"Ma quanto dolore per quel segno sul muro"
Così come Maometto, in vita sua, non vide né disegnò mai una mezzaluna su un drappo, allo stesso modo Karl Marx non ebbe mai la possibilità di dare un’occhiata al simbolo comunista per antonomasia, l’intreccio di falce e il martello.
Probabilmente l’avrebbe trovato fuori luogo. Una falce, un martello, nel pieno della Seconda Rivoluzione Industriale? Nell’era della fabbrica, dell’ingranaggio, all’alba elettrificata della Catena di Montaggio? Mi piace immaginarlo mentre straccia i bozzetti: non va, non va. Noi siamo comunisti, lottiamo per il possesso dei mezzi di produzione: che senza dubbio non sono più questi qui. Ci vuole qualcosa di più industriale, siamo nell’Ottocento, perdio.
Non è un caso che, dopo una lunga storia separata, la falce e il martello si siano ritrovati per la prima volta intrecciati nella Russia dei Soviet. Non è nemmeno un caso che l’altra patria d’adozione sia stata l’Italia: i due Paesi industrialmente sottosviluppati sui quali Marx non avrebbe mai puntato, e che in un primo tempo erano sembrati terreni più fertili per il verbo di Bakunin. Due frontiere industriali dove a Novecento già avviato era ancora possibile descrivere il lavoro con quei due attrezzi che in Germania, in Inghilterra, erano ormai appannaggio di hobbisti eccentrici: il martello da fabbro, la falce da contadino. E persino in Italia, a dire il vero, i braccianti socialisti con la falce e il martello sulla tessera stavano già lottando intorno alla trebbiatrice. Insomma, il simbolo nasce già vecchio. Ma funziona.
Trasformare gli attrezzi di lavoro in simboli, una bella idea. Si può celebrare il lavoro senza smettere di lavorare? Quella falce non sta falciando, quel martello non inchioda: sono incrociati come le braccia di uno scioperante. È un simbolo ambiguo, e soprattutto è minaccioso. Intrinsecamente minaccioso. La svastica, prima d’incontrare il nazismo, era un semplice simbolo grafico. Poteva rappresentare il ciclo delle stagioni, il sole, e centinaia d’altre cose. Ma la falce e il martello non avevano nemmeno bisogno di essere adottate da Stalin per ispirare una certa soggezione. Una falce alzata fa paura, specie a chi non ne ha mai usata una, e col martello ci siamo tutti schiacciati almeno un dito nella vita. È un simbolo che sa di sangue e sudore, e può piacere anche per questo. Può essere il sangue e il sudore che abbiamo sopportato; oppure il sangue e il sudore che non vogliamo più sopportare; oppure il sangue e il sudore che vi faremo versare, maledetti capitalisti. In ogni caso, è difficile immaginare un simbolo più violento: mi vengono in mente solo la bandiera dei pirati, i cartelli dell’alta tensione e il Kalashnikov sulla bandiera del Mozambico. Ai capitalisti degli anni Venti doveva veramente gelarsi il sangue nelle vene.
Col tempo poi si sa cosa succede: a furia di vedere un simbolo, non ti ricordi più il significato. Inoltre, tutta questa voglia di menar martelli e falci dopo un po’ doveva stemperarsi per forza. Il razionalismo cubo-futurista diede una grossa mano, stilizzando i due arnesi in una cifra astratta, dorata sullo sfondo rosso della bandiera dell’URSS. In Italia Nenni provò a sdrammatizzare appoggiando un libro sullo sfondo. Guttuso invece geometrizzò persino il manico del falcetto, da lì in poi inimpugnabile, e coronato da una stella che lo rendeva curiosamente simile alla mezzaluna islamica. Siccome il pittore era siciliano, la tentazione di ricamare sulla citazione inconscia è irresistibile… ma attenzione, la mezzaluna non era un simbolo islamico ai tempi della dominazione araba della Sicilia: in quel periodo era ancora l’emblema di Bisanzio, adottato forse in onore della dea Artemide. Va a finire che con la scusa di difendere il simbolo del lavoro, stiamo difendendo l’ultima resistenza della dea multipopputa nel nostro inconscio collettivo. Vabbè, scherzo.
