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mercoledì 30 novembre 2016

Dialogo tra un riformista e un No

(Negli ultimi giorni, come avrete notato, volevo buttare giù qualche argomento contro la riforma costituzionale, ma la cosa mi ha lievemente preso la mano. Qui sotto c'è una specie di riassunto degli ultimi 16 argomenti, in forma di dialogo. Magari è più semplice da linkare agli amici. Magari è un modo di perderli, gli amici. D'altro canto, chi ha bisogno di amici quando ha il CNEL?)


Il CNEL ti ha mai deluso? Perché vuoi deludere il CNEL?
Ciao. Mi puoi dire in breve perché voterai No alla riforma?

Perché non mi piace.

Tutto qui?

Non sono un esperto.

Non pensi di dover dare un giudizio più completo?

Credo che non riuscirò a farne a meno, ma non significa che sia giusto. Sono una persona qualsiasi, non sono tenuto a conoscere il diritto costituzionale.

Vabbe', ma allora tutti. 

Un buon motivo per non fare un referendum.

Ma allora non cambia mai niente!

Non è necessario il referendum per cambiare la Costituzione. Basta proporre una riforma condivisa, e farla approvare ad almeno due terzi del parlamento.

Grillini e Berlusconi non l'avrebbero approvata mai.

I grillini forse no - con Berlusconi fu Renzi a strappare, dopo l'elezione di Mattarella. Ma comunque, se questo parlamento non poteva fornire una maggioranza qualificata, forse era un buon motivo per scioglierlo - tanto più che è stato eletto con una legge che abbiamo poi scoperto incostituzionale. Forse Renzi avrebbe dovuto limitarsi a cambiare la legge elettorale e poi rimandare il tutto alla prossima legislatura. Invece dopo due anni cosa abbiamo ? Una brutta riforma costituzionale che forse domenica sarà bocciata, e una legge elettorale che sarà cambiata.

Ecco, lo sapevo, ce l'hai con Renzi.

In realtà mi è capitato di votarlo, e non escludo di farlo in futuro. Ma naturalmente ce l'ho con lui.

Lo ammetti pure.

Io non è che ce l'ho con queste riforme perché le ha fatte Renzi; ce l'ho con Renzi per le riforme che ha proposto. L'impronta che dà a questa riforma è chiarissima: i sindaci al senato e l'abolizione delle province erano cose che proponeva già alle prime Leopolde, quando ancora non era nemmeno leader di una vera e propria corrente del suo partito. Le ho sempre trovate proposte sbagliate, e quindi non le voto.

Qual è la riforma più sbagliata che avrebbe proposto Renzi, sentiamo.

Probabilmente l'Italicum.

L'Italicum non è nella Riforma!

Giusto.

Voti no alla Riforma solo perché il suo ispiratore ha anche ispirato l'Italicum?

Forse non posso, ma insistere sulla bruttezza dell'Italicum non è stato così inutile, visto che alla fine hanno deciso che lo cambiano (anche perché sennò ci perdono le elezioni).

Ecco, appunto, lo cambiano: quindi ora puoi votare per la Riforma.

Sembra quasi che vogliate propormi uno scambio: mi ridate una legge elettorale decente se io vi voto la vostra brutta riforma. Ma una legge elettorale non è una moneta di scambio. E tanto l'Italicum lo cambieranno lo stesso.

Ma dimmi una cosa che non ti piace della Riforma.

Mah, per esempio, i sindaci al Senato.

Che c'è di male?

È un doppio incarico, crea conflitti di interesse.

Però così si risparmia!

Se vuoi risparmiare puoi tagliare il numero delle poltrone. Che senso ha trasformare una delle due camere in un dopolavoro per sindaci già altrimenti indaffarati?

Ma un sacco di sindaci a Roma ci va a già.

A curare - si spera - gli interessi dei cittadini del loro comune, non della loro regione.

Non è così difficile da capire. Come sindaci cureranno gli interessi del loro comune; come senatori eletti dai consiglieri regionali cureranno gli interessi della loro regione. 

Pensi che non confliggano mai?

A volte confliggeranno, ma...

In caso di conflitto, chi è che può minacciare di farli decadere? A chi devono veramente il posto?

A chi?

I consiglieri regionali non hanno l'autorità per farli decadere da senatori. Ma i consiglieri comunali possono togliere la fiducia al loro sindaco in qualsiasi momento. Avremo maggioranze in Senato che si fanno e si disfano con manovre congiunte a Ravenna o Canicattì. Ti ricordo che i sindaci/senatori sono pagati in quanto sindaci, non in quanto senatori: perché quando scoppia un conflitto d'interessi tutto ha importanza, anche il lato in cui tieni il portafoglio.

Tanto il Senato non sarà poi così importante.

Può ritardare l'attività legislativa della camera; approva le riforme costituzionali, nomina due giudici della Corte Costituzionale (che diventerà ancora più importante, ora che l'iter legislativo diventa più breve) ed elegge il presidente della Repubblica. Pensa. Una crisi municipale a Canicattì potrebbe cambiare il quorum necessario all'elezione del presidente della Repubblica.

Va bene, i sindaci al Senato non ti piacciono. Tutto qui?

Nel prossimo Senato un molisano varrà cinque marchigiani.

Eh? 

Sia ai molisani che ai marchigiani spettano due seggi, ma in Molise abita un quinto della popolazione delle Marche.

Si fa per salvaguardare le minoranze.

I molisani sono una minoranza?

No, ma gli altoatesini...

Siamo nel 2016, qual è il rischio che corrono gli altoatesini esattamente? Perché devono avere un cinquantesimo dei seggi al Senato, se non arrivano all'1% della popolazione nazionale? Perché i lucani devono avere un senatore ogni 300mila abitanti e i liguri uno ogni 800mila?

Si fa per rappresentare il territorio.

Non mi pare, altrimenti la Sicilia - che è la regione più grande - dovrebbe avere molti più senatori del Veneto. No, è solo un pasticcio causato dal fatto che hanno ridotto drasticamente il numero dei senatori, senza però rinunciare alle prerogative delle regioni a statuto speciale, e cercando ugualmente di rispettare un criterio di proporzionalità. Ma la coperta è troppo corta: o rinunci ai due seggi fissi per le province autonome, o la proporzionalità diventa una farsa. Bastava dare un occhio con la calcolatrice. Sembra che non ci abbiano guardato.

Tanto il Senato non sarà così importante. Quasi tutte le leggi le approverà la Camera e basta.

Aridagli. Ma sei sicuro?

C'è scritto così.

In che articolo?

No, non cominciare anche tu con l'articolo 70.

Hai capito cosa c'è scritto?

Non del tutto, ma mi fido.

Io no.

Lo hai ammesso all'inizio che non sei un esperto, non puoi pretendere che una materia così complessa sia...

Si poteva comunque scrivere un po' più chiaro.

Come fai a dirlo?

L'ho riscritto un po' più chiaro.

Eh, ma chi ti credi di essere?

Un insegnante di italiano.

Ok, ma non sono tutti altrettanto attenti alla prosa e alla sintassi, va bene?

Non potevano chiedere una mano?

Vuoi votare No soltanto perché un articolo è un po' scritto male?

Voglio votare No perché avevano tutto il tempo e l'agio per scriverlo meglio, e non l'hanno voluto fare. Il problema non è scrivere male, scriviamo tutti troppo e male. Il problema è scrivere male apposta.

Comunque gran parte dell'attività legislativa sarà svolta dalla Camera. Si andrà molto più spediti.

Perché?

Da: Valerio Di Porto, I numeri delle leggi. Un percorso
tra le statistiche delle legislature repubblicane.
Che razza di domanda è? 

Perché l'attività legislativa dovrebbe procedere più spedita?

Ma siamo nel Duemila, sta tutto accelerando.

Hai bisogno di leggi più nuove, più adeguate ai tempi?

Sì. 

In Italia si scrivono già molte più leggi che in altri Paesi europei, hai notato?

E con questo?

Abbiamo bisogno di leggi buone che vengano rispettate, non di leggi emanate rapidamente che magari si scoprino inapplicabili. Spesso un'eccessiva produzione di leggi nasconde il fatto che le stesse leggi non vengono rispettate. Non so se hai presente il primo capitolo dei Promessi Sposi...

Cheppalle prof. E comunque le leggi si potranno abrogare coi referendum.

Non è questa gran novità.

Ma se raccogli trecentomila firme in più, il quorum diminuirà. 

Grillo sarà contento...

Che c'entra Grillo adesso.

...ma io mi fido poco dei referendum, penso che dovrebbero essere episodi rari ed eccezionali.

Allora caschi male, la riforma introduce anche i referendum propositivi.

Quindi tra un po' faremo un referendum per uscire dall'Euro.

Eh?

Grillo è da anni che lo promette ai suoi, figurarsi se si fa sfuggire la possibilità. E se vince il sì che si fa? Si esce dall'Euro?

È fantascienza!

Già, è come pensare che... che la Gran Bretagna esca dall'Unione Europea. Anche quello era un referendum propositivo, in effetti.

Comunque avrebbe solo valore consultivo.

Già. Possiamo sempre dire al popolo che si sbaglia, che dopotutto il suo parere non ci interessa. Che grande idea questo referendum propositivo.

