ad Acireale (CA), mentre persino la Bibliotheca Sanctorum non la degna di un paragrafo. Fino al 2004 il Martirologio Romano ricordava almeno una Veneranda martire nelle Gallie sotto Antonino Pio; il che forniva poi ai ministri del culto una data in cui celebrare le reliquie, il 14 novembre per l'appunto. Nel caso della Cappella del Santo Spirito nella Basilica di Santa Maria a Pugliano (Ercolano), la tela seicentesca che ritrae la santa contiene il nome greco di Santa Parasceve, che in greco significa "preparazione". Di Sante Parasceva o Parasceve ce n'è più d'una, di solito ricordate nei sinassari greci: in Occidente il nome veniva di solito tradotto "Venera" o "Veneranda" perché, in effetti, Parasceve in greco significa anche venerdì (Παρασκευή).
| Monumento inaugurato nel 2022 sul monte Sion |
Non sempre, ma quando t'imbatti in un martire bassomedievale che è un vero e proprio kamikaze – uno in missione suicida, e consapevole di esserlo – molto spesso si tratta di un francescano. In fondo l'esempio l'aveva dato lo stesso fondatore, partendo per la Palestina con lo scopo di convertire il sultano. Il sultano non si era lasciato convertire, ma questa non era una buona ragione per riprovarci. E ancora prima che Francesco partisse, già cinque suoi seguaci della prima ora avevano trovato il martirio predicando il vangelo nel bel mezzo di Marrakech, nel 1220. Centosessant'anni dopo, Nicola Tavelić arriva nel convento di Monte Sion, in Palestina, dove i francescani resistono ormai come in un'isola cristiana al centro dell'oceano islamico. Le crociate sono finite da un pezzo, e male: ai francescani non resta che rassegnarsi a un ruolo di testimonianza; senonché Nicola, nato a Srebrenica e abituato in gioventù a dar la caccia agli eretici Bogomilli, probabilmente morde il freno. Freno che si spezza definitivamente l'11 novembre 1391, quando Nicola con tre suoi confratelli (Stefano da Cuneo, Deodato Aribert da Ruticinio e Pietro da Narbona) ottiene dal Cadì di Gerusalemme il permesso di esporre i fondamenti del cristianesimo in un'adunanza pubblica. I quattro non sono evidentemente abbastanza convincenti, perché la reazione del pubblico culmina in un arresto. Tre giorni dopo vengono portati nella stessa piazza, ma in catene: nel frattempo sono stati torturati, ma non ritrattano, e quindi vengono bruciati come eretici, e le ceneri sperse al vento.
| Lo so che sembra finto, Tommaso di Modena dà spesso questa sensazione. Non hanno ancora inventato la prospettiva, ma lui la usa lo stesso. È un affresco nel convento di San Nicolò a Treviso. |
Ho scoperto che Alberto Magno, quando aveva già molti anni sulle spalle (nessuno sa esattamente quanti), dopo essersi ritirato da tutte le cariche, compresa quella di teologo ufficiale del Papa, per terminare quei venti o trenta trattati che stava scrivendo in quel momento; dopo essere stato comunque inviato dal papa e rimettere in sesto la cattedra vescovile di Ratisbona; dopo esserci in sostanza riuscito, avendo ottenuto in cambio dal nuovo papa Urbano IV il permesso di dimettersi da vescovo, fare testamento e dedicarsi agli studi... niente da fare, dopo tre miseri anni di pensione fu inviato dallo stesso Urbano IV in Germania come predicatore con la missione di promuovere una crociata; ormai era l'ottava. A quel punto era considerato l'intellettuale e lo scienziato più importante della cristianità, ma predicare le crociate forse era l'unica cosa che non gli veniva bene; della missione sappiamo soltanto che "sortì uno scarso successo". Questo mi rende ancora più simpatico il grande Sant'Alberto, che era capace di disaverroizzare Aristotele e conciliarlo con Platone, ma non di convincere i tedeschi ad andare a far la guerra in Terrasanta per difendere i Luoghi Santi minacciati nella loro stessa esistenza. Urbano IV probabilmente aveva preso Alberto per un grande esperto di parole, alla Bernardo di Chiaravalle; uno in grado di plasmare discorsi in grado di giustificare qualsiasi cosa, compreso qualche massacro. E forse Alberto, con un po' d'impegno, lo sarebbe diventato. Ma non gli interessava: gli interessavano la Storia naturale, la matematica, la geografia, in effetti al grande Alberto interessava qualsiasi cosa, tranne la propaganda.