Adesso invece sono serio. L’altra mattina il ministro Ferrero, a Omnibus, spiegava che negli ultimi vent’anni i delitti sono dimezzati, mentre gli infortuni sul lavoro si sono mantenuti costanti. A questo punto l’on. Cicchitto lo ha interrotto, accusandolo di fare demagogia.
Demagogia? Ferrero stava semplicemente citando delle cifre. Cicchitto non ha sostenuto che fossero false. Per lui era demagogia semplicemente parlare di cifre. Semplicemente parlare di infortuni del lavoro. È demagogia ricordare che esistono, e che fanno più morti degli immigrati rumeni. È demagogia parlare del lavoro, semplicemente. Gli italiani non sono più un soggetto politico in quanto lavoratori, ma solo in quanto consumatori. Se lavorano, peggio per loro: lo facciano discretamente, senza lamentarsi, e ricordandosi di passare dal centro commerciale prima di rintanarsi nei piccoli bunker domestici. Pensate a come ci ha diviso la vertenza di questi giorni: da una parte un’orda di lavoratori brutti sporchi e cattivi, che blocca l’Italia ai caselli dell’autostrada; dall’altra i poveri consumatori bloccati a casa senza rifornimenti di viveri e benzina. Se siamo arrivati a questo punto, abbiamo clamorosamente perso non soltanto il bandolo del traffico nazionale, ma anche la nostra coscienza di classe.
Il motivo per cui io mi considero malgrado tutto una persona di sinistra, non ha a che fare con la bontà, o con la cultura, o con altre categorie pseudo-veltroniane (che persino il vero Veltroni non merita). Il motivo è semplicemente che io mi ostino a considerarmi per prima cosa un lavoratore, e vorrei continuare a essere un soggetto politico in quanto tale. Per me il discrimine passa di qui: tra i partiti che ti considerano prima di tutto un consumatore da imbonire e quelli che vedono ancora in te un lavoratore da difendere, io scelgo i secondi, e non saprei fare diversamente. In tutte le questioni sulle quali ci accapigliamo, compresa quella in fin dei conti trascurabile di Luttazzi, mi sembra di cogliere in controluce lo stesso problema: c’è chi sta dicendo “non potete licenziare un lavoratore di punto in bianco” e chi dice “ha sbagliato a offendere gli amici del padrone e il padrone può fare ciò che vuole”. Io sto e starò sempre coi primi, perché sono cresciuto con loro e mi trovo bene.
Mentre per molti l’articolo uno della Costituzione è ormai un mantra privo di significato, io credo di aver capito cosa vuol dire fondare una Repubblica sul lavoro, e so che è una frase molto meno rassicurante di quello che appare: significa, come minimo, che chi non lavora non dovrebbe avere voce in capitolo. Se ci pensate, non suona per nulla buono o buonista; piuttosto un po’ rivoluzionario. Più oggi che nel 1946.
Quando pronuncio quell’articolo sento di nuovo, vago ma inconfondibile, quel retrogusto di sangue e sudore, e mi ricordo che per poco il martello non è finito nell’emblema repubblicano: era in uno degli ultimissimi bozzetti. Sarebbe stato un emblema surrealista e vagamente vichingo, il martello alato: ma anche con lo stellone non ci possiamo lamentare. C’è sempre l’ulivo a fianco, che è un impegno di pace, e sotto c’è la ruota dentata, un altro simbolo del lavoro che forse sarebbe più piaciuto a Marx, e regge ancora questi tempi di meccanica di precisione.
