Sabato è la giornata mondiale della lotta alla AIDS...e questo sito aderisce all'iniziativa mondiale Link and Think
Del resto è facile, quando si può contare sul potentissimo motore di ricerca di Vita...
Anche se qualcuno qui è convinto che io abbia sempre qualcosa da dire su tutto, in realtà non ho quasi niente da dire sull’AIDS. E per fortuna, aggiungerei.
La prima cosa che mi fa venire in mente la Giornata mondiale di lotta all’AIDS è “’azz, è da un po’ che devo fare il test”.
Quand’ero giovane volevo andare a fare il test ma mi vergognavo, così un giorno partii senza dire niente a nessuno. Giunto alla stazione piccola, incrocio la mia cara, carissima amica G. con qualche altra sua sodale, che mi fa: “mi accompagni a…”
“No, mi dispiace, guarda devo andare”.
“Dove?”
“A… all’ospedale”.
“Ah. Vai a fare il test? Bravo bravo”.
L’avrei strozzata (come molte altre volte)
Che poi uno crede che facendo il test le ragazze si tranquillizzeranno, perché si sa, loro sono molto più adulte e responsabili… Col cacchio! Se glielo dite, si terrorizzano...
Il dialogo tipo:
“Vabè, ma tu sei proprio sicuro, eh?”
“Certo, ho preso tutte le misure, non vedi?”.
“Sarà…”
“E in ogni caso puoi star tranquilla, ho fatto il test”.
“Che cosa?”
“Ho fatto il test dell’accaivù, sono negativo, è vero, l’ho fatto l’anno scorso, ma tanto poi non…”
“Ma perché hai fatto il test?”
“Così, perché mi andava di farlo”.
“Stai mentendo”.
“Cioè, non l’avevo mai fatto e pensavo fosse ora di…”
“Mi nascondi qualcosa di terribile”.
“Insomma, l’ex della mia ragazza l’aveva tradita con una che da ragazzina stava con uno che… ma comunque era solo per essere tranquilli”.
“E adesso sei tranquillo?”
“Abbastanza, sì. Comunque se vuoi lo faccio di nuovo”.
“Eh, magari”.
“Se vuoi possiamo andarci assieme, sai”.
“Ma dove si fa?”
“Perché, tu non l’hai mai fatto?”
“No, io no”.
“Perché non l’hai mai fatto?”
“Perché… così”.
“Ah”.
Ragazzi, ragazze, non vergognamoci di fare il test.
(Magari del contrario).
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venerdì 30 novembre 2001
Make love singing songs
Ieri sera stavo aspettando i miei amici là fuori, persi nella nebbia, quando ho sentito qualcosa come un gemito da sotto il letto. Ho dato un’occhiata. Era la mia chitarra, che piangeva dolcemente.
Cosa c’è adesso, le ho chiesto. "Ma niente", fa lei. "Ho dato un’occhiata al mondo". “Ah sì?”, le ho risposto. “E hai fatto caso che gira?”
Ma ha suonato il telefono e l’ho lasciata lì sola a strillare. “Stiamo arrivando”, dicevano i miei amici. In questi casi so come va a finire: che mi tocca aspettarli tutta notte. E allora sono uscito.
Sono andato a trovare questa amica che mi dice sempre: “Sai, se avessi bisogno di qualcuno, quello saresti tu”, perciò evidentemente non ha mai bisogno di nessuno. E infatti ogni volta che ci vediamo lei attacca con discorsi del tipo: “Cerca di capire che è tutto dentro di te, e che nessun altro oltre a te può farti cambiare… e che in realtà tu sei una piccola cosa, e che la vita comunque va avanti, con o senza te”…
Finché io (che questi argomenti li reggo solo fino a un certo punto) non la interrompo con una grassa risata, e poi “Pensa per te”, le dico. Anzi: “Ho una parola o due da dire sul modo in cui ti comporti, e tutte le bugie che dici su come potremmo essere felici se solo chiudessimo gli occhi”.
(E mentre fingeva di non capire io insistevo): “Devo lasciarmi dietro tutte le rovine della tua vita, perché anche se non l’hai capito, le tue idee non possono fare altro che causare ancora miserie”. E me ne sono andato (sbattendo la porta).
Uscendo ho incrociato un porcellino che razzolava nel fango.
