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venerdì 5 novembre 2004

"Queste politiche fiscali e militari sconsiderate metteranno sicuramente a rischio il benessere e il potere degli Stati Uniti per molti anni, a prescindere di chi sarà eletto in novembre. Se però Bush riuscirà a ottenere abbastanza voti per ottenere un secondo mandato possiamo aspettarci qualcosa di molto più grave: la fine della grandezza americana" (E. Kamarck).

È ora di bere, 2 (continua da ieri)
2. politica interna.

Quando diciamo USA, parliamo di 280 milioni di persone su un territorio che ne conterrebbe tranquillamente il triplo (quasi 10 milioni di kmq), ricco di zone fertili e di materie prime, nel torso di un continente, al riparo dai peggiori effetti degli sconvolgimenti climatici prossimi venturi (ce ne accorgeremo quando pagheremo acqua e cereali a peso d'oro). Bastano queste sommarie nozioni di geografia per capire che la vocazione imperiale degli USA non è un capriccio, ma una necessità.
Di fronte a dati del genere, cosa resta all'Antiamericano? Quale la sua unica speranza di veder crollare in tempi brevi l'impero stellato e strisciato? La Storia parla chiaro: in questi casi non c'è nulla di meglio di una classe dirigente corrotta e incapace. Dick Cheney e George W. Bush, presenti!

A questo punto, occorre distinguere tra due scuole di pensiero abbastanza divergenti.
Secondo la prima, Bush non è affatto incapace o corrotto, ma anzi un grande statista, supportato da un team di valenti economisti e pensatori, che ha riportato l'America devastata dai democratici a un periodo di piena occupazione e prosperità, grazie a un metodo già felicemente sperimentato dal suo grande precursore, Ronald Reagan: tagliare le tasse ai ricchi, che felici corrono a reinvestire e riavviano l'economia.
L'Antiamericano li adora, questi tipi qui, e augura loro una lunga, lunga vita.

Poi ci sono gli uccellacci del malaugurio, che fanno notare che a un certo punto Reagan, grazie alla sua politica di corsa agli armamenti e alle brillanti idee dei suoi consulenti ultraliberisti, si ritrovò col deficit alle stelle e in piena recessione, e ne uscì alzando le tasse. Cosa che anche Bush, nel suo secondo mandato, farebbe bene a fare. L'Antiamericano spera proprio di no.
Uccellaccio del malaugurio è Elaine Kamarck, in un pezzo di qualche settimana fa sul Washington Monthly (ricopio dall'Internazionale n. 561 del 15/10/2004, pag. XLIII dell'inserto), quando fa notare che Bush, prima o poi, dovrà affrontare il problema del deficit, e potrà farlo (secondo Kamarck), in tre modi: (1) smantellando le tutele sociali (previdenza, sanità, etc.); (2) tagliando il bilancio federale, e passando la patata bollente agli amministratori locali, che dovranno poi fare economie e chieder cassa ai cittadini per conto loro (questo dovrebbe ricordarvi qualcosa); (3) continuando a sorridere alla telecamera, tanto i consumi dei ricchi riavvieranno l'economia e colmeranno il deficit. E tuttavia:

Tuttavia, per quasi tutta la durata del primo mandato il team di Bush si è visto sfuggire la crescita economica. La creazione di posti di lavoro è andata avanti a rilento, e la ripresa è stata stagnante. […] Nel caso di un secondo mandato, la crescita sarebbe ancora più aleatoria, perché influenzata da un fattore su cui la presidenza statunitense non ha alcun controllo: l'impetuoso sviluppo della colossale economia cinese e la conseguente impennata della domanda globale di petrolio. L'aumento del costo dell'energia generato dalla crescente domanda non è destinato ad arrestarsi, e comporterà anche l'aumento di tutto ciò che produciamo, acquistiamo e guidiamo [in Italia, su queste cose, siamo già all'avanguardia]. Eppure l'amministrazione Bush non riesce a guardare oltre il petrolio. Io non condivido le dietrologie della sinistra – che Bush e co. puntano ai soldi del petrolio. Però mi pare chiaro che la mentalità dei petrolieri è del tutto inadeguata ad affrancarci da un'economia basata sull'oro nero. Se Bush sarà rieletto, questo sarà uno dei motivi principali per cui il suo governo avrà portato l'America alla fine della sua ricchezza.

Bush è stato rieletto, e l'Antiamericano gongola. Gongolereste anche voi, se foste altrettanto antiamericani. Dovreste però essere antieuropei, antiitaliani, e, per farla breve, antiumani, perché un crollo economico come quello prospettato da Elaine Kamarck travolgerebbe con sé tutto quello che si trova sotto.
Per questo – solo per questo – stasera vi sentite ancora lievemente infastiditi. L'Antiamericano, lui no. Si versa ancora un altro bicchiere, alla salute di chi gli vuol male. E poi corre a mettersi il barbone posticcio, che è ora di stupire i mondo con un nuovo Comunicato.
Non perdetevelo.

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