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Giovanni di Dio mette in salvo i pazienti durante l'incendio dell'ospedale. |
Ci sono certe vite di santi che, a leggerle tra le righe, e con un po' di esperienza (che non significa purtroppo competenza), ti lasciano intendere che il santo in questione potrebbe avere sofferto di un disturbo bipolare. Ecco, la storia di Giovanni di Dio non è tra queste. La vita di Giovanni di Dio non ti lascia intendere qualcosa: la vita di Giovanni di Dio ti urla letteralmente DISTURBO BIPOLARE a ogni paragrafo, con una veemenza che alla fine ti induce a dubitare, cioè alla fine noi cosa ne sappiamo della vita di Giovanni di Dio? Tutto quello che ha raccontato ai suoi seguaci dei suoi primi quarant'anni potrebbe esserselo inventato lì per lì, molte cose sono inverosimili, e poi cos'è che renderebbe riconoscibili i bipolari nei secoli, sentiamo.
Mah, le solite cose. L'alternarsi di lunghi periodi di stasi e improvvise fiammate di euforia. Illuminazioni, epifanie, momenti in cui il protagonista ha la sensazione di aver capito tutto della vita. Qualche allucinazione, qualche gesto sconsiderato. Se avete letto Aurélia di Gérard de Nerval, ecco, oggi sarebbe probabilmente curabile, e invece è morto poeta in un vicoletto, a metà racconto, convinto di essere sulla soglia di chissà cosa. A Giovanni di Dio è andata meglio, anche se deve avere sofferto parecchio. A volte la santità serve a questo: a trasformare dolori immensi in qualcosa di socialmente utile. Non succede spesso, e quando succede c'è davvero da gridare al miracolo. Giovanni addirittura avrebbe anticipato la psicoterapia, il che mi pare un po' esagerato. Però è suggestiva questa idea che l'abbia inventata un tizio che in manicomio un po' c'era stato, e non per motivi di studio.
Giovanni di Dio, al secolo João Cidade Duarte era convinto di essere nato nel 1495, a Montemor-o-Novo, sud-est di Lisbona. Ma a otto anni sarebbe stato rapito da un sacerdote che l'avrebbe portato in Castiglia. Possibile che João fosse stato tolto ai genitori senza il loro consenso? La madre sarebbe morta dal crepacuore, il padre sarebbe entrato nei francescani. Di entrambi si è persa ogni traccia, per cui davvero c'è qualcosa che non torna. Una tesi intrigante è che i genitori fossero ebrei espulsi dalla Spagna con il decreto del 1492: forse venivano da Toledo ed è proprio a Toledo che il sacerdote lo avrebbe riportato Giovanni, magari per affidarlo a parenti dei genitori, ebrei convertiti. Anche se il primo biografo fosse stato a conoscenza dei particolari della vicenda, avrebbe avuto più di un motivo per nasconderli: si chiamava Francisco de Castro, era il cappellano dell'ospedale fondato da Giovanni, che era morto da appena trent'anni. L'obiettivo era dimostrare che Giovanni meritava la canonizzazione: l'idea che fosse figlio di ebrei fuggitivi non aiutava in nessun modo la causa e anche questo prete rapitore risultava imbarazzante.
Giovanni forse era già a quel punto soprannominato "di Dio", come capita ai trovatelli. Un piccolo proprietario lo avrebbe assunto come guardiano di pecore nel villaggio di Oropesa. Da otto anni fino a 22, Giovanni non avrebbe fatto altro: dopodiché, per evitare un matrimonio ormai impellente con la figlia del proprietario, si sarebbe aggregato a una compagnia di soldati di ventura che andavano a combattere per Carlo V alla frontiera basca. Questa prima esperienza militare non si sarebbe rivelata incoraggiante: i commilitoni, dopo averlo messo di guardia a un ricco bottino, si erano accorti che ne era sparita la maggior parte. Giovanni non aveva rubato niente; forse si era appisolato, ma questo sarebbe bastato per condannarlo a morte; invece in un qualche modo viene graziato, ma abbandona l'esercito. Ritorna ai suoi pascoli – può darsi che nel frattempo la promessa sposa avesse trovato un partito più affidabile. Quattro anni dopo, la Storia lo viene a stanare proprio a Oropesa: i lanzichenecchi di Carlo V stanno marciando verso l'Ungheria, assediata dai turchi. Giovanni corre ad arruolarsi e stavolta resterà sotto le armi per 18 anni, combattendo a Pavia contro i francesi e a Vienna durante l'assedio dei turchi. Cosa deve avere sperimentato in quegli anni, Giovanni non lo ha mai raccontato con chiarezza, ma le battaglie nel Cinquecento potevano essere molto cruente e lasciare ricordi e rimorsi indelebili. Non è escluso insomma che Giovanni soffrisse di traumatofilia o altre patologie tipiche del mestiere delle armi: né che dietro alle sue imprese penitenziali ci fossero sensi di colpa inespiabili.