Quello che invece non condivido coi miei compagni comunisti e verdi ed ex diessini, con o senza falce e martello, è una speranza solida di migliorare la mia e la loro condizione. È un mio grosso difetto, la disperazione, che mi rende in definitiva la persona mediocre che sono. Per quanto mi sforzi di immaginare, continuo a vedere il mercato del lavoro italiano come una piccola ampollina, che poteva carburare discretamente finché non è stata messa in comunicazione con l’enorme cisterna del lavoro asiatico. È per questo che non riesco a stupirmi se in un’ex fabbrica modello di Torino vedo comparire turni massacranti e scomparire gli estintori: è atroce e allo stesso tempo è normale, ci stiamo cinesizzando e nei tempi lunghi non ci possiamo fare niente. Il giorno in cui l’equilibrio dei vasi comunicanti sarà ripristinato, il livello della qualità delle nostre vite sarà comunque sceso di parecchio. E non tutti potranno contare sulle solite scappatoie: la cultura, l’informatica, l’industria del lusso, il turismo. Forse dobbiamo rassegnarci a vivere in un Paese un po’ più povero, in cui il pane costerà di più, la benzina costerà molto di più, e non tutti i figli degli operai potranno fare gli ingegneri. Allora dovremo raccontare ai nostri figli una favola ben diversa da quella che i nostri padri hanno raccontato a noi. E non saranno molto contenti – i nostri figli, intendo. Del resto lo si vede già, da certe facce in giro.
Se poi ho una speranza al mondo, è proprio quella di sbagliarmi. Il simbolo che preferirei lasciare alle nuove generazioni, malgrado tutto, resta sempre quel famoso Sole dell’Avvenire. Ma la vedo dura, che ci posso fare.
Intenso, come sempre. Anche se, come speso, un po' in disaccordo con me.
RispondiEliminadiobòno, troppi concetti. Tutti condivisibili. Mi limito a dire due cosine sole:
RispondiEliminala stella nel simbolo rappresentava la "Stella d'Italia", come anche Saba ricorda in una poesia.
Seconda cosa. I camionisti in sciopero non li vedo come i lavoratori o gli ultimi, ma come padroncini che vogliono difendere, legittimamente per loro, una posizione di privilegio rispetto alla manovalanza a basso costo. I veri lavoratori sono quei camionisti che non si possono permettere di scioperare perché il loro "padrone" li rimpiazzerebbe nel giro di due minuti. E noi, lavoratori-consumatori diciamo: se volete il mercato accettate la concorrenza.
in tutto questo discorso benedetto qualsiasi considerazione sulla "sicurezza" dovrebbe stare fuori. perché in un paese normale sarebbe un valore condiviso. invece c'è sempre uno stronzo che parla di "demagogia", "bastoni tra le ruote" pensando alla posta di bilancio.
RispondiEliminaTeatro degli Artigianelli
RispondiEliminaFalce martello e la stella d'Italia
ornano nuovi la sala. Ma quanto
dolore per quel segno su quel muro!
Esce, sorretto dalle grucce, il Prologo.
Saluta al pugno; dice sue parole
perché le donne ridano e i fanciulli
che affollano la povera platea.
Dice, timido ancora, dell'idea
che gli animi affratella; chiude: "E adesso
faccio come i tedeschi: mi ritiro".
Tra un atto e l'altro, alla Cantina, in giro
rosseggia parco ai bicchieri l'amico
dell'uomo, cui rimargina ferite,
gli chiude solchi dolorosi; alcuno
venuto qui da spaventosi esigli,
si scalda a lui come chi ha freddo al sole.
Questo è il Teatro degli Artigianelli,
quale lo vide il poeta nel mille
novecentoquarantaquattro, un giorno
di Settembre, che a tratti
rombava ancora il canone, e Firenze
taceva, assorta nelle sue rovine.