“C’è gente tutt’intorno che ti rotola a terra”, ho detto io.
“Ma non mi guardi così”, fa lui. “Caro Signore, i veri maiali sono quelli che razzolano in colletto bianco… nelle loro case tutte pulite, non so se mi spiego, che si mangiano il prosciutto con tanto di forchetta e coltello”.
Io gli ho risposto qualcosa, ma non ricordo cosa, perché l’istante dopo mi sono svegliato, in camera mia, al suono della mia chitarra che piangeva, piano.
“Ancora tu? Insomma cosa c’è, mi vuoi spiegare?”
“Io… io non lo so cosa vi ha preso. Con tutti gli errori che fate, qualche cosa avreste dovuto impararla, o no?”
“Eh?”
“E invece vi siete persi, e tutto l’amore che resta chiuso dentro di voi, tutto quell’amore… cioè, io non lo so”.
È andata avanti tutta la notte.
Stamattina ho scoperto il perché.
Oggi tutte le chitarre del mondo piangono dolcemente. Addio, George (Beware the pennies on your eyes).
Ieri sera stavo aspettando i miei amici là fuori, persi nella nebbia, quando ho sentito qualcosa come un gemito da sotto il letto. Ho dato un’occhiata. Era la mia chitarra, che piangeva dolcemente.
Cosa c’è adesso, le ho chiesto. "Ma niente", fa lei. "Ho dato un’occhiata al mondo". “Ah sì?”, le ho risposto. “E hai fatto caso che gira?”
Ma ha suonato il telefono e l’ho lasciata lì sola a strillare. “Stiamo arrivando”, dicevano i miei amici. In questi casi so come va a finire: che mi tocca aspettarli tutta notte. E allora sono uscito.
Sono andato a trovare questa amica che mi dice sempre: “Sai, se avessi bisogno di qualcuno, quello saresti tu”, perciò evidentemente non ha mai bisogno di nessuno. E infatti ogni volta che ci vediamo lei attacca con discorsi del tipo: “Cerca di capire che è tutto dentro di te, e che nessun altro oltre a te può farti cambiare… e che in realtà tu sei una piccola cosa, e che la vita comunque va avanti, con o senza te”…
Finché io (che questi argomenti li reggo solo fino a un certo punto) non la interrompo con una grassa risata, e poi “Pensa per te”, le dico. Anzi: “Ho una parola o due da dire sul modo in cui ti comporti, e tutte le bugie che dici su come potremmo essere felici se solo chiudessimo gli occhi”.
(E mentre fingeva di non capire io insistevo): “Devo lasciarmi dietro tutte le rovine della tua vita, perché anche se non l’hai capito, le tue idee non possono fare altro che causare ancora miserie”. E me ne sono andato (sbattendo la porta).
Uscendo ho incrociato un porcellino che razzolava nel fango.
“C’è gente tutt’intorno che ti rotola a terra”, ho detto io.
“Ma non mi guardi così”, fa lui. “Caro Signore, i veri maiali sono quelli che razzolano in colletto bianco… nelle loro case tutte pulite, non so se mi spiego, che si mangiano il prosciutto con tanto di forchetta e coltello”.
Io gli ho risposto qualcosa, ma non ricordo cosa, perché l’istante dopo mi sono svegliato, in camera mia, al suono della mia chitarra che piangeva, piano.
“Ancora tu? Insomma cosa c’è, mi vuoi spiegare?”
“Io… io non lo so cosa vi ha preso. Con tutti gli errori che fate, qualche cosa avreste dovuto impararla, o no?”
“Eh?”
“E invece vi siete persi, e tutto l’amore che resta chiuso dentro di voi, tutto quell’amore… cioè, io non lo so”.
È andata avanti tutta la notte.
Stamattina ho scoperto il perché.
Oggi tutte le chitarre del mondo piangono dolcemente. Addio, George (Beware the pennies on your eyes).
mercoledì 28 novembre 2001
Viva gli ananas Del Monte
“Vedi quando ero piccolo…”
“Uh, la prendi alla lontana”.
“Lasciami finire. Quand’ero piccolo, sognavo di fare il chitarrista”.
“Lo fanno tutti”.
“Sì, però intanto studiavo per fare il professore”.
“E cosa sei diventato?”
“Nessuno dei due, ma non è questo l’importante. L’importante è che avevo già due obiettivi: uno di massima e uno di minima”.
