Unidentified flying object
In questi giorni giro di anagrafe in anagrafe, come l'ape di fiore in fiore. Dopo la raccolta delle firme in primavera, è la stagione della mietitura, della certificazione, dei timbri e della firme. Com'è il raccolto? Abbondante? Mah, diciamo variegato. Le firme di Fabbrico, Riolunato, Arceto le ho date per perse. A Rolo e Cento andrò se ho tempo. In mezzo mi resta da falciare più o meno l'intera Bassa Modenese.
In fondo mi diverto. Ascolto radio24, che a furia di aggiornamenti sul mibtel e pubblicità di software gestionali fa sentire qualunque sfigato un topmanager. E poi c'è un gusto dolciastro nel sentire la borsa che va giù, i manager americani colti mentre gonfiano i bilanci e qualche economista che propone un po' più Stato e un po' meno mercato, sulla radio di confindustria. Intanto stilo una classifica delle impiegate anagrafiche più o meno carine, serie, responsabili, attillate… del resto col caldo che fa, le colleghe in ferie, proprio ora questa ondata di raccolta firme, prima noi, poi Bertinotti, e chissà, domani Cofferati, dove andremo a finire?
Io domani devo andare a Novi, Concordia, Cavezzo, Mirandola, Medolla, Finale, San Felice, San Possidonio e… Camposanto. Cara vecchia Camposanto.
Stasera riunione sul futuro del movimento, uhm, eravamo in sei.
All'una ero ancora in giro con Defarge in cerca di birra, ma le birrerie chiudono prima delle nostre riunioni. Così dopo alcune considerazioni sugli Aerosmith e l'egemonia culturale ci siamo congedati e ho preso la strada di casa, cantando al volante perché iniziavo ad avere gli occhi pesanti.
I mean no sailor in a boat, boat
But like a rock I'd like to shock, shock
The population's got to rock, rock
O qualcosa del genere.
D'un tratto mi è venuto un tuffo al cuore perché ho visto un qualcosa di verde sfrecciare proprio in direzione Sorbara, e ingrandirsi e sfrigolare e scintillare e spegnersi, in un attimo.
È la seconda volta che ne vedo uno. La prima fu sei o sette anni fa, al tramonto, all'ex macello. Parlando con Bobo, che è alto quasi un metro più di me, ero obbligato a guardare il cielo e d'un tratto mi misi a urlare, sempre per via della stessa esplosione verde. Curiosamente, non mi prese per un'idiota.
Non credo che ne parleranno i giornali domani, può anzi darsi che non ci abbia fatto caso nessuno. Io credo che siano meteoriti, stelle cadenti un po' più vicine delle altre, tutto qui. Il problema è vedere quanto vicino possano arrivare, perché stavolta ho visto anche le scintille.
Comunque è andato tutto bene, l'atmosfera ha fatto il suo dovere, e anzi, stanotte dovrei dormire più tranquillo del solito: quante probabilità abbiamo che ci cada addosso un altro meteorite?
E vale lo stesso per tutti voi. Stasera siamo un po' più sicuri del solito, ve lo dice leonardo, il vostro ufologo di fiducia. Buonanotte, quindi, ovunque voi siate.
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venerdì 28 giugno 2002
martedì 25 giugno 2002
Sì, ammesso e persino concesso che di complotto si sia trattato, Madame, penso converrai che ci son complotti ben più gravi da denunciare oggigiorno. Per esempio, l'economia. Da quel che mi sembra di capire, l'economia sta andando giù. L'unica cosa che tira un po' su sono i consumi. E perché la gente consuma? Perché sente dire che sta andando tutto bene, che "la ripresa è già iniziata".
"La ripresa è già iniziata…". Fa caldo, stasera, e faccio fatica a connettere. Mi sento un po' come Winston, quello di "1984". Sono qui nella mia stanza, sto cercando di ricordare da quand'è che sento dire che la ripresa è già iniziata. Un mese, due? Un anno? Due? Mi sembra che stia iniziando da sempre. Ma prima o poi dovrebbe anche smettere d'iniziare, no?
Sto ascoltando il Gr1, il presidente del senato, Pera, dichiara che la cultura occidentale deve difendere la sua eredità. Pare infatti che A l Q a e d a, la temibile organizzazione terroristica che può vantare "centinaia e centinaia" di affiliati in Italia (parole di Scajola), stia organizzando un attentato alla basilica di San Petronio, dove c'è un affresco che mostra Maometto all'inferno. Non è stato ancora reso noto se l'attentato sarà portato attorno con la temibile arma usata finora dagli affiliati italiani di a l Q a e d a nelle metropolitane, la bomboletta di gas portatile. Onestamente mi sfugge il perché un'organizzazione internazionale in grado di affondare navi della marina USA e buttar giù le Twin Towers non sia in grado di organizzare nulla in Italia senza che il Resto del Carlino non lo venga a sapere una settimana prima. Forse ho sottovalutato il Resto del Carlino.
Ecco, ora danno la linea a Scajola. No! Non ci posso credere. Lo ha detto ancora. "L'importante è tenere la guardia alta". La frase detta il giorno dopo l'attentato al viminale e l'assassinio a Biagi. Che sia una parola d'ordine? Sta facendo molto caldo, divento paranoico.
E poi c'è l'undici settembre, quell'aereo che non avrebbe potuto sfracellarsi sul pentagono. È possibile che abbiano intenzione di raccontarci una balla del genere? A quanto pare sì. Ma come pretendono di avere la nostra fiducia, dopo? Come facciamo a berci tutto il resto, il mullah Omar che fugge in motocicletta (un guercio in motocicletta?), B i n L a d e n che appare ogni tanto irridente su A l J a z e e r a, anche lui, come il Goldstein di "1984"? Di questo passo anche persone posate e positive come i miei genitori iniziano a vedere complotti dappertutto - sul serio, ho sentito papà parlare dei servizi deviati, in che mondo viviamo? La Storia sembra in mano a una cricca di manigoldi stile Ellroy. Il mondiale è veramente l'ultimo dei problemi, o no?
"La ripresa è già iniziata…". Fa caldo, stasera, e faccio fatica a connettere. Mi sento un po' come Winston, quello di "1984". Sono qui nella mia stanza, sto cercando di ricordare da quand'è che sento dire che la ripresa è già iniziata. Un mese, due? Un anno? Due? Mi sembra che stia iniziando da sempre. Ma prima o poi dovrebbe anche smettere d'iniziare, no?
Sto ascoltando il Gr1, il presidente del senato, Pera, dichiara che la cultura occidentale deve difendere la sua eredità. Pare infatti che A l Q a e d a, la temibile organizzazione terroristica che può vantare "centinaia e centinaia" di affiliati in Italia (parole di Scajola), stia organizzando un attentato alla basilica di San Petronio, dove c'è un affresco che mostra Maometto all'inferno. Non è stato ancora reso noto se l'attentato sarà portato attorno con la temibile arma usata finora dagli affiliati italiani di a l Q a e d a nelle metropolitane, la bomboletta di gas portatile. Onestamente mi sfugge il perché un'organizzazione internazionale in grado di affondare navi della marina USA e buttar giù le Twin Towers non sia in grado di organizzare nulla in Italia senza che il Resto del Carlino non lo venga a sapere una settimana prima. Forse ho sottovalutato il Resto del Carlino.