Umberto Saba
molto interessante quello che hai scritto... sì, anche a me come simbolo sarebbe piaciuto il sole dell'avvenire, anche perchè tutto sommato era un simbolo condiviso da comunisti, socialisti e socialdemocratici.. ma al di là dei simboli, che pure sono importanti, volevo rispondere in merito al tuo pessimismo sul futuro.. lo capisco e lo comprendo, ma sono fiducioso che con un grande mercato globale alla fine ci sarà una grande battaglia sindacale globale, e che quindi i diritti conquistati nel '900 verranno estesi anche ai paesi di recentissima industrializzazione. insomma quando la cina e il sud-est asiatico saranno costrette dai propri cittadini ad aprire alla democrazia e riconoscere le libertà sindacali qualcosa cambierà. certo, alla lunga c'è sempre il problema delle risorse scarse... quello resta difficilmente risolvibile.
RispondiEliminaTutto vero. Marx (che del resto non hai mai lavorato, se intendiamo per lavoro qualcosa che venga retribuito..) avrebbe dato in testa quel simbolo al primo pseudocomunista dell'epoca.
RispondiEliminaVero anche che invece è stato ed è più valido dello stesso marxismo quel simbolo. E ha sempre campeggiato splendidamente e ferocemente sull'edizioni del Manifesto di Engels-Marx per quasi un secolo.
Vero che in confronto la sinistra l'arcobaleno fa ridere i polli (se si pensa poi allo spirito rivoluzionario e violento del Comunismo autentico)
Vero che nella scelta tra lavoratori e padroni ci sia anche sempre stata una buona dose di compiacente moralismo. Tipo: io sto con i buoni. Fino al radical-chic. (i padroni non lavorano? la lotta di classe si può davvero fare da borghesi?).
Unica cosa poco vera: Luttazzi paragonato all'operaio che rischia la vita. Anzi sa proprio di cazzata.
Hasta Siempre
Sottoscrivo: condivido in pieno il discorso fatto sul lavoro e sui lavoratori e sul primo articolo della Costituzione italiana.
RispondiEliminaAggiungo per amore di correttezza che la svastica nazista NON è il simbolo del sole dello shintoismo giapponese (che è rispetto alla svastica nazista rovesciato). E per amore di correttezza bisogna dire che tutte le odierne lotte sindacali in Oriente somigliano alle lotte degli anni '60 (vedi Korea). in Cina ci arriveranno. In India stanno facendo scioperi e scioperi. E a parte gli slum di Mumbai e Kolkata lo sfruttamento dei bambini sta avviandosi verso una degna fine. Perché si vuole un futuro migliore per i propri figli e se si è in pieno bum economico i bambini=futuro del paese, si mandano a studiare. Per un futuro migliore (=più lavatrici e televisori per tutti)
Non ho paragonato Luttazzi a un operaio. Quel che volevo dire è che anche in Luttazzi io prima di tutto vedo un lavoratore.
RispondiEliminaQuesto fa sì che io formuli sul caso Luttazzi un parere che è diverso da quello di altri: per me c'è il lavoro prima di tutto, con le sue regole: Luttazzi aveva un contratto e lo stava onorando; glielo hanno stracciato con una scusa pretestuosa. Per me le cose stanno così.
Altri ragionano in altro modo: per esempio, chi ragiona in termini di famiglia, tenderà a vedere nell'operato di Luttazzi uno sgarro nei confronti degli amici di famiglia.
leonardo, generalmente sono d'accordo con te, ma i trasportatori sono oggettivamente indifendibili. Il loro non era uno sciopero perché non era rivolto ai loro datori di lavoro, o clienti, non era per tirare sul prezzo. Era uno sciopero contro il governo italiano (cioé noi, ovvero per avere i nostri soldi pubblici). Altrove ho immaginato questo dialogo tra il camionista e il governo:
RispondiElimina- guadagno poco
- chiedi l'aumento
- non me lo danno
- ok, e cosa vuoi da me?
- che mi dai tu i soldi
- perché mai dovrei
- perché sennò faccio casino, blocco le strade e la benzina, e alla lunga taglio i viveri alla popolazione, poi vedi come ti votano
- ecco i soldi.