Immagino che avrai qualcosa da obiettare anche sulle leggi di iniziativa popolare.

Ma le iniziative popolari erano già previste.

Sì, ma d'ora in poi non scompariranno nel cassetto. Saranno realmente discusse in parlamento.

In che modo?

Scriveranno un regolamento che imporrà ai parlamentari di discuterne in tempi brevi.

Vorrà dire che le casseranno in tempi brevi.

Cosa potrà mai andar storto?
Come sei pessimista.

Sono realistico: un'iniziativa di legge popolare non ha nessuna speranza di essere approvata da un parlamento ostile. Di solito viene presentata per attirare l'attenzione, per creare un caso mediatico. Magari un po' di attesa può anche aiutare. Promettere che ne discuteranno in tempi brevi significa ammettere che la cestineranno subito.

Ma perché il parlamento dovrebbe essere ostile? Se invece è sensibile all'argomento?

Se alla Camera c'è qualche deputato interessato all'argomento, la proposta di legge può scriverla lui; non c'è nessun bisogno di fare un'iniziativa popolare e raccogliere 50.000 firme.

No, saranno centocinquantamila.

Ah già dimenticavo, le avete pure triplicate.

Così diventano più importanti.

Sì ma scusa, mi stai dicendo che nella riforma c'è scritto che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare - ma nella riforma l'unica modifica riguardante le iniziative popolari è l'aumento del numero di firme! Mi vuoi prendere in giro?

Non vogliamo prenderti in giro.

L'impressione purtroppo è quella. Per esempio quando dite che da qui in poi sarà impossibile eleggere presidenti della repubblica super partes...

Certo che sarà impossibile!

E perché?

Perché anche dopo il quarto scrutinio saranno comunque necessari i voti dei tre quinti dell'assemblea, e non soltanto la maggioranza assoluta come adesso.

Sai quanti saranno?

Te l'ho detto: i tre quinti.

E siccome gli elettori saranno 630 deputati più 100 senatori, stiamo parlando di 438 elettori, invece che 366. Comunque meno di adesso (per eleggere Mattarella ne sono serviti 665 su 1009).

L'importante è che siano i tre quinti. 

E se un partito ha i tre quinti dell'assemblea?

Improbabile.

Ma non impossibile. A proposito, ti ricordi quanti seggi da deputato metteva in palio l'Italicum a chi superava il 40% dei suffragi?

E che c'entra?

Ottantotto. Chi passava il 40% si sarebbe preso il 54% della Camera, senza nemmeno il ballottaggio.

Non sarebbero stati comunque sufficienti a eleggere... ma perché stiamo ancora parlando di Italicum? Tanto lo cambiamo.

Sei sicuro?

C'è un impegno scritto, l'ha firmato anche Cuperlo.

Possiamo stare sereni, insomma.

Vabbe', se la metti su questo piano...

No, scusa, ma in politica conta anche la fiducia, e bisogna guadagnarsela. Può darsi che cambino l'Italicum, ma non ne sono sicuro; può darsi persino che lo peggiorino. Quest'estate Orfini parlava di modello greco, un maxipremio di maggioranza al primo partito che arriva al fotofinish.

Ma cosa c'entra?

Non mi sento di escludere che con una distorsione del genere un partito conquisti davvero i tre quinti del parlamento. Aggiungi che dal settimo scrutinio chi esce non sarà conteggiato, e il quorum necessario a eleggere il presidente diminuirà.

E che c'è di male?

In una situazione di stallo anche un solo senatore potrebbe cambiare le cose, e ti ricordo che con questa riforma del Senato ci sono metodi molto curiosi per sloggiare i senatori.

E cioè? 

Farli decadere dal ruolo di sindaci o di consiglieri regionali - appena decadono smettono di essere anche Senatori, ma le votazioni vanno avanti col quorum abbassato. Una cosa abbastanza bizantina, non trovi?

Mi sembra improbabile che per eleggere un presidente facciano cadere un comune.

Tutto è improbabile finché non si realizza: guarda Trump. Però, anche se non si realizzasse mai, che fiducia posso avere di riformatori che non notano difetti così macroscopici?

Il nuovo titolo V però è sacrosanto.

Devo essere onesto?

Ti piaceva prima?

Non tanto, no - anche se l'ho votato nel 2001. Ma così è peggio.

Ma come fai a dirlo. Finalmente ha abolito le province. 

Ha solo cancellato la parola dalla Costituzione. In realtà esistono ancora. E comunque a me piacevano.

Ti piacevano le province?

Giuro. Non siamo rimasti in tanti, mi rendo conto. Ma le ho sempre trovate più sensate delle regioni. Sono modellate sui territori, racchiudono in un insieme organico un tessuto urbano e il contado circostante. Sono l'unità ottimale per la gestione dei fiumi, la prevenzione del dissesto geologico, la gestione delle strade... ma anche delle scuole e degli ospedali. Del resto nessun governante si sogna di eliminarle davvero: raschiare la parola "province" dalla Costituzione è solo un contentino che si voleva dare a grillini e soci. Pensa che la prima proposta di cancellare la parola arrivò dall'Italia dei Valori. Nel frattempo le province restano, anche se non votiamo più direttamente per i politici che le amministrano - alla faccia della tanto sbandierata accountability. Non mi dire che si fa per risparmiare, perché alla fine anche se sono fuori dalla Costituzione le province continueranno ad avere un budget. Sarà solo più difficile notarle, il che non è necessariamente un bene.

Almeno hanno lasciato le Città Metropolitane.

Una toppa che fa vedere il buco. Prima ogni italiano era cittadino su tre livelli: comune, provincia e regione. Con la nuova Costituzione ci saranno 40 milioni di cittadini su due livelli (comune e regione) e 20 milioni su tre: comune, città metropolitana e regione. Mi dà fastidio anche solo esteticamente, è un'asimmetria senza senso.

Pensi che i cittadini metropolitani siano avvantaggiati perché sono rappresentati su tre livelli?

In realtà sono svantaggiati - perlomeno quelli che non abitano nel comune capoluogo, ma in quella che ieri si chiamava "provincia", l'area periferica della città metropolitana. Sai che non hanno diritto a eleggere il proprio sindaco metropolitano? Per legge il sindaco metropolitano è il sindaco del comune capoluogo. A Napoli, per dire, lo eleggono soltanto i cittadini residenti a Napoli.

E che male c'è? È il comune più importante. 

Anche se fosse, rimane una questione di rappresentanza. E comunque gli abitanti del comune di Napoli non arrivano al milione.

E quelli della città metropolitana?

Tre milioni.

Ah. 

Più di due milioni di napoletani-metropolitani non avranno diritto di votare per il proprio sindaco metropolitano. Se poi quest'ultimo mostrasse di anteporre gli interessi del centro a quelli della periferia, sarebbe così biasimevole? Ogni politico si preoccupa di chi lo vota, non degli altri.

Questa comunque è la legge Delrio, non è propriamente la riforma costituzionale. Torniamo al Titolo V: qualcos'altro non ti convince?

Guarda, l'articolo 117 mi lascia un po' perplesso.

Quello che riconsegna allo Stato le sue competenze? Dai, ma era necessario. Quello attuale era un casino, c'è una mole spaventosa di contenziosi tra Stato e regioni...

Ecco, appunto, c'era bisogno di far chiarezza. Ma nel nuovo articolo le due liste di competenze tra Stato e regioni non sono poi così chiare.

A me sembrano chiarissime. Allo Stato tornano le competenze in materia di sanità...

...e alle Regioni la "programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali".

Allo Stato torna l'istruzione...

...e alle Regioni la "promozione del diritto allo studio". Insomma c'è ancora margine per litigare. Però devo dire che non me intendo.

Meno male. 

Ma anche se fosse un ottimo articolo, più che di riforma ormai stiamo parlando di controriforma, rispetto alle innovazioni del 2001. A proposito, tu cos'hai votato nel 2001?

Non mi ricordo. 

E nel 2006?

Per cosa abbiamo votato nel 2006?

Una riforma costituzionale.

Un'altra?

Sì, e l'abbiamo bocciata. Questa è la terza volta in 15 anni che mi capita di votare una riforma costituzionale.

Ma stavolta è più importante.

Perché?

Perché se non la cambiamo stavolta, non se ne parlerà più per anni. 

Perché?

Come perché? Se Renzi perderà...

Che c'entra Renzi? Stiamo parlando della riforma costituzionale.

Non fare il furbo.

Pensavo si dovesse discutere sul merito.

Non è così facile separare le cose. 

Già, lo sto notando. Quando cominci a notare i difetti della riforma, ti dicono che sono tutti pretesti, che ce l'hai con Renzi. Al nono o decimo difetto che trovi cominciano a dirti, ehi, va bene, non sarà perfetta ma... qui o si salva Renzi o si muore!

E non è così? Se cade lui cosa succederà?

Non credo che cadrà. Se anche dovesse perdere, difficilmente andrà sotto il 40%. Continuerà a essere un protagonista. D'Alema non tramontò col fallimento della bicamerale, anzi andò a Palazzo Chigi; Berlusconi, quando la sua riforma fu bocciata da un referendum, non fece un plissé. Renzi sta drammatizzando molto di più, ma un risultato lo porta comunque a casa.

