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venerdì 18 dicembre 2020

A scuola il virus c'è, non rompete

La scorsa settimana mi è capitato di aprire un portone della mia scuola e di ritrovarmi all'improvviso investito da un flusso di studenti che aspettava di uscire – evidentemente nell'imminenza della campanella si erano premuti contro l'ingresso, come bollicine di uno spumante molto agitato. Il giorno dopo uno studente di quella classe è risultato positivo: due giorni dopo la classe è rimasta a casa, in attesa di tampone. Quando dico "classe" intendo ovviamente il gruppo degli studenti: gli insegnanti non sono rimasti a casa, e stanno tuttora facendo lezioni in altre classi (tra cui una che due giorni dopo è stata chiusa per lo stesso motivo). Però la scuola è sicura, eh? Si saranno senz'altro contagiati a casa, al limite nel parchetto.

Dopo tre mesi di scuola in presenza con la mascherina, credo di avere il diritto di esprimere una certa stanchezza: non certo delle lezioni – valgono comunque la pena – ma del sovrappiù di stress che la situazione comporta. Io e i miei colleghi della scuola media lavoriamo con ragazzi potenzialmente contagiosi come gli adulti e i ragazzi più grandi, quelli che a scuola non ci vanno più. Noi continuiamo ad andarci e a chiedere ai nostri studenti, ogni giorno, di mantenere un distanziamento e una serie di precauzioni che anche i più ragionevoli non riescono più a capire (figuriamoci quelli che sputano sulla lavagna per cancellare): che senso avrebbe tenere un metro di distanza in corridoio, se poi fuori ormai la gente si abbraccia? Non siamo ormai fuori pericolo, non stanno diminuendo i morti – che poi tanto si sa sono soltanto vecchi e improduttivi? Tutto questo proprio nel momento in cui il virus colpisce esattamente le nostre scuole: la consegna è affermare che il contagio deve essere avvenuto fuori, perché la scuola è sicura. 


Io posso anche capire che ci siano motivi sociali ed economici per cui è meglio che la scuola media resti aperta – anche se questo significa maggiori rischi per me e per i miei famigliari. Capisco questi motivi, li rispetto: credo che la scuola sia il luogo educativo per eccellenza, indispensabile a una società che voglia veramente dirsi equa e democratica, e allo stesso tempo so benissimo che si tratta anche di un indispensabile parcheggio per i minorenni e non mi ha mai dato fastidio concepirla in questo modo (ho anch'io minorenni da parcheggiare). Posso persino capire l'ipocrisia, è tutta una vita che capisco l'ipocrisia, per cui non solo ci tocca tenere aperto tutte le mattine un hub del virus, ma dobbiamo anche cercare di non spaventare genitori e colleghi, dobbiamo anche raccontare e raccontarci che la scuola non è un luogo così rischioso, mica come gli autobus. Quel che mi domando è fino a che punto questa ipocrisia sia necessaria e oltre quale livello non diventi controproducente: perché se dici alla gente che la scuola è un luogo sicuro, poi non puoi lamentarti che la gente ti creda e abbassi le mascherine sotto la punta del naso – tanto è un luogo sicuro, no? No, maledizione, quella è una storia che raccontiamo a tua madre per farla dormire tranquilla, e anche lei probabilmente ci crede giusto quanto basta a prender sonno, non un grammo di più, onde per cui sii bravo e indossa quella maschera come è giusto indossarla in un luogo chiuso in cui i virus si comportano esattamente come in ogni altro luogo chiuso al mondo. 

Non c'è nessun campo di forze antivirus a scuola, anche se in un qualche modo abbiamo deciso di fingere che c'è. Magari lo avete letto sul giornale, ecco, appunto: il solo fatto che lo abbiate letto su un giornale italiano ormai dovrebbe farvi rizzare le antenne. L'altro giorno sull'homepage del Corriere c'erano ben due titoli che dicevano che la scuola è sicura – si vede che un titolo solo non ci avrebbe confortato abbastanza. Ne ho cliccato uno soltanto, portava a un breve intervento di un esperto che è una delle cose più contorte che ho letto in vita mia: sia per i dati portati a sostegno della sua tesi, sia per il modo in cui ha scelto di esprimersi.

