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Collaborazioni

sabato 6 settembre 2025

Mazzucconi e Zaccaria

6 settembre: Santo Zaccaria, profeta (VI secolo avanti cristo)

"Ecco, io farò di Gerusalemme come una coppa che dà le vertigini a tutti i popoli vicini, e anche Giuda sarà in angoscia nell'assedio contro Gerusalemme. In quel giorno io farò di Gerusalemme come una pietra pesante per tutti i popoli: quanti vorranno sollevarla ne resteranno graffiati; contro di essa si raduneranno tutte le nazioni della terra. In quel giorno – oracolo del Signore – colpirò tutti i cavalli di terrore, e i loro cavalieri di pazzia; mentre sulla casa di Giuda terrò aperti i miei occhi, colpirò di cecità tutti i cavalli dei popoli. Allora i capi di Giuda penseranno: "La forza dei cittadini di Gerusalemme sta nel Signore degli eserciti, loro Dio". (Zaccaria 12,1-5)".

I primi due profeti di cui ho imparato il nome erano Ezechiele e Zaccaria. La Z impreziosisce ogni parola, la rende più rara e ricordabile, ma in effetti Ezechiele era il Lupo che voleva mangiarsi i Tre Porcellini nelle storie di Topolino (quelle brevi che stavano in mezzo), mentre Zaccaria era un gelato confezionato, un cornetto con una palla di gelato pralinata, insomma la versione Eldorado del Blob Toseroni. O era il Blob Toseroni una copia dello Zaccaria, non si è mai capito e non ha più importanza, perché Unilever (credo) a un certo punto si comprò i due marchi e ora in ogni bar trovi solo Algida, Algida, Algida, vabbe' dai ti compro un Magnum (si chiama ancora così anche se si mangia in tre morsi)? No, se è Algida no, sì vabbe' boicottiamo Israele, ma non di sola Sammontana vive l'uomo, sto tergiversando. La confezione del gelato Zaccaria, ho letto, è "introvabile su internet", quindi in sostanza è smarrita per sempre, qualcuno ritiene di ricordare un motociclista, ma quante cose false ricorda la gente. Pensare ai tabelloni dei gelati che non esistono più mi dà una tristezza che è difficile da razionalizzare, insomma non è che fossero questi gran gelati, eppure non ci sono più. Le canzoni restano, i libri a volte migliorano col tempo, ma io nella mia infanzia mica leggevo tutti questi libri, e non ascoltavo nemmeno tutte queste canzoni. I tabelloni dell'Eldorado invece li sapevo a memoria e questo sapere mi si agita nel cervello a vuoto. Qua fuori c'è fior di gelaterie artigianali, giusto oggi il gusto del giorno prevedeva mascarpone alla zucca e crumble di cioccolato, squisito, ma il Dalek non posso più assaggiarlo, né il Piedone. Oh vabbe'. 

"In quel giorno io mi impegnerò a distruggere tutte le nazioni che verranno contro Gerusalemme. Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a me, colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito. In quel giorno grande sarà il lamento a Gerusalemme, simile al lamento di Adad-Rimmon nella pianura di Meghiddo". (12,9-11) 

A volte mi domando: ma perché "San" Zaccaria? Non sarebbe più sensato "Santo Zaccaria"? E Santo Zeno, Santo Zaccheo, Santo Zefirino? In effetti l'aggettivo "santo" fa parte di un ristrettissimo gruppo di aggettivi qualificativi (con "bello", "buono" e "grande") che richiedono il troncamento dell'ultima sillaba (santo diventa san), ma solo al maschile, e solo davanti a un nome che cominci per consonante (altrimenti si elide solo l'ultima vocale: sant'Antonio); e anche in caso di consonante, vi sono delle eccezioni. Queste eccezioni le conosciamo bene, perché sono le stesse in presenza delle quali l'articolo indeterminativo "uno" non diventa "un": ovvero davanti a gruppi consonantici che i toscani avevano paura a pronunziare assieme, probabilmente questa paura ce l'hanno tuttora: ad esempio, la S+consonante, detta anche maliziosamente S impura: e infatti si dice Santo Stefano (ma il manuale che ho aperto qui davanti ci tiene a far presente che esiste un'eccezione all'eccezione: San Stanislao non si potrebbe assolutamente chiamare Santo Stanislao, non ho idea di chi si offenda ma lo scrive due volte, sembra abbastanza importante). Poi ci sono altri nessi consonantici che almeno ai palati dei toscani risultavano complicati, ovvero X, Gn, Ps e Pn: per cui se Saverio volessimo chiamarlo Xaverio, dovremmo chiamarlo Santo Xaverio, e altrettanto dovremmo fare nel caso un papa santificasse uno Gnomo, o uno Pseusolo, o un Pneumatico, anche se alla fine chi è che dice "uno pneumatico"? Nessuno, però le grammatiche scolastiche non si arrendono. C'è il caso un po' più particolare della i semivocalica, cioè quella che sta davanti a un'altra vocale e quindi non è del tutto una vocale, è già quasi una consonante, al punto che fino a tutto Pirandello veniva quasi sempre scritta con la J: e quindi diciamo Santo Iacopo, o Jacopo. 