Il camionista potrà essere un lavoro duro quanto vuoi, ma nessuno obbliga nessuno a farlo, e a farlo da padroncini. Se non ce la fai a tenere la struttura dei costi, non puoi chiedere soldi alla comunità. Se gli scarpieri delle marche travolti dalla concorrenza cinese bloccassero il casello di ancona che faresti? e se lo facessero i piombisti di livorno o gli allevatori di galline della brianza? sgravi per tutti? E i soldi chi ce li mette, fammi indovinare, i dipendenti che pagano le tasse.
E in tutto questo ci vedi una battaglia dei lavoratori, magari contro i "padroni"?
Io proprio no.
Grande Leonardo. Lo smalto dei momenti migliori. E già quelli medi son notevoli, eh.
RispondiEliminaSul futuro:
una nota ottimista: la soluzione difficilmente si trova ragionando nel frame che ha generato il problema. E forse in questo caso il frame è la produzione di ricchezza, che in certi aspetti accomuna marxisti e capitalisti liberisti - divisi dalla distribuzione, ma portati ugualmente alla sincope da un calo del pil.
Una maggiore consapevolezza di ciò che determina la qualità della vita può aiutare: avere tempo libero, liberarsi di ritmi ansiogeni, avere abbondanza di spazi di socialità, non essere condizionati da paure più o meno sturmentalizzate, vivere in un contesto ad alto capitale sociale, svolgere un lavoro non degradante e campare dignitosamente, i vari indici di sviluppo umano, motivazioni "spirituali" (religiose o di progresso umano) e mille altre cose che non dipendono direttamente dalla produttività e dalla competitività, possono dare un'altra prospettiva.
Nota pessimista: il "popolo" è piuttosto bue e va in tutt'altra direzione, segue le sirene di una società disegnata ad immagine dei padroni del vapore. (consumatori e non lavoratori, appunto, spesso col corollario del disprezzo del lavoro)
In più c'è come una società si rappresenta, l'immaginario, che ha espulso il lavoro e la sua dignità, e promuove modelli osceni, volgari, infimi.
Su questo, a mio avviso, c'è molto margine per lavorare.
Può essere quello che fa la differenza tra una recessione economica sopportabile ed una società terrorizzata, senza prospettive, coi privilegiati chiusi nei loro bunker.
Gru'
Non ho capito il riferimento a Luttazzi, comunque è un pezzo veramente fantastico...
RispondiEliminaComplimenti
Vabbè, forse ho voluto mettere troppa carne al fuoco e mi sono spiegato male.
RispondiEliminaCredo che il blocco dei camionisti sia un esempio di come la nostra perdita di coscienza di classe ci sta portando alla deriva.
Invece di ragionare e pianificare il traffico delle merci in Italia, continuiamo a pompare sangue ad altissima pressione nelle arterie atrofizzate delle autostrade italiane.
Alla fine non ci dovremmo sorprendere se siamo ricattabili da parte dei camionisti. E invece sì, ci sorprendiamo, perché ormai abbiamo occultato il lavoro, e non passiamo nemmeno trenta secondi al giorno a domandarci che strada fanno le merci che ci portiamo a casa dai negozi.
Del resto le autostrade italiane sono sempre meno vivibili, e i camionisti sono carcerieri di loro stessi.
La soluzione 'ragionevole' (umiliare i camionisti e trasferire rapidamente il traffico delle merci sulle rotaie) in realtà ha costi umani ed elettorali che nessun politico vorrebbe sobbarcarsi.
capisco i costi elettorali, ma che intendi per costi umani?
RispondiEliminaIn effetti Luttazz in questo contesto era appunto trascurabile.
RispondiEliminaAd ogni modo mi pare un po' stile Pia Luisa Bianco (te la ricordi? Quella di "O di qua, o di là"), dividere sempre così nettamente la platea.
c’è chi sta dicendo “non potete licenziare un lavoratore di punto in bianco” e chi dice “ha sbagliato a offendere gli amici del padrone e il padrone può fare ciò che vuole”
Io per esempio non dico alcuna delle due cose, come non credo che Luttazz stesse propriamente "onorando" il contratto, né che non potesse permettersi di sfanculare Mamma Settete.