Oggi che siamo abituati a contrapporre intellettuali a uomini d'azione, ci fa un po' effetto osservare certi studiosi del basso medioevo e renderci conto che non dovevano stare fermi un attimo: attraversando l'Europa a dorso di mulo, da una corte a un'università a un convento, Alberto Magno trovò il tempo di scrivere una cinquantina di libri, rifondando le scienze naturali e proponendo il suo Aristotele dis-averroizzato su cui un discepolo di eccezione, Tommaso d'Aquino, avrebbe rifondato l'edificio filosofico della Chiesa. E benché dei due sia di gran lunga il più noto, Tommaso al confronto col maestro dà la sensazione di essere lo studente sgobbone, più metodico e concentrato sugli obiettivi ma meno ricettivo agli stimoli della natura sensibile che guidavano Alberto in mille direzioni diverse, dalla botanica all'astronomia, verso una concezione della scienza basata più sulle esperienze che sull'autorità dei testi: persino il grande Aristotele poteva essere irriso per certe affermazioni che Alberto trovava campate in aria, ad esempio quella storia della musica delle sfere.
Tra un incarico e l'altro, Alberto riuscì ad arrivare a una tarda età, il che gli permise di piangere la fine del suo studente più brillante. Si è estinta la luce della chiesa, disse quando lo informarono della morte di Tommaso. Una delle sue ultime missioni, all'università di Parigi, fu proprio in difesa delle opere di Tommaso che rischiavano di essere bollate come eretiche. E come Tommaso, a un certo punto Alberto sperimentò la sensazione di un cedimento cognitivo: ma se il discepolo aveva del tutto smesso di leggere dopo una crisi improvvisa (un ictus?), per Alberto si trattò di qualcosa di più sottile e progressivo: la memoria gli stava cedendo. Morì nel 1280, e nessuno sa esattamente quanti anni avesse, di tutto curioso ed esperto, fuorché della retorica che manda gli uomini a farsi ammazzare. Grazie Alberto, e prega per noi.
| Questo invece è uno dei ritratti più brutti che ho visto in vita mia. |
In un primissimo momento i "santi" erano i cristiani primitivi, in particolare quelli che potevano testimoniare direttamente la vita e la passione di Cristo: perlomeno questo è il significato che il termine sembra avere in molte lettere di Paolo. In seguito, per qualche secolo, santità divenne sinonimo di martirio. Finite le persecuzioni, la santità divenne l'obiettivo dei monaci, isolati nel deserto o riuniti in comunità: e un riconoscimento ai grandi prelati e agli intellettuali che stavano costruendo l'egemonia culturale della chiesa. E però ormai eravamo in pieno medioevo, e bisognava fare i conti coi nobili: pure loro volevano i loro santi, anzi li pretendevano, né ci si poteva aspettare che si facessero monaci o addirittura studiosi. In ogni caso ogni famiglia reale almeno un santo lo doveva vantare, era un must.
Di Sante Margherite ce n'è tante e, forse a causa della preziosità del nome (che deriva dal greco μαργαρίτης, "perla") sono quasi tutte di estrazione aristocratica: è il caso di Margherita di Baviera, di Margherita d'Ungheria e Margherita di Savoia, che non è la moglie del re Umberto I a cui fu intitolata la pizza con la mozzarella, ma una sua antenata del Quattrocento. La Margherita scozzese visse invece nell'XI secolo, ed era nata da una famiglia di nobili Angli (gli Aetheling), imparentati con Edoardo il Confessore, ma in esilio in Ungheria. Verso il 1050 il padre decide di tornare in Inghilterra, dove la famiglia potrebbe vantare qualche diritto sulla corona: ha ovviamente fatto i conti senza i Normanni di Guglielmo il Conquistatore, che nel 1066 prendono il possesso del regno e lo spingono a emigrare di nuovo, stavolta a nord, in Scozia. Nel frattempo Margherita ha compiuto vent'anni, il re Malcolm III se ne invaghisce, non si sa bene se prima o dopo essersi vendicato dell'usurpatore del padre, il ben più famoso Macbeth. Malcolm detto "collo lungo" non solo sposa Margherita, ma la elegge a sua guida spirituale visto che lassù oltre il vallo di Adriano l'ortodossia lascia molto a desiderare. Margherita impone il digiuno quaresimale, il riposo domenicale, la confessione. Con lei arrivano in Iscozia i monaci cluniacensi, che ovviamente peroreranno la sua causa quando la regina morirà, poco dopo avere appreso la notizia della morte del marito e del figlio in battaglia, nel 1093. Una vera e propria canonizzazione però avverrà solo 150 anni più tardi, con una bolla papale. Il suo nuovo sepolcro, nell'abbazia di Dunfermline, diventa il pantheon dei re scozzesi, ma nel 1560 viene saccheggiata dai protestanti. Maria Stuarda credeva di avere messo in salvo almeno la testa di Margherita, custodita in un reliquiario, ma di lì a poco perde la sua, quando Elisabetta d'Inghilterra la fa condannare a morte per alto tradimento. Sono tempi duri per i cattolici nell'isola; il reliquiario viene clandestinamente trasportato nel Collegio scozzese di Douai nella Fiandre, dove rimane al sicuro fino al successivo rigurgito anticattolico, la Rivoluzione francese che arriva a Douai nel 1793.
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