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martedì 29 maggio 2018

Ma come? Era solo un piano B!

"Ma guarda un po' chi si vede".

"Rieccoci".

"Sì ma stavolta è diverso, stavolta ero io che ti stavo cercando".

"Rieccoci".

"Sì, sì, fai pure il furbo, stavolta non mi freghi, stavolta ho studiato e parecchio e ho ben chiaro il nocciolo della questione".

"Rieccoci".

"Quindi stammi a sentire: sai quei soldi, quei totmila miliardi che ti devo? Beh, non credo proprio che te li darò".

"Rieccoci".

"Del resto l'hai sempre saputo".

"Rieccoci".

"Lo sapevano quelli che me li hanno dati, lo sapevi tu quando hai comprato il mio debito. Non hai mai veramente pensato di riaverli indietro, no?"

"Rieccoci".

"Tutto quel debito, te lo sei preso soltanto perché credevi che così mi avresti tenuto per le palle, per quanto? Per sempre? Avrei sempre dovuto inginocchiarmi e portarti rispetto, vero? Avrei dovuto usare la tua moneta, rispettare le tue normative, eleggere governanti che ti stessero simpatici, eccetera eccetera, beh, sai cosa ti dico? Io sono un popoloso Paese del Mediterraneo e ti dico: vaffanculo".

"Rieccoci".

"Vaffanculo te e vaffanculo il tuo debito, che poi è il mio, ma tanto non te lo pago più e quindi non esiste. Mi faccio governare da chi mi pare, e se domattina mi vien voglia di stampare coriandoli e usarli come moneta, perché no? Sono un popolo sovrano".

"Rieccoci".

"L'hai capito o no, vecchio rintronato?"

"Rieccoci".

"Quindi adesso me li presti quei venti euro?"

"No".

"Ma come no".

"No".

"Ma senti, non l'hai capito? Era solo tutta una scena... stavo facendo la voce grossa perché tutti vedessero che non ho perso l'orgoglio... ne ho bisogno, capisci? Secondo te voglio veramente usare i coriandoli come moneta?"

"Rieccoci".

"Ma no, dai, mi vedi? Sono un economista stimato, non avrei mai... è solo un bluff, l'hai capito benissimo che è un bluff, no? Lo chiamo piano B, ma figurati se davvero voglio... cioè non sono uno scemo, no? No?"

"Rieccoci".

"Ma scusa eh, ma siamo in due su questa barca, no? Se io faccio un bluff, tu potresti anche far finta di crederci".

"Rieccoci".

"E poi cosa vuol dire il tuo ritornello, stavolta, rieccoci, neanche tutto questo fosse già successo, è già successo?"




Il giorno di Mattarella

(Questo pezzo è uscito ieri su TheVision). 

“Ho fatto tutto il possibile per far nascere un governo politico.” Alle otto e mezza della sera, il Presidente Mattarella è appena entrato in sala stampa. Salvini sta già tuonando su Facebook che rivuole le elezioni; Di Maio e Giorgia Meloni si allenano a pronunciare la parola “impeachment”. Davanti alle telecamere, Mattarella racconta di come è arrivato a una decisione senza precedenti nella storia della Repubblica. La lista dei ministri presentata da Giuseppe Conte è stata bocciata e Mattarella, a domanda, conferma che la trattativa si è arenata su un solo nome: quello del ministro dell’Economia.

Il presidente è visibilmente nervoso, in queste settimane ha ingoiato diversi rospi. Ha atteso più che pazientemente che Cinque Stelle e Lega trovassero un accordo sul programma di governo e sui nomi da coinvolgere. E anche ieri sarebbe stato pronto a firmare la nomina “di un autorevole esponente politico della maggioranza,” purché non fosse “sostenitore di una linea” che avrebbe potuto provocare “la fuoruscita dell’Italia dall’euro.”Non era evidentemente il caso di Paolo Savona, l’autorevole economista ottantaduenne sul quale avevano trovato un accordo Salvini e Di Maio. Savona, che pure si considera un convinto europeista e auspica la nascita degli Stati Uniti d’Europa, con gli anni ha maturato un’opinione sempre più critica nei confronti dell’unione monetaria, e da tempo sostiene la necessità per l’Italia di un “piano B”– l’eventuale uscita, appunto, dall’eurozona. Più che di un’eventualità realizzabile, si sarebbe trattato di un avvertimento da impugnare a Bruxelles: se continuate a imporci il rigore, noi usciamo davvero. Un deterrente, un bluff, ma in economia forse bluffare non è più concesso (continua su TheVision).


È bastato ricominciare a parlare di euro perché lo spread tra i titoli tedeschi e quelli italiani si divaricasse: la nomina di Savona all’economia avrebbe aggravato la situazione in modo forse irreversibile. Questa è almeno l’opinione di Mattarella. Ieri sera ha affermato che tra i criteri che lo devono orientare nella nomina dei ministri ci sia la “tutela dei risparmi degli italiani”: un’interpretazione apparentemente innovativa delle sue prerogative costituzionali, ma Mattarella sa quello che fa: tra le altre cose è stato anche membro della Consulta. Stamattina riceverà al Quirinale Carlo Cottarelli, e probabilmente gli incaricherà di formare quel governo “neutrale” di cui già parlava venti giorni fa. Cottarelli è l’economista che produsse per il governo Letta un rapporto “per la revisione della spesa” di ottocento pagine. È difficile immaginare che intorno a lui e a un Mattarella indebolito dalla sua presa di posizione si possa formare una maggioranza in questo parlamento: ci aspetta dunque un breve governo estivo (nella prima repubblica li chiamavano governi balneari), che traghetti l’Italia verso nuove elezioni ad autunno. Del resto i comizi telefonici e telematici di Salvini e Di Maio ieri sera sono già pura campagna elettorale. Salvini, soprattutto, dà l’impressione di essersi impuntato sul nome di Savona soltanto per mandare all’aria il tavolo, ora che i sondaggi sono dalla sua parte. I Cinque Stelle sembrano più spiazzati: come se ci avessero creduto davvero, nella possibilità di diventare una forza di governo. Tornare alle elezioni per loro significa ammettere che non ne sono ancora capaci (e ridiscutere la questione del doppio mandato). Ma soprattutto, si tratta anche per loro di vedere un bluff.

