(Introduzione)
Era Carola una giovane di nobili natali a cui la Natura, così parca abitualmente, così prudente nel dispensare i suoi doni ai mortali, aveva viceversa profuso un'avvenenza e un fascino senza pari: e tutto questa senza volerla sprovvista di un'intelligenza acutissima e viva, e di quel buon senso senza il quale tutte le altre doti e talenti non sono che spinte scomposte in ogni direzione, che tirandoci di qua e di là non ci portano veramente in nessun luogo, incatenandoci viceversa ai nostri fallimenti, quando non sono talmente violente da dilaniarci. Non così per Carola, la quale, al culmine di una carriera ricca di soddisfazioni professionali, dopo essere stata lungamente corteggiata da uomini d'arte e di potere, aveva preso in isposo il Presidente di un reame ricco e potente, il cui popolo l'amava e invidiava con alternante intensità.
Un giorno, mentre nel Palazzo presidenziale ella disbrigava gli affari correnti, gettando uno sguardo distratto a una finestra invasa da un cielo insolitamente sereno, Carola si sentì pungere dal cocente desiderio di rivedere la sorella maggiore, con cui madre Natura non era stata meno generosa, e che aveva sposato l'anziano Presidente del reame confinante. Senza indugio ordinò che fossero preparati i bagagli, e si avvertisse l'augusto marito che sarebbe stata assente tutta la settimana. Ma poi, quando già il convoglio presidenziale era a un buon punto sulla strada dell'aeroporto, si accorse di aver dimenticato una spilla che Verola, la sorella maggiore, le aveva regalato in occasione del suo matrimonio, e che nel trasporto degli addii aveva giurato di portare sempre con sé (ma poi aveva chiuso nel penultimo cassetto a partire dal basso del terzo comò della seconda cabina armadio). Ordinato dunque agli autisti e alla scorta un repentino dietrofront, Carola giunse al palazzo presidenziale ben oltre l'ora del tramonto: credette tuttavia che introducendosi con discrezione nei suoi appartamenti non avrebbe disturbato il diletto marito, il quale era solito lavorare fino a tardi ai suoi decreti nella sala del consiglio. Quale fu dunque lo stupore della povera Carola, quando, penetrata nell'alcova presidenziale, vi trovò il diletto marito abbrancato a una robusta domestica circassa?
Sconvolta da ciò a cui il suo cuore non voleva credere, e di cui pure i suoi occhi non potevano negarle la visione, nulla seppe fare nell'orgasmo del momento, fuorché chiudere la porta sulla scena penosa e grottesca insieme, ripartendo nottetempo senza far parola con nessuno di quanto visto e sentito, e senza aver recuperato la spilla fatale. L'episodio non cessò tuttavia di tormentarla per tutta la durata del viaggio. “Non è tanto il tradimento” (pensava, dibattendosi sulla poltroncina di prima classe) “in somma, siamo uomini e donne di mondo, ma proprio sul nostro talamo nuziale? E il mio aereo non era nemmeno partito! Che razza di uomo è mio marito? Vi è mai stato qualcuno al mondo meno provvisto di rispetto per sé stesso, per la carica che ricopre, e per me? E vi è mai stata al mondo moglie di presidente più vilipesa?”
Di un simile tenore erano ancora i suoi pensieri quando finalmente fu ricevuta da Verola, la quale, pur nell'allegrezza per l'incontro lungamente agognato, non impiegò molto tempo ad accorgersi che un'ombra ostinata di malinconia raffreddava l'umore della sorella adorata. Ma per quanto ripetutamente le chiedesse il motivo di questa tristezza, non ebbe da Carola che vaghe risposte sull'insostenibile vanità degli uomini e blablà. “Non vuoi veramente saperlo, sorella: contentati di riconoscere in me la più triste e insultata delle donne”. Andarono avanti così per due o tre giorni, dopodiché Verola, molto presa dalla sua agenda istituzionale, dovette recarsi da qualche parte a tagliare un nastro o consegnare un premio. “Sorella diletta”, le disse allora, “nel tempo che hai trascorso qui tra noi non hai ancora visitato i giardini presidenziali, luogo di delizie se mai ve ne fu uno in questo Reame. Ora che debbo assentarmi per qualche giorno, te li raccomando fortemente: chi sa che una breve passeggiata nell'ora del crepuscolo, quando spira una lieve tramontana e il sole all'orizzonte incendia le nubi più basse e lontane, non possa in qualche modo lenire le tue pene segrete”. “Ci credo poco, mia cara sorella; comunque grazie”, le rispose Carola, e proseguì a soffiarsi il naso. L'indomani, tuttavia, ella si recò davvero nei giardini, dove ebbe modo di verificare che né gli esemplari botanici unici al mondo, né i cespugli dalle forme bizzarre e favolose, né i leggiadri getti d'acqua avevano il potere di rimettere in sincronia il suo cuore intermittente.
