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mercoledì 27 agosto 2014

E se George W Bush avesse avuto ragione?

Il nemico perfetto

La guerra, quindi, se giudichiamo dall'esperienza delle guerre passate non è se non una impostura. È come quei combattimenti fra certi animali appartenenti alla specie dei ruminanti, e le cui corna crescono secondo determinati angoli tali da impedire che essi possano effettivamente ferirsi l'un l'altro. Sfrutta in modo totale le eccedenze dei beni di consumo, ed aiuta, nel contempo, a conservare quella particolare atmosfera mentale che si richiede ad una società organizzata gerarchicamente. La guerra, come si vede, non è altro che un affare di politica interna. (E. Goldstein, Teoria e pratica del collettivismo oligarchico).

1. A un certo punto - più o meno a ridosso delle primavere arabe - abbiamo credo in molti percepito un'accelerazione degli eventi che mal si accordava con la nostra disponibilità, sempre più scarsa, a comprenderli. Avevamo tutti i nostri schemini, più o meno gli stessi dai tempi della Guerra al Terrore, e quando abbiamo visto che in Siria o in Libia non funzionavano più, non ci siamo dati troppa pena di abbozzarne altri. Avevamo già un sacco di problemi a casa nostra.
Quest'accelerazione, che magari segna l'inizio di una fase di instabilità mondiale, potrebbe viceversa essere del tutto soggettiva: siamo noi che rallentiamo, invecchiando. Se quel che succede in Palestina continua a interessarci un po' di più. non è perché la situazione sia meno ingarbugliata, ma perché ci abbiamo investito tanto tempo e attenzione che continua a risultarci più familiare. Come se l'Hamas di oggi fosse la stessa di dieci anni fa, come se Abu Mazen avesse mai più vinto un'elezione, eccetera.
La Siria viceversa è un pastrocchio inedito da cui abbiamo cercato di prendere le distanze. Chi non lo ha fatto - chi all'inizio ha parteggiato per gli insorti, o per Assad - adesso si ritrova scottato. Noi possiamo anche sopportare di risvegliarci in un mediterraneo che sfugge alle nostre capacità di comprensione, purché non ci tocchi ammettere che a un certo punto della discussione avevamo avuto torto. Piuttosto ce ne stiamo zitti, il che poi è quasi sempre l'opzione più elegante. Troppe cose ci sfuggono, troppi contendenti danno l'impressione di fare il doppio gioco. Ma a dirlo si passa per complottisti, che è pure peggio. La sensazione di non capire è tutto sommato sopportabile - l'esempio di tanti intellettuali svagati alla vigilia di ogni guerra mondiale ci conforta. L'unica cosa che non sopportiamo è che qualcuno ogni tanto ci voglia fregare. C'è sempre qualcuno che ci prova. È umiliante.

2. Prendi l'ISIS. Sembra davvero una cosa orrenda, anzi sicuramente lo è. Ma perché ce lo stanno vendendo come un'organizzazione terroristica? Le BR erano un'organizzazione terroristica. Settembre Nero era un'organizzazione terroristica. Al Qaida era una rete molto lasca di organizzazioni terroristiche quasi del tutto autonome tra di loro, che hanno organizzato attentati in una vasta porzione del mondo. L'ISIS, per adesso, no. È un'organizzazione o banda armata che ha imposto il suo controllo su un territorio vasto come una nazione, attraverso la violenza e il terrore. Gli osservatori la considerano ben organizzata e ben finanziata. Però attentati - per ora - non ne fa.
Tante altre dittature in tutto il mondo massacrano i propri cittadini e quelli dei paesi confinanti; non li chiamiamo però terroristi, non abbiamo bisogno di chiamarli così per esecrarli. Con l'ISIS è diverso. Non fa attentati (per ora) ma diamo per scontato che vorrebbe farli. Terroristi in potenza, insomma. Dobbiamo crederci per forza?
Tra le righe si intuisce un ragionamento: se l'ISIS per ora non è riuscita a terrorizzarci come vorrebbe, c'è solo da ringraziare lo stato dell'arte dell'antiterrorismo non solo aeroportuale. Tutte quelle leggi che hanno un po' ristretto le nostre libertà individuali; tutte quelle pratiche non sempre illegali che hanno consentito alla NSA di farsi un bel backup delle nostre conversazioni telefoniche; sì, è molto seccante, ma se l'alternativa è precipitare in un aereo di linea o soffocare in una metropolitana, non ci formalizzeremo più di tanto. Insomma, nel grande dibattito sulla libertà della Rete, lo spauracchio dell'ISIS ha una sua indubbia utilità. Che poi l'ISIS stia mostrando, nei fatti, tutta un'altra strategia, è un dettaglio in fondo trascurabile. Anzi, dimostra quanto il terrorismo stragista stia diventando impraticabile in Occidente. Anche se.