Io contesto la censura, per principio, anche se avesse bestemmiato. Ma non perché lavoratore. Anzi. Mi ricorda piuttosto Albertone che spernacchia gli operai nei Vitelloni. E mi fa anche ridere, il più delle volte.
Un po' come Grillo quando ci ricorda quanto lo paghiamo ai suoi spettacoli.
Forse proprio per questo sopporto anche l'atteggiamento ovviamente studiato (la Gialappas è campione in questo, ma con più ipocrisia)
di essere volutamente così anti-aziendalista.
Alla satira non si possono far firmare patti di fedeltà.
Ma tutto questo c'entra poco col lavoro. Quello vero.
Ringrazio leonardo per aver recuperato una parola che hanno in tutti i modi cercado di cacciar via dai nostri vocabolari...dai nostri discorsi...COSCIENZA DI CLASSE.
RispondiEliminaChi parla di coscienza di classe e tanto più di lotta di classe oggi vien fatto passare per una macchietta sfigata degli anni 70.
Ma quali classi siamo tutti consumatori con gli stessi diritti no? Il diritto di poter sognare il cellulare di ultima generazione, la vacanza ai tropici e la scopa elettrica che fa le pulizie da sola.
Ma la scopa elettrica è quella che ci mettono nel c..o tutti i giorni.
Perchè in questo paese c'è una stragrande maggioranza di precari, di operai, di disoccupati, di mobbizzati, che dovrebbe solo riappropriarsi della propria coscienza di lavoratore sfruttato e...moblitarsi di conseguenza.
... ma perchè ogni volta che c'è uno sciopero dei camionisti a me viene in mente il Cile di Salvator Allende?
RispondiEliminaanche a bonaiuti è venuto in mente.
RispondiEliminaForse perché ci fu uno sciopero di camionisti.
RispondiEliminaE poi il Cile e l'Italia sono due Paesi lunghi e stretti, e se scioperano i camionisti si blocca tutto in mezz'ora.
Vabbé, ma a parte tutto il resto, almeno tre persone hanno fatto rilevare che lo sciopero dei camionisti potrebbe non essere stato il miglior esempio di "classe lavoratrice"...
RispondiEliminaChe non sarà il punto centrale del post ma non è manco una considerazione fuori contesto.
A 'sto punto Leonardo, o dici perché secondo te quella è una vertenza nella quale il buon elettore di sinistra dovrebbe stare dalla parte, comunque, degli scioperanti, oppure confessi che l'esempio t'è uscito male, era solo un artificio dialettico, e che quello che intendevi dire vale a prescindere dai camionisti e che il post può essere letto anche saltando quel passo che stava lì tanto per starci e non a seguito di particolare riflessione.
"perché secondo te quella è una vertenza nella quale il buon elettore di sinistra dovrebbe stare dalla parte"
RispondiElimina...cosa che, se leggi bene, non ho scritto.
L'esempio funziona proprio perché è un tipo di sciopero che "il buon elettore di sinistra" non può che rifuggire inorridito. I camionisti sono brutti, sporchi e cattivi, guidano male e taglieggiano il Paese.
Se poi ti senti un "buon elettore di sinistra" e cerchi qualcuno che ti spieghi quali rivendicazioni sono giuste e quali no, secondo me ci sono centinaia di siti internet più autorevoli di questo.
Non credo di essere un "buon elettore di sinistra", dal momento che non mi riconosco molto nelle posizioni attuali specie del neopartito democratico. (Sull'altra neonata formazione devo ancora valutare.)
RispondiEliminaE sono d'accordo con chi ha scritto che considera i camionisti dei padroncini che hanno difeso e/o preteso privilegi.
Del resto, ma quasi sicuramente è colpa mia, non sono ancora riuscito a capire cosa voleva intendere Leonardo.