Mattarella è stato chiarissimo. Lega e Cinque Stelle devono spiegare ai loro elettori se vogliono uscire dall’euro o no. “Se si vuole discuterne”, ha avvisato ieri sera, “lo si deve fare apertamente e con un serio approfondimento. Anche perché si tratta di un tema che non è stato in primo piano durante la recente campagna elettorale”. Su questo punto anche i più critici dell’operato di Mattarella abbiano poco da eccepire: se davvero vogliono proporre la fuoriuscita dall’euro, anche solo come piano B, Salvini e Di Maio lo devono spiegare forte e chiaro ai loro elettori. E invece durante tutta la campagna elettorale erano stati molto cauti sull’argomento, lasciato cadere anche nell’ultima versione del contratto di governo. Se decidessero davvero di presentarsi in coalizione, e di mantenere il nome-simbolo di Paolo Savona, le prossime elezioni equivarrebbero a un referendum sull’Euro. Ma è una possibilità abbastanza remota. Anche se hanno obiettivi comuni, Cinque Stelle e Lega sono due concorrenti che mirano allo stesso bacino elettorale. E se l’obiettivo dei 5S è da sempre al cinquantuno per cento, l’obiettivo di Salvini è più realistico: diventare la forza portante del centrodestra. C’è sulla sua strada però un ostacolo dal quale forse dipende il destino dell’Italia (e dell’Europa): Silvio Berlusconi.

Berlusconi ieri sera ha fatto sapere che “in un momento come questo il primo dovere di tutti difendere il risparmio degli italiani, salvaguardando le famiglie e le imprese del nostro Paese”. Non è solo un esplicito sostegno al presidente Mattarella, anche in questa inedita veste di difensore dei risparmi; è soprattutto un attacco a Salvini. Può sorprendere chi in questi giorni non abbia dato almeno un’occhiata ai talk di Rete4, dove di colpo l’allarme spread ha preso il posto dell’allarme clandestini. Insomma può darsi che la vera notizia di stamattina, 28 maggio 2018, sia che il Centrodestra italiano è finito; che le due forze principali che lo compongono dal 2001, Lega e Forza Italia, si sono ormai incamminati sue strade diverse e inconciliabili. Se l’abbandono dell’euro, da vaga promessa elettorale, diventa una prospettiva concreta, Berlusconi non ci sta; che Salvini possa rivincere le elezioni senza di lui, e senza l’appoggio mediatico della corazzata Mediaset-Mondadori, è quello che nei prossimi mesi andremo a scoprire. La buona notizia è che dovrebbe essere una campagna un po’ meno razzista: perlomeno le fiaccolate anti-stranieri in tv dovrebbero drasticamente diminuire.

Allontanandosi da Salvini, Berlusconi potrebbe essere tentato di puntare sull’altro Matteo, quel Renzi che sui social continua a manifestare il suo orgoglioso europeismo, e che se non riesce a riprendere il controllo completo del Pd in tempi brevi potrebbe decidere di fondare un nuovo partito – una prospettiva che non a caso sembra entusiasmare soprattutto i redattori del Foglio, autorevole palestra di pensiero berlusconiano. Renzi non è più il cavallo vincente che sembrava qualche anno fa, ma forse qualche ospitata a Pomeriggio Cinque potrebbe aiutare a farlo risalire un po’ sui sondaggi: anche perché molti altri cavalli per ora da quella parte non si vedono. Se l’Europa diventasse davvero il tema delle prossime elezioni, e Berlusconi decidesse di difenderla senza se e senza ma, in una prospettiva liberale, la distanza ideologica tra lui e Renzi diventerebbe davvero impalpabile. L’unico problema è che tra gli elettori di Renzi ci potrebbe essere ancora qualche irriducibile antiberlusconiano: ma sono pochi, ormai: e se solo Berlusconi decidesse di fare un mezzo passo si ridurrebbero quasi a zero. D’altronde è Berlusconi, e ormai si è capito che in Italia aver passato gli ottanta non è in generale considerato un buon motivo per fare neanche quel mezzo passo indietro.

Se la pregiudiziale antiberlusconiana è ormai un ricordo del passato, un’altra ben più ingombrante potrebbe sorgere all’orizzonte: la pregiudiziale anti-Putin. Costretto a correre da solo, Matteo Salvini evidenzierebbe ancora di più quei legami col partito putiniano, Russia Unita, che a ben vedere sono già ufficiali, in nero su bianco. Mattarella non ne ha parlato e forse nemmeno se ne preoccupa, ma la stampa estera sì: in Italia, uno dei membri più importanti e dei fondatori dell’Unione Europea, rischia di vincere le prossime elezioni un partito anti-euro che guarda a Mosca più di quanto guardi a ovest. Lasciamo stare se sia un bene o no per l’Italia: può succedere davvero? Per cinquant’anni in Italia la stabilità politica è nata da una conventio ad excludendum: il PCI filo-sovietico non avrebbe mai potuto governare. A partire dalle prossime elezioni forse vedremo nascere una conventio di opposto colore ideologico, ma nella stessa direzione strategica: i seguaci di Putin potrebbero vedersi esclusi dal governo malgrado i buoni risultati elettorali. Ai comunisti è successo per quarant’anni, e Salvini lo sa bene: dopotutto è stato un rosso, prima di diventare verde.

