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domenica 6 ottobre 2002

(Le mie guerre, 4):
Che altro fare, se non bombardare i balcani?
Riassunto delle puntate precedenti: sto riassumendo gli ultimi dieci anni di guerre combattute dall'Italia dal mio punto di vista di pacifista dubbioso e obiettore di convenienza. Ne sentivate il bisogno? No? Tenete duro.

1999

L'anno dopo ci fu la guerra del Kossovo, che tutti si ricordano benissimo. Chi non ha preso posizione, durante la guerra del Kossovo? Chi non ha avuto dei dubbi? Chi non ha mandato aiuti? Persino la famosa "divisione della sinistra italiana", di cui si chiacchiera tuttora molto, si è completata in quell'occasione.
Ancora oggi la "gente di sinistra" è divisa in due frange inconciliabili. La prima frangia rinfaccia alla seconda di aver fatto cadere Prodi nel '98; la seconda accusa l'altra di aver bombardato Belgrado e il Kossovo con l'uranio impoverito. Sono accuse molto forti, che non si possono dimenticare alla prima scampagnata o girotondo che si organizza assieme: sono divisioni vere, che non consentono mediazioni. Bombardare Belgrado era o giusto o sbagliato. Nessuno, infatti, credeva più alle "operazioni chirurgiche" mediante Cruise (ma del resto nessuno ancora immaginava che gli eserciti umanitari facessero tranquillamente uso di armi radioattive). Si trattava, più che mai, di scegliere "da che parte stare".

Io, nel '99, non avevo nessuna intenzione di scegliere. Per prima cosa, mi sentivo molto cinico. Credevo fosse l'età, invece era il governo. La gente come me tende a diventare cinica durante i governi di centrosinistra. Leggi il giornale, il mondo non ti piace, fai una smorfia e pensi che con Berlusconi sarebbe persino peggio. Una cosa molto avvilente, specie quando D'Alema cominciò a farsi vedere a cantare nelle trasmissioni di Morandi.
E poi, per una volta in vita mia, non ero in Italia. Stavo in Francia, ed è bello pensare come possa cambiare il punto di vista variando appena di qualche meridiano. Anche la Francia è un membro della Nato, ma meno deferente. Si partecipa a una guerra se si pensa che è giusta, non solo per fare piacere agli amici americani. E se in Italia lo schieramento pro-contro la guerra era il solito (Rifondazione contro tutti, più o meno), in Francia la situazione era più sfumata.
A chiedere di non intervenire in Kossovo, per esempio, era un Charles Pasqua, nazionalista antieuropeo che da Ministro degli Interni aveva fatto menare un sacco di studenti e immigrati. Mentre a credere senza ironia nell'"intervento umanitario" erano personaggi al di sopra di ogni sospetto come Kouchner, che veniva dall'esperienza dei Medecins sans Frontières, o Cohn-Bendit, il verde tedesco-francese che ho rivisto a La7 sbugiardare Ferrara in un buon italiano, forse l'unico sessantottardo al mondo che mi stia simpatico.

Ma la vera differenza tra Francia e Italia era un'altra: l'idea dell'"albanese". I francesi hanno un sacco di immigrati da tutto il mondo (e, non nego, un sacco di problemi). Ma gli albanesi, non sanno ancora bene cosa siano. La maggior parte di loro faticherebbe a indicare l'Albania sulla cartina – esattamente come qualsiasi italiano, fino al 1991 e ai primi sbarchi. In dieci anni l'italiano medio ha sviluppato una vera fobia per questo tipo di straniero, che è il più straniero di tutti, forse perché è anche il più simile a noi, e il più vicino.

