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venerdì 19 novembre 2004

(7900 battute, fatto. Ora, se fossimo nel secolo scorso, dovrei stamparne cinque copie, e poi sarei curioso di vedere i punti interrogativi di Jonathan, quelli esclamativi di Enzo, le sforbiciate di Ric o Glauco... se fossimo nel secolo scorso).

Davanti a me c’è un post-it: "Scrivere un pezzo per Energie Nuove: 7455 battute entro giovedì".
Sono un po' confuso, è una cosa che non succedeva da cinque anni. Come tornare nella vecchia classe delle medie, avete presente? Di solito i banchi sono più piccoli.

Memorie di un correttore.

Nel 1996 la pubblicazione ufficiale dell'AVPA languiva, e qualcuno pensò: visto che siamo un'associazione di volontariato, perché non affidarla a dei volontari? In un qualche modo, Riccardo riuscì a coinvolgere nel progetto alcuni suoi amici, tra cui me. Nessuno, a parte lui, aveva esperienza di servizio in Associazione. Per noi, fino a quel momento, la Croce Blu era poco più di un marchio sulle ambulanze. E l'ultima cosa che volevamo fare, era un giornalino con in copertina un'ambulanza, una di quelle cose che, quando ti arriva nella cassetta delle poste, ti dà i brividi. Un house organ, insomma – in seguito abbiamo imparato che quel tipo di cose si chiama house organ. A quel tempo ne sapevamo ancora poco, ma eravamo ottimisti. Girando per le tipografie ci rendemmo conto che risparmiando un po' sulla carta, il giornale poteva diventare una specie di rivista, a 24 pagine, con articoli divertenti accanto alle rubriche ufficiali; inchieste, racconti, e persino un fumetto. Non un house organ, decisamente: in quel momento l'importante era incuriosire i lettori. E i volontari, naturalmente. Che una volta aperto, lo avrebbero amato, e sarebbero venuti a trovarci in redazione (due sere a settimana). Qualcosa di mai fatto prima, di fresco. Di nuovo. Energie Nuove. Sottointeso: le nostre (qui la faccio facile, ma la scelta della testata ci costò almeno un mese di riunioni).

Il primo numero, detto "il Bianco", fu un disastro, sotto molti aspetti. Dentro si parlava di tutto quello che interessava a noi in quel momento: internet, naturalmente, postmoderno, naturalmente, architettura, librerie, musica. Anche di Croce Blu, cercando bene. Più che farsi amare, la rivista sembrava concepita per spaventare i lettori, sin dai ghirigori della copertina. Era successo che avevamo incontrato un bravissimo grafico, Matteo, e ci eravamo appassionati a quello che faceva: e ogni volta che ci portava proposte per la copertina o per l'impaginato, noi sistematicamente sceglievamo le cose più innovative e stravaganti. Per di più non avevamo ancora molta esperienza coi computer; potevamo discutere una sera alla settimana su una foto o su un concetto, ma conoscevamo solo vagamente quella pratica che si chiama "correzione di bozze".

Col secondo numero, "il Blu", le cose andavano già molto meglio: stavamo imparando, oltre a correggerci le bozze, a provare curiosità per quello che succedeva in città. C'è un bell'intervento sulla prostituzione, firmato da due operatori di strada. Una memorabile inchiesta sugli ipermercati, che nel 1996 a Modena sapevano ancora di novità. Il resoconto di un congresso straordinario ANPAS, ma anche un bell'inserto fotografico e un lungo servizio sul circuito cinema (perché la rivista continuava ad assorbire le passioni di chi la faceva): e ancora un racconto, un fumetto. Insomma, la rivista cominciava a prender forma, e ad attirare l'attenzione. Le riunioni di redazione cominciavano ad allargarsi. Venivano a trovarci amici e compagni dell'Università di Bologna, perché, strano ma vero, una rivista così curiosa e pazzoide (e a suo modo ‘impegnata’), in tutto quel panorama universitario non c'era. Cominciava ad arrivare – grazie al cielo – anche qualche volontario dell’Associazione. Il terzo numero (“l’Arancione”) parlava del Polo Umanistico che stava per aprire a Modena, della Globalizzazione (la parola più usata del 1997). C’era anche il contributo di un collaboratore d’eccezione: Guglielmo Zucconi, che un pomeriggio era venuto a trovarci e a spiegarci qualcosa di quello che stavamo facendo per gioco già da un anno: il giornalismo.

