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venerdì 8 luglio 2022

53. Le mie mani diventano squame!

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con quattro titoli in cinque lingue diverse e molto impero romano]. 

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1973: Plancton (#142)

I miei capelli diventano alghe! Amare Battiato, si fa presto a dire amare Battiato, ma a che punto? Al punto in cui ti mettevi a letto con la cassettina di Feedback nel walkman sotto le lenzuola e quando i capelli diventavano alghe ti venivano i brividi? Perché questo, per esempio, è amare Battiato. Pollution è il disco maggiormente combattuto tra le due anime dei primi '70, prog e sperimentale. La sperimentazione non si è ancora (del tutto) ammantata di quelle istanze metapsichiche e intellettualoidi che interverranno in seguito: è ancora basata sull'esplorazione di mezzi tecnici che Battiato sta imparando a manipolare. Il prog nel 1973 in Italia è già un genere codificato, con un suo mercato: non è (sempre) roba raffinata per palati fini, c'è un pubblico vuole essere suggestionato da testi fantascientifici e musiche arcane, è una musica che guarda al futuro ma si carica anche di una gran voglia di riscoprire gli incanti del passato, un'estetica pagana o medievalista che di lì a pochi anni trasformerà Angelo Branduardi in una recalcitrante rockstar da stadio. Battiato a Milano quest'aria la respira, molti anni dopo riprenderà con affetto Impressioni di settembre della PFM, che era il lato B di un altro pezzo di ambientazione medievale, La carrozza di Hans. Insomma l'idea di inserire sonorità arcane e patinate di antico in un disco fantascientifico come Pollution in quel periodo sembrava quasi ovvia ed è il felice paradosso che rende ancora straordinariamente ascoltabile il secondo lato di questo disco strambo: il synth non è un magico congegno che suona qualsiasi cosa tu pretendi, ma un strumento arcano a cui l'artigiano deve strappare faticosamente qualcosa di ascoltabile. Prima FB crea l'atmosfera con chitarre arpeggiate e voci riverberate; poi canta le due strofette inquietanti (che sono davvero la cosa più 'prog italiano' che ha scritto), e infine trasforma la canzone una ipnotica tarantella in cui strumenti tradizionali e sperimentali si sovrappongono senza mescolarsi. Se la riascolto in cuffia a tarda ora, un brivido tuttora mi coglie. 

1993: Delenda Carthago (#115)

Ecco una canzone di Battiato che avrebbe potuto assolutamente scrivere Sgalambro: e invece a quanto pare ai tempi di Caffè de la Paix i due ancora non si conoscevano. Eppure i legami tra questo disco e il successivo Ombrello sono talmente forti che non ci resta che considerare lo Sgalambro lirico una specie di evoluzione/involuzione del Battiato lirico. C'è già il riutilizzo del passato con funzionalità metaforiche (l'imperialismo Romano come figura di quello che Bush padre aveva guidato in Iraq nella prima guerra del Golfo); ma a distoglierci dal quattro complessivo c'è il gusto per i dettagli preziosi (il vino fruscia in calici screziati). Davvero, lo si direbbe un testo di Sgalambro, non fosse che quando Sgalambro di cimenterà con lo stesso argomento riuscirà a fare di peggio (vedi il brano qui sotto). Bizzarra per gli standard battiateschi la scelta di impostare tutta la canzone su una progressione di quattro accordi ascendenti, col risultato di farci aspettare per tre minuti una risoluzione che non arriva (i barbari?)


1996: Decline and Fall of the Roman Empire (Battiato/Sgalambro, #243)