Al termine della campagna turca, Giovanni si ritrova congedato a bordo di una nave che lo sbarca a La Coruña, non molto lontano dal Portogallo. Decide di andare in cerca dei genitori, di cui non ricorda nemmeno il nome. In un qualche modo riesce a ritrovare parenti che gli raccontano come entrambi siano ormai morti. Non resta che tornare ai pascoli, salvo scoprire che no, la vita pastorale non fa più per lui. Deve cambiare la sua vita (di nuovo): una voce gli suggerisce di partire per l'Africa dove, per male che andasse, può sempre morire da martire testimoniando il Vangelo. Le cose non vanno esattamente così; Giovanni arriva a Ceuta che a quel tempo è un enclave portoghese in Marocco. Diventa confidente di un cavaliere in disgrazia, appena esiliato a Ceuta con moglie e figli. Quando il cavaliere scopre che i suoi beni sono stati confiscati, Giovanni si sobbarca delle necessità di tutta la famiglia. È il primo vero indizio di una eroica propensione al servizio per gli altri, che può essere facilmente confusa per dabbenaggine. Quando un altro compagno di viaggio si converte all'Islam, Giovanni si spaventa: forse a questo punto intuisce di essere lui stesso abbastanza preposto alle conversioni improvvise. Era venuto in Africa per salvare la sua anima, chissà da quali crimini commessi da soldato; ma lì rischiava di perderla. Il colloquio con un sacerdote lo convince a tornare in Ispagna, così che Giovanni entra a far parte di quell'interessantissimo insieme di santi (Antonio da Padova, Vincenzo de Paoli) che l'Africa ha tentato e respinto. Approdato a Gibilterra, Giovanni si ritrova sradicato tra Estremadura, Mancia e Andalusia, un Don Chisciotte in cerca di mulini. A orientarlo verso Granada sarebbe stato il bambino Gesù con un'apparizione in cui per la prima volta lo avrebbe chiamato "Juan de Dios" – se non è un espediente escogitato dal biografo per allontanare l'idea che Giovanni portasse il tipico cognome dei digli di nessuno.
A Granada Giovanni riesce a mettere insieme un negozio di libri, un settore in rapida espansione: i libri sfusi, senza copertina, erano la novità del secolo, andavano via come oggi le cover dei telefoni, e da qualche parte tra l'Ungheria e il Marocco Giovanni aveva anche imparato a leggere. Non diventerà un grande scrittore (ci ha lasciato solo qualche lettera), e nemmeno un grande libraio perché un giorno, ascoltando le parole di un predicatore itinerante, tale Giovanni d'Avila, ha un'epifania di quelle da ricovero: gridando ossessivamente "Fate bene fratelli, per il nome di Dio" devasta il negozio e si mette a mendicare e flagellarsi per strada, finché i concittadini non lo portano nell'ala dell'ospedale riservata ai matti. Aveva 42 anni. Ci resta qualche mese; viene incatenato, frustato, affamato: tutte terapie che Giovanni, una volta guarito, avrebbe rigettato come inutili e dannose, e oggi saremmo tutti d'accordo con lui, senonché dobbiamo ammettere che da quel manicomio, Giovanni è uscito guarito – o perlomeno stava molto meglio di quando si flagellava a sangue per le strade gridando Fatebenefratelli. Può darsi che a risolvere la crisi sia stata una visita di Giovanni d'Avila, che lo convince a lasciar perdere gli eroismi penitenziali e a dedicare le sue energie a fare il bene, sì, ma agli altri. Parole di buon senso, ma a Giovanni non bastano: le deve ratificare un'apparizione di Maria, incontrata al santuario della Vergine della Guadalupe (in Estremadura, da non confondere con quello messicano). Giovanni torna dunque a Granada e si mette ad assistere i poveri. All'inizio non è molto meno povero di loro, per cui avviene questa cosa incresciosa che lo lascino talvolta nudo per strada. Un vescovo risolve la questione disegnando per lui una tonaca bianca personalizzata, ingiungendogli di non levarsela più; e così, dopo qualche anno di intenso lavoro, Giovanni si ritrova a capo di una comunità socio-assistenziale dedicata a poveri, infermi ed ex prostitute. Questa svolta ha davvero qualcosa di miracoloso, perché è evidente che le famiglie più ricche di Granada, pur sentendosi obbligate a opere di beneficienza, difficilmente si sarebbero fidate di un tizio che ricordavano aggirarsi per le strade della città seminudo e sanguinante, appena pochi anni prima: eppure Giovanni in un qualche modo riesce a conquistare stima e fiducia di chi lo aveva visto impazzire, e a fondare due ospedali. Non diventa comunque un metodico organizzatore: l'ordine dei Fratelli Ospedalieri, che solo in Italia vengono chiamati Fatebenefratelli, si darà uno statuto ufficiale e otterrà l'approvazione ecclesiastica solo dopo la sua morte. La figura di Giovanni in effetti si prestava a diventare una leggenda, ma non sappiamo quanto certe rivoluzionarie intuizioni sanitarie siano davvero farina del suo sacco, o non siano state attribuite a lui dagli orgogliosi successori. Gli ospedalieri furono tra i primi a dividere i malati nelle camerate a seconda della patologia: è persino possibile che questa idea provenisse dalla lunga esperienza militare di Giovanni, durante la quale aveva senz'altro sperimentato gli ospedali da campo. E soprattutto Giovanni sarebbe il primo infermiere che invece di legare i matti prova a discutere con loro, proprio come Giovanni d'Avila aveva discusso con lui. Gli ultimi mesi della sua complicata vita sono particolarmente eroici: nel luglio del 1549, mette in salvo i pazienti dell'Ospedale Reale di Granada da un incendio, salendo ai piani alti e continuando a gettare dalla finestra le suppellettili, calandosi alla fine dal tetto – forse anche in questo caso l'esperienza militare gli era stata utile. In inverno, durante la piena del fiume, cerca invano di salvare un ragazzo dall'annegamento, rimediando una polmonite che forse è la causa della sua morte, l'otto marzo 1550, quindi 475 anni oggi. Fu canonizzato nel 1690: a fine Ottocento Leone XIII lo proclamò patrono degli ospedali e dei malati.
*475 anni oggi :-)
RispondiEliminamaledetta calcolatrice
Eliminaun'altra pillola di pedanteria: nel 1517, quando Giovanni aveva 22, Carlo V era solo Carlos I di Spagna, dato che la nomina imperiale arriverà solo 2 anni dopo.
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