Al di là di queste piccole soddisfazioni, era tutto ben lontano dall’essere perfetto. La rivista sembrava piacere più al pubblico esterno che ai volontari della Croce Blu. Coinvolgere persone all’esterno dell’Associazione era sempre stato un nostro obiettivo: ma non volevamo sembrare i “marziani” dell’Associazione, isolati nella nube di fumo che veniva a crearsi il giovedì sera in sala riunioni. Il rischio di voler giocare all’Intellettuale era sempre in agguato (tenete conto che nessuno di noi aveva ancora passato i trent’anni), eppure se ci trovavamo all’AVPA era proprio perché avevamo voglia di misurarci con una realtà più grande e più complessa di tutte le nostre frequentazioni: l’Associazione, e in generale il Volontariato, il Terzo Settore, la vita di una vera città. Era un qualcosa di meno – e di più di un lavoro. Tra noi, lo chiamavamo “Volontariato culturale”. Energie Nuove cominciò a fregiarsi del sottotitolo “Rivista di volontariato culturale”.

Non cambiò soltanto il sottotitolo. Il formato a ‘libretto’ non ci piaceva più, volevamo qualcosa di simile a un giornale, tre fogli piegati in quattro, dodici pagine. Energie Nuove cercava di mettere più a suo agio il lettore, senza rinunciare a qualche stravaganza (alcuni, la prima volta, lo aprivano a rovescio). Anche le riunioni erano molto cambiate. Ora eravamo più di una dozzina e non tolleravamo più lunghe discussioni su qualsiasi scelta di grafica o contenuto. Arrivammo al punto di cronometrare gli interventi: chi aveva un articolo da proporre, lo doveva (1) presentare in cinque minuti; (2) consegnare in tre copie ai revisori; (3) leggere le tre revisioni e consegnarlo rifatto per la riunione successiva; (4) ripetere le prime tre operazioni. (Sembra incredibile, ma riuscivamo ugualmente a sbagliare gli accenti). Per evitare di fossilizzarci, a ogni numero cambiavamo i ruoli: gli ultimi 4 numeri di Energie Nuove sono stati coordinati da quattro persone diverse. Energie Nuove è stato anche questo: un’esperienza concreta di democrazia e di autogestione. Essere redattori significava lavorare agli articoli, all’impaginazione, portare il numero in tipografia, distribuirlo in giro per la città. Un’esperienza a tutto tondo.

Continuavano a succedere cose imbarazzanti: una volta la tipografia sbagliò completamente i colori della copertina, ma le nostre copertine abituali erano talmente ‘strane’ che nessun lettore se ne accorse... peccato, perché, quel numero conteneva un’intervista al regista Ken Loach, che scendendo in Italia si era fermato praticamente solo a Modena e si era fatto intervistare soltanto da noi. Nel numero successivo (il “Rosso”) c’era un’intervista a Kusturica, un’altra a Tahar Ben Jalloun, un’inchiesta sul campo nomadi... L’ultimo numero, datato marzo 2000, non ha nulla di eccezionale: io però lo trovo bellissimo. Ora avevamo due grafici (a Matteo si era affiancato Gianluca), e riuscivamo a fare pagine belle da vedere e da leggere.

E poi... ci siamo fermati. Perché? Da qualche tempo in qua lavoravamo talmente bene che avevamo smesso di aggregare persone nuove. Imperdonabile. La rivista era sempre stata organizzata in un viavai generale: gente che arrivava, altri che si prendevano una pausa per laurearsi, per fare un erasmus, per cercare un lavoro, per fare un bambino... a un certo punto è successo che tutti eravamo in pausa. Il secondo ciclo di Energie Nuove è finito così.

E’ stato quattro anni fa: oggi non so se molti volontari si ricordano di Energie Nuove. Io tuttora mi chiedo se abbiamo reso un buon servizio all’Associazione. Credo di sì: abbiamo fatto tanti errori, ma ce l’abbiamo messa tutta. Però, se devo essere onesto, EN è qualcosa che è servita più a noi che ci lavoravamo. E’ stata un luogo dove incontrarci, confrontarci su migliaia di cose, scoprire un po’ del mondo intorno a noi. Scoprire anche una professione. Molte ex redattori di EN oggi continuano a lavorare in redazioni di cose un po’ più importanti: è un onore aver cominciato a un tavolo con loro. E io? Io mi sono laureato e adesso lavoro. Faccio il correttore di bozze. Alla prossima.

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