(Le puntate precedenti: 1, 2, 3)
Laura non c'è (Nek, 1997).
- È andata via. Sto mentendo. Laura non è una canzone ascoltabile. Non la ascolto da anni e non ho intenzione di farlo adesso. Agnosco veteris vestigia flammae.
- Per quanto io provi a scappare. Nel 1997 io non guardo Sanremo. Nessuno dei miei amici ormai ne parla, non c'è bisogno di fingere interesse né superiorità, anzi Elio l'anno prima ce lo siamo pure gustato, ma in generale abbiamo davvero di meglio da fare. Siamo ex compagni di liceo in piena diaspora universitaria, qualcuno è in Erasmus, qualcun altro militare. Io farò il servizio civile l'anno successivo tra un ashram di Spilamberto e la bottega del commercio equo di Rua Muro dove tratterrò le lacrime ascoltando Laura non c'è, ma nel '97 Nek per me è solo una barzelletta. Resiste nel baule delle nozioni inutili in virtù di due o tre dettagli: ha un nome d'arte molto breve, è di Sassuolo (MO) come alcuni amici e conoscenti, e a Sanremo qualche anno prima si è fatto compatire con una canzone antiabortista che conteneva il verso "la moto venderò". Si sa come funziona la memoria con certe meteore sanremesi: fiumi di parole, trottolino amoroso, in tutti i luoghi e tutti i laghi. Tutto mi lascia presumere che non se ne parlerà più per vent'anni, quando il Fabio Fazio del 2017 andrà a scoperchiare il baule degli orrori (sì, Fabio Fazio era già in attività, e qualche mese dopo avrebbe fatto Anima mia con Baglioni e i Cugini di Campagna).
- C'è ancora il suo riflesso. A quasi vent'anni di distanza, il mio file personale su Nek non è molto più cospicuo. Ho scoperto che è il sosia sassolese di Sting, che nasce artisticamente in una cover band - a Radio DJ un mattino gli allestiscono una sarabanda con le canzoni dei Police, lui riconosce ogni pezzo dall'attacco di batteria di Copeland (ma io sono più veloce). È notevole come tutto passi e i Police restino. L'heavy rotation della cover di Se telefonando non ha scacciato il ricordo per me più vivido, che è il modo in cui faceva suo il jingle pubblicitario di Golden Lady. Quando Nek cantava "I'm losst without you", ecco, quel "losst" contiene una sibilante più sassolese che modenese o reggiana.
- Te che sei qua e mi chiedi perché. Sassuolo meriterebbe in realtà un pezzo a parte. Non è l'America, ma definirla provincia di Modena, a metà '90, è abbastanza riduttivo. Sui quotidiani locali oggi non c'è più la pagina "Sassuolo", c'è "Distretto Ceramiche", un hinterland senza un vero centro che va verso i centomila abitanti. Antenna Uno Rock Station ha in heavy rotation Beck e i Portishead, l'Oasis al venerdì attira i suoi clienti alternativi da un bacino di tre regioni. Molti dischi li ascoltiamo in anteprima anche se non c'è internet - ma c'è sempre qualcuno che fa un ponte a Londra e si porta a Fiorano i cd. Mentre a Modena buttano giù le fonderie senza farsi venire in mente qualcos'altro da costruirci, dalle fornaci della pedemontana arriva un'aria diversa, per un buon percentile cancerogena, ma con quella distinta fragranza di ricchezza nuova, ricchezza giovane, ricchezza ancora quasi proletaria. È il risultato di un boom economico un po' ritardato - però poi guardando spezzoni in bianco e nero della Caselli che suona la batteria mi domando se invece non sia proprio un dato peculiare dei sassolesi, il fottersene della marginalità. Hanno saltato dal medioevo al postmoderno ignorando tutta una serie di complicazioni, sono uno di quei nodi del rizoma padano che non presumono la necessità di un centro.