Qualsiasi cosa succederà, oggi è davvero un giorno nuovo per la politica italiana. Da oggi sappiamo che un Presidente può rifiutarsi di nominare il governo indicato da una maggioranza parlamentare; che i leghisti non bluffano, sono davvero anti-euro (oppure, se bluffano, pretendono di essere presi sul serio); che i 5Stelle erano davvero pronti a governare, e oggi sono davvero delusi e arrabbiati per non esserci riusciti; e che ormai tutto è in discussione: l’Unione Europea, la Nato, tutto. Viviamo in tempi interessanti, tanto per cambiare.

venerdì 25 maggio 2018

Netanyahu è d'accordo con Hamas (lo dice lui)

"Siete pronti per una notizia bomba?" Lunedì scorso, quando ormai le notizie da Gaza erano scomparse dal radar, Benjamin Netanyahu si è rifatto vivo sulla mia bacheca con queste parole. "Sono completamente d'accordo coi leader di Hamas".
Così tipico di Netanyahu, promettere bombe – nel senso di rivelazioni sconvolgenti che magari davvero vanno a segno, specie presso un pubblico distratto. Chi invece segue la questione palestinese da un po', per mestiere o per inerzia, o perché non riesce a distogliere lo sguardo dallo spettacolo di una lentissima e inarrestabile decomposizione, di che cosa può stupirsi ancora? Nell'ultimo mese sono morti più di sessanta palestinesi, forse nel modo più assurdo in cui potevano morire: hanno cercato di varcare il confine della Striscia davanti ai cecchini. Qualcuno senz'altro non si rendeva conto dell'assurdità; qualcun altro non aveva nulla da perdere; qualcuno eseguiva gli ordini o pensava alla pensione che Hamas paga ai parenti di ogni martire. Ora sono tutti morti e Hamas li reclama tutti come suoi. Un movimento di protesta che era nato non-violento è stato completamente fagocitato dalla macchina da martiri di Hamas: a un danno simile il sornione Netanyahu deve per forza aggiungere la beffa.


I leader di Hamas, ci spiega, dicono che è ingannevole definire questa protesta "pacifica", e senz'altro è così; molti hanno cercato di passare il confine armati, e hanno piazzato cariche esplosive anche sugli aquiloni. Non c'è nulla di pacifico in tutto questo: lo dice Hamas, lo dice Netanyahu, insomma non c'è da preoccuparsi. Chiunque morirà nei prossimi giorni sarà senz'altro un terrorista. Almeno cinquanta caduti erano militanti di Hamas, spiega Netanyahu: lo ha detto uno dei loro leader, non importa che altri membri di Hamas lo abbiano smentito. Chi segue la vicenda da un po' non ha davvero di che sorprendersi. Tra i due nemici asimmetrici, Israele e Hamas, c'è un obiettivo comune: dimostrare che Hamas e la Striscia di Gaza sono la stessa cosa. Se la Striscia protesta, è perché si mobilita Hamas; se Israele può reprimerli, è perché è in guerra con Hamas. E noi spettatori attoniti, noi che ancora perdiamo tempo a provare pietà, ora dobbiamo scegliere: o stiamo con Israele o stiamo con Hamas, che (Netanyahu ci ricorda) è un'organizzazione terrorista. Vogliono infatti sterminare gli ebrei; poco importa che non riescano più a fare qualche passo oltre il confine senza essere falciati. Hamas è forse il miglior nemico che Israele poteva procurarsi, e in un certo senso se lo è procurato; non mi riferisco tanto alle circostanze che portarono gli israeliani negli anni Ottanta a sostenere un nucleo di integralisti islamici in funzione anti-OLP, ma a tutto quello che è successo dal fallimento di Oslo in poi. I governi israeliani avevano bisogno di dimostrare al mondo che i palestinesi erano fanatici antisemiti: l'anziano Yasser Arafat, malgrado insistesse a portare con sé la pistola nella fondina e chiedesse di morire come martire, non era abbastanza credibile in questo senso (continua su TheVision)



Hamas invece funzionava egregiamente, e se non fu l’unica organizzazione ad abbracciare la tattica degli attentati suicidi, fu quella che ci investì più risorse: vite umane, dinamite, pensioni ai parenti. Senza Hamas i palestinesi non sarebbero mai diventati, agli occhi degli spettatori occidentali, una tribù di disperati assimilabili ad Al Qaeda. Quando poi nel 2005 Sharon spiazzò tutti ritirandosi dalla Striscia di Gaza, Hamas divenne la forza egemone di una Città-Stato isolata dal resto del mondo, un esperimento sociale che si protrae da allora. Hamas, branca della Fratellanza Musulmana, non è solo in guerra con Israele: anche l’Egitto ha chiuso la frontiera, e persino l’Autorità Nazionale Palestinese raziona l’energia elettrica per punire gli abitanti del loro sostegno al partito integralista. La vita dei due milioni di palestinesi che vivono nella Striscia sarebbe difficile anche se Hamas non destinasse gran parte delle sue risorse alla guerra (razzi, gallerie); una guerra sempre più asimmetrica e disperata che ciclicamente espone la popolazione di Gaza alle rappresaglie sproporzionate di Israele. Nel 2014 l’operazione Margine di Protezione causò più di 2000 morti tra i palestinesi (di cui la metà civili) e 71 vittime israeliane. Nel 2009, l’operazione Piombo Fuso aveva visto una sproporzione di uno a cento: tredici vittime israeliane, circa un migliaio di palestinesi. Chi parla di genocidio, però, è evidentemente fuori strada. D’altro canto si tratta di una situazione davvero particolare, che a qualcuno ha fatto venire in mente le guerre rituali che si combattevano nelle antiche polis Greche: la più famosa è la guerra che ogni anno gli Spartiati dichiaravano ai membri della casta inferiore, gli Iloti.