Ma se non si faranno le riforme stavolta non si faranno più.

Ma perché? Sono 15 anni che si fanno e si difano riforme. Ah, nel frattempo Tremaglia è riuscito a inserire nella Costituzione il voto degli italiani all'estero. La Merel ci ha fatto inserire il pareggio di bilancio - insomma la Costituzione si riscrive continuamente. Perché dovremmo fermarci se Renzi perde un referendum? Anzi, è più facile pensare il contrario. Se Renzi lo vince, per qualche anno non si potrà più toccare il suo Senato senza senso. Ma Renzi non vincerà per sempre, e quella roba prima o poi bisognerà cambiarla. Meglio prima che poi, no?

Cioè stai dicendo che sarà più facile riformare la Costituzione votando No?

Non si tratta semplicemente di riformarla: si tratta di migliorarla. Non è che qualsiasi riforma vada bene: ce ne sono di migliorative e di peggiorative. Questa in certi casi rasenta il vandalismo.

Oh, ma lo sai che mi stai convincendo?

Sul serio?

No, scherzavo. 

Ti prometto che se voti No domenica, io alle prossime elezioni voto Renzi.

Come faccio a fidarmi?

Eh, ti capisco.

martedì 29 novembre 2016

Se non cambiamo la Costituzione questa volta... la cambiamo la prossima volta (anche domani)

La Stampa, ottobre 2001.

A questo punto di motivi per votare No ne ho già messi più di quindici, di cui una buona diecina nel puro merito della riforma. Qualche cosa da dire ancora mi verrebbe, per esempio sul nuovo articolo 117 che dovrebbe fare tabula rasa di un'era di sconsiderata devolution, rimediando al dilagare di contenziosi tra Stato e Regioni. Ai miei occhi inesperti sembra un po' pasticciato; c'è una lunga lista di competenze che tornano allo Stato (ad esempio, "disposizioni generali e comuni per la tutela della salute"), segue un'altra lista di "potestà legislative" riservate alle Regioni, non voci non dissimili dalla prima (ad esempio "programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali") ma in un ordine diverso. Può darsi che tutto ciò contibuisca a determinare con chiarezza ciò che spetta allo Stato e ciò che spetta alle Regioni (al primo la salute, al secondo la, uhm, programmazione dei servizi sanitari), ma così a occhio, ecco, non sembra. In mezzo la famosa clausola di supremazia "Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale" che mi sembra veramente formulata nel modo più vago possibile, come a scoraggiare da qui in poi qualsiasi rigurgito di orgoglio regionale.

Però, sapete che c'è? In fondo non me ne intendo. Magari è un buon articolo, una di quelle cose brutte ma pratiche; bisognerebbe chiedere ad avvocati o amministratori. E visto che di motivi per votare No ne ho già più che sufficienti, qui lascio la mano. Non voglio dare l'impressione di uno che sta a spulciare il testo alla ricerca del minimo errore. Tutte le cose che ho trovato fin qui erano magagne evidentissime che mi era già capitato di notare, di cui avevo già discusso qui o altrove; l'articolo 117 mi dà solo una brutta impressione, ma magari è un pregiudizio.

Ipotizziamo che si tratti proprio di un pregiudizio, e che in realtà l'art. 117 sia un ottimo articolo. Sarebbe più o meno il primo. E più che di una riforma, bisognerebbe parlare di controriforma: un ritorno al centralismo dopo la revisione del Titolo V votata da un parlamento a maggioranza di centrosinistra nel 2001 e confermata da un referendum nell'ottobre dello stesso anno, quando Berlusconi era già tornato al potere. Del resto da quando esiste questo blog lo scrivente ha già partecipato a due referendum confermativi di revisione costituzionale: nel 2001, appunto, e nel 2006. Il che mi pare un buon argomento contro uno dei mantra renziani, ovvero che se non si cambia la Costituzione stavolta non la cambiamo più. La Costituzione si cambia continuamente. Ai tempi dell'emergenza spread i tedeschi ci convinsero a inserire il pareggio di bilancio (secondo la mentalità nordica per cui se metti una legge nella Costituzione, dopo la rispetti). Tremaglia fece inserire le circoscrizioni per gli elettori all'estero. E così via.

Chiunque abbia una salda maggioranza nel Paese può cambiare la Costituzione italiana quando e come vuole. Renzi forse non ce l'ha, ma non c'è davvero motivo di pensare che a Renzi segua il diluvio. La prospettiva escatologica di alcuni renziani è abbastanza irrazionale; quanto alla fretta di Napolitano, è difficile impedirsi di pensare che l'età avanzata non giochi un ruolo. Ma noi saremo qui anche quando Renzi cadrà - e non è affatto detto che sia stavolta, anzi: potrebbe anche essere il suo più grande trionfo - ma prima o poi cadono tutti, e siamo sopravvissuti a leader che sembravano più irresistibili di lui. Se vince il Sì, per un po' occorrerà tenersi questa nuova costituzione coi sindaci al Senato e i referendum propositivi. Se vince il No, si può ricominciare a parlarne anche da subito; magari modificando quei passi che gran parte degli osservatori aveva criticato, molto prima che la riforma passasse in parlamento.

Il caso dei sindaci è il più eclatante: non c'è davvero motivo per mandarli al Senato (ci sono modi più onesti di risparmiare), salvo che Renzi lo aveva promosso a una Leopolda e da lì in poi ci si è intestardito: a una buona riforma scritta da gente esperta, R. ha preferito una riforma discutibile scritta come la voleva lui. Perché alla fine era su di lui che voleva che votassimo; la Costituzione, in fin dei conti, è un pretesto. Fosse tornato indietro sui sindaci e su qualche altro dettaglio, Renzi avrebbe avuto persino il mio voto: ma il punto è che non lo vuole, questo voto mio. Vorrebbe mettermi in minoranza, o almeno costringermi a votarlo turandomi il naso, anteponendo la paura del post-Renzi a una legge che in coscienza ritengo peggiorativa. Io ho, come tutti, paura del post-Renzi, ma non al punto di mettere la croce sotto qualsiasi schifezza. Renzi è una risorsa ma non è indispensabile: potrà durare ancora moltissimo, sia se vince sia se perde di misura. Potrà avere il mio voto, quando proporrà cose che riterrò buone: non è davvero questo il caso.

Gli altri motivi per votare il referendum

1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi.
13. Il Presidente della Repubblica non sarà necessariamente una figura sopra le parti.
14. Gli abitanti delle città metropolitane non avranno il diritto di eleggere i loro rappresentanti? Ma siete scemi?
15. Chi abolisce le Province non capisce il territorio.
16. Se passa la riforma, per un po' ce la dovremo tenere; se non passa, possiamo subito proporne una migliore.

domenica 27 novembre 2016

Chi abolisce le province non capisce il territorio

La Riforma Boschi-Renzi, com'è noto, non elimina di fatto le Province, ma le raschia via dal testo costituzionale, realizzando così una vecchia proposta dell'Italia dei Valori - ma anche Renzi, nei 100 punti di una delle sue prime Leopolde, aveva messo nero su bianco che le province andavano abolite perché costano troppo. L'ho sempre trovato un punto di vista straordinariamente miope e populista, e non ho mai smesso di scriverlo. Così perdonatemi se stavolta, invece di trovare nuove parole per spiegare le stesse semplici cose, mi limito a copiare e incollare pezzi che ho prodotto negli ultimi cinque anni, su questo blog e sull'Unita.it. 

Dalle mie parti è stato il Natale più caldo del secolo. È probabilmente un record destinato a infrangersi presto, conviene prepararsi. Temperature miti a Natale significano poca neve sull'alto appennino, precipitazioni piovose un po' dappertutto, fiumi in piena (noi ne abbiamo due abbastanza pericolosi), ponti da chiudere al traffico, e rischi di inondazioni. Per fortuna ci sono le casse di espansione, i bacini artificiali da allagare quando i fiumi arrivano a livello di guardia. E però non sono mai stati collaudati. Pare. In Regione dicono che non c'è problema, ed è sicuro che funzioneranno; anche l'Agenzia interregionale del Po è dello stesso parere, e quindi ce le teniamo così. Nel frattempo dall'altra parte dell'Appennino una procura sta indagando su tredici funzionari accusati di disastro e omicidio colposo, perché? Perché non avevano collaudato una cassa di espansione. Sembrava funzionante. Poi un giorno il Magra ha straripato e ad Aulla sono morte due persone. Più i soliti milioni di euro di danni. Collaudare la cassa d'espansione sarebbe costato meno, ma è un'operazione complessa e non del tutto priva di pericoli, che arreca disagio alla popolazione, e così alla fine non è mai la priorità di nessun funzionario o politico.

Se i politici tendono a non pensare più di tanto al territorio, non è per miopia o egoismo; semplicemente, il territorio non vota. Votano i cittadini, e i cittadini sono sempre più concentrati nei centri. Del dissesto territoriale si accorgono soltanto quando arriva la piena. Una possibile soluzione poteva passare per il potenziamento dell’ente provinciale, che ha le dimensioni ottimali per occuparsi dei problemi relativi al territorio e alla viabilità. I comuni sono troppo piccoli, le regioni troppo grandi. La provincia era perfetta: sicuramente qualcuna avrebbe potuto essere accorpata, ma in generale è l’entità territoriale che permette di gestire un fiume, una valle, una catena montuosa; l’unica in cui gli amministratori potrebbero trovare l’equilibrio tra le esigenze del centro urbano e quelle del territorio circostante.