- Che capitasse proprio a noi. Io nel '97 non vado all'Oasis, ogni volta che passo da Sassuolo mi perdo, in compenso mentre collaboro a una rivistina modenese ho l'occasione di conoscere un futuro acclamato giornalista musicale che mi spiega che vivo nella zona più importante d'Italia per offerta musicale. Triangolando tra Bologna, Correggio e Sassuolo, scopro come la provincia sia un fatto della mente, ovvero: se proprio vuoi essere un provinciale accomodati, ma nel '97 non è una scusa. Hai le biblioteche migliori, hai i concerti più vicini, hai tutto quello che ti serve. Se ti senti lo stesso perduto in mezzo al niente, è un problema tuo e te lo porterai con te anche quando andrai a lavare i piatti a Londra. Nek viene da Sassuolo ma a parte la "s" di "Losst", e quel vocativo "te" in "te che sei qua che mi chiedi perché", non ha niente di vernacolare. A Sanremo è arrivato appena settimo, ma tanto non l'ho visto - so solo che ha vinto quella che fa fiumi di parole tra noi. Il pezzo in radio è piaciuto subito - ha quel tipo di testo ridicolo a cui non si resiste, "se vuoi ci amiamo adesso" è persino meglio di "la moto venderò". Ufficialmente l'album venderà più di un milione di copie tra l'Italia e l'estero. L'anno dopo ci faranno un film che nessuno che conosco ha visto. L'anno dopo le radio non si saranno ancora stancate di programmarlo, salvo che io non ci trovo più niente da ridere. Lei si muove dentro un altro abbraccio.
- Da solo non mi basto, stai con me. La musica di Laura è un pezzo di Massimo Varini, un autodidatta reggiano che nel '97 non ha ancora trent'anni e - mi fa ridere dirlo - si è fatto le ossa con Cristina d'Avena (recitando anche in una stagione di Love me Licia, Wikipedia non perdona). Spero non me ne vorrà se attribuisco gran parte del merito a uno dei grandi parolieri della canzone italiana della generazione precedente, Antonello De Sanctis, che ci ha lasciato nel novembre scorso. De Sanctis ha scritto tra l'altro Anima mia per i Cugini di Campagna. De Sanctis come ogni buon paroliere anni Settanta non teme il ridicolo, anzi lo corteggia, lo lusinga, lo ubriaca e poi ne abusa sul sedile reclinabile di una 131 Mirafiori. Il suo maestro inevitabile è Mogol, il padre segreto di tutta la musica demenziale italiana, sono serio. Ci sarebbero stati gli Skiantos senza "Tu non sei molto bella e neanche intelligente ma non te ne importa niente"? Gli Squallor senza "Anche tu ami tanto le banane"? Le Storie Tese senza "Maledettissimo zio taccagno ingrato ed ipocrita"? Magari sì, ma fatemi andare avanti.
- C'è ancora il suo riflesso. I parolieri degli anni Settanta sono stati spesso accusati di perpetuare un maschilismo ormai reazionario, ma nel caso di Mogol o di un De Sanctis l'accusa è miope. Bisogna sentirli, quei testi, cantati in falsetto da personaggi queruli e insicuri. Il maschio mogoliano, anche quando non ha il timbro un po' strozzato di Battisti, è sempre un poveraccio. Si ostina a non riconoscere Francesca, è convinto di poter suonare al campanello di una ex con un mazzetto di fiori di pesco e di non trovarla già fidanzata o coniugata, tira tardi e poi conclude con la prima che capita - e si venderebbe la moto, pure lui, perché ha il cuore malato. Le canzoni di Mogol non sono quelle con cui sono cresciuto. Se a un certo punto mi sono preso la briga di impararle e poi ho continuato a suonarle per anni ai bivacchi e alle feste, è per un motivo e uno solo: sono divertenti. Fiori di Pesco è demenziale, la canzone del sole è la parodia di sé stessa, Non è Francesca è una barzelletta. I giardini di marzo ha quel ritornello assurdo, quei cieli immensi, quell'immenso amore che descrive proprio il momento in cui sei con una ragazza e non sai cosa dirle e ti proietti nell'iperuranio. Mogol parla agli sfigati degli anni Settanta; vent'anni dopo il messaggio arriva ancora forte e chiaro, ma è un peccato che nessuno provi ad aggiornarlo.