3. Anche se tre anni fa Anders Breivik ha fatto esplodere una bomba nella sede del governo a Oslo, e mentre la polizia accorreva si è spostato nell'isola dove campeggiavano i giovani socialdemocratici e ne ha ammazzati 69. Forse la Norvegia è un caso particolare, ma quel che è successo nell'isola di Utoya ci lascia sospettare che lo stragismo non sia poi così impraticabile come sembra. Gli eccidi antisemiti di Tolosa o Bruxelles ce lo confermano. In tutti questi casi però lo stragista sembra un individuo isolato, che magari si richiama a un'ideologia o a un'organizzazione (l'assassino di Tolosa si ispirava ancora ad Al Qaida), ma agiscono in solitudine. È proprio questa solitudine a costituire un vantaggio tattico: il fatto di non dover concertare con nessuno le proprie azioni rende questi assassini meno identificabili e tracciabili.

Ora, se esistesse realmente una grande organizzazione, ben finanziata, determinata a destabilizzare l'Occidente attraverso azioni terroristiche, non tarderebbe a trarre le sue conclusioni e a disseminare Europa e USA di aspiranti kamikaze, tutti assolutamente non coordinati fra di loro, con un unico ordine: ammazzare e distruggere quel che possono, appena possono. Un'infiltrazione di questo tipo, lungo le correnti dell'immigrazione mondiale, non sarebbe così difficile. E magari è quello che sta succedendo; però quel che osserviamo per adesso sembra suggerirci l'esatto contrario. I cosiddetti terroristi del Medio Oriente non stanno infiltrando l'occidente: piuttosto, ci sono migliaia di occidentali (non tutti di origine araba) che se ne stanno andando a combattere nella Siria e nel Levante. Senza che alle frontiere si faccia molto per trattenerli, a quanto pare. Gente che fino a qualche anno fa avrebbe potuto esprimere il suo disagio facendosi esplodere davanti a un macdonald o a una sinagoga (cito due episodi avvenuti in Italia negli anni di Bush), oggi è più facilmente tentata di far la valigia e arruolarsi nell'ISIS. In luogo di rianimare il terrorismo semispento in occidente, l'ISIS per ora sembra quasi che ne stia assorbendo gli ultimi fuochi. Tutto questo sembra quasi dar ragione al condottiero più sottovalutato della Storia, George W. Bush.

4. Bush junior vedeva il terrorismo come "qualcosa che tende a scendere verso il basso, come un liquido; per cui le guerre in Afganistan e in Iraq, lo scavo progressivo e metodico di una profondissima buca in Medio Oriente, si giustificava attraverso la necessità di far convergere nella buca tutti i terroristi jihadisti del mondo. Lo disse decine di volte, col tono texano di chi dice un'ovvietà: meglio combatterli laggiù che qui da noi. È la logica semplice semplice e spietata spietata della guerra moderna, tecnologica ma tutt'altro che chirurgica: armi che fanno decine di vittime civili per ogni obiettivo centrato non possono che utilizzarsi in casa d'altri, a casa nostra sarebbero insostenibili [...] notate che è un buon motivo per continuare la guerra, non per finirla; anzi: c'è quasi da dolersi che in Iraq stia terminando: dove andranno i jihadisti disoccupati? Un po' in Afganistan, va bene, e gli altri? Ehi, aspetta forse è meglio riaprire un buco da qualche parte".