Avremmo dovuto potenziarla. Invece a un certo punto qualcuno ha cominciato a dire che andava abolita, e a furia di ripeterlo ci abbiamo creduto tutti. Quella che resterà in piedi col decreto Delrio sarà una specie di dopolavoro dei sindaci, dove la bilancia penderà ancora di più dalla parte di chi rappresenta i centri urbani più popolati. Questi sindaci-volontari dovranno preoccuparsi di inezie come il dissesto idrogeologico praticamente gratis. Bisogna infatti risparmiare, tutte le forze politiche ci tengono molto a risparmiare e pare che il modo migliore sia non pagare lo stipendio ai politici che devono vigilare sul territorio. Il risparmio si calcola subito; i milioni di danni di una frana o di un'alluvione li conteremo poi.

Sull'abolizione delle province ho una teoria. Di solito chi ne parla come una cosa seria, fattibile, sensata... abita a Roma. Al massimo a Milano. Già i napoletani, immagino, si rendono benissimo conto che una cosa è il comune (900.000 abitanti) una cosa la provincia (tre milioni stretti stretti). Ma i milanesi, e i romani soprattutto, le province non riescono a capirle perché non le vedono. Non fanno parte della loro esperienza.

Una provincia ben gestita è una provincia che ha una rete viaria efficiente; che conosce le necessità del suo territorio; sa dove rimboschire per evitare le frane a valle; sa dove intervenire per evitare le alluvioni; sa interpretare il pericolo sismico regolamentando l’edilizia di conseguenza. Tutto questo i comuni non lo possono fare: hanno un orizzonte più corto, ogni comunità vede solo il tratto di fiume che l’attraversa. Né possono farlo le regioni, enti troppo grandi, portati per forza di cose a privilegiare le esigenze dei centri più popolati (che portano più voti) e accantonare il resto.

Molto spesso poi chi parla di abolire le province mostra di non riconoscere che un Paese non è soltanto una comunità di persone, ma è anche il territorio in cui queste persone vivono. Il fatto che alcune province, anche vaste, siano poco popolate, non dovrebbe costituire di per sé un motivo sufficiente per eliminarle. La gestione dei fiumi, delle valli, delle strade, deve essere efficace: la risposta alle emergenze deve essere pronta, anche se in quel territorio abitano poche migliaia di persone.

Ci si scandalizza del fatto che un piccolo centro, Sondrio, continui a esercitare prerogative da capoluogo, ignorando il fatto che per quanto Sondrio possa essere piccola, il territorio a cui fa capo è immenso, e separato dal resto della Lombardia da confini naturali. Non è che non si possano trasferire uffici e competenze a Bergamo, ma rimane da stabilire se sia un risparmio. Per il Tesoro magari sì, almeno nell’immediato; ma per i cittadini? I tagli hanno di buono che sul bilancio si vedono subito: le magagne, i disastri “naturali” che possono derivare da una gestione miope e lontana del territorio, all’inizio non si vedono, e comunque a calcolarli servono mesi, a volte anni.

La stragrande maggioranza degli italiani non vive in grandi centri, ma in territori diversificati dove l’organizzazione provinciale dei trasporti pubblici o delle scuole superiori ha ancora un senso.
Chi vive nell'Italia non metropolitana sa benissimo che tra comune e regione esiste un livello intermedio, che può mettere insieme il bacino di un piccolo fiume, o il contado di una città di medie dimensioni. E che certe decisioni ha più senso prenderle a Massa o Ascoli che non a Firenze o ad Ancona. Le scuole, gli ospedali, i tribunali, le prefetture, perfino le diocesi: chiunque si è posto il problema di amministrare un servizio nel territorio ha sempre preferito dividere l'Italia in pezzettini da 2000 chilometri quadrati, invece che venti enormi blocchi da trentamila.La dimostrazione di quanto sia finto il federalismo dei leghisti è tutta in decisioni del genere: blaterano di dialetti e intanto tagliano province.

Potremmo leggere questa fase di dissoluzione localistica come una fase di guerra tra la nozione di provincia e di regione: mentre le regioni trionfano (la Lega è un partito che ragiona per regioni), la nozione stessa di provincia viene messa in discussione: pare che sia una burocrazia inutile... perché debba essere inutile proprio la provincia e non la regione, non si sa. Un vero decentramento dei servizi dovrebbe avrebbe un respiro provinciale. Ma la tendenza non è questa: la tendenza è quella di trasformare venti città d'Italia in venti capitali di staterelli autonomi, e chiamarlo federalismo. Se potessimo aprire la testa di un federalista milanese e dare un'occhiata al suo "federalismo"... sospetto che ci troveremmo davanti uno Stato assoluto e accentrato su Milano, peggio che ai tempi di Lodovico il Moro; nel frattempo pero' i comuni di confine fanno i referendum per passare al Trentino (si pagano meno tasse), e in generale 'sti sudditi "lombardi" non c'è verso di farli passare per l'Hub Granducale di Malpensa: i bresciani hanno Montichiari, i bergamaschi Orio al Serio, e cosi' via.

Forse la provincia è l'esatto contrario del campanile: il luogo in cui le esigenze dei centri si armonizzavano con quelle del territorio circostante. Le province sono state, dall'Unità a oggi, le maglie di un tessuto complesso, avvinto a un territorio eterogeneo. Non a caso le loro competenze riguardano quasi esclusivamente la tutela delle terre e delle acque (e delle strade, non meno importanti). La retorica populista che in questi anni ci ha voluto convincere che le province 'non servono a niente' nasconde il nostro progressivo scollamento da un territorio che non capiamo, attirati come siamo dai Centri. Non lo vediamo nemmeno più, il territorio, dai finestrini di treni sempre più veloci; salvo spaventarci e indignarci quando lo stesso territorio si ribella, e frana o smotta. In quei casi ci accorgiamo che avrebbe dovuto essere amministrato meglio - ma da chi? La Regione avrebbe dovuto preoccuparsene, ma aveva altre priorità, legate a territori più popolati e più rappresentati in consiglio regionale. Non resterà che lamentarsi dell’emergenza che nessuno aveva previsto: e trovare da qualche parte i soldi per la ricostruzione. Se spenderemo più di quanto avevamo risparmiato tagliando le province, nessuno se ne accorgerà. Sono conti difficili, calcoli noiosi, non li farà nessuno.

Considerate le mie opinioni sulle province e sulla serietà di chi propone di abolirle, non credo che ci si possa stupire se voto No a questa riforma - è più strano che Grillo voti come me, e in effetti l'impegno che il M5S sta esibendo nella campagna per il No mi stupisce. Qui sotto gli altri motivi che ho trovato per votare No. Magari non sono tutti buoni, ma insomma, cominciano a essere tanti: 

1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi.
13. Il Presidente della Repubblica non sarà necessariamente una figura sopra le parti.
14. Gli abitanti delle città metropolitane non avranno il diritto di eleggere i loro rappresentanti? Ma siete scemi?
15. Chi abolisce le Province non capisce il territorio.


Obama tramonta, Snowden resta (ma a Riotta non va proprio giù)

Snowden (Oliver Stone, 2016)

Ricordate il giorno in cui avete pensato di coprire la webcam del vostro computer, il giorno in cui non vi è sembrata più una paranoia? Quando è successo? Difficilmente prima dell'estate del 2013. In primavera l'ex agente NSA Edward Snowden aveva abbandonato la sua postazione di lavoro alle Hawaii portando con sé in una card più di due milioni di documenti riservati dei servizi americani (e inglesi, canadesi, australiani, neozelandesi). In giugno li aveva consegnati ai reporter del Guardian che lo avevano raggiunto in una stanza d'albergo di Hong Kong. Qualche giorno dopo il suo avvocato riusciva a metterlo su un aereo. Snowden sperava di trovare asilo in Sudamerica, ma una volta arrivato in Russia, gli USA gli hanno revocato il passaporto. È ancora là.

Man mano che l'astro di Obama tramonta, è più facile accorgersi di come Edward Snowden sia una delle figure più importanti dell'ultimo decennio. Non ha semplicemente gettato una macchia sul presidente più cool di sempre; non si è limitato a rivelare segreti militari, non ha soltanto bruciato qualche agente di antiterrorismo: Snowden ci ha fatto coprire le webcam. Se prima dell'estate del '13 avevamo qualche sospetto di essere spiati dalle nostre compagnie telefoniche, da lì in poi abbiamo dovuto accettarlo: non c'è paranoia che non si stia realizzando. Ogni smartphone è una cimice, ogni videocamera fa rapporto a qualche grande fratello. A inizio 2013 sarebbe stata la premessa di un film di fantascienza distopica: tre anni dopo è già materiale per Oliver Stone.