Le guerre rituali non si combattevano per il territorio (e infatti dopo ogni operazione la Striscia viene riconsegnata a Hamas); erano probabilmente connesse con le cerimonie di iniziazione che trasformavano i giovani in adulti, e servivano per fortificare l’identità delle caste in cui erano suddivise le polis. La guerra a bassa intensità che si combatte ciclicamente a Gaza offre ai giovani israeliani che fanno il servizio di leva un battesimo delle armi non privo di pericoli (ma nemmeno troppo pericoloso); mantiene la società israeliana in uno stato di allerta permanente contro un nemico esterno; ricorda alla comunità internazionale che Israele è minacciata nella sua stessa esistenza. La guerra a bassa intensità serve a mantenere uno status quo che evidentemente ai leader che gestiscono i fondi di Hamas non dispiace: tanto peggio se nel frattempo a Gaza la disoccupazione è oltre il 40%, e l’80% della popolazione vive grazie agli aiuti umanitari. La povertà crea disperazione, la disperazione fomenta i martiri, ogni martire è un successo per Hamas che lo rivendica e per Israele che lo abbatte in modo sempre più efficiente. Chi tenta di fuggire finisce falciato nel mucchio e rivendicato comunque tra i combattenti. Se non saranno i leader di Hamas a farlo, ci penserà Netanyahu, che la vede allo stesso modo: chi vuole uscire da Gaza non può che essere un terrorista. No, davvero, che si dica d’accordo con Hamas non sorprende.

martedì 22 maggio 2018

Chi vuol essere Presidente

Stavo pensando che tutto sommato non si sta poi così male così, e se siete d'accordo si potrebbe anche andare avanti per un po'...

ANNO IV DELL'ERA GENTILONI

Drin Drin

"Pronto".

"Pronto, qui è la segreteria della Presidenza della Repubblica. Parlo col signor Abrami Davide?"

"Oh cazzo".

"Deve rispondere  o No, è la procedura".

"Beh, allora..."

"E deve dire la verità".



"...sono io, sono Abrami Davide".

"Molto bene. L'avvisiamo che dopo un attento esame del suo curriculum..."

"Io non ho mandato nessun curriculum".

"Li scarichiamo direttamente dalla rete. Mi faccia eseguire la procedura. Dopo un attento esame del suo curriculum, lei è stato indicato dai partiti della maggioranza parlamentare come Presidente del Consiglio in pectore. Congratulazioni!"

"Mi posso ritirare?"

"Ovviamente no. Ha visto quel che è successo a Nizzoli Gianfrancesco?"

"Che figura, poveraccio".

"Si era inventato una laurea in medicina, adesso secondo lei quando l'hanno indicato non avrebbe preferito ritirarsi? Ma non si può più".

"Non si può più".

"No".

"Ma perché?"

"Secondo lei?"

"Senta, io non scrivo un curriculum da quindici anni, non ho la minima idea di cosa posso..."

"Il suo curriculum è divertente, ci ha messo anche l'erasmus e l'interrail, piuttosto mi preoccuperei del suo conto, di alcuni bonifici verso il 2005".

"Il 2005? Mi stavo sposando, può darsi che... i miei genitori".

"Molto generosi. Suo padre aveva una piccola attività, mi pare?"

"Sì ecco, faceva l'idraulico"

"Come dice? Non sento".

"L'idraulico".

"BenissiMAHAHAHAHA AHAHAHAHAHAH AHAHAHAHAHAH AHAHAHAHAHAH".

"Mi scusi..."

"No, scusi leiAHA AHAHAHAHAHAHAHAH L'IDRAULICOAHA AHAHAHAHAHAH".

"Questo non è previsto dalla procedura, immagino".

"No, no, la procedura prevede che già in questo momento tutti i suoi dati sensibili siano inviati a tutti gli organi di stampa. Lei è un personaggio pubblico, adesso".

"Ma mio padre..."

"Di solito cominciano a metterla sulla graticola verso le sei del mattino, deve pensare che anche durante la notte ci sono redazioni al lavoro, anche negli USA, sa col fuso orario..."

"Ma che gli frega agli americani di mio padre..."

"Si stanno appassionando, è un format di successo, prima o poi lo esporteremo. Passeranno ai raggi X tutta la sua mediocre carriera, e ovviamente i bonifici non resteranno inosservati. Lei naturalmente può dimostrare che suo padre non stesse adoperando il suo conto corrente per nascondere fondi in nAHAHAHAHAHAHAH AHAHAHAHAH".

"È cardiopatico, perché volete fare questo? Avrà fatto i suoi errori, ma alla sua età... un po' di pietà..."

"Con Renzi l'hanno avuta? Domani verso quest'ora l'avviserò che, per cause di forza maggiore, i partiti della maggioranza hanno deciso di ritirare la sua candidatura e di infierire su un altro poveretto scelto a caso".

"Tutto questo è assurdo".

"Non più di tanto. No. I partiti della maggioranza non vedono l'ora di installare in Italia un governo di Rettitudine e Onestà, e lo faranno, non appena avranno trovato in tutta la nostra penisola un uomo Veramente Onesto, almeno uno".

"Nel frattempo..."

"Nel frattempo resta Gentiloni. La saluto. La telefonata le sarà addebitata, sono cinque euro più due di IVA, totale sette euro".

domenica 20 maggio 2018

La partita di giro

"Oh, ciao, stavo cercando giusto te".

"Ancora".

"Sì, beh, senti, ovviamente è sempre per quei soldi che ti devo, ti ricordi".

"Ancora".

"Sì ma mi è venuta in mente un'altra idea. Questa però è interessante, sul serio, ci ho pensato molto".

"Ancora".

"No, non è la solita idea, questa è diversa. Senti. Siamo usciti dall'ipocrisia. Sappiamo benissimo che io continuerò a chiederti dei soldi".

"Ancora".

"E tu continuerai a darmeli. Sarà sempre così. Lo so io, lo sai tu, lo sappiamo tutti".

"Ancora".

"Però. Però. È anche vero che io un sacco di questi soldi te li devo restituire. Verissimo".

"Ancora".