Ecco, ora danno la linea a Scajola. No! Non ci posso credere. Lo ha detto ancora. "L'importante è tenere la guardia alta". La frase detta il giorno dopo l'attentato al viminale e l'assassinio a Biagi. Che sia una parola d'ordine? Sta facendo molto caldo, divento paranoico.
E poi c'è l'undici settembre, quell'aereo che non avrebbe potuto sfracellarsi sul pentagono. È possibile che abbiano intenzione di raccontarci una balla del genere? A quanto pare sì. Ma come pretendono di avere la nostra fiducia, dopo? Come facciamo a berci tutto il resto, il mullah Omar che fugge in motocicletta (un guercio in motocicletta?), B i n L a d e n che appare ogni tanto irridente su A l J a z e e r a, anche lui, come il Goldstein di "1984"? Di questo passo anche persone posate e positive come i miei genitori iniziano a vedere complotti dappertutto - sul serio, ho sentito papà parlare dei servizi deviati, in che mondo viviamo? La Storia sembra in mano a una cricca di manigoldi stile Ellroy. Il mondiale è veramente l'ultimo dei problemi, o no?
giovedì 20 giugno 2002
Cinque o sei motivi per incassare con stile
Ammesso e persino concesso che di complotto si sia trattato, Madame, penso converrai che noi vittime potevamo incassare con più stile. Non sto parlando del gioco di Trapattoni, ma dei cronisti e commentatori che da due giorni non fanno che insistere su questo punto: "se la fifa è una mafia, perché non ne facciamo parte?" Da questo punto di vista non potrei scrivere qualcosa di più giusto e divertente di Zucconi (anche perché lui lo pagano). Mi sarebbe piaciuto che qualcuno almeno intonasse un piagnisteo sulla morale del gioco, sulla trasparenza dei bei tempi andati, che magari non ci sono mai stati, ma almeno ai ragazzini bisognerebbe raccontare che una volta le squadre vincevano lealmente, no?
Insomma, non dico la morale, ma perfino il moralismo è morto. Il mondiale è un palio di Siena dove la corruzione fa parte della competizione, Carraro è il dodicesimo uomo, che non ha saputo giocare la sua partita nelle tribune d'onore e ai ricevimenti che contano, per cui va licenziato a furor di popolo.
Per quanto mi riguarda, l'eliminazione non mi secca un granché. Convinto come sono che tutta la saggezza del mondo consista nella capacità della volpe di parlar male dell'uva che non riesce a raccogliere, avevo già preparato cinque o sei argomenti per dimostrare che Anzi, È Molto Meglio Così, e li ripassavo l'altro ieri in attesa del golden goal.
Ecco qui:
– Meglio perdere con la Corea che con un'antipatica squadra blasonata, tipo Francia o Inghilterra o Germania, che quando poi vai all'estero ti sfottono (prova a spiegargli che è un complotto degli arbitri, loro che non hanno avuto Piazza Fontana Ustica e Gladio ti daranno del paranoide).
– Perdere contro gli arbitri ci permette di fingere ancora per quattro anni di avere una grande squadra che gioca un grande calcio. Alè, l'illusione continua.
– O invece, al contrario, l'ennesima sconfitta ci costringerà a prendere atto che il nostro è un calcio malato, come diceva il tale.
– E poi tutto sommato, a me questi calciatori italiani in tutina aderente (Coco incappucciato sembrava decisamente un preservativo) non stanno tanto simpatici. Non è solo un fatto di stipendi: sì, guadagneranno un po' di più di un deputato, ma creano senz'altro più indotto e più felicità della maggior parte dei parlamentari. No, è una questione di stile. Non mi piace l'italiano che rappresentano, abbronzato, ben rasato, palestrato, pubblicizza le n i k e, esce con le veline, in ritiro fonde la playstation. Scusate se insisto sul concetto, ma a me piaceva Paolo Rossi, sembrava un mucchietto d'ossa gracili e si alzava più in alto dei brasiliani per segnare di testa. Se non avessi visto lui forse non avrei mai toccato un pallone. L'idea che i muscoli non siano tutto, e che tutti giorni si rimetta la palla al centro e si possano riscattare i propri errori. Rossi veniva da una squalifica, era un modello di riscatto. Vieri, scusatemi, al massimo è un modello di p u t t a n i e r e.
– E non scordiamo la politica, eh? Berlusconi si sarebbe preso tutto il merito. Qualcuno ricorda anche che, statisticamente, un mondiale perso anticipa una crisi di governo. (Bisognerebbe avere l'onestà di ricordare che i mondiali li abbiamo persi quasi tutti, e che i governi ci cadono in media ogni uno-due anni).
-- Così magari ricominceremo a leggere qualcosa di serio sui giornali. Ieri la strage di Gerusalemme (19 ragazzi morti) sul Resto del Carlino era a pagina 21.
– E magari per un po' non sentiremo più l'Inno di Mameli. Devo dire che stavolta si è passato il segno, soprattutto con le giovani generazioni. Mia madre mi riporta che i bambini lo cantano spontaneamente alla scuola materna, compresa la strofa di Balilla, e poi quel bel ritornello, "siam pronti alla morte". Quanto a me, la mia terza l'ultimo giorno di scuola me lo cantò all'unisono in tono di insubordinazione perché non li portavo fuori. Al che io risposi: 1. Se erano pronti alla morte, erano in grado anche di passare gli ultimi cinquanta minuti in aula a parlare dell'esame di licenza. 2. Sembravano proprio una bella classe di balilla idioti e desiderosi di andare a crepare per gli interessi altrui, ero molto deluso. Forse ho esagerato, ma cavolo, era l'ultimo giorno. Poi al tema d'italiano un ragazzo si portò un tricolore e a un certo punto ci s'involtolò dentro. Gli portava fortuna, secondo lui.
A proposito, devo fare ammenda per le mie previsioni e i miei calcoli sballati. Su questo blog di cazzate ne ho scritte molte senza che nessuno me le facesse notare, ma la scorsa settimana ho sbagliato a calcolare una differenza reti e mi avete scritto in cinque. Ragazzi, onestamente ci sono cose più importanti nella vita. Perché, ammesso e persino concesso che di complotto si sia trattato, Madame, penso converrai che ci son complotti ben più gravi da denunciare oggigiorno. Per esempio…
Ammesso e persino concesso che di complotto si sia trattato, Madame, penso converrai che noi vittime potevamo incassare con più stile. Non sto parlando del gioco di Trapattoni, ma dei cronisti e commentatori che da due giorni non fanno che insistere su questo punto: "se la fifa è una mafia, perché non ne facciamo parte?" Da questo punto di vista non potrei scrivere qualcosa di più giusto e divertente di Zucconi (anche perché lui lo pagano). Mi sarebbe piaciuto che qualcuno almeno intonasse un piagnisteo sulla morale del gioco, sulla trasparenza dei bei tempi andati, che magari non ci sono mai stati, ma almeno ai ragazzini bisognerebbe raccontare che una volta le squadre vincevano lealmente, no?
Insomma, non dico la morale, ma perfino il moralismo è morto. Il mondiale è un palio di Siena dove la corruzione fa parte della competizione, Carraro è il dodicesimo uomo, che non ha saputo giocare la sua partita nelle tribune d'onore e ai ricevimenti che contano, per cui va licenziato a furor di popolo.