“La prosa e la poesia”.
“Se preferisci. Per esempio: se vado a una manifestazione è perché voglio un mondo diverso, più libero e più giusto per tutti…”
“Questa è poesia. E la prosa?”
“…però sugli striscioni non scrivo voglio un mondo più libero e più giusto”.
“Ah no?”
“No. Ci scrivo: Tassiamo le transizioni finanziarie! Sanzioniamo i paradisi fiscali! Riformiamo la normativa sulle rogatorie internazionali!”
“E questa sarebbe la prosa. Quindi sei un riformista, non un rivoluzionario”.
“Semplicemente credo negli obiettivi minimi. Che poi a vederli bene non sono affatto minimi, sono enormi. Prendi il Buy nothing day…”
“Sì, ne ho sentito parlare”.
“Voglio dire, non si tratta di abolire il commercio, né le multinazionali”.
“Che non sarebbe una brutta idea”.
“Non m’interessa, tanto non la posso realizzare… però posso dimostrare che sono un consumatore consapevole”.
“Perché per un giorno non consumi e il giorno dopo consumi il doppio?”
"È la stessa logica dello sciopero. Non sciopero per rovinare la mia impresa, sciopero per far sentire ai dirigenti le mie ragioni. E il giorno dopo torno a lavorare”.
“Se intanto non ti hanno licenziato per ingiusta causa”.
“Lascia stare… non voglio abolire le multinazionali, voglio solo far sentire la mia voce. T’immagini se i diagrammi mondiali delle vendite precipitassero per 24 ore… ai piani alti qualcuno si chiederebbe: ‘Cos’è questa, una guerra? Il Papa ha indetto un digiuno?’. ‘No, Sir, è stato il buy nothing day’.
“Benissimo, fa lui. Lunedì prossimo facciamo un laying off day. Ne licenziamo uno su dieci e siamo pari…”
“Non è così che vanno le cose”.
“Ah no?”
“No. Prendi il caso Del Monte”.
“Ach! Occhio a citare una multinazionale! Ti fanno un culo tanto”…
“La Del Monte è meno multinazionale di quanto sembri. È controllata dalla Cirio”.
“Sì? L’uomo del Monte tifa Lazio?”
“C’era questa piantagione di ananas in Kenya, dove i contadini lavoravano a contatto di pesticidi proibiti dalla legge, per un salario inferiore alla soglia della povertà…”
“E che ci vuoi fare? Il mondo ha bisogno di ananas”.
“Poi c’è questa piccola organizzazione pisana, il Centro Nuovo Modello di Sviluppo. Piccola ma cazzuta. Hanno fatto un sopralluogo e hanno visto com’era la situazione”.
“E poi? Hanno annunciato che boicottavano? Sai che roba. Anch’io boicottavo la Del Monte”.
“E perché lo facevi?”
“Ma… sapevo che andava boicottata, e…”
“Forse la boicottavi anche tu a causa delle notizie messe in giro dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo”.
“E allora? È cambiato qualcosa?”
“Sì, perché oltre a boicottare sono andati a parlare con la Cirio e la Coop”.
“La Coop? Buoni quelli”.
“La Coop distribuisce l’ananas del Monte. Però ha un’immagine etica molto forte da salvaguardare”.
“Potrebbe salvaguardarla trattando meglio i dipendenti… o costruendo meno ipermercati…”
“Fatto sta che alla fine i contadini hanno vinto”.
“Cosa?”
“Sì, la Cirio ha sostituito i dirigenti sudafricani della piantagione, ha aumentato i salari e diminuito i pesticidi”.
“Di quanto?”
“Non lo so, non mi ricordo. Ho letto tutto su Linus, qualche mese fa… ci hanno fatto anche un servizio su Report…, ma su Internet non ho trovato molto”.
“Qualcosa del Manifesto, immagino”.
“Fa lo stesso se è il Carlino?”
“Ma, insomma, vuoi dire che il boicottaggio è finito?”
“Sì, è finito”.
“Cioè, adesso io posso comprare il succo di pompelmo rosa Del Monte, se voglio?”
“Puoi farlo. Anzi, più ne bevi meglio è. Facciamo un po’ di pubblicità a una multinazionale, per una volta”.
“Il pompelmo rosa della Del Monte è il più buono del mondo”.