E poi c'è il caso della Z. Che essendo una doppia consonante (ʦ e ʣ nell'alfabeto fonetico internazionale) farebbe assolutamente parte dell'insieme dei consonantici complicati, davanti ai quali non diciamo "un", ma "uno" ("uno zaino"), non diciamo "gran", ma "grande" (un grande zaino), non diciamo, "buono" e non "buon", "bello" e non "bel". Però, invece di dire "Santo", diciamo "San". Perché? Non c'è un perché. È un'altra eccezione dell'eccezione, e io francamente non le sopporto. Mi rendo conto che la grammatica fa quel che può, nessuna lingua nasce perfetta. Però che fastidio. È davvero così faticoso dire "Santo" invece che "San" Zaccaria? ma sto ancora tergiversando.

"Se qualcuno oserà ancora fare il profeta, il padre e la madre che l'hanno generato, gli diranno: "Non devi vivere, perché proferisci menzogne nel nome del Signore!", e il padre e la madre che l'hanno generato lo trafiggeranno perché fa il profeta. In quel giorno ogni profeta si vergognerà della visione ricevuta facendo il profeta, e non indosserà più il mantello di pelo per raccontare bugie. Ma ognuno dirà: "Non sono un profeta: sono un lavoratore della terra, ad essa mi sono dedicato fin dalla mia giovinezza". (13,3-5).

Sto tergiversando probabilmente perché di profeti di sventura non ne posso più. Del fardello di Israele, del destino di Gerusalemme, ne ho già piena la vita, mi sembra di non leggere altro. Una volta la Bibbia non assomigliava così tanto né alle pagine degli esteri sui quotidiani, né alle voci fuori campo dei film catastrofici. Adesso sembra tutto coincidere, come un terribile allineamento planetario, se capitasse all'improvviso mi verrebbe una gran paura, ma ci sta mettendo parecchi mesi e anni e quindi ho un po' di nausea. Un sentimento che, sospetto, i profeti conoscevano. Probabilmente nel percorso succederà qualcosa di orribile, ma nel mio cuore non vedo l'ora che si avveri Zaccaria 13,3-5, la vittoria finale del Signore, dopodiché i profeti diventeranno inutili e saranno malmenati dai loro stessi famigliari: e mandati a lavorare la terra. Zaccaria è uno dei maggiori tra i dodici profeti minori, nel senso che il suo libro consta di ben 14 capitoletti, composti dopo il ritorno degli israeliti da Babilonia, ma probabilmente in momenti diversi e anche da autori diversi: il che spiega l'apparente incostanza di un Signore che nel giro di una pagina promette al suo popolo la felicità e poi lo minaccia per le sue incostanze. (Provate a leggere il secondo pezzo che ho citato: c'è Israele contro tutti, e non si capisce se vinca o se perda. Qualcuno potrebbe aver rimaneggiato l'originale fino a invertirne il senso).

Anche lo stile delle profezie cambia sensibilmente lungo il corso del libro. All'inizio sono visioni, il che pone Zaccaria sul percorso che da Ezechiele porta verso la letteratura apocalittica. Anche in Zaccaria a ogni immagine segue una spiegazione, fornita da un angelo, perché il profeta sennò non ce la farebbe a interpretare: in particolare Zaccaria più volte ammette di non potercela fare. 

