Da morti è più facile
Hai un bel da dire che i tigli sporcano, fosse per te li taglieresti.
Io ho scelto questa casa mentre guardavo gli alberi. Non è che l'abbia scelta per gli alberi. Ma li stavo guardando. Il primo pensiero concreto fu il Bidone Aspiratutto per le foglie sul terrazzo. Mai comprato, per fortuna, era un pensiero concreto ma stupido. Ramazzare le foglie è rilassante.
Un tiglio è un albero fantastico, sporca più o meno nove mesi l'anno. Quando finisce coi fiori passa ai semi, gialli fetenti e appiccicosi; poi ci sono le piccole foglie dei semi, di difficile cattura; poi l'involucro del seme, una piccola biglia che cade di schianto, poc, fa il rumore della grandine... e senza accorgertene è già agosto e cominciano a cadere le foglie serie. Il resto dell'anno la resina cola sulle macchine parcheggiate, e se provi a tirarla via con un semplice autolavaggio, la carrozzeria sbiadisce. Il tiglio non è un animale da salotto.
Guardarlo ingiallire lentamente ti ripaga della fatica (non del mutuo).
Pensa solo a tutte le metafore che puoi tirarci fuori; ad esempio in febbraio i potatori lasciarono un rametto spezzato incastrato nella prima biforcazione. Quel ramo prima o poi sarebbe dovuto cadere, col vento, magari sul tuo parabrezza o sulla testa della vicina; ma si vede che il vento non spira mai nord-nord-ovest/sud-sud-est; che il ramo è troppo pesante o in un qualche modo è rimasto incastrato, fatto sta che è rimasto lì, sempre più nero, in mezzo al verde.
Non ti dico il fastidio.
Come il pezzetto di carne che ti resta tra i denti al ristorante, a mille chilometri dal filo interdentale che ti sei dimenticato di mettere in valigia. Uno poi fa finta di niente, così apre la finestra, aspira a pieni polmoni... e vede quello stecco conficcato tra i due rami, insomma, tutti i santi giorni, perché non cade? è insopportabile.
Lo vedi che non è la natura, sono io?
Che trovo dappertutto cose da non sopportare?
Possiedo un piumino anti-ragnatele telescopico, eredità del mio periodo-mansarda. Certe notti d'estate, dopo aver guardato bene che nessuno mi spiasse, estroflettevo l'ordigno come un gigantesco cotton-fioc, e dalla mia finestra cercavo di urtare lo stecco morto, di smuoverlo, di estrarlo, inutilmente. E' ancora lì, ma in autunno si nota meno (io però lo so che c'è, e mi offende).
L'altro tiglio ha un rametto spezzato, che è rimasto attaccato al suo ramo per un nonnulla, una scheggia di corteccia, un truciolo. Dev'essere stato il vento di marzo, perché il rametto aveva cominciato a mettere piccole foglie, già secche in aprile. Macchioline gialle in un gigante verde, ma le avevo davanti in primo piano, ogni volta che aprivo la finestra del salotto. Non mi davano fastidio come lo stecco morto, erano una sottile promessa d'autunno in primavera, memento mori e tutta questa serie di cose - e poi sarebbero cadute presto, credevo. Al primo vento.
La pianta poi ha messo foglie assai più grosse. E i fiori, e quei chicchi dei fiori che a calpestarli fanno il rumore della neve che scricchiola. Intanto quelle foglioline gialle erano sempre lì, sempre più grinzose, ma non cadevano. A fine agosto, quando tornammo, la prima finestra che aprii fu quella del soggiorno: le morte erano lì, come quelle vecchiette che resistono agli anni, le conosci da bambino e alla fine vengono al tuo funerale col rosario in mano - le foglioline morte erano lì. Vabbe', tanto ormai è autunno, pensavo.
Il tiglio non era dello stesso parere: fino a metà ottobre si atteggiò a sempreverde. Poi, profittando di qualche acquazzone, cominciò a spogliarsi, ma piano, piano, il mio lapdancer personale. Ogni volta che mi ritrovavo una foglia sul davanzale, andavo a vedere se non fosse una delle vecchiette, ma no: il rametto resisteva. E aveva messo una tinta diversa da tutte le altre, un marrone deciso che irrideva il giallino smorto delle compagne cascanti. Sta' a vedere che restano lì, mi sono detto.
Ed è stato così. Novembre ha portato le piogge vere; il vento invece non è che si presenti spesso qui da noi. Le foglie se ne sono andate, lasciando quei nudi artigli neri che fanno gestacci al cielo. Oggi in terrazzo ramazzerò forse per l'ultima volta. Tra un po' magari tornerò a spalare la neve. Intanto quelle foglie sono ancora lì, appese al loro rametto mezzo amputato, che mi fa un cenno ogni volta che apro la finestra. Le prime a morire, le ultime ad andarsene.
Attenta che adesso scatta la metafora.
Sei pronta?
No, niente. E' che davvero quella foglia che si ostina, che non cede, non si arrende, che non le interessa; quella foglia che ha resistito più delle altre, perché tanto era morta tutto il tempo, e da morti è più facile, in fondo, sopravvivere; quella foglia a volte credo di essere io.