“Anche se forse quello equosolidale della CTM è ancora meglio…”
“Ah, perché adesso dovrei anche mettermi a bere il pompelmo equosolidale?”
“Non sei obbligato, però…”
“Cioè, non si finisce mai. Con questi obbiettivi minimi non si finisce mai”.
“Bravo, hai capito qual è il punto. Non si finisce mai”.
“E alla fine secondo me uno si stanca”.
“Si stancano anche i rivoluzionari, poi vanno a scrivere i giornali per la moglie di Berlusconi. L’importante è avere ottenuto qualcosa prima di stancarsi, anche solo un kenyota intossicato in meno. Tutto qui”.
"Tutto qui. Lo sei poi diventato, un chitarrista?”
“Ci sto lavorando”.
“Vedi quando ero piccolo…”
“Uh, la prendi alla lontana”.
“Lasciami finire. Quand’ero piccolo, sognavo di fare il chitarrista”.
“Lo fanno tutti”.
“Sì, però intanto studiavo per fare il professore”.
“E cosa sei diventato?”
“Nessuno dei due, ma non è questo l’importante. L’importante è che avevo già due obiettivi: uno di massima e uno di minima”.
“La prosa e la poesia”.
“Se preferisci. Per esempio: se vado a una manifestazione è perché voglio un mondo diverso, più libero e più giusto per tutti…”
“Questa è poesia. E la prosa?”
“…però sugli striscioni non scrivo voglio un mondo più libero e più giusto”.
“Ah no?”
“No. Ci scrivo: Tassiamo le transizioni finanziarie! Sanzioniamo i paradisi fiscali! Riformiamo la normativa sulle rogatorie internazionali!”
“E questa sarebbe la prosa. Quindi sei un riformista, non un rivoluzionario”.
“Semplicemente credo negli obiettivi minimi. Che poi a vederli bene non sono affatto minimi, sono enormi. Prendi il Buy nothing day…”
“Sì, ne ho sentito parlare”.
“Voglio dire, non si tratta di abolire il commercio, né le multinazionali”.
“Che non sarebbe una brutta idea”.
“Non m’interessa, tanto non la posso realizzare… però posso dimostrare che sono un consumatore consapevole”.
“Perché per un giorno non consumi e il giorno dopo consumi il doppio?”
"È la stessa logica dello sciopero. Non sciopero per rovinare la mia impresa, sciopero per far sentire ai dirigenti le mie ragioni. E il giorno dopo torno a lavorare”.
“Se intanto non ti hanno licenziato per ingiusta causa”.
“Lascia stare… non voglio abolire le multinazionali, voglio solo far sentire la mia voce. T’immagini se i diagrammi mondiali delle vendite precipitassero per 24 ore… ai piani alti qualcuno si chiederebbe: ‘Cos’è questa, una guerra? Il Papa ha indetto un digiuno?’. ‘No, Sir, è stato il buy nothing day’.
“Benissimo, fa lui. Lunedì prossimo facciamo un laying off day. Ne licenziamo uno su dieci e siamo pari…”
“Non è così che vanno le cose”.
“Ah no?”
“No. Prendi il caso Del Monte”.
“Ach! Occhio a citare una multinazionale! Ti fanno un culo tanto”…
“La Del Monte è meno multinazionale di quanto sembri. È controllata dalla Cirio”.
“Sì? L’uomo del Monte tifa Lazio?”
“C’era questa piantagione di ananas in Kenya, dove i contadini lavoravano a contatto di pesticidi proibiti dalla legge, per un salario inferiore alla soglia della povertà…”
“E che ci vuoi fare? Il mondo ha bisogno di ananas”.
“Poi c’è questa piccola organizzazione pisana, il Centro Nuovo Modello di Sviluppo. Piccola ma cazzuta. Hanno fatto un sopralluogo e hanno visto com’era la situazione”.
“E poi? Hanno annunciato che boicottavano? Sai che roba. Anch’io boicottavo la Del Monte”.
“E perché lo facevi?”
“Ma… sapevo che andava boicottata, e…”
“Forse la boicottavi anche tu a causa delle notizie messe in giro dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo”.
“E allora? È cambiato qualcosa?”
“Sì, perché oltre a boicottare sono andati a parlare con la Cirio e la Coop”.
“La Coop? Buoni quelli”.
