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mercoledì 23 luglio 2003

Maestri di vita (8): Warren Beatty interpreta John Reed.

Io, d’altronde, chi mi credo di essere. Cosa sto facendo, dove voglio arrivare, e perché. Vediamo.

Ci fosse almeno uno shock infantile, “a cinque anni cadde da un albero”, eccetera. O qualcosa che ho letto in tenera età e mi ha fatto diventare quel che sono. Mah.
Io credo che l’infanzia sia un’età molto intellettuale, non fosse che il cervello è proporzionalmente più grande rispetto al resto del corpo, e può già dettar legge mentre gli altri organi devono ancora scoprire di aver voce in capitolo. Sui libri di lettura delle elementari (comunisti!) c’erano molte poesie di Bertolt Brecht (sì, proprio lui, il grande rapinatore). Ricordo che le leggevo per conto mio, le imparavo perfino a memoria. “La guerra che verrà non è la prima”, eccetera. Leggevo molto, in generale. Huck Finn, la capanna dello zio Tom, Asimov, la Bibbia. Un’educazione più giudaico-cristiana che greco-romana, tutto sommato.

Poi, però, bisogna dirlo, c’è l’adolescenza, e l’adolescenza passa una spugna ormonale sulle velleità intellettuali dell’infanzia. Tra i quattordici e i sedici anni direi che ho smesso di pensare seriamente a qualunque cosa non fosse il sesso e metter su un complesso per spaccare chitarre e diventare più famoso dei Beatles. Entrambi gli obiettivi (sesso e successo) più sembravano irraggiungibili, più davano l’impressione di essere a portata di mano. Smisi di leggere con continuità: a tutt’oggi sono ancora un lettore discontinuo e svogliato. Il mio modello di rockstar era più o meno la sintesi tra Pete Townshend (timido compositore e selvaggio spaccachitarre), Jim Morrison (ubriacone trasognato, fantino da asta del microfono), Syd Barrett (fuori di testa oltre ogni limite consentibile). La domanda che sorge spontanea è: ma dove li trovavi quei dischi, in solaio? No, la paghetta era quella che era e mi consentiva soltanto dischi in Nice Price. E sono grato ai miei genitori per questo. Forse il motivo per cui non mi sono mai drogato è che le droghe dei miei idoli erano fuori commercio da vent’anni.

A questo punto della mia vita, ci fu una serata in cui avrei dovuto essere in giro coi miei amici del complesso e invece, per motivi che non ricordo, rimasi in casa da solo, e in tv davano Reds, di e con Warren Beatty (che nella mia testa resterà sempre Ellery Queen, comunque). Siccome non l’ho più visto da allora, non mi sento nemmeno di dire che fosse un bel film. Si tratta comunque della storia di John Reed, giornalista, membro di un partito comunista americano (ce ne fu più d’uno), che fu cronista alla Rivoluzione d’Ottobre e scrisse Le dieci giornate che sconvolsero il mondo, un libro che ogni tanto mi vien voglia di leggere… ehm, di rileggere. Nel film c’è anche una struggente storia d’amore che ho totalmente rimosso, perché a 15 anni le storie d’amore ti fanno pigiar tasti sul telecomando. Ricordo solo che a un certo punto lui si ritrova da qualche parte nella grande Russia, su un treno inseguito dalle guardie bianche, si rende conto che non gli interessa poi così tanto la rivoluzione, che preferirebbe tornare a casa da lei, quindi salta giù dal treno e corre verso i cannoni delle guardie bianche. O mi confondo col dottor Zivago? Un’altra scena è quando fanno una retata di sindacalisti in america, e chiudono Reed e i suoi amici in cella con delinquenti comuni, e c’è un vecchietto che fa: “Ehi, ma voi siete i rossi?” Reed, che è un gran bevitore, non si sente molto bene, va verso il secchio per urinare, e il vecchietto: “Diavolo, questo qui è talmente rosso che piscia perfino rosso”. Immaginatevi la reazione del telespettatore quindicenne: pisciare rosso, wow! Che roba è, cirrosi epatica? Voglio provarci anch’io!

No, in realtà la scena che ricordo molto bene è un’altra, verso l’inizio del film. È il 1914, e da qualche parte in America o in Europa danno un ricevimento, con tante persone rispettabili e un palcoscenico col microfono. Al microfono un oratore spiega con bravura che c’è una Grande guerra alle porte, una guerra tra la civiltà e la barbarie, una guerra che è indispensabile combattere, che probabilmente sarà l’ultima. Finché non introduce lo stimato giornalista John Reed, esperto di cose europee, “che ci spiegherà i motivi per cui si combatte questa guerra”.

E John Reed, cioè Warren Beatty, sale su un palco, si avvicina al microfono, e dice: “Profitti”.

E poi scende dal palco. Diane Keaton, che sta seduta a un tavolino sul fondo, s’innamora all’istante. E anch’io. “Figo”, mi sono detto, “lui lì è un figo da matti. Anch’io voglio essere così. Lui cos’è, un intellettuale? anch’io voglio essere un intellettuale”.
Un intellettuale, attenzione, non un agente dei soviet. Reed è uno che scende dal treno al momento giusto, almeno nel film.
Un intellettuale, non nel senso che avrei letto molti libri (quelli c’è sempre tempo per… per rileggerli), ma nel senso che prima o poi sarei salito su un palco e avrei detto “profitti” alla gente. Il che tutto sommato non è così diverso dallo spaccare una chitarra: si tratta, sempre e comunque, di épater les bourgois. Che non mancano mai, prevedibilissimi, che sono sempre lì pronti a farsi épater per un nonnulla, pronti ad applaudire a qualsiasi guerra venga loro proposta, a qualsiasi battaglia di civiltà, a qualsiasi stronzata.

Mentre qui ci sono solo profitti, signori. Ohi, avete presente quanto costa un marine di equipaggiamento? Credete che da qualche parte non ci sia qualcuno che fa i calcoli e decide se una guerra conviene o no, per cui, è chiaro, un’invasione in Iraq conviene, uno sbarco in Liberia col cazzo, signori. Profitti. Bush va a salvare l’Africa? In che senso? Promette soldi per i medicinali? Wow, abbiamo un eroe, qui! Soldi che torneranno immediatamente nelle tasche di Big Pharma, passando per qualche milione di malato terminale. Perché non convince piuttosto Big Pharma a mollare l’osso sui brevetti, così magari in Africa potrebbe nascere qualche polo farmaceutico alternativo? Già, perché? Ehm, non so. Aspetta. Forse che si tratta di profitti? Perché non condoniamo il debito ai Paesi africani, visto che è da vent’anni che li stiamo strangolando? Perché il Fondo Monetario non ammette di aver avuto torto sulle liberalizzazioni, di aver avuto torto sullo sviluppo? Già, perché? Profitti. Profitti. C’è gente che ci guadagna, e voi, sventolando le vostre bandierine, magari vi aspettate la mancia. Niente di personale, ma siete ridicoli. Coi vostri ritornelli, le vostre bugie, la vostra civiltà. Io vi piscio in testa, signori, con rispetto parlando. E andatevene affanculo.
Io vado a Riva del Garda.


Avvertenza. Per i lettori del Blog Aggregator: ieri ho usato l’aggregatore in modo scorretto, lincando a nome mio un post del Griso che secondo me era importante (più di quello che avrei potuto scrivere io, almeno), sull'ennesima figurina di merda del Foglio di Giuliano Ferrara. Da quel che ho capito, molta gente è venuta anche qui. Mi scuso per aver creato della confusione.

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