Questa concezione liquida del terrorismo non mi ha mai convinto: io lo trovavo un fenomeno piuttosto volatile, e gli attentati del 2003-2005 (metropolitana di Madrid e di Londra, Sharm el Sheik, e tanti altri ancora) mi sembravano tristi conferme di quanto avesse torto. A dieci anni dall'ultimo attacco terroristico in grande stile, forse è il caso di farsi venire qualche dubbio. Quella che Bush chiamava Guerra Infinita, a dispetto di tutte le pacificazioni, in Iraq non è davvero mai finita: e ora attira da tutto il mondo jihadisti convinti, ma anche occidentali insoddisfatti a caccia di guai. Che possa mai vincere sembra improbabile, ma nel frattempo guardate quanti servizi ci rende: (1) tiene viva in occidente la minaccia islamica, per la gioia dei partiti più o meno nazionalisti o xenofobi; (2) giustifica gli apparati antiterroristici, ben determinati a spiarci per salvarci; (3) catalizza il disagio di tanti giovani cittadini occidentali, non solo tra gli immigrati di seconda o terza generazione; (4) rinsalda la NATO e renderà presto o tardi necessario un intervento delle nostre forze armate, tale da farci ricordare perché le stiamo finanziando. Tanti altri motivi di sicuro non mi sono accessibili, però questi quattro mi sembrano più che sufficienti a rendere ISIS il nemico perfetto. Quello che se ci non ci fosse bisognerebbe inventarselo. Non ce n'è stato bisogno.

11 commenti:

  1. Ma "un'organizzazione o banda armata che ha imposto il suo controllo su un territorio vasto come una nazione, attraverso la violenza e il terrore" non si chiama appunto terroristica?

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    1. quando una organizzazione, seppur brutale e sanguinaria, conquista un territorio, fornisce servizi base e amministra la giustizia definirla terroristica è riduttivo
      MatteoZ

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    2. Concordo con Anonimo qui sopra: ormai sembrerebbe che l'ISIS somigli piu' a uno stato-canaglia (o forse a un esercito-canaglia??) che a un'organizzazione terroristica.
      Ma va ricordato che agli inizi l'ISIS era "semplice" organizzazione terroristica, nel senso che durante l'occupazione americana dell'Iraq faceva attentati di vario genere, ma si guardava bene dall'affrontare il nemico in battaglie campali.

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  2. Fino a non molti decenni fa si chiamava semplicemente "Stato", dalle nostre parti siamo riusciti ad andare (non molto?) oltre quel livello, ma per "terrorista" si dovrebbe intendere chi fa attentati. L'ISIS non mette bombe in giro, conquista territori militarmente come ogni esercito.

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  3. Io un nome da dare a quella cosa che è l'ISIS ce l'avrei: stato sovrano non riconosciuto.
    E' infatti un'organizzazione che controlla il territorio, riscuote i tributi e amministra i vari aspetti della vita quotidiana. Tutte queste attività vengono svolte in maniera esclusiva, pertanto questa cosa che è l'ISIS si chiama "stato sovrano".
    Siccome però nessun altro stato del pianeta riconosce valore legale all'amministrazione del territorio da parte dell'ISIS, occorre aggiungere la postilla "non riconosciuto".

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  4. sul fatto che l'isis non faccia attentati un iracheno potrebbe dissentire:
    http://en.wikipedia.org/wiki/Iraqi_insurgency_(2011%E2%80%93present)

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  5. Kiev chiama la guerra nell'est "operazione antiterrorismo" (ATO) e i media sembrano incapaci di parlarne senza includere le parole "terrorismo" e "terroristi" almeno dieci volte.

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  6. Mah… (perche' non aggiungi Mah! alle reazioni? Solo reazioni positive come su FB?)

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  7. Hai ragione a dire che l'ISIS non può essere definita una formazione terroristica. Ma come dovrebbe essere chiamata: jihadista, islamista, fanatista, totalitaria? Il problema è solo terminologico. Chi oggi usa il termine terrorismo a proposito dell'ISIS non è in malafede, sta solo usando una terminologia vecchia (quella del terrorismo islamico, di Al-Quaeda e delle guerre post 11 settembre) per un fenomeno nuovo. L'ISIS però esiste, non è un'invenzione degli ideologi neo-con o dei fanatici dello scontro di civiltà; attualmente rappresenta il maggiore rischio per la sicurezza e la pace del medio oriente, questo è un fatto. Si può decidere di ignorarlo, come abbiamo fatto con la Siria. Si può decidere che i nostri aeroporti sono sufficientemente sicuri e che un attentato ogni due o tre anni, sempre che questi vogliano davvero attaccarci, è tutto sommato un costo accettabile per l'Occidente. Possiamo anche decidere di comportarci così, ma per favore, non commettiamo l'ipocrisia di chiamare questo genere di ignavia pacifismo.

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  8. Terrorista è quella parola che aggiunge il nero al racconto degli eventi e che fa apparire il grigio più bianco

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