“La Coop distribuisce l’ananas del Monte. Però ha un’immagine etica molto forte da salvaguardare”.
“Potrebbe salvaguardarla trattando meglio i dipendenti… o costruendo meno ipermercati…”
“Fatto sta che alla fine i contadini hanno vinto”.
“Cosa?”
“Sì, la Cirio ha sostituito i dirigenti sudafricani della piantagione, ha aumentato i salari e diminuito i pesticidi”.
“Di quanto?”
“Non lo so, non mi ricordo. Ho letto tutto su Linus, qualche mese fa… ci hanno fatto anche un servizio su Report…, ma su Internet non ho trovato molto”.
“Qualcosa del Manifesto, immagino”.
“Fa lo stesso se è il Carlino?”
“Ma, insomma, vuoi dire che il boicottaggio è finito?”
“Sì, è finito”.
“Cioè, adesso io posso comprare il succo di pompelmo rosa Del Monte, se voglio?”
“Puoi farlo. Anzi, più ne bevi meglio è. Facciamo un po’ di pubblicità a una multinazionale, per una volta”.
“Il pompelmo rosa della Del Monte è il più buono del mondo”.
“Anche se forse quello equosolidale della CTM è ancora meglio…”
“Ah, perché adesso dovrei anche mettermi a bere il pompelmo equosolidale?”
“Non sei obbligato, però…”
“Cioè, non si finisce mai. Con questi obbiettivi minimi non si finisce mai”.
“Bravo, hai capito qual è il punto. Non si finisce mai”.
“E alla fine secondo me uno si stanca”.
“Si stancano anche i rivoluzionari, poi vanno a scrivere i giornali per la moglie di Berlusconi. L’importante è avere ottenuto qualcosa prima di stancarsi, anche solo un kenyota intossicato in meno. Tutto qui”.
"Tutto qui. Lo sei poi diventato, un chitarrista?”
“Ci sto lavorando”.
martedì 27 novembre 2001
Non si butta via niente
Redazione di Leonardo, una sera qualunque.
"Allora, il pezzo di stasera? Chi ha delle idee, forza."
"Che ne dite di recensire il deludentissimo film dei registi italiani su Genova?"
"No, per un po' basta noglobbal, vi prego".
"Ma lo avevo già pronto!".
"E tu dallo a polaroid, che non si butta via niente".
"E se parlassimo di pinguini? Alle ragazze piacciono i pinguini!"
"E se parlassimo di ragazze?"
"A loro non piacerebbe".
"Potremmo fare una lista di tutte quelle che negli ultimi 20 giorni mi hanno detto: Perché sai, io non voglio farti del male.
Sarebbe divertente".
"Bravo, e già che ci sei accludi nomi cognomi e indirizzi".
"Ma perché qui sopra non si legge mai un pezzo su quanto sia bello/brutto avere 30 ed essere sposati/conviventi/padri?"
"Perché non abbiamo 30 anni e non siamo né sposati né padre né niente".
"Sfiga".
"Ah, e poi ricordati che Ketty vuole un pezzo sul sul sesso".
"Su cosa?"
"Sul sesso".
"E cos'è?"
"è ... è difficile da spiegare... "
"La solita roba da webdesigners, immagino. Ma io non me ne intendo di quella roba lì, poi mi ridono dietro..."
"Sentite, ma un bel pezzo divertente, come ai vecchi tempi? Questa cosa di Cossiga che sfida Bill Gates, per esempio. Perché non facciamo una scenetta con Bill sequestrato da Gladio... si sveglia ed è legato a una sedia, ha la barba sfatta... sullo sfondo c'è il simbolo di... di..."
"Di un pinguino! Alle ragazze piacciono i pinguini!"
"Ma certo! Un pinguino, il simbolo di Linux! Bill Gates rapito dalle brigate Open Source! Gaaaanzo".
"Questa non fa ridere nessuno".
"Però fa pensare".
"Sì, fa pensare che siamo alla frutta. Andiamo a casa, va'".
"Ah no, mettiamo almeno un link serio".
"Tipo?"
"Qualcosa sul WTO! Non abbiamo mai, mai parlato del WTO. Siamo andati fino a Roma per protestare contro e non abbiamo spiegato nemmeno il perché. Vergogna..."
"Non possiamo mica spiegare tutto sempre".