"Sì, non te li ho ancora dati. Ma pensaci bene. Fa un passo indietro. Non noti niente? Io ti devo dare dei soldi, tu continui a darmi dei soldi. Ci stiamo rimbalzando gli stessi soldi, hai capito?"

"Ancora".

"Insomma è una partita di giro, come si dice".

"Ancora".

"Quindi, se adesso segniamo che te ne devo, per dire, duecento miliardi di meno..."

"Ancora".

"Tu poi me ne darai duecento miliardi di meno, e siamo a posto così, no? Una partita di giro. Bastava pensarci prima".

"Ancora".

"Allora affare fatto? Segniamo duecento miliardi in meno?"

"Ancora".

"Fantastico, lo vedi che a volte le idee migliori vengono ai meno esperti. Adesso, senti, a proposito, oggi pomeriggio devo sempre andare a Bologna..."

"Ancora".

"Ce li hai sempre quei venti euro?"

"No".

"Ma come no, scusa".

"No".

"Aspetta, lasciami capire. Mi stai dicendo che i venti euro farebbero parte della partita di giro?"

"Ancora".

"Ma mettiamoli in un conto a parte, scusa, non è che adesso perché c'è una partita di giro non puoi darmi i soldi che mi servono adesso. Mi servono, lo vuoi capire o no?"

"Ancora".

"Io ho il sospetto che tu non capisca. Sei solo un freddo algoritmo, te ne freghi delle mie reali esigenze".

"Ancora".

"Non mi stai neanche ad ascoltare, in realtà non esisti, sei un'astrazione, sto parlando col nulla".

"Ancora".

"Un nulla a cui devo dare un sacco di soldi, io piuttosto li getterei in un tombino, guarda".

"Ancora".

venerdì 18 maggio 2018

Lo sai anche tu (che non te li darò mai più)

"Oh ciao, ti stavo giusto cercando".

"Già".

"Ti ricordi quei soldi che ti devo..."

"Già".

"Senti, io ci ho pensato molto, e secondo me è ora di uscire dall'ipocrisia".

"Già".

"Cioè lo sappiamo tutti, no? Lo sappiamo tutti che non riuscirò mai a darteli".

"Già".

"Ormai è solo un numero, capisci, un numero astratto che non ha più importanza, potrebbe essere il doppio, potrebbe essere la metà, non ha più tante importanza, no?"

"Già".

"E se dicessimo che è la metà?"

"Già".

"No dai non fare così. Veniamoci incontro. Diciamo che lo abbassiamo di un quarto. Di un quinto".

"Già".

"Duecentocinquanta miliardi. Dai. Tanto lo sai benissimo che non te li darò mai. Dove li trovo? Si tratta solo di... di... di accettare la cosa, ecco, di uscire dall'ipocrisia".

"Già".

"Quindi siamo d'accordo?"

"Già".

"Ecco, vedi? È stato facile. Siamo usciti dall'ipocrisia".

"Già".

"Adesso vado, anzi, senti, scusa, oggi pomeriggio dovrei andare a Bologna, non è che hai venti euro da anticiparmi..."

"No".

"Come no?"

"No".

"Ma certo che ce li hai venti euro, scusa, tu ce li hai sempre".

"Già".

"Ma scusa, proprio adesso che siamo usciti dall'ipocrisia, non mi fai andare a Bologna, cioè non riesci a trovarmi venti miseri euro? Forse credi che non te li restituirò?"

"Già".

"Alla Germania li avresti dati".

"Già".

"E a me no!, vedi, allora lo ammetti".

"Già".

"È tutto un complotto contro di me! I miei genitori hanno fatto tanti debiti e tu te la prendi con me!"

"Già".

"Ma non ti vergogni?"

"Già".

giovedì 17 maggio 2018

Verso il governo Chiunque I

Una settimana fa Di Maio e Salvini chiesero 24 ore per formare il governo. Forse oggi riusciranno a presentarlo a Mattarella. Una bozza di contratto fatta filtrare nelle ultime ore dà l'impressione che l'accordo resti molto fragile. Desta stupore soprattutto l'istituzione di un "Comitato di conciliazione" che dovrebbe essere istituito "per giungere a un dialogo in caso di conflitti". Certo, i vertici a porte chiuse si sono sempre fatti, ma mettere nero su bianco il regolamento su una scrittura privata lascia perplessi. In attesa di scoprire se è costituzionale o no, limitiamoci a trovarlo poco elegante, come certe clausole negli accordi prematrimoniali che ti fanno intravedere il disastro. In questo Comitato, oltre ai due leader, sarebbe prevista la presenza di non meglio precisati "soggetti individuati dal Comitato": e il pensiero corre subito a Davide Casaleggio, che sarebbe così ammesso nelle stanze del potere senza bisogno di passare dalle elezioni. L'idea tradisce la tipica diffidenza Cinque Stelle per gli eletti. Anche per i propri, ai quali il M5S impone un contratto capestro con multe altissime a chi osa abbandonare il gruppo parlamentare o tradire il mandato.

Questa diffidenza non è un incidente di percorso: è uno dei caratteri fondamentali del Movimento. E rischia di essere la sua fondamentale debolezza, ora che prova a cimentarsi con un governo. Il partito che non crede nel principio di delega non ha mai voluto creare una vera classe dirigente. A cinque anni dalla prima clamorosa vittoria elettorale, il M5S è rimasto una truppa di soldati semplici. Anche i volti più riconoscibili alla fine non esprimono che una straordinaria medietà; tutto in loro lascia intendere che chiunque potrebbe essere al loro posto, e in effetti loro sono chiunque; nessuno si stupirebbe se scoprissimo che l'algoritmo di Rousseau li sceglie a caso. Persino i più pittoreschi non tradiscono nessuna particolare personalità: urlano e strepitano perché rappresentano quel tipo di cittadino che urla e strepita. Forse Di Battista era un caso a parte, e per il momento si è dileguato. Roberto Fico sembrava un po' più a sinistra di altri, ma ora ha un incarico istituzionale: promoveatur ut amoveatur.