Per quanto mi riguarda, l'eliminazione non mi secca un granché. Convinto come sono che tutta la saggezza del mondo consista nella capacità della volpe di parlar male dell'uva che non riesce a raccogliere, avevo già preparato cinque o sei argomenti per dimostrare che Anzi, È Molto Meglio Così, e li ripassavo l'altro ieri in attesa del golden goal.
Ecco qui:
– Meglio perdere con la Corea che con un'antipatica squadra blasonata, tipo Francia o Inghilterra o Germania, che quando poi vai all'estero ti sfottono (prova a spiegargli che è un complotto degli arbitri, loro che non hanno avuto Piazza Fontana Ustica e Gladio ti daranno del paranoide).
– Perdere contro gli arbitri ci permette di fingere ancora per quattro anni di avere una grande squadra che gioca un grande calcio. Alè, l'illusione continua.
– O invece, al contrario, l'ennesima sconfitta ci costringerà a prendere atto che il nostro è un calcio malato, come diceva il tale.
– E poi tutto sommato, a me questi calciatori italiani in tutina aderente (Coco incappucciato sembrava decisamente un preservativo) non stanno tanto simpatici. Non è solo un fatto di stipendi: sì, guadagneranno un po' di più di un deputato, ma creano senz'altro più indotto e più felicità della maggior parte dei parlamentari. No, è una questione di stile. Non mi piace l'italiano che rappresentano, abbronzato, ben rasato, palestrato, pubblicizza le n i k e, esce con le veline, in ritiro fonde la playstation. Scusate se insisto sul concetto, ma a me piaceva Paolo Rossi, sembrava un mucchietto d'ossa gracili e si alzava più in alto dei brasiliani per segnare di testa. Se non avessi visto lui forse non avrei mai toccato un pallone. L'idea che i muscoli non siano tutto, e che tutti giorni si rimetta la palla al centro e si possano riscattare i propri errori. Rossi veniva da una squalifica, era un modello di riscatto. Vieri, scusatemi, al massimo è un modello di p u t t a n i e r e.
– E non scordiamo la politica, eh? Berlusconi si sarebbe preso tutto il merito. Qualcuno ricorda anche che, statisticamente, un mondiale perso anticipa una crisi di governo. (Bisognerebbe avere l'onestà di ricordare che i mondiali li abbiamo persi quasi tutti, e che i governi ci cadono in media ogni uno-due anni).
-- Così magari ricominceremo a leggere qualcosa di serio sui giornali. Ieri la strage di Gerusalemme (19 ragazzi morti) sul Resto del Carlino era a pagina 21.
– E magari per un po' non sentiremo più l'Inno di Mameli. Devo dire che stavolta si è passato il segno, soprattutto con le giovani generazioni. Mia madre mi riporta che i bambini lo cantano spontaneamente alla scuola materna, compresa la strofa di Balilla, e poi quel bel ritornello, "siam pronti alla morte". Quanto a me, la mia terza l'ultimo giorno di scuola me lo cantò all'unisono in tono di insubordinazione perché non li portavo fuori. Al che io risposi: 1. Se erano pronti alla morte, erano in grado anche di passare gli ultimi cinquanta minuti in aula a parlare dell'esame di licenza. 2. Sembravano proprio una bella classe di balilla idioti e desiderosi di andare a crepare per gli interessi altrui, ero molto deluso. Forse ho esagerato, ma cavolo, era l'ultimo giorno. Poi al tema d'italiano un ragazzo si portò un tricolore e a un certo punto ci s'involtolò dentro. Gli portava fortuna, secondo lui.
A proposito, devo fare ammenda per le mie previsioni e i miei calcoli sballati. Su questo blog di cazzate ne ho scritte molte senza che nessuno me le facesse notare, ma la scorsa settimana ho sbagliato a calcolare una differenza reti e mi avete scritto in cinque. Ragazzi, onestamente ci sono cose più importanti nella vita. Perché, ammesso e persino concesso che di complotto si sia trattato, Madame, penso converrai che ci son complotti ben più gravi da denunciare oggigiorno. Per esempio…
venerdì 14 giugno 2002
Tema di punizione
È l'ultimo giorno di scuola. Scrivi una lettera al prof per dargli dei consigli per il prossimo anno. Tenete conto che siete stati la sua prima classe.
Prof, non per iniziare male, ma lei è un po' terrorizzante. Certo è simpatico quando sbatte la testa sulla cattedra o prende la sedia e ci vuole uccidere, ma la cosa terrorizzante sono: i compiti, le verifiche e i testi. Ma non si preoccupa orami noi abbiamo finito; le tratti bene le classi che avrà nei prossimi anni. La cosa che mi chiedo è: perché ci dava i compiti di punizione? Eravamo così buoni? No, scherzo, ma erano i maschi a rompere le scatole!!
Prof sono le nove e quaranta fra dieci minuti suona, quindi la mia lettera durerà poco e mi dispiace avrei voluto scrivere di più.
Arrivederci prof spero, che ci venga a trovare.
Ciao
P.S.: non è che non ne ho voglia, ma non so cosa scrivere
Neanch'io. Buone vacanze.
È l'ultimo giorno di scuola. Scrivi una lettera al prof per dargli dei consigli per il prossimo anno. Tenete conto che siete stati la sua prima classe.
Prof, non per iniziare male, ma lei è un po' terrorizzante. Certo è simpatico quando sbatte la testa sulla cattedra o prende la sedia e ci vuole uccidere, ma la cosa terrorizzante sono: i compiti, le verifiche e i testi. Ma non si preoccupa orami noi abbiamo finito; le tratti bene le classi che avrà nei prossimi anni. La cosa che mi chiedo è: perché ci dava i compiti di punizione? Eravamo così buoni? No, scherzo, ma erano i maschi a rompere le scatole!!
Prof sono le nove e quaranta fra dieci minuti suona, quindi la mia lettera durerà poco e mi dispiace avrei voluto scrivere di più.
Arrivederci prof spero, che ci venga a trovare.
Ciao
P.S.: non è che non ne ho voglia, ma non so cosa scrivere
Neanch'io. Buone vacanze.
martedì 11 giugno 2002
A casa con sei punti?
"Ma come, dico, è l'undici giugno, beccano un terrorista arabo con una bomba nucleare, c'è il congresso della Fao, la Bossi-Fini, il Polo perde a Verona, Jan è a Gaza e non dà notizie di sé, il Movimento è in crisi e lei mette su un pezzo sul calcio? Ma non si vergogna?"
Un po' sì.
Ho fatto un paio di calcoli e ho scoperto uno scenario tanto beffardo da essere quasi desiderabile – tanto si sa quel che valgono i miei auspici, no? – E allora mettiamo che domani l'Italia spinga con Vieri, Totti, Inzaghi e quanti altri, ma non riesca ad andare più in là dell'Uno a Zero. È plausibile: dopo tutto il Messico è ancora a porte inviolate.
E mettiamo che intanto la ciurma croata riesca ad insaccare… oh, non tante, appena un paio di reti: anche questo è più che plausibile: l'Ecuador ormai non ha più motivazioni (del resto era scarso anche quando le aveva).