- Laura non è più cosa mia. A questo punto arriva Antonello De Sanctis. Wiki ci informa che a metà '70 si è stancato di fare il paroliere e ha lavorato come educatore, anche in un "istituto per disabili psichici". Laura potrebbe essere un abbozzo della prima fase della sua carriera, lasciato a metà: senz'altro la situazione è ancora molto mogoliana. Il pezzo comincia con una delle più classiche rime tronche mogoliane, e un anacronismo spaventoso: Laura non c'è, è andata via / Laura non è più cosa mia. Si poteva definire "cosa mia" una ragazza, nel '97? Non si poteva. Siamo già nel Kitsch consapevole - del resto De Sanctis è l'autore di "La notte lei dormiva sul mio petto / E poi mi dava i calci dentro il letto". Ma poi quell'abbozzo deve essere stato rielaborato in anni di molto successivi - "io sto da schifo, credi, e non lo vorrei" suona quasi plausibile pronunciato su una Vespa 50hp, "a forza di pensare ho fuso" potrei averlo udito dal muretto di una sala studenti. "Stasera voglio stare acceso" invece è quel tipo di assurdità mogoliana che funziona comunque, come "Lo scopriremo solo vivendo". La prima volta che lo senti ti sembra strano, ma sai già cosa significa. "Andiamocene di là" è quel sintagma bavoso che rivela il finto giovane - dietro il faccino di quel ragazzo di Sassuolo ci sono le frustrazioni di un cinquantenne, ok, ma questo è il potere del Kitsch quando si fa canzone: ti mette in collegamento col tuo io più interiore, quello che era sfigato a sedici anni e lo sarà a sessanta. Laura non c'è è la canzone di tutti i ragazzi di tutte le età, che a dispetto di qualsiasi educazione si erano a un certo punto convinti di avere una "cosa" tutta loro, quando scoprono con raccapriccio che quella cosa è dotata di una volontà propria, e può andarsene dove vuole. Anche da un altro. È ridicolo, è demenziale, e tu lo sai, e ci ridi tanto, ti viene in mente che è successo a un tuo amico, poveraccio, ah ah, e poi succede anche a te e diventi matto. Lo prendi in pieno e non capisci più niente.
- Lei si muove dentro un altro abbraccio. Lei si muove dentro un altro abbraccio. Lei si muove dentro un altro abbraccio. Nel 1998 è il verso più importante della letteratura italiana, l'unico in realtà che riesco a capire. Mi attraversa. Sono la metà della persona che credevo di essere, cantava un altro signore che ci ha lasciato anche lui, pochi giorni dopo De Sanctis. Su un corpo che non è più il mio. E io così non ce la faccio. Fino al 1997 la gelosia è per me un concetto astratto - sono convinto di conoscerla. Sperimentarla fisicamente, nelle viscere, è l'ultima rivelazione della pubertà. L'idea che il centro della mia vita sia fuori dal mio corpo, in un punto tracciabile ma oscillante su strade che non mi è più concesso percorrere, mi schianta. Quello che mi è stato sottratto è il mio stesso corpo. Quel seno è il mio seno, quell'utero è il mio utero, quella nuca in particolare non dovrebbe poter andare in giro senza di me. È assurdo, dovrebbe essere illegale - è assurdo anche osservarsi dall'alto e capire, a intervalli, in che gorgo sono capitato. In quel momento il mio seno si muove in un altro abbraccio, Signore, questo è osceno. Io così non ce la faccio. Non riesco a pensare ad altro. L'unica è andare di là. Adesso.