Forse la storia più congeniale a essergli passata per le mani dai tempi di Nato il 4 luglio, a cui fin troppo somiglia. Prima di questo film la nostra idea di Snowden oscillava tra l'hacker e l'attivista per i diritti civili; ma lo Snowden di Stone è per prima cosa un veterano. Si ricomincia dal solito addestramento da accademia militare: correre nei boschi, strisciare nel fango, urlare sissignore all'istruttore. Potrebbe essere l'inizio dell'ennesimo film di guerra, se il giovane Edward non si fratturasse le ossa alzandosi dalla brande con troppo zelo. Non importa, gli spiega l'ortopedico: ci sono altri modi per servire la tua patria. Ma anche quando si dimetterà dalla CIA per scrupolo, trasformandosi in una specie di contractor privato; anche quando sceglierà di tradire il suo Paese, lo Snowden di Stone resterà a suo modo un soldato, proprio come il Kovic di Nato il 4 luglio che aveva bisogno di scoprire la militanza pacifista per rimettersi a urlare ordini ai sottoposti. Snowden è disciplinato e responsabile, Snowden valuta i pro e i contro di ogni situazione; rispetta il presidente come comandante-in-capo; prova devozione filiale per i superiori e un malcelato disprezzo per i camerati che per far carriera compiono gesti irresponsabili. E come il cecchino di American Sniperdi cui è una specie di gemello buono, ha una donna che vorrebbe proteggere e che in un qualche modo lo protegge.

Stone prende una complicata storia di leak e di intelligence e la smonta fino a trovare i fattori primi, umani, che funzioneranno anche con gli spettatori digiuni di crittografia. Se il rischio è accreditare il personaggio come un genio del computer, Stone lo corre volentieri. Non ha mai avuto la mano leggera, ma forse in questo caso c'era proprio bisogno di trasformare entità astratte in immagini potenti. La webcam che diventa un occhio: un ragazzino con la camicia in fuori che in qualche ufficio dall'altra parte del mondo può spiarti l'account facebook per antiterrorismo o per capriccio. Stone preferisce girare all'estero, ma quel che vuole realizzare è proprio il caro vecchio blockbuster americano: non esita a mettere al centro una storia d'amore; ce la mette tutta pur di inserire sequenze che non stonerebbero in film di spionaggio o di azione. E come Michael Moore, sente l'esigenza di ricordarci a ogni pié sospinto che è altrettanto americano dell'America che sta criticando (continua su +eventi!)


A Washington c'è un posto dove gli innamorati
mettono i lucchetti?


Snowden non è il film più avvincente dell'anno, ma è un utile ripasso su una delle figure più importanti dei nostri tempi, e tutto sommato ha senso che l'abbia realizzato un regista che condivide lo stesso ambiguo amore per la sua patria. Joseph Gordon-Levitt forse esagera col mimetismo, ma non è mai stato così bravo. Va da sé che si tratta della storia di Snowden secondo Snowden e i suoi avvocati; ma è un film abbastanza onesto da farci capire anche il punto di vista dei cattivi. Lo trovate all'Aurora di Savigliano alle 21:15.

PS: per un approccio più completo, segnalo questa epica recensione di Gianni Riotta sulla Stampa, che vi riassumo per sommi capi e per divertimento:

Primo paragrafo: nel 1932 Walter Duranty, un giornalista del NYT vinse un Pulitzer con un'inchiesta filostalinista (che c'entra con Snowden, vi chiederete? Dopo lo spiega);

secondo paragrafo: Zizek è affascinato da Trump e Stone bazzica il Cremlino: Putin gli avrebbe affidato un documentario sull'Ucraina (in realtà Stone ha prodotto un documentario di un regista ucraino naturalizzato negli USA, vabbe', dettagli);

terzo e quarto paragrafo: l'avvocato russo di Snowden è un uomo di Putin, Snowden è una sua marionetta, anche Stone è una sua marionetta e inoltre a una festa ha messo una mano sul collo della documentarista Laura Poitras. Nel romanzo che l'avvocato russo ha scritto sul caso Snowden tutti i nomi sono cambiati, il che non c'entra veramente nulla col film ma Riotta si mette a elencarli, per dimostrare che ha letto il libro (e il film, lo avrà visto?);

quinto paragrafo: Snowden ha arrecato gravissimi danni al controterrorismo, almeno a detta delle agenzie americane e francesi di controterrorismo. Kerry voleva arrestarlo, invece Oliver Stone ci ha fatto un film. È un regista che ha vinto degli Oscar, ma anche a un giornalista stalinista una volta hanno dato un Pulitzer, vi ricordate? Credevate che Riotta fosse andato fuori tema, eh? E invece no, tutto torna. E il film? Beh, il film lo liquida in una riga: "girato con telecamerine spia per effetto, è intriso di «superparanoia». Capita, come capitò a Duranty, cui, 90 anni dopo, vorrebbero togliere il Pulitzer". In realtà non risulta che Duranty fosse affetto da superparanoia, con o senza virgolette. L'ossessione di Riotta per un vecchio premio Pulitzer ha radici abbastanza contorte: qualche anno fa Glenn Greenwald (nel film è Zachary Quinto) definì un intervento di Riotta su Snowden "the opposite of journalism". Qualche mese dopo vinse il Pulitzer, appunto, per lo scoop su Snowden. Si vede che il critico cinematografico della Stampa se l'è legata al dito.

sabato 26 novembre 2016

Due milioni di napoletani (e tanti altri di italiani) non avranno il diritto di eleggere il loro sindaco metropolitano

La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato (articolo 114 della Costituzione riformata).

Le città "metropolitane" (Scusate le virgolette,
ma Cagliari e Messina che ci fanno?)
La bruttezza si vede dai dettagli. È un'improvvisa assimmetria, uno sbrago fatto per imprudenza o per distrazione e poi abbandonato lì - o magari valorizzato, come mettere una cornice intorno a una crepa dell'intonaco sperando che gli ospiti la prendano per arte contemporanea. L'Italia in cui sono nato e cresciuto, quella che mi piaceva insegnare a scuola, era divisa in comuni, province e regioni. Tre livelli amministrativi, come in tutte le democrazie europee simili per popolazione e superficie.

I comuni erano il livello più vicino al cittadino, che da trent'anni può scegliere il sindaco di persona; le province univano intorno ai centi storicamente più rilevanti i comuni meno abitati, riprendendo una gerarchia che si è formata spontaneamente a volte prima del medioevo, la dialettica tra borgo e contado, i confini ancora culturalmente percepibili di alcune signorie. Le ho sempre trovate, salvo qualche assurda esagerazione recente (la Brianza o Fermo nelle Marche), le unità più adatte alla tutela del territorio, specialmente quando sono definite dal bacino di un fiume, dall'estensione di una vallata.

Le regioni hanno una storia più recente (e controversa), ma abbiamo imparato a riconoscerle appese alle pareti scolastiche, in quella cartina politica dell'Italia tutta colorata, e ci siamo affezionati - anche se per la maggior parte sono diventate operative solo nel 1970: da lì in poi ogni progetto di federalismo ha dato per scontato che i mattoni dell'Italia fossero le regioni, il che probabilmente non ha giovato al federalismo stesso.

L'Italia era dunque fatta di Comuni, di Province, di Regioni. Ogni italiano era cittadino di un comune, di una provincia, di una regione. A un certo punto si sono fatte strada anche le Città Metropolitane, anche se il percorso è stato molto accidentato. L'idea originaria, mutuata da altre esperienze europee, era riconoscere uno status particolare alle province più popolate, quelle che gravitano intorno alle metropoli: e dunque Roma, Milano, Napoli, le altre altre sei province che raggiungono il milione di abitanti (Torino, Palermo, Bari, Catania, Firenze, Bologna), altre metropoli storiche (Genova e Venezia) e Reggio Calabria, non so il perché. Le regioni a statuto speciale hanno il diritto di promuovere altre province a Città metropolitane, e quindi la Sardegna ha incoronato Cagliari (neanche mezzo milione con tutta la provincia) e la Sicilia Messina, che poverina, tra Palermo Catania e Reggio si sarebbe sentita un po' la Cenerentola. Ma vabbe'.

In tutto gli abitanti di queste città metropolitane raggiungono la ragguardevole cifra di venti milioni di abitanti. Gli altri 40 milioni di italiani non abitano in una città metropolitana, ma in una provincia. O dovrei dire "abitavano", perché le province non esistono più. La riforma costituzionale le abolisce.

D'ora in poi alcuni cittadini saranno abitanti di un comune e di una regione (due livelli), e altri di un comune, di una Città metropolitana e di una regione (tre livelli). Che senso ha? Perché venti milioni di cittadini meritano tre livelli e altri quaranta soltanto due? Qual è la differenza, qual è la logica per cui chi abita a Reggio Calabria avrà tre livelli e chi abita a Crotone soltanto due?

Si risparmia.

Ma non si risparmiava di più a eliminare un intero livello per tutti? Perché lasciarlo soltanto per alcuni? Se è utile per loro, perché non dovrebbe essere utile anche per gli altri?

In realtà a veder bene gli italiani metropolitani non sono i favoriti dalla riforma. I non metropolitani, è vero, hanno perso il diritto di votare per i loro rappresentanti a livello provinciale. Ma anche se è stata completamente raschiata dalla costituzione la Provincia esiste ancora: ha conservato i vecchi confini ma è diventata un ente amministrativo di secondo livello, ovvero il presidente e i consiglieri sono eletti dai sindaci e dai consiglieri dei comuni che ne fanno parte. La Città metropolitana invece nella costituzione c'è ancora. Ma forse è incostituzionale.