Bene, il Messico resterebbe a sei punti, e con tre reti fatte e una subita si qualificherebbe. Massimo rispetto.
Anche la Croazia andrebbe a sei, ma con quattro reti fatte e due subite. E l'Italia? Anche l'Italia, esattamente, sei punti, quattro reti fatte, due subite (e due annullate, ma non contano più). Stessi gol fatti, stessi gol subiti, passa la squadra vincitrice nel confronto diretto, e cioè, come ben sappiamo, la Croazia.
E l'Italia andrebbe a casa. Con sei punti. Il doppio di quelli che fece nel primo girone del 1982 (mondiale vinto) e nel 1994 (mondiale perso in finale ai rigori). Insomma, andrebbe a casa per una beffa del destino, della matematica, del guardialinee. Ma con onore.
Il mondiale intanto continuerebbe, dispensando il suo oppio ad altri popoli: Bekham segnerebbe altri rigori per l'orgoglio britannico, Pochettino farebbe dimenticare agli argentini che non gli funziona più il bancomat, Ronaldo farebbe dimenticare ai brasiliani che il bancomat non l'hanno mai avuto. Ma noi italiani saremmo, per un po', fuori pericolo. Ricominceremmo a preoccuparci dei terroristi arabi con le bombe atomiche, di Gaza, della Fao, del Movimento. Per dire, la ragazza involtolata nel tricolore che dopo la vittoria con l'Ecuador disse alla telecamera: "vittorie così ci fanno sentire fieri di essere italiani" andrebbe a cercarsi qualche motivo un po' più serio, per sentirsi fiera. E per un po' anche l'Inno avrebbe finito di stressarci.
Ma allo stesso tempo, ci ritireremmo con la sensazione che non abbiamo perso. Come quando ci eliminano ai rigori: non è sconfitta, è il Destino, ma noi restiamo i migliori del mondo.
Questa è una convinzione che nessuna sconfitta riesce a toglierci: siamo i migliori. Che importa se i titolari delle nostre squadre sono per metà stranieri. Che importa se comunque queste nostre squadre non vincono nulla. Noi siamo e restiamo i migliori e il nostro campionato è il più bello del mondo.
Questo mi fa pensare a quel romanzo di Fenoglio, "Primavera di bellezza", dove si racconta del giorno in cui l'Italia entra in guerra, e nelle piazze risuona il proclama di Mussolini, e c'è un tale in una piazza che dice: "la Francia è già spacciata, all'Inghilterra do tre mesi". Non mi ricordo se siano tre mesi o più, ma ricordo che i bombardamenti iniziano quasi subito, e solo allora si scopre che l'Italia è senza contraerea.
Allo stesso modo, oggi, l'Italia è senza difesa: basta un infortunio di Nesta e si prende due gol pasticciati in contropiede: Maldini è il monumento di sé stesso, e in quanto monumento non è che si muova un granché. Poi naturalmente tutti a dar contro a quel difensivista di Trapattoni, che forse è l'unico italiano a rendersi conto che non siamo venuti da un altro pianeta, siamo una squadra come le altre.
Ecco, una eliminazione a sei punti ci impedirebbe ancora una volta di fare i conti con la realtà. Il nostro calcio è in crisi, metà delle squadre di serie A non avrebbero i soldi per iscriversi, la bolla delle pay tv è scoppiata miseramente. Le squadre più importanti, che in teoria dovrebbero essere il fiore all'occhiello di grandi gruppi economici, in realtà si finanziano con la speculazione, essendosi quotate in borsa: ovviamente, il valore delle loro azioni non ha nulla a che vedere con l'economia reale. Una volta pagavamo gli stranieri perché giocavano meglio: oggi in realtà li prendiamo perché costano meno dei nostri. Insomma, forse il nostro forse è il campionato più bello del Terzo Mondo.
Ma se domani ci mandassero a casa con sei punti, sapremmo chi è il colpevole. Il guardialinee. L'arbitro. Il regolamento. Trapattoni che non schiera cinque punte. Carraro che non veglia sui misfatti della Fifa. Tutti questi nemici del bel calcio italiano.
E tra quattro anni saremmo pronti a scommettere tutto di nuova sulla nostra nazionale, la favorita di sempre. Forza Italia. La Francia è già spacciata. All'Inghilterra do ancora due rigori.
"Ma come, dico, è l'undici giugno, beccano un terrorista arabo con una bomba nucleare, c'è il congresso della Fao, la Bossi-Fini, il Polo perde a Verona, Jan è a Gaza e non dà notizie di sé, il Movimento è in crisi e lei mette su un pezzo sul calcio? Ma non si vergogna?"
Un po' sì.
Ho fatto un paio di calcoli e ho scoperto uno scenario tanto beffardo da essere quasi desiderabile – tanto si sa quel che valgono i miei auspici, no? – E allora mettiamo che domani l'Italia spinga con Vieri, Totti, Inzaghi e quanti altri, ma non riesca ad andare più in là dell'Uno a Zero. È plausibile: dopo tutto il Messico è ancora a porte inviolate.
E mettiamo che intanto la ciurma croata riesca ad insaccare… oh, non tante, appena un paio di reti: anche questo è più che plausibile: l'Ecuador ormai non ha più motivazioni (del resto era scarso anche quando le aveva).
Bene, il Messico resterebbe a sei punti, e con tre reti fatte e una subita si qualificherebbe. Massimo rispetto.
Anche la Croazia andrebbe a sei, ma con quattro reti fatte e due subite. E l'Italia? Anche l'Italia, esattamente, sei punti, quattro reti fatte, due subite (e due annullate, ma non contano più). Stessi gol fatti, stessi gol subiti, passa la squadra vincitrice nel confronto diretto, e cioè, come ben sappiamo, la Croazia.
E l'Italia andrebbe a casa. Con sei punti. Il doppio di quelli che fece nel primo girone del 1982 (mondiale vinto) e nel 1994 (mondiale perso in finale ai rigori). Insomma, andrebbe a casa per una beffa del destino, della matematica, del guardialinee. Ma con onore.
Il mondiale intanto continuerebbe, dispensando il suo oppio ad altri popoli: Bekham segnerebbe altri rigori per l'orgoglio britannico, Pochettino farebbe dimenticare agli argentini che non gli funziona più il bancomat, Ronaldo farebbe dimenticare ai brasiliani che il bancomat non l'hanno mai avuto. Ma noi italiani saremmo, per un po', fuori pericolo. Ricominceremmo a preoccuparci dei terroristi arabi con le bombe atomiche, di Gaza, della Fao, del Movimento. Per dire, la ragazza involtolata nel tricolore che dopo la vittoria con l'Ecuador disse alla telecamera: "vittorie così ci fanno sentire fieri di essere italiani" andrebbe a cercarsi qualche motivo un po' più serio, per sentirsi fiera. E per un po' anche l'Inno avrebbe finito di stressarci.
Ma allo stesso tempo, ci ritireremmo con la sensazione che non abbiamo perso. Come quando ci eliminano ai rigori: non è sconfitta, è il Destino, ma noi restiamo i migliori del mondo.
Questa è una convinzione che nessuna sconfitta riesce a toglierci: siamo i migliori. Che importa se i titolari delle nostre squadre sono per metà stranieri. Che importa se comunque queste nostre squadre non vincono nulla. Noi siamo e restiamo i migliori e il nostro campionato è il più bello del mondo.
