La sfortuna di Johnny
(continua da ieri. Vedi anche l'errata corrige)
… ma negli anni successivi, man mano che cassetti e armadi vengono rovistati, il criterio adoperato nell’edizione del 1968 viene giudicato sempre più discutibile.
Scoppia una querelle tra studiosi: quando Fenoglio ha scritto veramente il Partigiano? Alcuni lo considerano uno degli ultimi lavori di Fenoglio; per altri invece si tratterebbe di una delle sue prime prove in italiano, il canovaccio da cui poi trarrà materiale per tutti i libri successivi. Di questo parere è Maria Corti, che nel 1978 pubblica le due stesure insieme, una dopo l’altra, in un’edizione critica delle opere di Fenoglio (sempre Einaudi). Purtroppo questa edizione per “addetti ai lavori” si esaurisce presto. Una delle ultime copie l’ho trovata io, al mercatino di Piazza Verdi, e me la tengo.
Forse è per questo motivo – molto poco scientifico – che sono portato a fidarmi più delle argomentazioni di Maria Corti; ma dopotutto, cosa importa? È davvero molto interessante sapere se Fenoglio ha scritto il Partigiano negli anni Quaranta o negli anni Cinquanta, prima o dopo Primavera, in ordine cronologico o a ritroso? Non sarebbe meglio cercare di capire quale delle due versioni sia la migliore, così da poter consegnare ai lettori il romanzo nella migliore forma possibile?
Qui si entra, naturalmente, nel campo minato della soggettività: chi può decidere una volta per tutte quale è la versione migliore? L’autore è morto: e dopotutto nemmeno da vivo si era mostrato un saggio giudice del proprio lavoro. E se malgrado il parere di Virgilio leggiamo l’Eneide; se abbiamo salvato dalle fiamme le opere di Kafka; tanto più dobbiamo ritenerci liberi nei confronti di Fenoglio, che non ha lasciato nessuna indicazione testamentaria. Siamo liberi di scegliere la stesura che ci piace di più. E non c’è nessun motivo di carattere filologico che ci costringa a preferire la seconda stesura alla prima, come accade nella prima edizione Einaudi (e anche nella successiva del 1994, curata da Dante Isella: la stessa che probabilmente vi hanno venduto con la Repubblica).
In realtà, questa stesura è più incompleta della prima. Oltre a numerosi tagli, mancano i primi capitoli (che infatti vengono recuperati dalla prima stesura). L’impressione è che Fenoglio stesse cercando di rendere il lavoro più stringato e scorrevole per convincere Citati e Garzanti a pubblicare il suo romanzo-fiume in due volumi. Ma come abbiamo visto, nel 1958 è lui stesso a rinunciare al progetto, ammazzando Johnny a metà strada: e se Fenoglio ha tradito Johnny, perché noi non dovremmo tradire Fenoglio? La seconda stesura è un aborto incompleto: la prima è un vero e proprio romanzo, magari con qualche lungaggine e qualche anglismo di troppo, ma completo. È quello il vero Partigiano Johnny, a mio parere.
Siccome il mio parere vale comunque quel che vale (0.00), cercherò di corroborarlo con un esempio che secondo me è decisivo. Avete sottomano l’edizione di Repubblica? Andate a pag. 239. Siamo ad Alba, il giorno in cui i partigiani si impadroniscono della città (il primo dei famosi 23 giorni della città di Alba). Camminando in direzione della caserma, Johnny intercetta una conversazione:
A un angolo un partigiano azzurro stava quietamente conversando con suo padre. Diceva questi:”Ora resterai per sempre in città, ora che l’avete presa”. Il ragazzo sorrise: “Ma forse non la terremo molto, papà”. L’uomo gaped. “Che cosa? Ma allora perché l’avete presa?” Il ragazzo sorrise e sventolò una mano. “No, guarda, tu ti sbagli, tu non sei al corrente”, insisté il padre: “io ho sentito il contrario. Ho sentito che la terrete per sempre, che non ve ne cacceranno mai più…[…]”
Che ve ne pare, di questo dialoghetto?
Io lo trovo stentato e, francamente, attaccato con lo scotch. (Oltre che poco realista: Johnny dovrebbe camminare in tondo per un paio di minuti per assistere a tutto il dialogo tra padre e figlio).