"E poi ho detto basta! basta noglobbal, hanno stressato la m..."
"Signori, scusate, ma non so se qualcuno di voi si è reso conto che siamo in una guerra, che ci sono i marines a Kahandar e..."
"Ragazzi, fermi tutti! C'è un'emergenza! Quel sordido colletto bianco di Wile ha parlato male del Buy nothing day!"
"E sai che ci frega"
"Scherzi? dobbiamo rintuzzarlo immediatamente".
"Ma ne abbiamo parlato anche ieri sera... cheppalle..."
"E la volete dare vinta a Wile? Mai!"
"Senti, vorrà dire che lo rintuzziamo domani".
"Domani non si può! Ci sarà da parlare del WTO!"
"E della guerra! Un altro giornalista morto! Non ce ne frega più niente?"
"E di Cossiga, che fa ridere".
"E dei pinguini... i pinguini piacciono a..."
"Sentite, abbiamo già parlato di questo. Non dobbiamo parlare per forza di tutto, non ce l'ha detto il dottore.
Anzi, forse il dottore a questo punto ci consiglierebbe di smettere".
"Senza neanche mettere un link sul WTO?".
"Fatto".
"Però domani Wile lo rintuzziamo, vero?"
"Sì, domani lo rintuzziamo".
"Promesso?"
"Promesso".
Redazione di Leonardo, una sera qualunque.
"Allora, il pezzo di stasera? Chi ha delle idee, forza."
"Che ne dite di recensire il deludentissimo film dei registi italiani su Genova?"
"No, per un po' basta noglobbal, vi prego".
"Ma lo avevo già pronto!".
"E tu dallo a polaroid, che non si butta via niente".
"E se parlassimo di pinguini? Alle ragazze piacciono i pinguini!"
"E se parlassimo di ragazze?"
"A loro non piacerebbe".
"Potremmo fare una lista di tutte quelle che negli ultimi 20 giorni mi hanno detto: Perché sai, io non voglio farti del male.
Sarebbe divertente".
"Bravo, e già che ci sei accludi nomi cognomi e indirizzi".
"Ma perché qui sopra non si legge mai un pezzo su quanto sia bello/brutto avere 30 ed essere sposati/conviventi/padri?"
"Perché non abbiamo 30 anni e non siamo né sposati né padre né niente".
"Sfiga".
"Ah, e poi ricordati che Ketty vuole un pezzo sul sul sesso".
"Su cosa?"
"Sul sesso".
"E cos'è?"
"è ... è difficile da spiegare... "
"La solita roba da webdesigners, immagino. Ma io non me ne intendo di quella roba lì, poi mi ridono dietro..."
"Sentite, ma un bel pezzo divertente, come ai vecchi tempi? Questa cosa di Cossiga che sfida Bill Gates, per esempio. Perché non facciamo una scenetta con Bill sequestrato da Gladio... si sveglia ed è legato a una sedia, ha la barba sfatta... sullo sfondo c'è il simbolo di... di..."
"Di un pinguino! Alle ragazze piacciono i pinguini!"
"Ma certo! Un pinguino, il simbolo di Linux! Bill Gates rapito dalle brigate Open Source! Gaaaanzo".
"Questa non fa ridere nessuno".
"Però fa pensare".
"Sì, fa pensare che siamo alla frutta. Andiamo a casa, va'".
"Ah no, mettiamo almeno un link serio".
"Tipo?"
"Qualcosa sul WTO! Non abbiamo mai, mai parlato del WTO. Siamo andati fino a Roma per protestare contro e non abbiamo spiegato nemmeno il perché. Vergogna..."
"Non possiamo mica spiegare tutto sempre".
"E poi ho detto basta! basta noglobbal, hanno stressato la m..."
"Signori, scusate, ma non so se qualcuno di voi si è reso conto che siamo in una guerra, che ci sono i marines a Kahandar e..."
"Ragazzi, fermi tutti! C'è un'emergenza! Quel sordido colletto bianco di Wile ha parlato male del Buy nothing day!"
"E sai che ci frega"
"Scherzi? dobbiamo rintuzzarlo immediatamente".
"Ma ne abbiamo parlato anche ieri sera... cheppalle..."
"E la volete dare vinta a Wile? Mai!"
"Senti, vorrà dire che lo rintuzziamo domani".