Questo mi fa pensare a quel romanzo di Fenoglio, "Primavera di bellezza", dove si racconta del giorno in cui l'Italia entra in guerra, e nelle piazze risuona il proclama di Mussolini, e c'è un tale in una piazza che dice: "la Francia è già spacciata, all'Inghilterra do tre mesi". Non mi ricordo se siano tre mesi o più, ma ricordo che i bombardamenti iniziano quasi subito, e solo allora si scopre che l'Italia è senza contraerea.
Allo stesso modo, oggi, l'Italia è senza difesa: basta un infortunio di Nesta e si prende due gol pasticciati in contropiede: Maldini è il monumento di sé stesso, e in quanto monumento non è che si muova un granché. Poi naturalmente tutti a dar contro a quel difensivista di Trapattoni, che forse è l'unico italiano a rendersi conto che non siamo venuti da un altro pianeta, siamo una squadra come le altre.
Ecco, una eliminazione a sei punti ci impedirebbe ancora una volta di fare i conti con la realtà. Il nostro calcio è in crisi, metà delle squadre di serie A non avrebbero i soldi per iscriversi, la bolla delle pay tv è scoppiata miseramente. Le squadre più importanti, che in teoria dovrebbero essere il fiore all'occhiello di grandi gruppi economici, in realtà si finanziano con la speculazione, essendosi quotate in borsa: ovviamente, il valore delle loro azioni non ha nulla a che vedere con l'economia reale. Una volta pagavamo gli stranieri perché giocavano meglio: oggi in realtà li prendiamo perché costano meno dei nostri. Insomma, forse il nostro forse è il campionato più bello del Terzo Mondo.
Ma se domani ci mandassero a casa con sei punti, sapremmo chi è il colpevole. Il guardialinee. L'arbitro. Il regolamento. Trapattoni che non schiera cinque punte. Carraro che non veglia sui misfatti della Fifa. Tutti questi nemici del bel calcio italiano.
E tra quattro anni saremmo pronti a scommettere tutto di nuova sulla nostra nazionale, la favorita di sempre. Forza Italia. La Francia è già spacciata. All'Inghilterra do ancora due rigori.
mercoledì 5 giugno 2002
Tienamen Libero
(Ciro Menotti occupato)
(Cartello stradale luminoso in Piazzale Bruni, Modena)
I ragazzini sono difficili, specie in fatto di Storia. Di solito sembrano refrattari a qualsiasi cosa, sei milioni di ebrei non gli fanno un baffo, Hiroshima e Nagasaki li scalfiscono appena, l'Urss crolla e loro se ne fregano. Poi magari s'imbattono in un dettaglio e iniziano a fare domande imbarazzanti. Per esempio, vogliono sapere che fine ha fatto il ragazzo della foto. Io non ne ho la minima idea, naturalmente, ma la domanda è legittima: dicono che ha fermato i carri armati, ma cos'è successo l'attimo dopo?
E poi: siamo sicuri che li volesse davvero fermare? Io ricordo altre immagini, nei giorni precedenti, di studenti che portavano cibo ai militari; quel ragazzo ha due sporte nelle mani, non vedete? Non sta fermando il carro, il carro è già fermo, tra un po' s'aprirà la botola e il compagno carrista verrà a ringraziare. A piazza Tienammen studenti ed esercito fraternizzavano. Vennero in seguito altri carri armati, da una regione lontana, gente che parlava un altro dialetto e non si fece scrupolo a massacrare. E forse allora qualcuno si mise davvero davanti a un carro armato, ma non servì a nulla, infatti foto di quel giorno non se ne vedono più. Ho contato e ho scoperto che fanno tredici anni oggi. L'età dei miei studenti. Ho dato un occhio ai giornali e mi pare non ne parli nessuno: tredici non è una cifra tonda, e poi c'è il mondiale, guarda, oggi gioca proprio la Cina.
L'immagine del ragazzo-che-ferma-il-carro-armato è tutto quello che ci resta dell'eccidio di piazza Tienammen. La deve avere usata qualche firma globale per uno spot, quando andavano di moda le "persone capaci di cambiare il mondo". Volendo essere pignoli il mondo non è cambiato, il carro armato è andato avanti, di quel ragazzo nessuno sa più niente. Ma che importa. Appena un anno dopo Andreotti riceveva Li Peng, oggi la Cina è un partner commerciale di prima importanza, ecc.. È buffo, pensando a quanti anticomunisti ci sono in circolazione, ma è così. Come dice Jang Xemin, l'Occidente deve imparare a capirci. Direi che ci stiamo sforzando.
A Modena c'è una piazza – per la verità è solo il parcheggio dello Stadio: Piazzale Caduti di Tienammen. In un angolo c'è una scuola con gli anni più belli della mia vita, quelli che ricordo meglio, tra cui l'ottantanove. Il cinque giugno, per esempio, era un giorno di sole, e forse fu la mia prima manifestazione: avevo un paio d'anni in più dei miei studenti di adesso, e mi sentivo impotente. Io non è che abbia mai pensato seriamente alla rivoluzione, da adulto, ma da ragazzino la mia idea di rivoluzione era passare giorni di sole e notti stellate in una piazza abbracciato con gli amici e le ragazze e teli di nylon trasparente per proteggersi dal freddo: era piazza Tienammen. E ora che ho una classe posso spiegare la Storia e snocciolare massacri e repressioni per ore intere senza batter ciglio, ma se mi chiedono di Tienammen mi devo voltare, sì, mi viene da piangere.
Mi pare di capire che è un problema solo mio, e che intanto la vita va avanti, le cose migliorano pian piano. Per esempio, a Modena da un anno ci sono questi cartelli luminosi che quando ti avvicini al centro ti avvisano della disponibilità dei parcheggi. E siccome un cartello deve leggersi in fretta, Piazza Caduti di Tienammen è stato tagliato in Piazza Tienammen. La prima volta fa ridere: ti metti a immaginare la Città Proibita tra la stazione delle corriere e le piscine Dogali. Col tempo non ci pensi più: solo l'attimo di dire: cazzo, Tienammen oggi è occupato, Oh, menomale, oggi Tienammen è libero.
Sotto Tienammen c'è Ciro Menotti, il famoso patriota carpigiano. Anche lui è occupato o libero, a seconda degli orari e dei giorni di mercato. E anche lui suona un po' surreale: "Ciro Menotti Libero!", è quasi uno slogan di piazza: Ciro è vivo è lotta insieme a noi!, mentre Ciro Menotti Occupato è molto ambiguo: occupato a fare che? Qualche nuova congiura?
Tutti i giorni Ciro Menotti e Tienammen si occupano, si liberano, si occupano di nuovo, la gente viene, va, ha un sacco di cose da fare. E bisogna essere proprio ipersensibili per offendersi di queste cose. L'importante è andare avanti per la propria strada, magari sapendo subito dove c'è posto per parcheggiare. A Piazza Tienammen, per esempio. Tredici anni fa caddero 3600 studenti, altri furono arrestati e messi a morte, non so quanti. Tienammen. Libera. Occupata. Se vi sembra il caso di scherzare su queste cose.