Infatti non è più retta da un presidente di regione, ma di un "sindaco metropolitano" che è... il sindaco del capoluogo. Ovvero: gli abitanti del comune di Rho sono anche abitanti della Città Metropolitana di Milano, ma non votano per il sindaco metropolitano di Milano. Devono fidarsi di quello che hanno scelto per loro gli incliti abitanti di Milano, che è pur vero, in quella città metropolitana saranno la stragrande maggioranza.

E allora pensate all'abitante di Pozzuoli. Fa parte di una grande Città metropolitana di tre milioni di abitanti, e il suo sindaco metropolitano sarà De Magistris. Potrà votare per lui? No. Potrà votare almeno per un suo contendente? No. L'abitante di Pozzuoli verrà amministrato da un sindaco metropolitano per il quale non potrà votare. Pazienza, dirai, Pozzuoli è piccola e Napoli è grande. Maledetti fetusi, rispondo io, il comune di Napoli non fa un milione di abitanti e la sua Città metropolitana ne fa tre. Poi ve la prendete coi grillini ignoranti, ma chi è che ha lasciato passare una legge che trasforma gli abitanti del comune di Napoli in cittadini di serie A e quelli di Pozzuoli e tutta l'hinterland del Golfo - la maggioranza - in cittadini di serie B? Se poi il sindaco metropolitano privilegerà gli interessi dei primi a scapito dei secondi, ce la prenderemo con lui o con i pericolosi imbecilli che hanno fatto passare una legge del genere?

Vediamo dunque come il nuovo articolo 114 della Costituzione, combinato con l'oscena legge Delrio del 2014 trasforma il cittadino di Pozzuoli in un qualcosa di diverso al cittadino di Piadena (CR).

- Il cittadino di Pozzuoli può eleggere i suoi consiglieri comunali e il suo sindaco. Anche quello di Piadena.

- Il cittadino di Pozzuoli vota per eleggere il consiglio regionale della Campania e il presidente della stessa Regione. Il cittadino di Piadena vota per eleggere il consiglio regionale della Lombardia e il presidente della stessa Regione.

- Riguardo al livello intermedio (si dice "Area Vasta": la bruttezza si infila in ogni fessura), il cittadino di Piadena è amministrato dagli organi provinciali (consiglio provinciale, assemblea dei sindaci, presidente di provincia) della provincia di Cremona. Non li ha eletti lui - tranne il suo sindaco - ma sono stati eletti da un'assemblea di delegati eletti da tutti gli abitanti della provincia di Cremona, tra cui anche lui. Il cittadino di Pozzuoli no. Il cittadino di Pozzuoli si attacca. Bisognava risparmiare e si è risparmiato lì. Il cittadino di Pozzuoli abita in un'Area Vasta in cui comanda il sindaco di Napoli, eletto solo a Napoli. Fine.

Tutto questo secondo me è anticostituzionale, ma magari mi sbaglio. Però non mi sbaglio se dico che è brutto. Peraltro, se le province esistono ancora, perché Renzi ha voluto sbianchettarle da tutti gli articoli della Costituzione (riprendendo una vecchia proposta dell'Italia dei Valori)? Per cercare di ingraziarsi i grillini che sognano di tagliare milioni di budget con "l'abolizione delle province"? O perché è un modo di creare le premesse per abolirle davvero, in un secondo momento? In altre parole, visto che qui si crede che abolire le province sia un gesto sconsiderato: quando Renzi e Boschi parlavano di toglierle, quando le hanno cancellate dalla loro bozza di costituzione, erano sconsiderati in buona o cattiva fede? Non lo so e tutto sommato non m'interessa: non saprei neanche dire quale delle due possibilità mi sembra più grave. In entrambi i casi trovo il tutto brutto brutto in modo assurdo, e voto No.


1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi.
13. Il Presidente della Repubblica non sarà necessariamente una figura sopra le parti.
14. Gli abitanti delle città metropolitane non avranno il diritto di eleggere i loro rappresentanti? Ma siete scemi?

giovedì 24 novembre 2016

No, non sarà così impossibile eleggere un Presidente della Repubblica di parte

Ma insomma questa riforma è tutta da buttare? Diciamo che ci sono cose assurde e altre quasi accettabili, che uno sarebbe tentato di mandar giù. L'elezione del presidente della Repubblica, dai, in fin dei conti potrebbe anche funzionare... Poi però accendi la tv, vai su internet, e ascolti gli imbonitori del sì, la loro retorica da fustino dixan fuori tempo massimo: lo stesso dettaglio che a te sembrava quasi passabile, cercano di vendertelo come una mountain bike col cambio shimano. Siori e Siori ci vogliamo rovinare! L'articolo 83 della nuova Costituzione è un baluardo contro qualsiasi deriva autoritaria!

Nientemeno?

Con l'articolo 83 della nuova Costituzione sarà matematicamente impossibile eleggere un Presidente della Repubblica che non sia al di sopra delle parti.

No, scusa, ripeti.

Con l'articolo 83 sarà ma-te-ma-ti-ca-men-te impossibile eleggere...

Hai detto matematicamente?

Ma-te-ma-ti-ca-men-te.

E va bene, vediamo questa matematica.

L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi della assemblea. Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea. Dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti (dall'articolo 83 della Costituzione riformata).

L'attuale presidente della Repubblica è stato eletto il 31 gennaio 2015 con 665 voti su 1009. Siccome era la quarta votazione, il quorum necessario era appena sceso da 673 (due terzi dell'assemblea) a 505 (la metà più uno). Quindi la coalizione di governo, coi suoi 610 grandi elettori, avrebbe potuto eleggerlo da sola. In futuro invece di una coalizione potremmo avere un partito solo (se si continua a puntare sul maxipremio di maggioranza). Aumenta quindi il rischio che i capi del governo, forti della maggioranza alla Camera, facciano nominare al Quirinale un inquilino su misura - in fondo anche stavolta la sensazione è che Mattarella lo abbia scelto Renzi, litigandoci con Berlusconi: figuriamoci nel giorno in cui un post-Renzi guidasse un monocolore. Di fronte a questo grosso rischio, che alcuni chiamano deriva autoritaria e io chiamo presidenzialismo, gli imbonitori del Sì scuotono la testa: ma come, non avete visto il nuovo fiammante articolo 83? Di qui in poi sarà matematicamente impossibile imporre un candidato senza concertarlo con la minoranza.

Ma-te-ma-ti-ca-men-te.

Sarà. Senz'altro le discussioni si ridurranno, com'è ovvio che succeda in un'assemblea che si riduce di un terzo: dai mille-e-qualcosa di adesso a 730 (cento senatori più 630 deputati). Mettersi d'accordo è più facile quando siamo in meno: è anche più difficile mimetizzarsi nella folla, come fecero i misteriosi 100 che impallinarono Prodi nel 2013. Dunque durante i primi tre scrutini la maggioranza necessaria sarà di 487 grandi elettori, contro i 673 di adesso. Al quarto, se bastasse la maggioranza più uno come adesso, diventerebbero 366 anziché gli attuali 505. Ma con la nuova regola dei tre quinti, baluardo matematico contro la deriva autoritaria, ne serviranno 438. Se qualcuno d'ora in poi vi chiede la definizione matematica di baluardo democratico, ebbene, pare che in un'assemblea di 730 elettori essa si assesti intorno a 438-366=72. Settantadue voti. Un decimo dell'assemblea stessa. (Tre quinti meno un mezzo fa appunto un decimo). Ha un senso?

Magari persino sì, un senso ce l'ha. Ma sapete cosa c'è di buffo? Mentre i nostri nuovi padri costituenti decidevano che il voto di un decimo dell'assemblea è una garanzia democratica, negli stessi palazzi, a volte persino nelle stesse stanze, si stava pensando seriamente di assegnare a chi otteneva almeno il 40% dei suffragi il 54% dei seggi: quella simpatica legge che chiamiamo "Italicum", sulla quale Renzi decise di chiedere la fiducia al parlamento, e che è tuttora legge della repubblica (certo, hanno detto che la cambieranno. Ma prima bisogna mettere la crocetta sul Sì). Tra il 40% (252 seggi) e il 54% (340) c'è una differenza di 88 seggi. Ok, non ci eleggi un presidente della Repubblica, con 340 seggi. E chissà che situazione puoi trovare al senato. Ma intanto ricordiamo che l'Italicum voleva regalare 88 seggi al primo partito, per una questione di "governabilità". L'italicum sparirà, e cosa prenderà il suo posto? Non si sa.

Però quest'estate a Orfini piaceva il modello greco (quello che nel frattempo è stato abbandonato anche in Grecia). Un maxipremio al primo partito, senza ballottaggio. Nel parlamento greco (300 seggi), il maxipremio era di 50: un sesto dell'assemblea. Non è servito né a evitare crisi di governo, né governi di coalizione, né referendum inutili. Ma pensiamo a una cosa del genere in Italia: un centinaio di seggi alla Camera da regalare al primo arrivato per la "governabilità". Capite dove voglio andare a parare? Con una legge del genere, che forse è quella che è stata promessa a Cuperlo, non sarà poi così difficile per un partito trovare quei 438 voti necessari a eleggere come presidente della repubblica un caro vecchio amico non necessariamente super partes (anche Cuperlo - lo dico con simpatia, non sarebbe poi così male Cuperlo).