Dopo sette visioni, dal capitolo 8 si passa agli oracoli, ovvero discorsi che il Signore ispira al profeta, sul solco dei più tradizionali Isaia e Geremia. Ogni tanto spunta un terzo tipo di stile, la profezia mimata, che compare talvolta anche in altri profeti: in questi casi Dio non parla con parole o visioni, ma obbliga il profeta a comportarsi in un modo strano che il pubblico dovrebbe interpretare in senso profetico. A Zaccaria non vengono chieste cose ripugnanti come mangiare escrementi né imbarazzanti come sposare una prostituta, ma se non fossero comportamenti assurdi la gente non li noterebbe, e quindi nel capitolo 11 Zaccaria deve portare al pascolo un gregge di pecore destinate al macello, munito di due bastoni chiamati "benevolenza" e "unione". Poi, dopo avere licenziato tre pastori (tre re? tre sommi sacerdoti?), deve irritarsi con le pecore, perché si sono stancate di lui, spezzare i bastoni e mandare il gregge in malora ("Chi vuol morire, muoia: quelle che rimangono si divorino pure fra di loro"). In un qualche modo i suoi giorni di lavoro gli vengono comunque pagati, ma anche questo fa parte della profezia e comunque Zaccaria non può tenersi i soldi, deve gettarli nel tesoro del tempio. Questo dettaglio è forse il più conosciuto di tutto il libro, almeno tra i cristiani, perché i pezzi d'argento che Zaccaria getta nel tempio dopo aver disperso un gregge sono esattamente trenta, trenta denari.  


7 settembre: beato Giovanni Mazzucconi (1826-1855), sacerdote e martire

Che la storia la scrivano i vincitori è tanto banale quanto vero: quasi tutto quello che sappiamo, l'hanno raccontato dei superstiti. Magari non erano vincitori, ma sono comunque saltati su quel carro. È anche una semplice questione di economia – se dobbiamo ricordare il nome di un esploratore, sarà quello che ha scoperto qualcosa, non quello che si è perso nell'oceano qualche anno prima e magari seguiva la stessa rotta. L'astronauta che è tornato a casa, non quello che è esploso pochi minuti dopo la partenza. Qualche sconfitto ogni tanto riesce a restare nel cono di luce, ma solo perché la sua sconfitta è servita a rendere più avventurosa la successiva impresa del vincitore. È sempre stato così quasi ovunque, ma non nel calendario dei santi. Qui vincere o perdere sembra un dettaglio, un sacco di gente muore inutilmente, ma per i cattolici nessun sacrificio è inutile, neanche il più assurdo: prendi Giovanni Mazzucconi da Lecco. A vent'anni decide di fare il missionario, qualcuno ai piani alti decide di inviarlo in Oceania, un luogo nel 1850 tanto remoto quanto oggi la Luna. Giovanni ci arriva nel 1852, dopo un lungo viaggio in nave e un soggiorno di qualche mese in Australia per studiare gli usi e i costumi degli indigeni. L'obiettivo della missione però è l'isola di Woodlark, al largo della Nuova Guinea, che dall'Australia non dista neanche troppo, ma è già un altro continente, con lingue e culture completamente diverse: per qualche imperscrutabile motivo il Pontificio Istituto Missioni Estere aveva stabilito che l'evangelizzazione dell'Oceania sarebbe potuta partire da un'isola di duemila abitanti. Magari era una politica dei piccoli passi, chi lo sa, in ogni caso è abbastanza chiaro che Mazzucconi e gli altri furono mandati allo sbaraglio, senza nemmeno un tetto sotto il quale accamparsi, alla mercé di indigeni se non ostili certamente diffidenti coi quali comunicare risulta quasi impossibile. Mazzucconi si ammala quasi subito di malaria, il che avrebbe paradossalmente potuto salvargli la vita perché dopo due anni è ridotto così male che deve tornare in Australia, e quando gli indigeni cominciano a manifestare un'oggettiva ostilità, è ancora convalescente a Sidney. Ma è la metà dell'Ottocento, comunicare non è così facile, e uno non accetterebbe di fare il missionario in Oceania se non fosse particolarmente testardo, insomma nell'estate del 1855 Mazzucconi si considera guarito e riparte per Woodlark, proprio mentre i confratelli su un'altra nave stanno scappando. L'oceano è grande, le due navi non si incrociano, il 7 settembre quella di Mazzucconi si ritrova circondata da canoe che sembrano formare un comitato di ricevimento. Un indigeno salta a bordo, si chiama Avicoar: sembra un capo, può darsi che Mazzucconi lo conoscesse: gli si fa avanti per salutarlo, Avicoar gli sfonda la testa con la scure. Una morte assurda in una terra lontana e incomprensibile, un sacrificio senza senso, senonché per i cattolici il senso è proprio il sacrificio. Giovanni Mazzucconi è stato beatificato da Giovanni Paolo II nel 1984. 

1 commento:

  1. Orribile quando (spesso) le religioni parlano di odio e sterminio e flagelli (a fin di bene, naturalmente) ma io lo trovo ben terribile.
    San o Santo che si dichi...

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