(Ciro Menotti occupato)
(Cartello stradale luminoso in Piazzale Bruni, Modena)
I ragazzini sono difficili, specie in fatto di Storia. Di solito sembrano refrattari a qualsiasi cosa, sei milioni di ebrei non gli fanno un baffo, Hiroshima e Nagasaki li scalfiscono appena, l'Urss crolla e loro se ne fregano. Poi magari s'imbattono in un dettaglio e iniziano a fare domande imbarazzanti. Per esempio, vogliono sapere che fine ha fatto il ragazzo della foto. Io non ne ho la minima idea, naturalmente, ma la domanda è legittima: dicono che ha fermato i carri armati, ma cos'è successo l'attimo dopo?
E poi: siamo sicuri che li volesse davvero fermare? Io ricordo altre immagini, nei giorni precedenti, di studenti che portavano cibo ai militari; quel ragazzo ha due sporte nelle mani, non vedete? Non sta fermando il carro, il carro è già fermo, tra un po' s'aprirà la botola e il compagno carrista verrà a ringraziare. A piazza Tienammen studenti ed esercito fraternizzavano. Vennero in seguito altri carri armati, da una regione lontana, gente che parlava un altro dialetto e non si fece scrupolo a massacrare. E forse allora qualcuno si mise davvero davanti a un carro armato, ma non servì a nulla, infatti foto di quel giorno non se ne vedono più. Ho contato e ho scoperto che fanno tredici anni oggi. L'età dei miei studenti. Ho dato un occhio ai giornali e mi pare non ne parli nessuno: tredici non è una cifra tonda, e poi c'è il mondiale, guarda, oggi gioca proprio la Cina.
L'immagine del ragazzo-che-ferma-il-carro-armato è tutto quello che ci resta dell'eccidio di piazza Tienammen. La deve avere usata qualche firma globale per uno spot, quando andavano di moda le "persone capaci di cambiare il mondo". Volendo essere pignoli il mondo non è cambiato, il carro armato è andato avanti, di quel ragazzo nessuno sa più niente. Ma che importa. Appena un anno dopo Andreotti riceveva Li Peng, oggi la Cina è un partner commerciale di prima importanza, ecc.. È buffo, pensando a quanti anticomunisti ci sono in circolazione, ma è così. Come dice Jang Xemin, l'Occidente deve imparare a capirci. Direi che ci stiamo sforzando.
A Modena c'è una piazza – per la verità è solo il parcheggio dello Stadio: Piazzale Caduti di Tienammen. In un angolo c'è una scuola con gli anni più belli della mia vita, quelli che ricordo meglio, tra cui l'ottantanove. Il cinque giugno, per esempio, era un giorno di sole, e forse fu la mia prima manifestazione: avevo un paio d'anni in più dei miei studenti di adesso, e mi sentivo impotente. Io non è che abbia mai pensato seriamente alla rivoluzione, da adulto, ma da ragazzino la mia idea di rivoluzione era passare giorni di sole e notti stellate in una piazza abbracciato con gli amici e le ragazze e teli di nylon trasparente per proteggersi dal freddo: era piazza Tienammen. E ora che ho una classe posso spiegare la Storia e snocciolare massacri e repressioni per ore intere senza batter ciglio, ma se mi chiedono di Tienammen mi devo voltare, sì, mi viene da piangere.
Mi pare di capire che è un problema solo mio, e che intanto la vita va avanti, le cose migliorano pian piano. Per esempio, a Modena da un anno ci sono questi cartelli luminosi che quando ti avvicini al centro ti avvisano della disponibilità dei parcheggi. E siccome un cartello deve leggersi in fretta, Piazza Caduti di Tienammen è stato tagliato in Piazza Tienammen. La prima volta fa ridere: ti metti a immaginare la Città Proibita tra la stazione delle corriere e le piscine Dogali. Col tempo non ci pensi più: solo l'attimo di dire: cazzo, Tienammen oggi è occupato, Oh, menomale, oggi Tienammen è libero.
Sotto Tienammen c'è Ciro Menotti, il famoso patriota carpigiano. Anche lui è occupato o libero, a seconda degli orari e dei giorni di mercato. E anche lui suona un po' surreale: "Ciro Menotti Libero!", è quasi uno slogan di piazza: Ciro è vivo è lotta insieme a noi!, mentre Ciro Menotti Occupato è molto ambiguo: occupato a fare che? Qualche nuova congiura?
Tutti i giorni Ciro Menotti e Tienammen si occupano, si liberano, si occupano di nuovo, la gente viene, va, ha un sacco di cose da fare. E bisogna essere proprio ipersensibili per offendersi di queste cose. L'importante è andare avanti per la propria strada, magari sapendo subito dove c'è posto per parcheggiare. A Piazza Tienammen, per esempio. Tredici anni fa caddero 3600 studenti, altri furono arrestati e messi a morte, non so quanti. Tienammen. Libera. Occupata. Se vi sembra il caso di scherzare su queste cose.
lunedì 3 giugno 2002
Continua da ieri (Nel frattempo l'Ecuador si è rivelata poca cosa, buona a vincere solo a 2000 metri d'altezza. Ma facciam finta di niente):
...C'è bisogno di ricordare come andò a finire? Non ce la ricordiamo tutti, la partita più tragica, più brutta che abbiamo mai visto? Quando l'Italia prese il suo primo gol con l'Argentina, perse ogni qualità. Non era abituata a un avversario capace di replicare. Schillaci non trovò il gol. Tutti andarono in confusione. L'arbitro fece durare il secondo tempo un'ora intera: nemmeno lui sembrava rassegnarsi all'idea di un'Italia non vincente. Ma l'Italia non vinse più: perse ai rigori. E mi sembra di non averla ancora mandata giù. Come: avevamo lo squadrone più forte, avevamo dominato l'Austria, la Cecoslovacchia, l'Uruguay… Ripensandoci: non è stato più giusto così? quel gran squadrone in realtà aveva dominato qualche squadretta, sembrava dover vincere per procura il suo mondiale fatto in casa, come l'Inghilterra nel '66. Mentre quell'inguardabile Argentina, sconfiggendo il Brasile e poi l'Italia, aveva ripetuto a suo modo la fiaba della piccola squadra sola contro tutti, anzi, Maradona solo contro tutti, che piange all'olimpico dopo aver rovinato la festa di milioni di persone. Per la cronaca, il mondiale lo vinse la Germania. (Questo non se lo ricordano in tanti).
Italia-Brasile, nell''82, e Italia-Argentina, nel '90, sono i due shock che hanno formato il carattere del commentatore sportivo italiano – in un Paese dove i commentatori sportivi sono almeno quaranta milioni. La tendenza all'autodenigrazione, per esempio, deriva da lì: nel 1982 parlammo male dell'Italia e vinse i mondiali, nel 1990 non facevamo che parlare di come fosse forte e li perse. Da allora crocifiggere il CT e la formazione è diventato un vero rito scaramantico, e ne sa qualcosa Sacchi. Per inciso, quattro anni dopo l'Italia fece di tutto per rispettare il copione dell'Ottantadue, con una fase iniziale se possibile ancor più disastrosa. Anzi, forse il romanzo più ricco di colpi di scena della nostra nazionale è proprio USA '94, ma ha il grosso torto di finire male. Perciò di solito ci si ricorda soltanto che Baggio sbagliò il rigore, senza ricordare che fu solo Baggio a portarci fin lì. Da lì in poi la storia non cambia: l'Italia deve giocare male prima di dimostrare che può vincere. Partì male nel '98, giocò malissimo negli europei di due anni fa.