Il dubbio è venuto a molti. La riapertura delle scuole ha contribuito a diffondere il virus? Naturalmente il dubbio non va inteso nel senso che l’ambiente scolastico sia particolarmente adatto al contagio, nonostante la media di oltre 20 studenti per classe e nonostante le promiscuità, le scarse difese, le disattenzioni, le inadeguatezze strutturali dei plessi scolastici.
Si può anzi ritenere, dopo gli sforzi fatti la scorsa estate dal ministero, dai direttori didattici e da tutto il personale, che l’ambiente scolastico resti non più rischioso di altri.

Io la persona che ha scritto questa cosa me lo immagino con la pistola puntata alla tempia, come lo speaker russo dell'Aereo più pazzo del mondo sempre più pazzo. Grazie agli sforzi fatti dal ministero, l'ambiente scolastico non è diventato persino più rischioso... Ci sta sfottendo, è così? Non escludo che la sintassi involuta non celi un messaggio in codice, e che leggendo soltanto alcune iniziali sia possibile ricostruire le coordinate della cella in cui lo hanno rinchiuso, nutrendolo con dati statistici a caso. Lo "studio" che riporta è risibile, per quel poco che è dato di capire: si trattava di dimostrare che non c'è correlazione tra incidenza di studenti sulla popolazione regionale e numero di contagi. Una sciocchezza del genere, di fronte a un virus che ha colpito le regioni in modo molto diseguale, e che nella maggior parte dei contagiati in età scolare non lascia tracce (il che non significa, ripetiamolo per l'ennesima volta, che non possano avere contagiato altre persone). Una cosa così imbarazzante sull'homepage di quello che dovrebbe essere il più prestigioso organo d'informazione italiano, per fortuna che basta scrollare un po' sotto e si arriva alle foto di Beatrice Borromeo e Carolina coi capelli bianchi! Nel frattempo escono paper, niente che possa interessare ai giornalisti italiani: qui per esempio c'è uno studio sulle scuole di Reggio Emilia, vi traduco le conclusioni: La trasmissione del virus all'interno delle scuole è avvenuta in un numero non irrilevante di casi, in particolare nella fascia di età dai 10 ai 18 anni, ovvero alle scuole medie inferiori e superiori. Il che tra l'altro non stupisce: lo sappiamo già da un po' che dai 10-12 anni poi i ragazzi sono potenzialmente contagiosi tanto quanto gli adulti. 

Questo invece è stato pubblicato su Science, ma cosa vuoi poi che ne sappiano.

Lo sanno benissimo anche ministri e presidenti di regione, che le scuole superiori le hanno chiuse abbastanza presto: e che anche nelle medie inferiori, appena si registra uno studente positivo, chiudono la classe intera in attesa di tampone – se davvero la scuola fosse protetta da questo misterioso campo di forza, non ce ne sarebbe bisogno. Il motivo per cui le medie restano aperte ha più a vedere con l'ordine pubblico che con le evidenze epidemiologiche. È lo stesso motivo per cui ci è stato consentito di rilassarci un po' quest'estate (il che ha consentito a tanta gente di mantenere una tenuta psicologica) e addirittura di andare per negozi a Natale, benché questo comporti un aumento sicuro dei contagi e dei morti. 

Questa cosa io l'ho capita: mi piacerebbe però che la capisse più gente. Che gli insegnanti, che in questa fase stanno rischiando un po' di più di altri professionisti, si potessero almeno risparmiare il consueto tiro al piccione, gli strali di chi non si capacita del fatto che quest'anno si facciano i ponti come in qualsiasi altro anno scolastico, di chi sta già proponendo di tenerci a scuola fino a luglio e tutte le altre sciocchezze che a fine 2020 sono persino meno divertenti del solito. Per cinque-sei mattine a settimana vi teniamo i figli, li costringiamo a tenere una mascherina e cerchiamo di evitare che si ammucchino e si azzuffino, il che risulta difficile persino alla maggior parte di voi genitori. Almeno non rompete i coglioni, grazie, e buone Feste. 

5 commenti:

  1. Come sempre: da leggere. Ringrazio la madonna (diciamo così) perché 10-11 anni fa ho smesso di lavorare in una scuola. Per quello che è stata la mia esperienza quel che scrivi è decisamente plausibile e (molto) sconfortante

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  2. Io ho due figli, uno alle elementari e uno alle medie, ma non ho alcun interesse al parcheggio dei minorenni. Uno perché lavoro da casa, due perché ospitiamo da 6 anni un aupair (non sempre lo stesso\a) per cui anche se dovessi andare in ufficio (e spesso vado) non avrei (e non ho) il problema di dove lasciarli.
    Questo per dire che da un lato sono certo un genitore interessato, dall'altro penso di potermi almeno levare di dosso la patina dell'ipocrita che è interessato ai figli sistemati in qualche posto pur che sia e caxxi di qualcun altro.