In ogni caso, non posso che dirmi del tutto d'accordo con l'anonimo che ha scritto: "Perchè in questo paese c'è una stragrande maggioranza di precari, di operai, di disoccupati, di mobbizzati, che dovrebbe solo riappropriarsi della propria coscienza di lavoratore sfruttato e...moblitarsi di conseguenza".
Non so se sia in effetti una stragrande maggioranza, ma penso sia del tutto vero che a mancare totalmente sia la coscienza dello sfruttamento.
Mi accorgo che pur di tenersi saldi a poltrone e poltroncine, si arriva a svendere la propria coscienza.
Vedo "persone qualunque" che preferiscono stare zitte e sgobbare anche 15 ore al giorno (festività incluse) pure di riuscire a pagare un mutuo, ma non si fanno mancare i cosiddetti bisogni eterodiretti.
Mi chiedo perché ci sia sempre bisogno di arrivare allo stremo, per prendere coscienza e ribellarsi.
ma se tra lavoratori e consumatori, scegliessimo come soggetto politico quello dei cittadini?
RispondiEliminaCon il consumerismo come categoria politica sfondi una porta aperta. Anche a me a volte mette a disagio.
Però penso che scegliere i lavoratori come soggetto politico di riferimento unico é un grosso limite. Innanzitutto sottorappresenti il paese. I lavoratori in italia sono meno del 50% della popolazione. Quelli con posto fisso, che lavorano in grosse imprese o nel pubblico e possibilmente sindacalizzati molti meno (la CGIL fa poche centinaia di migliaia di tessere) Davvero ti vuoi limitare a rappresentare questa categoria? davvero bambini, donne, studenti, anziani non vuoi dare loro rappresentanza? E dei precari, tagliati fuori dalle logiche del lavoro stabile?
E davvero vuoi lasciare ad altri l'onere di rappresentare (almeno alcuni degli) interessi anche di imprenditori, industriali ed autonomi in generale?
Inoltre ricordiamoci di chi sono molti di quei lavoratori con cui ti identificheresti: sono anche i dipendenti alitalia che minacciano scioperi a natale; sono anche i ferrotranvieri che prendono il caffe all'ora in cui dovrebbero far partire i treni, sono anche gli assenteisti di ogni risma e classe...
E' per questo che non mi piace la categoria politica dei lavoratori da difendere e promuovere a prescindere (specie quando i loro interessi si mettono in contrapposizione con quelli di altre categorie più deboli)
Occorre iscriversi per commentare? Avevo lasciato un commento che non è arrivato. Sono stata la solita inetta o sono stata censurata dall'etere?
RispondiEliminaciaomarina
personalmente trovo degradante essere considerato (o avere diritti come) consumatore invece che come lavoratore (sono in questa categoria da una cosa tipo trent'anni: due terzi della mia vita)
RispondiEliminaritengo che la cosa detta da matteo (poco sopra) sia corretta: meglio cittadini. esistendo in questo cazzo di posto acquisisco dei diritti e sono soggetto a dei doveri che saranno diversi (entrambi) se lavorerò o se sarò casalinga o pensionato, se alleverò bambini o cani...
però trovo ancora attualissima la mitica etica del lavoro: la dignità di far bene quello per cui si è pagati. che sia fabbricare macchine o aggiustare sciacquoni o dentiere, far partire treni o sistemare fratture, insegnare ai ragazzini o dirigere il traffico...
ecco io diffido sempre (molto) di chi dice cose tipo: non mi pagano abbastanza per fare bene questo. la responsabilità di un insegnante o di un medico è troppo grande perfino quando si è pagati poco o male. per me non ci son scuse. ho detto diffido, ma forse la parola esatta è disprezzo.
se sei un cazzo di medico che mi sta sistemando un osso rotto o un cazzo d'impiegato delle poste non m'interessa sapere se t'è morto il gatto o la suocera è in coma: sistemami st'osso rotto o non mi perdere la raccomandata. è il tuo lavoro e lo devi far bene.
riguardo i camionisti... i dipendenti alitalia... ecc. per me il ricatto è un reato: se io incrocio le braccia e la mia azienda ci rimette soldi è uno sciopero. se io punto la pistola alla tempia di qualcuno e dico datemi i soldi sennò l'ammazzo è una rapina! quella dei camionisti è stata una rapina! indipendentemente dalle ragioni.
sì, penso che Matteo Rizzolli e Marcello abbiano detto delle cose giustissime.