Immersa in pensieri di disprezzo e vaghi propositi di vendetta, Carola non aveva prestato attenzione al trascorrere del tempo: grande fu perciò il suo stupore quando – il sole stava per calare – vide entrare dal lato opposto del giardino una trentina e più di servitori provvisti di torce, al centro dei quali distinse una sagoma tracagnotta nella quale riconobbe immediatamente il Presidente marito di sua sorella, che pure sapeva in missione all'estero. Incuriosita dalla situazione, ma tutt'altro che ansiosa di farsi riconoscere dall'ospite di cui non apprezzava i modi un po' villani, né l'umorismo greve, si nascose dietro un cespuglio, verso il quale tuttavia il gruppetto convergeva: sicché la prudente Carola poté osservare la scena che qui sotto racconto quasi come se vi partecipasse.
Man mano che vedeva i servitori avanzare ignari verso di lei, scopriva che si trattava piuttosto di servitrici: alcune nella livrea della Presidenza, altre fasciate da un'uniforme di crocerossina che appariva tuttavia troppo stretta per risultare pratica; altre le si sarebbe dette, dalla divisa ugualmente discinta, agenti delle forze della pubblica sicurezza o delle forze armate; altre ancora, e non erano le più coperte, vestivano in borghese, e dall'acconciatura o dalla montatura degli occhiali si sarebbero dette istitutrici, se il trucco pesante e le movenze non avessero smentito questa prima impressione nel modo più spettacolare. Tutte quante apparivano poi troppo giovani per le professioni che i loro costumi denunciavano, e per qualsiasi altra professione che non fosse illegale ed esecranda; e tuttavia Carola, da donna di mondo quale in effetti era, non poteva negare una certa dose di professionalità ai loro movimenti (che del resto non rimasero impediti dai vestiti per molto tempo ancora). In mezzo a loro, rosso e tronfio, troneggiava il Presidente marito di Verola, come un fiore che non smettesse di attirare a sé farfalle e api danzanti e frementi; anche se Carola trovava più congruo pensare a una piccola pallina di sterco di cervo o cinghiale, rinvenuta in mezzo al bosco durante una battuta di caccia e sfiorata e baciata da cento moscerini e parassiti.
Capita a volte anche al più giudizioso degli automobilisti di non riuscire a distogliere lo sguardo da un catastrofico incidente avvenuto nella corsia contigua: vuoi per quella morbosa curiosità che ci suscitano gli orrori, vuoi per la torva soddisfazione di non farne parte. Similmente, per quanto trovasse ripugnante e osceno lo spettacolo che si dipanava dinanzi a lei, Carola non trovava modo di saziarsene gli occhi. Ad animarla non era certo un lubrico interesse per gli amplessi, il cui ritmo artificialmente sostenuto conosceva fin troppo bene, quanto un senso di distacco, che man mano che la serata andava avanti si impadroniva sempre più del suo cuore. “Ecco dunque”, si diceva, “un uomo che un tempo fu ambizioso e capace di ogni impresa, e oggi è potente e anziano, ricco di ogni cosa al mondo fuorché di giorni da vivere; che realmente potrebbe realizzare ogni suo residuo desiderio: e quello che desidera a quanto pare è essere lo zimbello di giovinette fatue e inconsistenti, parassiti persino troppo piccine per succhiare realmente, intendo per saper trovare la vena giusta. Cosa può trovarvi in loro, di paragonabile ai trionfi dei suoi giorni più verdi? E che fine ha fatto la sua esperienza del mondo, che lo soccorse in cento e più battaglie e rovesci di fortuna, e ora lo abbandona ai capricci di una scolaresca ginnasiale? Come può non rendersi conto che fingendo un vigore impossibile non si prende gioco del Tempo, ma è il Tempo piuttosto a prendersi gioco di lui? Ma è dunque questo il destino dei più dotati fra gli uomini: lottare per tutta la vita per traguardi sempre più ambiziosi, per poi cedere alla più banale e bestiale delle pulsioni?”, e altre simili filosofiche riflessioni con le quali forse Carola nascondeva a sé stessa la ragione più segreta del suo cambio d'umore: la sorella Verola era da compatire quanto e più di lei, e il pensiero, anziché colmarla della necessaria compassione, la consolava: la catastrofe che si annunciava era avvenuta nella corsia opposta alla sua, e un così esibito disprezzo della fedeltà coniugale da parte del cognato non poteva che derubricare il fugace amplesso del marito a banale scappatella, comprensibile, perdonabile e anzi già perdonata, prima che la luce dell'alba venisse a rischiarare la comitiva esausta, che col favore delle tenebre Carola aveva già abbandonato... (continua)
ciao, perdona l'OT e cancella pure quando hai letto, ma non so più come contattarti. anno fa hai partecipato al gioco degli esercizi di stile su www.zop.splinder.com. volevo avvisarti che ne è uscito un ebook gratuito, con i migliori pezzi tra cui uno tuo, e lo puoi scaricare qui: www.castellovolante.com
RispondiEliminaun saluto
zop
Avevo proprio bisogno di una risata. Ancora!aspettiamo le altre XX.
RispondiEliminaApplaudo.
RispondiEliminaAnzi, sventolo un candido fazzoletto