    Io ho la piccola prospettiva distorta delle scuole dei miei figli dove, mi risulta, i casi di contagio e tamponi positivi fra insegnanti e alunni sono stati pochissimi e, la maggior parte, per quel che si è potuto ricostruire, avvenuti a casa.

    Ora onestamente ricordo che dopo il lockdown e poi l'estate in cui comunque la loro socialità è stata ridimensionata e compressa, non vedevano l'ora di tornare a scuola e parlare con dei loro coetanei in modo disintermediato rispetto a cuffie e monitor. E' più che probabile che questa loro smania e ingenua felicità mi faccia vedere le cose con gli occhiali rosa e non avere il giusto discernimento sulla gravità dei rischi e dei problemi, non lo nego, ma il mio\nostro bilancio di questi tre mesi abbondanti di scuola è ampiamente positivo. Devo dire che dopo i disastri dello scorso anno quest'anno la DAD funziona molto meglio, mio figlio è stato 10 giorni in isolamento a causa di un compagno positivo (contagiato dal padre) e le lezioni sono andate via lisce come l'olio.

    Per quanto riguarda la fatica di lavorare con le mascherine e le precauzioni, non sono gli insegnanti gli unici a dover convivere con questo fastidio. Basta andare in un supermercato o venire nel mio ufficio. E' dura per tutti. Forse per voi insegnanti più dura ancora, non discuto, ma non siete i soli.
    Quindi, tutto sommato, per quanto mi renda conto di essere in una prospettiva distorta e partigiana, a me non sembra questa cattiva idea che si faccia di tutto per tenere le scuole aperte.

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  3. "Per quanto riguarda la fatica di lavorare con le mascherine e le precauzioni, non sono gli insegnanti gli unici a dover convivere con questo fastidio. Basta andare in un supermercato o venire nel mio ufficio. "
    LA mascherina la mettiamo tutti, ma solo gli insegnanti lavorano esclusivamente coi bambini. Se al supermercato o in ufficio qualcuno non la mette, intorno ha solo adulti che glielo faranno osservare subito, a scuola il bambino che non la mette intorno ha i compagni di classe e il docente. Se è l'unico che lo fa, la situazione è simile all'ufficio-supermercato, se lo fanno in tanti, ricade tutto sul docente, capirà che non è affatto la stessa cosa.
    Tornando a quanto ci si contagia a scuola, fornisco l'esempio pratico di un paese amatissimo dai negazionisti perchè "il governo non ha chiuso niente e stanno benissimo", la Svezia. Premessa necessaria: come tutte le affermazioni dei negazionisti è falsa.
    1) Anche senza imposizioni, il traffico in Svezia durante la prima ondata è calato del 30%, quindi DI FATTO una riduzione della mobilità rispetto al liberi tutti che millantano i negazionisti c'è stata (ovviamente non possono dirlo perchè gli toccherebbe ammettere che la responsabilità individuale, che fuggono come la peste, è fondamentale in generale e in particolare durante una pandemia)
    2) la Svezia ha avuto in proporzione alla popolazione da 5 a 10 volte più morti dei paesi confinanti, quindi no, il liberi tutti non funziona, o meglio lo fa solo se lo si paragona a un paese disastrato come l'Italia.
    3) anche nel confronto con l'Italia, dati alla mano si vede che dal picco dei decessi alla riduzione a metà e poi a un quarto c'è stato un abisso di differenza, e sono tutti morti che la Svezia poteva evitare (da noi 25 giorni+16 x primo e secondo dimezzamento, da loro 33+36, totale 41 a 70, e infatti la Svezia da giugno ad agosto ha continuato ad avere decessi superiori alla metà dei nostri, 1200 a 2000, con UN SESTO della popolazione).
    Fatta la premessa, torniamo al punto: qual è stata l'unica differenza tra prima e seconda ondata in Svezia? La chiusura delle scuole superiori in presenza. Cos'è cambiato? Dal picco dei decessi al dimezzamento ci sono voluti 33 giorni (16/4-19/5) nella prima ondata e solo UNDICI (6-17/12, tre volte più rapido!) nella seconda.

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Puoi scrivere qualsiasi sciocchezza, ma io posso cancellarla.