E comunque, se anche non riuscisse a trovarli, c'è sempre il settimo scrutinio. Da lì in poi il quorum dei tre quinti va ricalcolato sul numero di elettori che si presenta effettivamente a Montecitorio: se non entrano, il quorum diminuisce. Viene in pratica introdotto il silenzio-assenso. A cosa serve? A prima vista sembra una foglia di fico offerta alle minoranze per coprirsi coi loro elettori nel momento in cui cedono a un'offerta irrifiutabile. Mettiamo che abbiano tuonato davanti alle telecamere per giorni e giorni: "Noi Cuperlo mai!" Mettiamo che alla fine abbiano deciso, in cambio di qualcosa, di accettare pure Cuperlo. Non c'è bisogno di votarlo: basta uscire dall'aula e abbassare il quorum. Funzionerà? In altri tempi magari avrebbe funzionato, ma adesso come si fa? Uscire dall'aula ti espone ancora più che restare dentro. All'interno almeno il voto è segreto. Là fuori ci sono le telecamere, appunto, e se proverai a dire che tu non hai votato, che tu ti sei astenuto, ti rideranno in faccia. E un Cuperlo eletto in seguito al ritiro di un'intera delegazione di deputati o senatori non avrà molti motivi per considerarsi "presidente di tutti". Oggi tutto è discusso, tutto è condiviso, tutto è drammatizzato. È curioso che questa nuova generazione di padri costituenti non se ne sia resa conto: sono quelli che hanno l'iphone, mica il telefono a gettone. Eppure.

Ci sono poi altre possibilità di abbassare artificialmente il quorum: abbiamo già visto che un sindaco-senatore può essere in qualsiasi momento destituito dal suo consiglio comunale. Il voto decisivo per eleggere Cuperlo potrebbe saltar fuori dal consiglio comunale di Vipiteno! Se la situazione è grave si potrebbe anche mandare all'aria un consiglio regionale. Vengono sempre in mente quei vecchi conclavi in cui la mortalità dei cardinali impennava.

Ricapitolando: i riformatori sostengono che nessun partito, anche qualora trionfasse alle elezioni, potrebbe nominarsi un presidente della repubblica senza il consenso di almeno parte della minoranza. Questo perché anche dal quarto scrutinio in poi non basterebbe metà dell'assemblea (366 seggi), ma servirebbero i tre quinti (438). In realtà è difficile capire cosa potrebbe succedere, finché non sappiamo che legge elettorale sarà approvata; e in caso di legge elettorale alla greca, con maxipremio, quei 438 seggi potrebbero davvero essere a portata di mano del partito di maggioranza. Neanche la possibilità di abbassare il quorum ulteriormente, a partire dal settimo scrutinio, non calcolando gli elettori assenti, sembra una garanzia di pluralità: tutto il contrario. E quindi insomma neanche qui c'è nulla che mi spinga a votare Sì: e ho già tanti altri motivi, si è visto, per votare No:

1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi.
13. Il Presidente della Repubblica non sarà necessariamente una figura sopra le parti.


mercoledì 23 novembre 2016

Referendum propositivi? Cosa potrà mai andare storto?

Al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche, la legge costituzionale stabilisce condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d’indirizzo, nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali (dall'articolo 71 della Costituzione riformata).

A proposito di leggi di iniziativa popolare: sono passati quasi due anni da quando Beppe Grillo presentò trionfante le 50.000 firme (raccolte in un week-end) che chiedevano l'istituzione del referendum propositivo. Il piano di Grillo, un po' tortuoso, prevedeva poi di raccogliere altre firme per indire un referendum che avrebbe proposto al governo di uscire dall'Euro (ripeto perché secondo me è bellissima: Grillo non ha mai direttamente chiesto di uscire dall'Euro; Grillo ha raccolto firme per proporre una legge che istituisse un referendum per proporre agli italiani di uscire dall'euro).

L'iniziativa di legge popolare m5s si è arenata, com'era ovvio: in compenso Renzi ha fatto inserire il referendum propositivo in Costituzione. Non è l'unico caso in cui i due sembrano in sintonia: Grillo tuona contro le auto blu, Renzi le mette su ebay. Grillo vuole tagliare gli stipendi ai politici, Renzi propone un senato di dopolavoristi. Grillo vuole chiudere Equitalia, Renzi la chiude. Grillo voleva il referendum propositivo. Renzi lo introduce. Cosa potrà mai andare storto? Si tratta solo di chiedere ogni tanto un parere al popolo. Ragionevole, no?

No, niente. 

Vi è piaciuta questa campagna elettorale? A me non è sembrata così violenta come dicono in giro, ma è anche vero che non guardo i talk show. Comunque pensate: tra un anno potremmo avere un bel referendum propositivo sull'Euro. Perché no? E chissà come andrà a finire, eh? Negli ultimi due anni abbiamo avuto due meravigliosi esempi: la Grecia e la Gran Bretagna. Parliamoci chiaro: Grillo è un populista, è il suo mestiere, lo fa con una certa grazia istintiva. No, non gli farei gestire il mio condominio (ma neanche lui si proporrebbe). Renzi per contro è un politico con ambizioni di statista. Cosa gli sta dicendo il cervello? Se dopo la calda estate greca del '15 e la Brexit del '16 ha ancora voglia di subire o indire referendum propositivi, qualcosa veramente non va. Non abbiamo già abbastanza problemi? Lo chiedo a tutti quelli convinti che se vincesse tra dieci giorni poi Renzi avrebbe campo libero per cinque o dieci anni: ma avete capito che campo minato ci aspetta se passano i referendum propositivi?

Il caso greco è particolarmente istruttivo. A inizio di luglio il governo greco chiede ai propri cittadini un parere sul pacchetto di misure proposte (imposte) da Bruxelles. Il popolo greco risponde di no - e d'altro canto sarebbe stato molto curioso il contrario. Ti chiedono un parere su aumenti di tasse e licenziamenti, cosa dovresti rispondere? No. Festa di piazza, il popolo ha parlato, Varoufakis si dimette, ufficialmente per non ostacolare le trattative. Tre settimane dopo il governo greco accetta un pacchetto di misure sostanzialmente più aspre di quelle che erano state sottoposte a referendum. Perché questo è il bello dei quesiti propositivi: fanno populista e non impegnano. In fondo Tsipras non aveva mica scritto sulla scheda "rifiuti qualsiasi tipo di pacchetto". Se ne rifiuti uno pesante, non è detto che quindici giorni non ti vada di mandarne giù uno più pesante. Però ti ho chiesto un parere, non è bello chiedere i pareri?

Ma perché Tsipras e Varoufakis chiesero un parere? Non erano già i legittimi rappresentanti del popolo greco, autorizzati dal voto popolare? In teoria sì. In pratica:


Come cercò di spiegare Varoufakis in uno dei tweet più belli di sempre: noi abbiamo preso solo il 36% dei voti, non ci si può mica aspettare che prendiamo una decisione tanto grave! Per una decisione del genere abbiamo bisogno almeno del 50%+1. Una dimostrazione più evidente di quanto sia sbagliato il maxipremio di maggioranza non si potrebbe avere - ci torno su perché a quanto pare il "modello greco" continua a interessare ai nostri riformatori: un bel premio di seggi al partito che arriva primo e amen. Ecco: in Grecia non solo non ha assicurato la governabilità (due elezioni in tre mesi), ma ha creato una specie di crisi di legittimità: quando rappresenti soltanto un terzo dei tuoi elettori, fai oggettivamente fatica a imporre agli altri due terzi delle misure impopolari. Sai benissimo che è la tua fine politica. E allora chiedi un parere: referendum consultivo. Ma funziona?

Il referendum di indirizzo è una strana creatura che sorge spontanea nella putrefazione dei corpi intermedi, e si nutre della mancanza di visione dei leader. Cameron è contrario a uscire dall'Unione Europea, ma non riesce a imporre la sua linea a parte dei Tories: indice un referendum (a cinque mesi dal voto sulla Brexit, i britannici non hanno ancora capito come usciranno dall'UE. Pensavano che non servisse un voto del Parlamento - l'Alta Corte ha detto che serve. Forse serve anche il parere di quello scozzese, di quello gallese, forse, non si sa). Grillo non osa dirsi contrario all'Euro: Grillo propone un referendum. Se poi crolleranno le borse non sarà mica stata colpa sua, lui mica voleva uscire, lui voleva solo chiedere un parere. Tsipras e Varoufakis vincono col 35% il gran premio delle elezioni greche, ma non hanno poi tutta questa voglia di recitare la parte dell'antipatico che impone le tasse anche al restante 65% - sicura garanzia di perdere il gran premio successivo. E allora indicono un referendum. Non sai quel che vuoi? Lo chiedi ai tuoi elettori, lo sapranno loro. I tuoi elettori hanno idee più confuse delle tue? Eh, sarà colpa del suffragio universale, dell'era postfattuale, delle notizie finte su facebook. E andiamo avanti così. Il referendum consultivo è il lato oscuro della governabilità: in teoria vai spedito, non accetti compromessi, e ci vediamo tra 5 anni. In pratica, appena ti tocca imporre una tassa in più, una norma in più, sei fregato. Sai che gli elettori se la prenderanno solo con te. Fai una mossa laterale: chiedi un parere al popolo. Provi a responsabilizzarlo. Cosa potrà mai andare storto? Non so, chiedete a Cameron: il popolo non vuole responsabilizzarsi e trascina il Paese in un guaio enorme. Chiedete a Tsipras: il popolo non vuole un pacchetto ma alla fine gliene fai mandare giù uno più pesante.