- Se vuoi ci amiamo adesso. L'immortalità di Laura, quello che la rende forse l'unica canzone in grado di rivaleggiare con la felice demenza dei capolavori di Mogol, sta tutta in quella situazione. Come in uno dei classici di tutti i tempi, The Tracks of My Tears, Nek ha pochi versi a disposizione per fare due cose molto contraddittorie: provarci con una tipa usando come argomento la sua fedeltà all'altra. Il fallimento è inevitabile, ma lo svolgimento è sublime. Per dimostrarti che è un ragazzo serio, Nek ostenta il dolore che prova per una relazione appena troncata. C'è chi ci casca. Garantisco. In quegli anni del resto io le sto provando tutte. Vado in Europa, torno indietro, scrivo lettere, vado in chat. Compro fiori che cambiano destinazione da una sera a un mattino. Incido tacche. Sono nel centro postmoderno del mondo; ho le biblioteche, i cinema, i concerti ma mi interessa solo una cosa. Esco con gente che non capisco, faccio cose assurde tipo andare a Rimini a prendere un sacco di sole e poi finisco la crema e mi brucio sotto i ginocchi, storia vera. Comincio ad apprezzare i preservativi sottili, riscopro l'affidabilità di quelli spessi. Batto la pianura, mi brucio le tempie con quei cellulari che scaldavano tantissimo, divido una casa con più ragazze che mi credono relativamente stabile, non ce n'è una per cui non mi strugga nel segreto del box doccia. Ogni lavoro, ogni ragazza, ogni vita è quella giusta, bisogna fare esperienza. Frequento pancabbestia e milionarie, mi muovo in mezzo ad abbracci che non sempre condivido, vengo più volte aperto e scartato come un regalo inopportuno. Non ricordo più le premesse di quello che mi sta capitando, ma ho una sola bussola: da solo non mi basto. "Stai con me!", grido al mondo: il mondo si ritrae disgustato e come dargli torto. Le altre canzoni parlavano di uomini ridicoli, Laura non c'è parla di me e non c'è niente da ridere, tuttora.
- Mi casca il mondo addosso e ora so. Su Facebook incontro molti coetanei che nutrono nostalgia per quegli anni. Non credo di capirli del tutto. Ricordo musica, film, ambienti, ma sono ricordi deformati, da licantropo. Non riesco a giustificare il mio essere stato in determinati luoghi e l'aver fatto determinate cose. Non sono più quella persona, forse sono l'altra metà. A distanza di vent'anni, fare l'appello in classi dove una Laura è assente è tuttora imbarazzante.
(ecco, per una volta che 1500 caratteri ci sarebbero stati bene. ma pure 1200 eh)
RispondiElimina(puoi tranquillamente censurare questo commento, anzi al tuo posto io lo farei)
come sempre, quando si parla di qualcosa (per esempio le canzoni di nek) si finisce per parlare poco di quella cosa (per esempio le canzoni di nek) e molto di se stessi
RispondiEliminanon sono sicuro di voler conoscere dettagli così intimi della vita di qualcuno (della mia li ho dimenticati, grazieadio)...
certo - in assoluto eh - una delle cose che mi fregano meno sono proprio le canzoni di nek
magari se la batte con il festival di sanremo che - vado a memoria - credo di non aver mai visto, anche se ho un vaghissimo ricordo di vasco rossi che canta ubriaco o fatto
oh, però va bene: se hai bisogno di parlare delle canzoni di nek, noi siamo qua, ti pare... tra amici... cioè, parliamone pure
solo che ecco... non ho proprio idea de che stai a parla'
Quella bottiglia di amaro del capo l'hai finita, vero?
RispondiEliminaNel caso avresti tutta la mia solidarietà (per quel che vale).
Adorabile. Anche io ero gggiovane nei tardi anni 90, anche io avevo delle canzoni orribilmente imbarazzanti che mi piacesse o no parlavano di me, di me, di me. Per fortuna non ricordo quali. Però (tanto per condividere della vergogna) quando ho iniziato a uscire con la mia attuale dolce metà ho scoperto un nuovo, insospettato, profondissimo significato nei versi dell'allora hit del momento: "I can't think of a single thing/other that what a beautiful state I'm in".
RispondiEliminaA me è piaciuto il post.
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