Si diceva proprio ieri di come i barbari molto spesso non si rendano conto di essere tali, e si convincano di essere i difensori di un impero che in realtà li ha fatti entrare qualche anno prima per ovviare a emergenze che essi scambiano già per un'età dell'oro: si citava il grande generale Stilicone, che qui Sgalambro definisce perfido, e va bene Manlio, difendilo tu un mezzo impero senza commettere qualche perfidia. Ma soprattutto: ti credi più classico di lui? Non ti rendi conto che stai collezionando citazioni come un pastorello che metta assieme una montagnola di cocci d'anfora, cos'è che stai dicendo esattamente, come fanno le ciliegie di un giardino a "sprizzare il loro succo" sulla tua "faccia slavata", che razza di ciliegie si spruzzano autonomamente sui passanti, come fai a svicolare "per viuzze piene di profumi e unguenti" mentre leggi "l’Anatomia dell’urina di James Hart assieme al Vangelo secondo San Matteo", fammi capire, passeggi leggendo due libri alla volta, non è che ogni tanto vai a sbattere contro cesti di ciliegie e nemmeno te ne accorgi? "Qui a tre passi la decadenza avanza", tesoro, ma davvero non capisci che la decadenza sei tu? Decline and Fall, scritto in inglese perché fa più citazione colta, non è mai diventata una vera e propria canzone, ma per qualche motivo Battiato ha voluto comunque includerla nel singolo di Strani giorni in una versione demo fatta in casa che contiene una traccia di drum machine così approssimativa da risultare irresistibile, perché mentre sbagliare un fill con una batteria è normalissimo, per riuscire a sbagliare con una batteria programmata ci vuole dell'impegno, uno si domanda seriamente come Battiato ci sia riuscito. 

1999: La canzone dei vecchi amanti (La chanson des vieux amants, Brel/Jouannest, Del Prete, #14)


Ma c'è voluto del talento per riuscire ad invecchiare senza diventare adulti. La canzone dei vecchi amanti è la quattordicesima più ascoltata di Battiato su streaming – la prima in assoluto tra le cover, tre posizioni sopra Ruby Tuesday. È insomma un brano che piace molto e che un sacco di gente va a riascoltarsi – non necessariamente battiatisti: mi sono fatto questa idea, che La canzone sia un brano trasversale che piace anche a chi FB non lo conosce o non lo apprezza. Viceversa chi è più abituato al Battiato classico può trovarsi a disagio, l'idea di due amanti che invecchiano assieme è l'opposto di quasi tutto il concetto di Fleurs (anche se Battiato e soprattutto Sgalambro non hanno evitato l'argomento, vedi ad esempio Tutto l'universo ubbidisce all'amore). È l'unica cover di Jacques Brel, il che se da un lato dispiace, dall'altro sembra inevitabile: le canzoni di Brel richiedono un tipo di esecuzione teatrale che non era nelle corde di FB (è il probabile motivo per cui si è tenuto a rispettosa distanza dal catalogo di Gaber). Anche in questa occasione, Battiato si trova davanti un originale in cui su un sottofondo di pianoforte e basso, la voce fa quasi tutto: sussurra, piange, declama, invoca, la voce di Brel riempie la canzone come un mattatore il palcoscenico. Battiato se ne guarda bene e si mantiene su un range più limitato: per riempire gli spazi vuoti coinvolge persino una fisarmonica (un bandoneon?) che accresce una certa sensazione di tango, che poi in Italia è davvero una musica per vecchi amanti. Questa necessità di smussare gli angoli lo porta a scegliere la traduzione di Del Prete, meno concreta rispetto a quella di Bardotti usata da Patty Pravo o Rossana Casale. Per fare un esempio, Bardotti cominciava così: "Ci sono stati giorni grigi, tanti anni insieme è la pazzia. Hai fatto già mille valigie ed io ti ho scritto mille addii", Del Prete invece: "Certo ci fu qualche tempesta, anni d'amore alla follia. Mille volte tu dicesti basta. Mille volte io me ne andai via". Niente valigie, niente pazzia, niente giorni grigi (che suona molto più concreto e deprimente di "qualche tempesta". È una versione più tenue, mettiamola così, meno vicina all'istrionismo di Brel, più affine al temperamento contemplativo di Battiato. E alla fine la sua versione è molto più ascoltata delle altre, quindi probabilmente aveva qualche ragione lui. Io ammetto di saltarla quasi sempre, che senso ha? Piuttosto riascolto Brel in purezza. Non mi ero neanche accorto che verso la fine Battiato passa al francese, oh mon amour.

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1 commento:

  1. > fammi capire, passeggi leggendo due libri alla volta,
    > non è che ogni tanto vai a sbattere contro cesti di
    > ciliegie e nemmeno te ne accorgi?

    Beh, sono cose che possono succedere quando sogni.
    E lo dice chiaramente che stava sognando :)
    Al

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