Io credo nella democrazia rappresentativa, che cerca di rimediare alla non specializzazione degli elettori offrendo loro delle figure intermedie, che sappiano dimostrare la propria competenza e autorevolezza. Non disprezzo chi raccoglie firme - è una degna forma di lotta - ma non credo nei plebisciti, non credo nelle scorciatoie populistiche. Si capisce che chi vuole governare senza avere il 50% del voto popolare sarà spesso tentato di indirne uno per rafforzare la propria posizione (in fondo è quello che Renzi sta facendo in questi giorni, salvo che adesso usa la Costituzione come pretesto). Mi sembra tutto sbagliato: credo che l'esecutivo deve essere espressione di una maggioranza solida, rappresentante una netta maggioranza del Paese, magari messa assieme mediante coalizioni, patti, alleanze e inevitabili compromessi. Credo nel meccanismo di delega, temo che trasformare i partiti in comitati elettorali li renda fragili e incapaci di articolare qualcosa che non sia funzionale alla carriera del leader di turno. I referendum propositivi rappresentano tutto quello che secondo me non va nella politica di oggi: ovviamente di fronte a questa brutta e miope riforma che cerca di introdurli voto No. (E non prendetevela con me se Grillo fa la stessa cosa: è lui l'incoerente).

(Gli altri motivi:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi).

martedì 22 novembre 2016

Non fare il furbo con le leggi di iniziativa popolare, Matteo Renzi

Ho questa idea, che a Matteo Renzi la democrazia partecipativa non interessi poi molto. Non è il suo genere - lui è un decisionista, uno che ha delle idee e le realizza: ascoltare le proposte degli altri non è nel suo stile. Le uniche riunioni a cui partecipa volentieri sono quelle in cui parla lui. Epperò si è ritrovato a scalare il potere nel periodo in cui tutti parlavano di democrazia partecipativa, e anche lui a un certo punto ha dovuto imparare la canzone e cantarla. A una Leopolda lanciò il Wikiprogramma: ve lo ricordate il Wikiprogramma? No, perché non è mai esistito. Un po' come "la piattaforma" del M5S: per molto tempo sia Renzi che Grillo hanno continuato a dire che avrebbero deciso gli attivisti sul web - senza preoccuparsi di fornire agli attivisti uno strumento. Alla fine Grillo ha mantenuto più di Renzi, il che è tutto dire. Però Renzi ha fatto riscrivere la Costituzione, e non ha senz'altro mancato l'occasione di farci entrare un po' di democrazia partecipativa, vero? Vero?

Lo si è già visto con l'approccio tiepido al referendum abrogativo: l'atteggiamento di Renzi è abbastaza gattopardesco. Si cambia qualche cosa per dare l'impressione che si stia cambiando qualche cosa. Nel caso dell'abrogativo, si ritocca appena appena la soglia del quorum quando si raggiungono le 800mila firme. In compenso avrete sentito dire che ha introdotto altri due strumenti: il referendum propositivo e le leggi di iniziativa popolare - queste ultime in realtà esistevano già, ma ora la Camera sarà obbligata a discuterle, mentre prima a quanto pare le lasciava in un cassetto. Gli avvocati del Sì insistono molto su questa cosa: prima raccogliere firme per presentare una legge in parlamento era fatica sprecata, mentre da qui in poi si cambia, vedrete che roba, discussoni sprint. Lo stesso Violante, in quello che rimane a oggi l'intervento più organico e autorevole in favore del Sì, lo fa presente un paio di volte: finalmente con la riforma il parlamento sarà obbligato a recepire le leggi di iniziativa popolare. Certo, servirà il triplo di firme in più, ma...

Il triplo di firme in più?

Chi è sopravvissuto agli anni Ottanta non ha probabilmente dimenticato uno slogan pubblicitario che ci si è inciso sulla corteccia cerebrale con la pura forza della reiterazione: "colore chiaro, è whisky di malto". Lo abbiamo sentito dire per anni anche se non bevevamo whisky, non avevamo nemmeno intenzione di cominciare, ma a furia di sentirlo ci siamo convinti che il colore chiaro fosse un dettaglio positivo: se è chiaro è malto, oh, lo dice la tv, sarà buono. Non è vero, un whisky chiaro è meno invecchiato, e quindi generalmente meno pregiato. Il pubblicitario in questione aveva deciso di prendere di petto uno dei difetti del suo prodotto, e trasformarlo in una bandiera: il mio whisky è buono perché è chiaro, e se ve lo dico tutte le sere, anche voi prima o poi ve ne convincerete. Tuttora qualche dubbio mi è rimasto.

Allora: si può discutere se le leggi di iniziativa popolare vadano incentivate o no. Ma il fatto che Renzi e Violante e altri vadano in giro a dire che grazie a questa riforma finalmente avremo leggi di iniziativa popolare è pura propaganda, delle più sfacciate: colore chiaro, sarà un buon whisky di malto. È vero l'esatto contrario: il tetto di firme necessarie a presentare una legge di iniziativa popolare alle camere sale a 150.000: il triplo di quante sono necessarie oggi. È giusto? È sbagliato? Se ne può parlare. Ma non ne state parlando. State cercando di convincerci che per avere più leggi di iniziativa popolare bisogna rendere più difficile raccogliere firme per presentarle. La guerra è pace, la libertà è schiavitù, la democrazia partecipativa è più facile se devi raccogliere tre firme invece che una.

Certo, una logica c'è: se ci sono meno iniziative di legge da presentare, quelle poche iniziative il parlamento le tratterà seriamente. Lo dice Violante: perché non fidarsi? Lo dice Renzi: perché non rasserenarsi?

Perché non c'è nessuna garanzia. Il nuovo articolo 71 recita, semplicemente: La discussione e la deliberazione conclusiva sulle proposte di legge d’iniziativa popolare sono garantite nei tempi, nelle forme e nei limiti stabiliti dai regolamenti parlamentari.

Tutto qui. Tre righe in cui si rimanda a un regolamento parlamentare che garantirà la discussione delle proposte di iniziativa popolare. Ovviamente il regolamento deve ancora essere scritto: prima bisogna mettere una crocetta sulla scheda, lì in basso dove sta scritto "SI". E anche stavolta tocca fidarsi. L'Italicum? Sì, faceva schifo, ma dopo lo cambiamo. Le iniziative popolari? Importantissime, importantissime, metti la crocetta e poi ce ne preoccupiamo.

Vedrete che alla Camera scriveranno un regolamento dove ogni legge di iniziativa popolare sarà portata in palmo di mano: coccolata, vezzeggiata. La faranno passare prima delle altre leggi, vedrete. Anche la Finanziaria dovrà accostare a destra quando passa la vostra Proposta di Legge di Iniziativa Popolare - con 150.000 firme, ma vuoi mettere?

Ah, e poi naturalmente l'abbatteranno senza pietà. Certo, che vi aspettavate, mica sono obbligati ad approvarla. Dicono soltanto che promettono di discuterne in fretta. E si fa prestissimo a segare una proposta di legge. Onorevoli, pronti? Uno, due, tre, premete il pulsante. Fatto.

Chi ci ha provato lo sa (io ci ho provato). Le iniziative popolari non servono a cambiare la legislazione: soprattutto quando vengono inviate a un parlamento apertamente ostile. Al massimo possono servire ad attirare l'attenzione mediatica su un argomento. Non ci legalizzi le droghe leggere - per fare un esempio - con un'iniziativa popolare da 150.000 firme: ed è giusto così, il parlamento rappresenta il Paese tutto, 35 milioni di elettori e più: perché dovrebbe darti la precedenza? Dietro c'è un'idea di democrazia partecipativa molto ingenua, a cui Renzi non smette di strizzare l'occhio: ma è peggio di un bluff. Dicono che sarà più facile presentare iniziative di legge, e triplicano il numero di firme necessarie. Dicono che però ne discuteranno più in fretta, in base a un regolamento che riscriveranno.

Non è tanto l'argomento in sé, perché davvero: le iniziative di legge popolare sono uno strumento poco incisivo, che al massimo serve a ottenere un po' di visibilità. Ma è questo atteggiamento da vecchi imbonitori che mi lascia indispettito. Non mi piace quando qualcuno prova a fregarmi. Magari ha ottimi motivi per farlo, magari deve portare a casa la pagnotta anche lui. Ma mi sta offendendo, è convinto che io sia un cretino. Non è tanto per l'autostima, ma è fondamentale che lui e gli altri sappiano che non sono un cretino, e quindi voto no.

(Gli altri motivi:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi, su).