Ma forse io sono prevenuto, perché la stessa scena, nella prima stesura, occupa tre pagine. E il “partigiano azzurro” è Johnny stesso, che va a trovare i genitori. È un anno e mezzo che non si vedono: nel frattempo hanno adottato un cane (“Da un angolo un cagnetto balzò e latrò, ma una volta sola, poi rinculò e sedette, riconoscendo il sangue”. E il cagnetto pugnalò il cuore di Johnny […])
Johnny è un piccolo Ulisse, che torna a casa solo per una cena furtiva: ha paura delle spie e non vuole compromettere padre e madre. Ma uno sguardo a quel “cagnetto” gli basta per capire l’angoscia dei genitori, le loro “lunghe desolate sere”. Si siede a tavola, e mentre spiega al padre l’assurdità strategica della presa di Alba (“non dirlo in giro. Ma sarò contento se ci saremo ancora fra quindici giorni”), comincia ad accarezzare il cane. (“Sarebbe diventato uno splendido compagno, nei giorni di dopo”). Alla fine della cena (“stranamente, anche il cibo sapeva di borghese”) Johnny accetta qualche vestito, un po’ di soldi e riparte. Ma per un attimo, un attimo soltanto, ha rimpianto la sua famiglia, ha accarezzato un cane.
È una scena struggente, che spiega meglio di ogni altra le emozioni e le paure della città ‘temporaneamente’ liberata, e dei liberatori che sanno di essere soltanto di passaggio. Per quale motivo filologico dobbiamo privarcene? È plausibile che Johnny, nato e cresciuto ad Alba, resti per una ventina di giorni in città senza mai andare a trovare i genitori? Se Fenoglio decise, nella seconda stesura, di tagliare una pagina così, fu il primo a non trovare il risultato soddisfacente: tanto che alla fine mandò tutto a monte uccidendo Johnny al termine della Primavera. Può darsi che ci siano, nella seconda stesura, pagine più riuscite: ma basterebbe questo incontro coi genitori a far pendere la bilancia a favore della prima. Sempre a mio parere, naturalmente.
No, non solo mio. Quando qualche anno fa Guido Chiesa girò il suo Partigiano Johnny, un film coraggioso passato nell’indifferenza quasi generale (e sì che valeva una mezza dozzina di Dreamers), non si volle privare di una scena come quella del colloquio col padre. Chiesa e il suo sceneggiatore conoscevano molto bene Fenoglio, e avevano deciso espressamente di basarsi sulla prima stesura. (E se lo dico, è perché lo so: mi sono fatto un viaggio fino a Correggio per chiederlo a Chiesa di persona, che era venuto a presentare il film). Una scelta tutt’altro che scontata, visto che la prima stesura ormai è scomparsa dagli scaffali delle librerie. Eppure, sarà una coincidenza, ma chi ama Johnny di solito lo ha letto anche in quella versione. Che è quella, ricordiamo, che non trovate nell’edizione di Repubblica.
Termina qui la storia del Partigiano Johnny, uno dei migliori romanzi italiani del Novecento, e forse in assoluto il più sfortunato. Colpa di un Autore poco fiducioso nei suoi mezzi, di consulenti editoriali non molto coraggiosi, di studiosi attentissimi al dettaglio a scapito forse dell’effetto d’insieme. Ma alla fine tutte queste negligenze sono a spese dei lettori: noi. E dire che siamo proprio noi lettori ad aver capito Johnny meglio di tutti: malgrado le lacune della seconda stesura, malgrado gli anglismi astrusi (che nessun curatore si è ancora preso la briga di tradurre in nota). Siamo noi che, malgrado tutto, continuiamo a leggerlo, e comprarlo, e in trent’anni lo abbiamo trasformato in un long-seller. Siamo noi che ci meriteremmo di più: un’edizione basata il più possibile sulla prima stesura, e integrata con la versione originale di Primavera di Bellezza: saranno certo meno epiche, ma le avventure di Johnny sotto l’esercito del Regno sono fondamentali per farci capire e amare il personaggio. Possibile che nessun ricercatore (e in Italia ce ne sono ancora parecchi, pagati dallo Stato) voglia provarci?
Nel frattempo, a chi non vuole aspettare, consiglio senz’altro di leggersi il libro di Repubblica. Non è la versione migliore, ma è meglio di niente. A dire il vero un’alternativa c’è: cercare in biblioteca l’edizione Corti. Sono cinque struzzi Einaudi, bianchi, con sobrie righe arancioni. Il Volume Primo è in tre tomi: il secondo contiene due versioni di Primavera di Bellezza; il terzo le due stesure del Partigiano. E a quel punto potete farvi da soli la vostra versione preferita. Non spaventatevi per l’inglese, e fidatevi: Fenoglio purtroppo non lo sapeva, ma era un grande scrittore. Uno dei più grandi del Novecento (sarebbe a dire, di sempre).
(Un grazie di cuore alla biblioteca pubblica Defarge)
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