"Domani non si può! Ci sarà da parlare del WTO!"
"E della guerra! Un altro giornalista morto! Non ce ne frega più niente?"
"E di Cossiga, che fa ridere".
"E dei pinguini... i pinguini piacciono a..."
"Sentite, abbiamo già parlato di questo. Non dobbiamo parlare per forza di tutto, non ce l'ha detto il dottore.
Anzi, forse il dottore a questo punto ci consiglierebbe di smettere".
"Senza neanche mettere un link sul WTO?".
"Fatto".
"Però domani Wile lo rintuzziamo, vero?"
"Sì, domani lo rintuzziamo".
"Promesso?"
"Promesso".
lunedì 26 novembre 2001
Ciao Enzo,
Sono Leo, il “più bravo a spiegare certe cose” (bello slogan se facessi l’andrologo), e tutto quello che posso dirti è che:
Non sono mai stato entusiasta del Buy nothing day.
È un’iniziativa che nasce in America (quel day così antipaticamente berlusconiano…), dove comunque i drugstore stanno aperti 24 ore, e un sabato senza far la spesa non è una grossa privazione. (Ma a noialtri poveracci, se ci togli il sabato pomeriggio, di cosa lo riempiamo il frigo? Di discorsi?)
In Italia, poi, il day quest'anno sfortunatamente cadeva proprio nella giornata di raccolta del Fondo Alimentare, per cui non ci è stato nemmeno risparmiato il dissidio interiore quotidiano: facciamo beneficienza o boicottiamo? (Sempre di più si avverte la necessità non dico di un leader ma almeno di un’authority che faccia un po’ di ordine sulle manifestazioni, che stili un calendario: oggi siamo qua per questo motivo, domani non andiamo là per quest’altro: è un’esigenza forte, questa, dalle mie parti e non solo).
Personalmente faccio il possibile per combattere contro il consumismo tutti i giorni, e non aspetto un giorno all’anno per sgravarmi la coscienza; e tuttavia…
Tuttavia la giornata del non acquisto non è una brutta idea, in sé.
Una volta, in tempo di guerra, i re e i presidenti raccomandavano ai sudditi o ai cittadini di lavorare sodo per il benessere della Patria, e chi non lo faceva era un disfattista. Adesso cosa ci chiede Bush o Berlusconi? Di comprare e consumare come se niente fosse. Così supereremo la crisi (crisi? quale crisi?) e salveremo l’Occidente. E il lavoro? Sì, il nostro lavoro è importante. Ma non tanto da farci vincere la guerra. Il consumo, quello sì è importante.
Se stamattina fossimo rimasti a letto non sarebbe poi stato così grave per il Prodotto Interno Lordo. Ma se sabato non andiamo a far la spesa siamo disfattisti, né più né meno.
Noi occidentali contiamo più come consumatori che come lavoratori. La cosa ci può fare più o meno fastidio, ma almeno ammettiamolo. Può darsi che un boicottaggio ben fatto ottenga più risultati di uno sciopero o di una manifestazione. (Che è poi il minimo possa dire un ex obiettore della Bottega d’Oltremare a un ex obiettore di Commercio Alternativo).
Insomma, Enzo, credo che in queste cose bisogna recuperare un po’ di understatement, ch’è sì raro: e siccome tu sei sempre stato il mio campione locale di understatement, ti eleggo mio vate sul campo: va,insegnami a prendere le cose un po’ con leggerezza. Sabato mi sono roso il fegato perché una mezza giornata libera non mi capita da settimane, e sono mesi che devo comprarmi scarpe e stereo. Alla fine sono sceso in via Emilia e ho comprato del tè solidale alla bancarella. E già mi sentivo meglio.
Pro e contro sul Buy nothing day.
Sono Leo, il “più bravo a spiegare certe cose” (bello slogan se facessi l’andrologo), e tutto quello che posso dirti è che:
Non sono mai stato entusiasta del Buy nothing day.
È un’iniziativa che nasce in America (quel day così antipaticamente berlusconiano…), dove comunque i drugstore stanno aperti 24 ore, e un sabato senza far la spesa non è una grossa privazione. (Ma a noialtri poveracci, se ci togli il sabato pomeriggio, di cosa lo riempiamo il frigo? Di discorsi?)
