L'emergenza coronavirus ha rimesso al centro dell'attenzione una delle categorie professionali più bistrattate da pubblico e critica: esatto, gli insegnanti. Mai come in questi giorni, in cui sempre più persone si trovano chiuse in casa coi loro figli, gli insegnanti sono al centro dei loro pensieri. Cosa stanno facendo, perché non si fanno vivi, perché non coinvolgono il mio ragazzo in una videoconferenza di tre-quattro ore sui logaritmi. Sono già arrivati i compiti? Mio figlio li ha già fatti, non saranno troppo pochi? (Notate, i genitori ideologicamente avversi ai compiti in casa sono completamente spariti dall'orizzonte del dibattito più rapidamente dei no-vax. Non è consolante, torneranno: sono stagionali come certi virus, e forse più tenaci).
Gli insegnanti fanno quel che possono, che non è sempre abbastanza. Probabilmente in questi giorni avete sentito parlare in tv o alla radio di docenti smart che già da settimane organizzano videocorsi interattivi on line e somministrano e correggono verifiche digitali a distanza. Ecco. La maggioranza non è così – il che non vuol dire che non si stiano dando da fare. Molti che non erano preparati all'emergenza, ora stanno cercando di lavorare da casa sui supporti digitali, e di conseguenza stanno impazzendo. Improvvisamente tentano di usare le piattaforme digitali che gli editori scolastici hanno realizzato negli ultimi anni. I rappresentanti avevano garantito che fossero facili da usare. Magari in una situazione normale sarebbero davvero facili da usare, ma indovina: non è una situazione normale, e i server dei principali editori scolastici italiani non stanno reggendo il colpo.
Aggiungi che ogni insegnante anche in questo frangente non ha nessuna intenzione di rinunciare al principio costituzionale della libertà di insegnamento, ovvero nello stesso consiglio di classe non sarà infrequente trovare insegnanti che intendono usare due o tre piattaforme diverse e lo hanno già comunicato autonomamente ai genitori. Non che faccia molta differenza: le piattaforme funzionano tutte a strappi, e anche quando funzionano, sono pur sempre prodotti editoriali, anche nel senso che considerano l'utente una fonte di dati da estorcere. Per usarli bisogna aprire l'account. Ed ecco consumarsi la tragedia quotidiana: gli insegnanti, tramite la scuola, informano i genitori che per fare lezioni a distanza bisogna registrarsi presso la tale piattaforma. I genitori reagiscono perplessi: un'altra registrazione. Un altro account. Altra gente che vuole i miei dati. Ma soprattutto: un'altra password da ricordare.
Anche quando gli insegnanti più tecnologicamente sgamati suggeriscono di passare a infrastrutture più universali e affidabili – Google e Dropbox è più difficile che vengano giù – ormai il genitore è esasperato, ha già aperto due o tre account diversi, e adesso che c'è? Volete che scarichi un'app di Google per le videoconferenze? Come se il genitore medio avesse la fibra in casa. A volte non ce l'ha neanche l'insegnante, che magari si concede generoso una prima videolezione di un'ora con lo smartphone per poi scoprire che ha prosciugato il suo piano dati mensile. A quel punto, c'è sempre qualcuno che insorge: "Ma non potevate mettere tutto sul registro elettronico?"
Qualcuno ci ha pure provato. Ci sono registri elettronici che stanno proponendo alle scuole le loro piattaforme digitali, e sì, sono gli stessi benedetti registri elettronici che si piantano ogni mattina alle otto quando qualche migliaia di insegnanti prova a usarli per fare l'appello in classe. Non è tanto il fatto che non siano pronti all'emergenza – nessuno lo era – ma sembra quasi che non se ne rendano conto. È come se tutti gli aeroplani i treni e i tram non potessero più partire e l'autista del pulmino delle medie venisse a dirti che se vuoi ci pensa lui. Chi ha permesso che succedesse questa cosa? (Continua sul Post).
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RispondiEliminaVedi che sei un bravo insegnante?
RispondiEliminaMi chiedesti,e io ti dissi,che lo si capisce da come ti "muovi" nella realtà che ti circonda. Ti frega il "brand",ma nn sei l'unico neh!😁
Comunque nn tiriamo in ballo la ruralità che anche nel "profondo nord globalizzato",il mi figliolo è approdato soltanto ieri con Whatsapp(vedi,vedi che c'hai l'occhio di falco a 11 decimi?)al primo vagito di lezione telematica(se così la vogliamo chiamare)e stasera saprò com'è andato oggi dal momento che come un eroe di cartoon network,bardato con mascherina e alcool spruzzato sulle mani,combatto per il pane quotidiano. Facendo tra l'altr,per il tal alimento,lunghe file market con una marea di over 70 che,debbo dedurre,vivano in tali spazi dal momento che gli si è detto e ridetto...STATE A CASA!
I tuoi post li metterö nell'elenco delle cose buone prodotte dal coronavirus (nella lista attualmente ci sono i cinesi - evidentemente in pausa dal mangiare topi vivi - che mandano un cargo con 30 tonellate di aiuti, Gloria Gaynor che canta "I will survive" lavandosi le mani)
RispondiEliminaSì, ochei tonnellate ha 2 "n"
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