Ma appunto: l'Italia deve giocare male. Se non altro, per rendersi simpatica. Oggi che i calciatori sono dei divi in tutine aderenti, così diversi da quegli operai dell''82, oggi che posano nudi e abbronzati, hanno una sola possibilità di rendersi più umani: perdere, pareggiare, o almeno giocare male. Se oggi prenderanno una batosta dall'Ecuador, domani saremo tutti con loro. Ma stamattina, è ancora un po' difficile. Sono ancora i rappresentanti di quell'Italia caciarona che pretende di essere sempre favorita, di avere le squadre con tutti i più grandi giocatori stranieri, e che alla prima vittoria suona il clacson e si bagna nelle fontane, perché siamo i più forti del mondo. Quell'Italia stravincente che ci siamo immaginati di essere nell''82 e nessuno ce lo ha più levato dalla testa. Mentre io preferirei tifare per una squadra tra tante, che si arrabatta tra tante e dopo mille difficoltà si ritrova in finale. (Forza Italia, comunque).
...C'è bisogno di ricordare come andò a finire? Non ce la ricordiamo tutti, la partita più tragica, più brutta che abbiamo mai visto? Quando l'Italia prese il suo primo gol con l'Argentina, perse ogni qualità. Non era abituata a un avversario capace di replicare. Schillaci non trovò il gol. Tutti andarono in confusione. L'arbitro fece durare il secondo tempo un'ora intera: nemmeno lui sembrava rassegnarsi all'idea di un'Italia non vincente. Ma l'Italia non vinse più: perse ai rigori. E mi sembra di non averla ancora mandata giù. Come: avevamo lo squadrone più forte, avevamo dominato l'Austria, la Cecoslovacchia, l'Uruguay… Ripensandoci: non è stato più giusto così? quel gran squadrone in realtà aveva dominato qualche squadretta, sembrava dover vincere per procura il suo mondiale fatto in casa, come l'Inghilterra nel '66. Mentre quell'inguardabile Argentina, sconfiggendo il Brasile e poi l'Italia, aveva ripetuto a suo modo la fiaba della piccola squadra sola contro tutti, anzi, Maradona solo contro tutti, che piange all'olimpico dopo aver rovinato la festa di milioni di persone. Per la cronaca, il mondiale lo vinse la Germania. (Questo non se lo ricordano in tanti).
Italia-Brasile, nell''82, e Italia-Argentina, nel '90, sono i due shock che hanno formato il carattere del commentatore sportivo italiano – in un Paese dove i commentatori sportivi sono almeno quaranta milioni. La tendenza all'autodenigrazione, per esempio, deriva da lì: nel 1982 parlammo male dell'Italia e vinse i mondiali, nel 1990 non facevamo che parlare di come fosse forte e li perse. Da allora crocifiggere il CT e la formazione è diventato un vero rito scaramantico, e ne sa qualcosa Sacchi. Per inciso, quattro anni dopo l'Italia fece di tutto per rispettare il copione dell'Ottantadue, con una fase iniziale se possibile ancor più disastrosa. Anzi, forse il romanzo più ricco di colpi di scena della nostra nazionale è proprio USA '94, ma ha il grosso torto di finire male. Perciò di solito ci si ricorda soltanto che Baggio sbagliò il rigore, senza ricordare che fu solo Baggio a portarci fin lì. Da lì in poi la storia non cambia: l'Italia deve giocare male prima di dimostrare che può vincere. Partì male nel '98, giocò malissimo negli europei di due anni fa.
Ma appunto: l'Italia deve giocare male. Se non altro, per rendersi simpatica. Oggi che i calciatori sono dei divi in tutine aderenti, così diversi da quegli operai dell''82, oggi che posano nudi e abbronzati, hanno una sola possibilità di rendersi più umani: perdere, pareggiare, o almeno giocare male. Se oggi prenderanno una batosta dall'Ecuador, domani saremo tutti con loro. Ma stamattina, è ancora un po' difficile. Sono ancora i rappresentanti di quell'Italia caciarona che pretende di essere sempre favorita, di avere le squadre con tutti i più grandi giocatori stranieri, e che alla prima vittoria suona il clacson e si bagna nelle fontane, perché siamo i più forti del mondo. Quell'Italia stravincente che ci siamo immaginati di essere nell''82 e nessuno ce lo ha più levato dalla testa. Mentre io preferirei tifare per una squadra tra tante, che si arrabatta tra tante e dopo mille difficoltà si ritrova in finale. (Forza Italia, comunque).
Vincere sì, ma soffrendo
Va bene, siamo tutti contenti perché la Francia ha preso un gol dal Senegal nella partita inaugurale, e in più anche stavolta l'Italia è tra le favorite. Io onestamente non me ne intendo, ma a questo punto un pronostico voglio farlo: e dico che la Francia andrà lontano, mentre l'Italia oggi potrebbe benissimo pareggiare o perdere, anzi, forse sarebbe meglio così.
Non sto remando contro: tifo Italia, come tutti. Non è una questione politica, Berlusconi non c'entra nulla, o forse sì. È una storia lunga e complicata che adesso cercherò di raccontare.
Parte da quando ero piccolo, e non sapevo di vivere nella quinta potenza mondiale: nessuno me l'aveva insegnato a scuola perché probabilmente nessuno lo sapeva. Dando uno sguardo al mappamondo era molto chiaro come l'Italia, che pure aveva un passato importante, gli antichi romani, ecc., era solo una penisola tra tante, assai meno visibile del Cile, poniamo, o dell'Arabia Saudita, per non parlare del Canada e di quell'altra nazione talmente grande da permettersi di chiamarsi con un nome lunghissimo: U n i o n e d e l l e R e p u b b l i c h e S o c i a l i s t e S o v i e t i c h e.
D'un tratto tutto cambiò, forse perché cominciavo a capire il telegiornale, o forse perché, in un pomeriggio del luglio 1982 la nostra nazionale vinse 3 a 2 contro il Brasile, con tre gol di Paolo Rossi. Quei giocatori italiani di vent'anni fa, dai nomi leggendari, in realtà fino a quel momento erano stati molto criticati, dai giornalisti giù giù sino al più umile cameriere di Bar dello Sport. Era una squadretta difensivista e smorta, che aveva rimediato tre mediocri pareggi con Polonia, Peru e… Camerun (ricordo un funebre titolo della Gazzetta: IL CAMERUN CI FA PAURA). Ad ogni modi una squadra tra tante, destinata a essere macellata tra i grandi nomi del torneo: Argentina e Brasile, per esempio.