RispondiEliminaPurtroppo, Marcello, la logica del "non mi pagano abbastanza" è imperante, per lo meno nel mio campo (editoria).
Un ragionamento semplicissimo e agghiacciante: ci sono tempi strettissimi, che se non vengono rispettati spingono chi comanda a cercare altri che invece li rispettino; se in questi tempi non rientra qualcosa, non la si fa.
Certo, si prova a fare il meglio, ma alla lunga ci si adagia su questo ragionamento, e si è spinti a mettere in secondo ordine alcune necessità e alcuni passaggi ritenuti non fondamentali.
Di sicuro il campo editoriale non è quello medico. Ma spero di avere reso l'idea di un andamento (che suppongo generale).
La mia categoria non è per niente protetta e non ha un sindacato né un albo professionale (o almeno, non mi risultano); e nel campo (più o meno latamente) culturale si sa che i fondi e gli investimenti sono sempre pochi.
E i padroni gongolano.
Perché alla fine siamo sempre là, secondo me: sarà un discorso semplicistico o idealistico, ma questo Sistema, fino nelle fondamenta, è tutto sbagliato.
Ciaomarina, non è necessario essere iscritti per commentare, ma a volte capita che il sistema non prenda i commenti.
RispondiEliminaI camionisti sono padroncini. Verissimo. E sono ugualmente alienati. (L'altra sera ho sentito un'insegnante, all'università, affermare "occorre trovare un sostituto alla parola alienazione, nell'epoca di internet". Ma perché?)
Le loro rivendicazioni sono corporative. Vero.
Siamo arrivati a questo punto dopo decenni di de-regolazione totale nel trasporto delle merci, convinti che tanto in Italia l'asfalto avrebbe sempre vinto sulle rotaie, ecc.. Siamo stati stupidi, ma non è solo questo il punto.
Siamo al punto in cui non riusciamo più a identificarci nei lavoratori: voglio dire che in passato c'erano cittadini che anche se non lavoravano (studenti, intellettuali, pensionati) riconoscevano la centralità del lavoro, e sapevano in qualche modo di essere integrati nel modello. Oggi no, oggi il lavoratore è raffigurato come un estraneo minaccioso e rapace.
Naturalmente c'è una schizofrenia, perché non solo di questi lavoratoti rapaci e minacciosi abbiamo un disperato bisogno, ma a volte siamo persino noi. Però in tv, su internet o altrove, vestiamo sempre la casacca di allegri consumatori, che è indispensabile per stare in società.
vero. però, in certe occasioni, come in questa tragica, la rabbia che monta (e spero che duri) fa ricordare da che parte si sta.
RispondiEliminaal dottor carlo e a quelli che leggono questo blog.
RispondiEliminasono l'anonimo che pochi commenti più su aveva scritto ".... in questo paese c'è una stragrande maggioranza di precari, di operai, di disoccupati, di mobbizzati, che dovrebbe solo riappropriarsi della propria coscienza di lavoratore sfruttato e...moblitarsi di conseguenza".
...solo per dire che nel frattempo io e altri due amici ci siamo decisi ad aprire un blog: http://lottadiclasse.wordpress.com/
Ottimo pezzo. Chissà cosa ne penserebbe un solone come Eco in merito.
RispondiEliminaMa, confesso, ancor più interessante, è leggere di commenti tutto sommato pacati, e civili.
Non so se sia dovuto all'antispam, o ad una febbrile attività di verifica da parte dell'autore (in cuor mio, non lo credo ovviamente).
La mia speme è che sia semplicemente un'oasi felice di liberi pensatori.
Buon week end a tutti, lavoratori.