Ora, l'Italia del 1999 andò alla guerra del Kossovo con una cattiva coscienza. Bisognava evitare lo sterminio dei kossovari, si diceva. Può darsi che effettivamente Milosevic stesse pensando alla pulizia etnica, non so (la storia giudicherà). Ma più probabilmente stava pensando a espellerli, con le buone o le cattive. Dietro lo spauracchio delle fosse comuni, noi italiani avevamo soprattutto paura di altri due milioni di albanesi profughi sulle nostre coste. E la guerra del Kossovo è stata fatta soprattutto per questo. Non per il petrolio, che non c'era. Non per un gasdotto, come in Afganistan. Nemmeno per mettere in imbarazzo l'Onu e l'Unione Europea, dimostrandole la sua impotenza di fonte alla Nato (che comunque fu un effetto collaterale coerentemente perseguito dall'amministrazione USA). No. La guerra del Kossovo non è stata che l'episodio più cruento di quella guerra che si combatte da un decennio nell'Adriatico, a suon di gommoni e bagnarole affondate dalla guardia di finanza: la guerra dell'Italia contro gli immigrati. È una guerra che ha visto centrosinistra e centrodestra alleati, senza fratture. Il minimo che potessero fare era votare compatti per fare dell'Italia la portaerea dei bombardieri NATO diretti a Belgrado.

Dal mio divano francese tutto questo si vedeva molto bene. I cronisti insistevano con candore disarmante sulla necessità di "assistere i cossovari nel loro territorio": l'essenziale, insomma, era che non cercassero di evadere dal loro pezzetto di Balcani, a costo di trasformarlo in una riserva indiana (sloggiando la minoranza serba). Milosevic, un tempo vezzeggiato dai diplomatici occidentali, era diventato il responsabile di un decennio di guerre e massacri. La guerra del Kossovo ebbe anche questa funzione, di sgravare la nostra coscienza di occidentali dagli orrori del conflitto jugoslavo. Ecco che finalmente la Nato interveniva, castigava i cattivi e difendeva i buoni. Un po' in ritardo, d'accordo, ma tra un decennio chi avrebbe notato la differenza? Chi la nota, oggi?

Tutto questo era molto chiaro; eppure io non mi trovavo a mio agio nelle dichiarazioni pacifiste che trovavo sui giornali o su internet: mi sentivo cinico, disincantato, forse non avrei nemmeno partecipato a una marcia, se qualcuno l'avesse organizzata. Tutto questo litigare dei miei amici lontani sulle mail, faticavo a capirlo: è davvero così necessario prendere una posizione?, chiedevo. La guerra comunque si farà, che noi siamo contrari o no.
Non ce l'avevo con Bertinotti: lui chiedeva, coerentemente, l'uscita dell'Italia dalla Nato. Era una richiesta realistica? No. Rifondazione non aveva più nulla a che fare con la realtà, almeno dall'autunno dell'anno prima, quando si era chiamata fuori dal governo (mandando a casa Prodi). Rimaneva un partito marginale, occupato a conservare la sua percentuale di consensi, garantendo ai suoi sostenitori un'identità forte, al di sopra dei compromessi. Il suo pacifismo era una bandiera che si poteva sventolare tanto più forte quanto si era sicuri che non avrebbe avuto nessuna conseguenza pratica. Del resto molta gente che si lamentava dell'intervento Nato era la stessa che tre, quattro anni prima aveva accusato l'Occidente di "assistere immobile" alla tragedia dei Balcani…

E infine, mi bloccava quello che chiamerò l'"argomento-brunovespa": Che altro dovremmo fare? D'accordo, siamo dei figli di puttana che piuttosto di ospitare un albanese in più preferiscono rovesciare tonnellate di tritolo su tutta la Serbia. D'accordo, Clinton aveva bisogno di una campagna militare per far dimenticare al mondo la sua stagista: ma Che altro dovevamo fare? Milosevic stava pur sempre massacrando degli innocenti. Se non avessimo fatto nulla, i pacifisti si sarebbero lamentati comunque, della nostra negligenza. Tanto valeva intervenire, no? Coi bombardamenti? Sì, coi bombardamenti. Con cosa, sennò? Paracadutando delle infermiere o dei videoreporter? No, meglio farla finita in fretta.
Ero molto cinico, nel 1999, come si vede. Però a tutto c'è un limite…

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