Tu magari entri, posi le chiavi, mi chiedi Come va? Sembri pensieroso, a cosa pensi?
Ti dico che va tutto bene, e che non stavo pensando a niente, guardavo le foglie.
ca.po.la.vo.ro.
RispondiEliminaio ho vissuto dieci anni in una piazza con degli enormi tigli. il profumo che ci regalavano d'estate è indimenticabile.
RispondiEliminabellissimo post, comunque.
Io ho abitato per anni in una casa con tre tigli enormi nel giardino, sono degli alberi, piacevoli l'unico fastidio sono gli insetti attirano d'estate.
RispondiEliminaPallosissimo
RispondiEliminaIo ho scelto la mia casa per gli alberi che la circondano e per gli immigrati che la sera si trovano li a fare filò, come si dice dalle nostre parti, quello che noi italiani non facciamo più, almeno in città. Anche se non capisco quello che dicono mi fanno molta più compagnia della televisione....
RispondiEliminasì, molto più facile...
RispondiEliminaDài Leo, aspettiamo Educazione religiosa #4…
RispondiEliminaSplendido.
RispondiEliminaf
Grande Leo, la metafora avrebbe rovinato tutto.
RispondiEliminaA volte penso che sei sprecato a scrivere su un blog.
> Tra un po' magari tornerò a spalare la neve.
RispondiEliminaMa vivi a Carpi o a Kärpi? Che cazzo di neve vuoi spalare (spalare!) a Carpi?
che genio.
RispondiEliminaL'anno scorso ne ho spalata parecchia, ti giuro. E quest'anno temo di essere l'unico uomo del cortile, sarà durissima.
RispondiEliminaA volte la natura ha il suo modo singolare di manifestarsi,certi alberi sembrano morti,specie nella città.più di una volta ho decretato il requiem passandogli accanto,e invece lo stupore ,a Primavera che ci sono cose inspiegabili,si rivelano solo ad occhi attenti.
RispondiEliminasi potrebbe paragonare le foglie alle farfalle,stesso equilibrio,anche nella caduta,
sono del parere che siano più insopportabili,certe attese,che non quelle della natura.
la natura é dei Naturali.
ps)sai che sono dovuta andare a cercare il significato di elzeviro?
non ne sapevo nulla ,neanche che esistesse una parola cosi complicata:)
ciao.
Amelie
Leonardo, ti ci voleva davvero tanto per arrivare dove sei arrivato?
RispondiEliminaOra devi solo lasciare tutto, andare, lasciare una nube di silenzio e di domande.
Ciao Leo, io davanti a casa ho 13 tigli. Sporcano come tredici cani con la diarrea, esattamente come dici. tu.
RispondiEliminaOgni sera vado a letto e guardo fuori dalla finestra, la luce della lampada della porta si riflette sulle foglie e mi fa stare bene.
A volte mi fermo di giorno, e li guardo. Poco fa avevano i tronchi neri di pioggia e le foglie giallo intenso. Un pò come Vale con la Ducati, adesso che ci penso. Una livrea che tengono solo pochi giorni.
Tra poco saranno completamente neri sul cielo grigio.
Proprio davanti alla mia finestra c'è un ramo rotto, attaccato per un nonnulla, sospeso a 12 metri d'altezza più o meno che si ostina a non venire giù.
Io guardo i miei tigli e penso ai miei compaesani, che ODIANO gli alberi e vorrebbero vivere sul cemento o sull'asfalto o su una combinazione dei sue, senza niente altro che occupi le loro inutili giornate da pensionati.
Ed io li guardo, i tigli, e sto meglio. E penso che finchè ci sarò io i miei tigli avranno tutto il mio aiuto possibile per star su. Potature scientifiche, rispetto, spazzar di foglie ... tutto.
Grazie
E penso, tra l'altro, che non sarà un caso se ultimamente "visualizzo" i miei stati d'animo come diversi stili di sepoltura.
RispondiEliminaA giorni la mia tomba è un salice piangente vicino ad un ruscello, a giorni un cuscino di ciclamini, a giorni una lapide con su scritto "'zzo guardi ?"
Siamo morti ma siamo più vivi di tanti
A proposito di alberi e metafore, mi hai fatto tornare in mente un altro albero, quello descritto da Marco Lodoli nella sua "guida vagabonda di Roma" intitolata "Isole": "su quella curva del viadotto giorno dopo giorno ho visto alzarsi un albero, un signor albero. Sotto di sé ha solo uno zoccolo di cemento durissimo, attorno ai suoi rami gagliardi il fumo delle macchine e il frastuono del traffico: nessuna delle implacabili leggi della natura gli permetterebbe di farcela, eppure è sempre più grande e più bello, e gli uccelli si posano tra le sue foglie. Ogni volta che si passa di lì bisognerebbe inchinarsi di fronte a quel mistero grandioso, portargli rispetto. Non so neanche che specie di albero sia, è puro coraggio vegetale, il segno di una necessità che dimentica la fatica." (p.7) (Questa immagine mi è rimasta impressa da quando ho letto questo libretto, anni fa...la tua scrittura, però, mi piace di più.) Ciao Nora
RispondiEliminaQuesta storiella mi ricorda terribilmente il libro "Bandiera" di Mario Lodi che ci facevano leggere alle elmentari...
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