Quanto a Di Maio, c'è chi gli ha imputato una cattiva gestione della trattativa: ma a mio parere non si sarebbe impuntato per un mese su Palazzo Chigi se non gli fosse stato chiesto di impuntarsi. Di Maio non ha fatto che mettere diligentemente in pratica le direttive che gli erano state impartite. Criticare Di Maio significa riconoscergli una volontà propria, un'individualità che non ha mai dimostrato, anzi: in un partito di uomini qualunque, il segreto del suo successo è proprio il suo essere più qualunque di tutti, persino da un punto di vista somatico. Nessun segno particolare, nessun tic linguistico a parte una nota ritrosia nell'uso del congiuntivo che lo accomuna al 90% della popolazione; Di Maio è talmente standard che non si riesce nemmeno a parodiare. Chiunque ci prova finisce per sembrare uno snob: come fai a prendertela con un segnaposto? Di cosa dovresti ridere, della sua maturità, dei lavoretti estivi, dei congiuntivi? È come ridere di un popolo intero. Si sa che le caricature si realizzano esagerando i tratti più riconoscibili, e Di Maio non ne ha. Se assomiglia a qualcuno, è a George Abnego, il personaggio del racconto Null-P di William Tenn, l'uomo super-medio che diventa presidente degli USA proprio per la sua eccezionale medietà (continua su TheVision)

venerdì 11 maggio 2018

Popcorn, vaccini e ghigliottine (100 anni di orgogliose sconfitte)

Sono abbastanza convinto che Renzi non abbia mai detto “Ora tocco a loro e pop-corn per tutti”, come pure ha virgolettato ieri la Stampa. Se poi davvero la frase gli è scappata, sarà successo in una conversazione privata che sarebbe scorretto strumentalizzare, come hanno fatto immediatamente i suoi avversari interni. D’altro canto è per vero che Maria Antonietta non ha mai detto “Che mangino brioches” alla folla che chiedeva il pane (ma l’aneddoto è geniale, una volta sentito non si riesce a dimenticarlo); San Lorenzo non ha mai detto “Voltami, son cotto” ai pagani che lo arrostivano; e Voltaire non avrebbe mai dato la vita per difendere le opinioni dei suoi avversari, poco ma sicuro. Sono tutte storie messe in giro, fake news, e se hanno resistito così tanto è per un motivo che dovrebbe preoccupare anche Renzi. Non sono vere, ma sono efficaci. I popcorn di Renzi in un qualche modo somigliano a quello che per Berlusconi fu “la culona inchiavabile”: una frase mai detta ma che sintetizzava così felicemente il personaggio a cui era attribuita che a un certo punto alcuni berlusconiani la rivendicavano con orgoglio.
E comunque qualsiasi accostamento tra Renzi e il cibo
 in qualche modo funziona.


Io non credo che Renzi abbia parlato di popcorn: neanche in privato. Sarebbe stato come ammettere che il suo rifiuto a ogni trattativa, orgogliosamente rivendicato dal quattro marzo in poi, più che una strategia assomiglia alla reazione puerile di un ragazzo escluso dai giochi, che si siede sugli spalti e spera che i contendenti rimasti si picchino a sangue. “Popcorn per tutti” contiene in sé tutto un mondo di sbruffoneria, introducendo anche l’idea di una piccola corte di amici che i popcorn dovrebbero prepararli e gustarli col capo. È a ben vedere una parodia dell’hashtag #ToccaALoro, e Renzi francamente non sembra così autoironico. Certo, se nei prossimi mesi succederà qualche disastro, è probabile che l’espressione gli sarà ritorta contro: hai voluto i popcorn? In realtà no, Renzi non li ha voluti: ma ha pur sempre lasciato intendere che i disastri erano inevitabili o che il suo Pd almeno non avrebbe mosso un dito per evitarli. Una nuova crisi dello spread, una catastrofe umanitaria nel mediterraneo, sono tutte eventualità non così implausibili con Salvini e Di Maio al governo, ma Renzi non sta dando l’impressione di preoccuparsene più di tanto. Nei piani, questo atteggiamento dovrebbe riconciliarlo con gli elettori, una volta che si stancheranno delle promesse non mantenute da M5S e Lega. Si fa un torto a definire questo scenario “strategia del popcorn”? Magari sì, però funzionerebbe: facile da ricordare, scoppiettante, un po’ irresponsabile e non troppo sano.

Nei prossimi mesi, se il governo Di Maio-Salvini va in porto, due partiti populisti che si presentavano alle elezioni come diretti concorrenti troveranno un terreno comune e occuperanno i palazzi del potere. Gestiranno le forze dell’ordine. Avranno la possibilità di influenzare l’opinione pubblica attraverso la Rai, che tende sempre a riposizionarsi secondo la maggioranza, mentre difficilmente il conflitto di interessi della Mediaset sarà ritoccato. Con o senza il “benevolo” Berlusconi, Lega e M5S avranno tempo e agio per modificare la legge elettorale a loro piacimento: in fondo lo fanno tutti i partiti che vincono le elezioni in Italia. Tutti questi rischi, una buona parte del Pd ha deciso di correrli; ha pensato che ne valesse la pena. Questa idea che l’avversario politico si combatta non ostacolando la sua ascesa al potere, da dove viene? Purtroppo non è un’innovazione dei renziani, anzi: è uno dei tratti che più li accosta alla tradizione della sinistra italiana.



Berlusconi ai tempi del Berlusconi II (2001).