Poi, all'improvviso, accadde qualcosa che ricordiamo tutti: la stessa squadretta, senza nulla cambiare, sconfisse Argentina e Brasile, e da quel momento fu a tutti chiaro che avrebbe vinto il mondiale, e infatti lo vinse, e vent'anni da allora mi sembra di che non abbiamo smesso di festeggiare quella vittoria inattesa, indiscutibile, che metteva la nostra penisola sopra a tante altre figure del mappamondo. Da quel momento il calcio, fino ad allora passione tutto sommato innocua, diventò una mania. La gazzetta dello sport incominciò a vendere più del corriere della sera, anche d'estate, e siccome d'estate non succedeva niente, i presidenti cominciarono a far parlare di sé comprando tutti i stranieri che trovavano sul mercato. Il nostro campionato divenne Il Più Bello Del Mondo, perché ci giocavano Zico e Maradona. Coincidenza, proprio negli stessi anni i nostri governanti cominciarono a dirci che sì, d'accordo, la mafia, la corruzione, il mezzogiorno, però malgrado tutto eravamo pur sempre la quinta potenza economica del mondo: i nostri alleati iniziarono a invitarci al G7, Craxi si mise a fare la voce grossa, e così via.
Però attenzione, io non sto dando la colpa a Paolo Rossi, che tornato al calcio dopo un anno di squalifica, tutti davano per cotto e mandò a casa i brasiliani con tre goal: la colpa è nostra, gli italiani hanno ogni tanto questi sussulti di grandeur. Ma la vittoria in Spagna è qualcosa di più: per me è sempre stato il simbolo della riscossa, dell'ottimismo della volontà, del "tu-mi-credi-finito-e-adesso-te-la-faccio-vedere". Ho un debole per le vittorie sofferte, per quel 3 a 2 che l'anno dopo il Torino inferse alla Juventus segnando tre gol in due minuti. Secondo me tutte le vittorie dovrebbero essere sofferte, altrimenti non vale.
Otto anni dopo (dopo una figuraccia in Messico che nessuno rammenta) tutto il mondo fu ospite dell'Italia-quinta-potenza, in un campionato del mondo che non sembrava poter essere vinto da altri. La squadra, intanto, era fortissima, poteva permettersi il lusso di non far giocare Vialli. C'era l'uomo del destino, un tale Schillaci che come lo mettevi su segnava, e partita dopo partita gli avversari iniziavano a scansarlo terrorizzati. C'era una difesa imbattibile, Zenga non prese un gol in cinque partite, record. E soprattutto non c'erano avversari: la Germania era il solito squadrone tutto muscoli, il Brasile stava sperimentando un nuovo ruolo, il difensore, e soprattutto, l'Argentina era inguardabile, figuratevi che aveva perso la partita inaugurale uno a zero col… col Camerun! Tutto il mondo aveva riso di lei.
C'è bisogno di ricordare come andò a finire? (il resto domani)
Va bene, siamo tutti contenti perché la Francia ha preso un gol dal Senegal nella partita inaugurale, e in più anche stavolta l'Italia è tra le favorite. Io onestamente non me ne intendo, ma a questo punto un pronostico voglio farlo: e dico che la Francia andrà lontano, mentre l'Italia oggi potrebbe benissimo pareggiare o perdere, anzi, forse sarebbe meglio così.
Non sto remando contro: tifo Italia, come tutti. Non è una questione politica, Berlusconi non c'entra nulla, o forse sì. È una storia lunga e complicata che adesso cercherò di raccontare.
Parte da quando ero piccolo, e non sapevo di vivere nella quinta potenza mondiale: nessuno me l'aveva insegnato a scuola perché probabilmente nessuno lo sapeva. Dando uno sguardo al mappamondo era molto chiaro come l'Italia, che pure aveva un passato importante, gli antichi romani, ecc., era solo una penisola tra tante, assai meno visibile del Cile, poniamo, o dell'Arabia Saudita, per non parlare del Canada e di quell'altra nazione talmente grande da permettersi di chiamarsi con un nome lunghissimo: U n i o n e d e l l e R e p u b b l i c h e S o c i a l i s t e S o v i e t i c h e.
D'un tratto tutto cambiò, forse perché cominciavo a capire il telegiornale, o forse perché, in un pomeriggio del luglio 1982 la nostra nazionale vinse 3 a 2 contro il Brasile, con tre gol di Paolo Rossi. Quei giocatori italiani di vent'anni fa, dai nomi leggendari, in realtà fino a quel momento erano stati molto criticati, dai giornalisti giù giù sino al più umile cameriere di Bar dello Sport. Era una squadretta difensivista e smorta, che aveva rimediato tre mediocri pareggi con Polonia, Peru e… Camerun (ricordo un funebre titolo della Gazzetta: IL CAMERUN CI FA PAURA). Ad ogni modi una squadra tra tante, destinata a essere macellata tra i grandi nomi del torneo: Argentina e Brasile, per esempio.
Poi, all'improvviso, accadde qualcosa che ricordiamo tutti: la stessa squadretta, senza nulla cambiare, sconfisse Argentina e Brasile, e da quel momento fu a tutti chiaro che avrebbe vinto il mondiale, e infatti lo vinse, e vent'anni da allora mi sembra di che non abbiamo smesso di festeggiare quella vittoria inattesa, indiscutibile, che metteva la nostra penisola sopra a tante altre figure del mappamondo. Da quel momento il calcio, fino ad allora passione tutto sommato innocua, diventò una mania. La gazzetta dello sport incominciò a vendere più del corriere della sera, anche d'estate, e siccome d'estate non succedeva niente, i presidenti cominciarono a far parlare di sé comprando tutti i stranieri che trovavano sul mercato. Il nostro campionato divenne Il Più Bello Del Mondo, perché ci giocavano Zico e Maradona. Coincidenza, proprio negli stessi anni i nostri governanti cominciarono a dirci che sì, d'accordo, la mafia, la corruzione, il mezzogiorno, però malgrado tutto eravamo pur sempre la quinta potenza economica del mondo: i nostri alleati iniziarono a invitarci al G7, Craxi si mise a fare la voce grossa, e così via.
Però attenzione, io non sto dando la colpa a Paolo Rossi, che tornato al calcio dopo un anno di squalifica, tutti davano per cotto e mandò a casa i brasiliani con tre goal: la colpa è nostra, gli italiani hanno ogni tanto questi sussulti di grandeur. Ma la vittoria in Spagna è qualcosa di più: per me è sempre stato il simbolo della riscossa, dell'ottimismo della volontà, del "tu-mi-credi-finito-e-adesso-te-la-faccio-vedere". Ho un debole per le vittorie sofferte, per quel 3 a 2 che l'anno dopo il Torino inferse alla Juventus segnando tre gol in due minuti. Secondo me tutte le vittorie dovrebbero essere sofferte, altrimenti non vale.
Otto anni dopo (dopo una figuraccia in Messico che nessuno rammenta) tutto il mondo fu ospite dell'Italia-quinta-potenza, in un campionato del mondo che non sembrava poter essere vinto da altri. La squadra, intanto, era fortissima, poteva permettersi il lusso di non far giocare Vialli. C'era l'uomo del destino, un tale Schillaci che come lo mettevi su segnava, e partita dopo partita gli avversari iniziavano a scansarlo terrorizzati. C'era una difesa imbattibile, Zenga non prese un gol in cinque partite, record. E soprattutto non c'erano avversari: la Germania era il solito squadrone tutto muscoli, il Brasile stava sperimentando un nuovo ruolo, il difensore, e soprattutto, l'Argentina era inguardabile, figuratevi che aveva perso la partita inaugurale uno a zero col… col Camerun! Tutto il mondo aveva riso di lei.
C'è bisogno di ricordare come andò a finire? (il resto domani)