La strategia del popcorn ha nobili precedenti. Il più immediato è il vaccino di Montanelli. Fu proprio il giornalista, ormai diventato un vate dell’antiberlusconismo, a sintetizzarlo in una delle ultime interviste che rilasciò a Repubblica. Era la primavera del 2001: Berlusconi si apprestava a vincere le elezioni per la seconda volta; polizia e carabinieri si stavano già preparando a quella spaventosa dimostrazione di forza che fu la repressione dei manifestanti al G8 di Genova. Dopo aver dichiarato che avrebbe votato per il centrosinistra, Montanelli confessò a Laura Laurenzi che in realtà sperava in una vittoria di Berlusconi, “faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. Berlusconi è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L’immunità che si ottiene col vaccino”.

Berlusconi in effetti vinse, con un buon margine che gli consentì di governare praticamente indisturbato per cinque anni. I disastri non mancarono: il già citato G8, e poi una lunga battaglia sull’abolizione dell’articolo 18 che su concluse con una ritirata strategica (dieci anni dopo Renzi completò l’opera). Gli interventi in Afganistan e in Iraq. L’ennesima riforma della scuola che nascondeva i tagli più drastici. La finanza creativa di Tremonti. Perdemmo molto tempo prezioso in quei cinque anni in cui avremmo potuto modernizzarci e invece ci berlusconizzammo definitivamente. Ma almeno come vaccino funzionò? Non risulta. Dopo cinque anni Berlusconi si ripresentò nel 2006 contro l’Ulivo di Prodi ottenendo un sostanziale pareggio; e nel 2008 stravinse di nuovo. Eppure quando Montanelli nel 2001 aveva suggerito di inocularci un po’ di berlusconismo benigno, molti avevano trovato l’immagine felice e calzante. Gli inglesi lo chiamano wishful thinking, gli psicologi razionalizzazione: visto che Berlusconi appariva ormai inevitabile, ci siamo convinti che ci sarebbe servito, che si sarebbe rivelata un’esperienza formativa. Marx aggiungerebbe che la Storia si ripete sempre in farsa e che Montanelli, inconsciamente, non stava che “evocando con angoscia gli spiriti del [suo] passato per prenderli al servizio”: se alla sua generazione erano serviti vent’anni e una guerra mondiale per immunizzarsi dal fascismo, non era poi così peregrino pensare che qualche anno di Berlusconi al governo ci avrebbe guarito dal male.


Ma forse non è nemmeno vero che ci siamo immunizzati dal fascismo. Montanelli non poteva non conoscere la pagina più famosa di uno degli eroi più limpidi dell’antifascismo liberale, Piero Gobetti: l’Elogio della Ghigliottina, pubblicato pochi giorni dopo la Marcia su Roma. È uno di quei testi che raccontano così bene l’Italia da dare l’impressione (magari sbagliata) di essere attuali in qualsiasi momento li si vada a riprendere.


“Né Mussolini né Vittorio Emanuele hanno virtù di padroni“, scrive Gobetti, “ma gli Italiani hanno bene animo di schiavi. È doloroso dover pensare con nostalgia all’illuminismo libertario e alle congiure. Eppure, siamo sinceri fino in fondo, c’è chi ha atteso ansiosamente che venissero le persecuzioni personali perché dalle sofferenze rinascesse uno spirito, perché nel sacrificio dei suoi sacerdoti questo popolo riconoscesse se stesso. C’è stato in noi, nel nostro opporsi fermo, qualcosa di donchisciottesco. Ma ci si sentiva pure una disperata religiosità. Non possiamo illuderci di aver salvato la lotta politica: ne abbiamo custodito il simbolo e bisogna sperare (ahimè, con quanto scetticismo) che i tiranni siano tiranni, che la reazione sia reazione, che ci sia chi avrà il coraggio di levare la ghigliottina, che si mantengano le posizioni sino in fondo. Si può valorizzare il regime; si può cercare di ottenerne tutti i frutti: chiediamo le frustate perché qualcuno si svegli, chiediamo il boia perché si possa veder chiaro”.

Il giornalista e militante che chiede le frustate – e le otterrà, fino a morirne – ha appena ventun anni: non arriverà a compierne ventisei. Il fascismo al potere gli sarebbe sopravvissuto di altri quindici. Tra il suo Elogio e l’odierno dibattito sui popcorn c’è ormai un secolo, in cui la Storia ha avuto il tempo di ripetersi in forme sempre più farsesche. Però in un qualche modo inconscio e distorto sembriamo ancora vittime dello stesso pattern: Gobetti chiedeva che i tiranni fossero tiranni perché gli italiani si pentissero di averli lasciati marciare indisturbati fino ai palazzi del governo; Montanelli pregava che gli italiani votassero Berlusconi affinché capissero che votare Berlusconi era sbagliato; Renzi, se pure aveva un minimo margine per impedire che due partiti populisti diretti concorrenti trovassero un accordo, ha preferito andarsi a sedere sulla riva del fiume. Se dice che non si è portato un sacchetto di popcorn, è giusto credergli. Allo steso tempo, come si fa a non immaginarlo mentre sgranocchia.

domenica 6 maggio 2018

Players win and Renzi plays

Matteo.

Un attimo.

Matteo dovresti andare via.

Ho detto un attimo.

È già da molto tempo che sei qui.

Sto per andarmene.

E hai già perso molto.

Sì ma all'inizio avevo vinto molto.

Hai perso più di quello che hai vinto.

È così...

È così.

...se me ne vado adesso.

No, Matteo, no.

Perché se invece adesso vinco...

Ma non vinci più Matteo.

E perché non dovrei vincere, sentiamo.

Non funziona così.

Hai visto come ho ridotto Di Maio? Il M5S? Hai visto come li ho mandati a sbattere?

Non li hai mandati a sbattere.

Si sono rimessi a chiedere il referendum sull'Euro, capisci? Li ho fregati.

Hai chiuso al M5S e loro a questo punto si preparano a un'altra campagna elettorale. Slegano il Beppe, è normale.

è orgoglioso
Grazie a me.

Cos'hai ottenuto, Matteo?

Stavano mettendosi a ragionare, e io...

Stavano calando nei sondaggi.

Li ho mandati a sbattere!

Gli hai fatto slegare il Beppe. Così risaliranno nei sondaggi. E se si va a votare?

E se si va a votare magari vinco io.

Non vinci tu, Matteo.

Ho dimostrato di essere più affidabile.

Non è una gara che vince il più affidabile.

E chi lo sa. Magari al prossimo giro...

È patologica questa cosa, Matteo.

Ma ti ricordi che all'inizio vincevo?

È un po' questo il problema. Quella voce nella testa che ti dice...

Se all'inizio vincevo, perché non posso vincere di nuovo?



C'è gente che si è rovinata ascoltando quella voce, Matteo.

Stai insinuando che mi lasciassero vincere per illudermi? Perché sapevano che comunque alla fine avrei lasciato alla cassa anche la camicia? Stai dicendo che sono stato un pollo tutto il tempo?

Sto solo dicendo che dovresti andartene.

Se ora me ne vado sarebbe come ammettere che sono stato un pollo tutto il tempo.

Mentre se resti...

Mentre se resto e faccio un ragionamento serio sulle forze in campo, io...

Quali forze in campo, Matteo? Hai tagliato i finanziamenti ai partiti e stai giocando contro il primo gruppo editoriale italiano e una startup che per prendere un voto spende un decimo di quel che spendi tu

Ma che ragionamenti sono.

Sei tu che volevi fare un ragionamento serio sulle forze in campo. Alle ultime elezioni non avevi i soldi per i manifesti.

Le elezioni non si vincono più coi manifesti. C'è internet.

Tu non stai usando internet benissimo, Matteo.

Forse c'è qualcosa da rimettere a posto, ma...

Va bene, allora esci un attimo a rimettere a posto le cose. 

Se esco un attimo non mi fanno rientrare più. Ci avrò fatto la figura del pollo.

Mentre se giochi un altro gettone...

Magari è quello buono.

Neanche se fosse una slot, Matteo. Neanche se ti stessi giocando i tuoi soldi, e non l'immediato futuro di un Paese popoloso. Neanche se fossi da solo in un bar alle cinque del mattino con quel che resta dello stipendio che hai tirato la settimana scorsa, Matteo. Neanche in quel caso...

Io ci provo.

...Sarebbe una buona idea

Cosa ho da perdere?

Now I'm down a little, in fact, I'm down a lot
I'm on a roller coaster ride that I can't stop
Yeah, my luck has changed, but she'll come back
That's the beauty of a game of chance
I can't lose forever, but I'm doomed to try
Because I keep on hearing a voice inside

Players win and winners play
Have a lucky day

martedì 1 maggio 2018

Perché non ti dai pace, Matteo Renzi?

E dunque ieri sera Matteo Renzi – quello che si era dimesso da segretario del PD, dopo la batosta elettoraleera in prima serata su Rai1, intervistato da Fabio Fazio. Matteo Renzi, che in teoria nel suo partito non ricopre più nessun incarico, a Fabio Fazio non ha raccontato le sue avventure di senatore del collegio di Scandicci, ma ha spiegato che un confronto con Di Maio lo farebbe con lo streaming. Poche ore prima sul Corriere, lo stesso Di Maio aveva pubblicato una letterina-ultimatum in cui i punti salienti di un eventuale accordo si leggevano con chiarezza: reintroduzione dell'articolo 18, assunzione di 10.000 nuovi agenti di polizia, ridiscussione del trattato di Dublino, del Fiscal Compact, eccetera eccetera. Proposte senz'altro discutibili, probabilmente non tutte attuabili, ma in un qualche modo concrete. Matteo Renzi non le ha discusse: Matteo Renzi ha spiegato che gli piacerebbe di nuovo fare il gioco dello streaming. Quella deriva da reality show per cui, giustamente, una volta si prendevano in giro i Cinque Stelle. E infatti loro hanno smesso: adesso hanno un altro tono, mettono proposte nero su bianco, insomma a loro modo stanno crescendo. Matteo Renzi invece vuole lo streaming. Probabilmente ha già preparato qualche frase memorabile, qualcosa di immediatamente hashtaggabile, come "Beppe esci da questo blog!" Forse ve lo ricordate.

Forse no.

Però continuiamo pure a prendere in giro il Movimento Cinque Stelle perché è un partito che nasconde dietro gli streaming una struttura di potere sostanzialmente opaca. Mica come il PD, un partito che elegge i suoi rappresentanti in modo autenticamente democratico.

Ma insomma ieri sera Matteo Renzi – quello che un mese fa aveva detto che sarebbe rimasto zitto per due anni – è andato in prima serata e in sostanza ha fatto a pezzi qualsiasi speranza di un accordo tra M5S e PD. Certo, la decisione non spetta a lui ma al massimo alla direzione del PD che si deve ancora democraticamente riunire perché è gente che lavora e doveva organizzarsi per il ponte (così ha spiegato il presidente del PD, Orfini).


In realtà la direzione avrebbe dovuto riunirsi più di una settimana fa ma i renziani l'hanno fatta democraticamente saltare. Tutto questo accade forse perché Matteo Renzi pensa che dopo aver detto no a Fico e Di Maio, non si potrà che tornare alle urne: e nelle urne lui non sa cosa potrebbe succedere. Perlomeno a Fazio ha spiegato così. Ovvero, di sondaggi ne sono stati pubblicati ormai parecchi, e benché sia necessario sempre premettere che in Italia non ci beccano mai, bisogna dire che sono tutti concordi su un fatto: Lega e M5S stanno crescendo, anche se litigano. L'unico momento in cui il M5S è apparso in flessione, è quando per un attimo è apparsa credibile un accordo di governo M5S e PD. I sondaggi dicono tutti così ma Matteo Renzi, senatore di Scandicci, non è così sicuro. Chi lo sa. Magari invece se si rivota a ottobre vince lui. O magari perde un po' meno di stavolta. Cosa ha da perdere in fondo. Riproviamo (Continua su TheVision).