In Italia, poi, il day quest'anno sfortunatamente cadeva proprio nella giornata di raccolta del Fondo Alimentare, per cui non ci è stato nemmeno risparmiato il dissidio interiore quotidiano: facciamo beneficienza o boicottiamo? (Sempre di più si avverte la necessità non dico di un leader ma almeno di un’authority che faccia un po’ di ordine sulle manifestazioni, che stili un calendario: oggi siamo qua per questo motivo, domani non andiamo là per quest’altro: è un’esigenza forte, questa, dalle mie parti e non solo).
Personalmente faccio il possibile per combattere contro il consumismo tutti i giorni, e non aspetto un giorno all’anno per sgravarmi la coscienza; e tuttavia…
Tuttavia la giornata del non acquisto non è una brutta idea, in sé.
Una volta, in tempo di guerra, i re e i presidenti raccomandavano ai sudditi o ai cittadini di lavorare sodo per il benessere della Patria, e chi non lo faceva era un disfattista. Adesso cosa ci chiede Bush o Berlusconi? Di comprare e consumare come se niente fosse. Così supereremo la crisi (crisi? quale crisi?) e salveremo l’Occidente. E il lavoro? Sì, il nostro lavoro è importante. Ma non tanto da farci vincere la guerra. Il consumo, quello sì è importante.
Se stamattina fossimo rimasti a letto non sarebbe poi stato così grave per il Prodotto Interno Lordo. Ma se sabato non andiamo a far la spesa siamo disfattisti, né più né meno.
Noi occidentali contiamo più come consumatori che come lavoratori. La cosa ci può fare più o meno fastidio, ma almeno ammettiamolo. Può darsi che un boicottaggio ben fatto ottenga più risultati di uno sciopero o di una manifestazione. (Che è poi il minimo possa dire un ex obiettore della Bottega d’Oltremare a un ex obiettore di Commercio Alternativo).
Insomma, Enzo, credo che in queste cose bisogna recuperare un po’ di understatement, ch’è sì raro: e siccome tu sei sempre stato il mio campione locale di understatement, ti eleggo mio vate sul campo: va,insegnami a prendere le cose un po’ con leggerezza. Sabato mi sono roso il fegato perché una mezza giornata libera non mi capita da settimane, e sono mesi che devo comprarmi scarpe e stereo. Alla fine sono sceso in via Emilia e ho comprato del tè solidale alla bancarella. E già mi sentivo meglio.
Pro e contro sul Buy nothing day.
venerdì 23 novembre 2001
Un post per Wile
- Perché se lo merita
- perché lui parla sempre di me e io di lui mai
- Perché ha chiesto un feedback
- Perché gli è successo qualcosa, Non so esattamente, ma dev'esser stata grave, e a me dispiace... sono sempre molto impacciato in queste situazioni, e preferisco di solito far finata di niente, ma non vuol dire che non ci sono.
- Perché ha compiuto gli anni: auguri! In ritardo. Gli auguri in ritardo ci fanno sentire più giovani! Ahem... sì, vabbè.
- Perché lui parla sempre di me e io mai di lui, e, a proposito di feedback, io faccio sempre finta di niente, ma i suoi sono importanti per me. E a proposito:
--- grazie, ma non credo di essere "il blog più noto e amato"... magari "il più noto e amato da Wile", e questo è fin troppo sufficiente. Ma se sono noto da qualcuno è anche e soprattutto per la pubblicità che ti ostini a farmi, contro ogni buon senso. Io non posso pagarti! nemmeno in natura! Sono povero anche lì!
--- la "sindrome del diessino-noglobal-depresso" è una buona descrizione, tuttavia il mio decorso un è po' particolare. Non sono stato mai diessino, è questo soprattutto che mi fa incazzare. Se lo fossi stato adesso almeno potrei pentirmi di qualcosa.
--- Tu comunque hai fatto di peggio... sei reo confesso pannelliano... dove andrai a sbattere la testa, adesso?
--- Se sono più alto di Yoda? Mmm. Di sicuro sono più carino.
In realtà non parlo spesso degli altri blog perché m'imbarazza parlare di persone che non conosco, o conosco in modo così particolare. Potrei anch'io mettermi a segnalare questo o quello, col risultato di mandare i miei 30 lettori in un altro blog dove si segnala il mio, e siamo daccapo.
C'è anche una questione di economia. I blog sono tanti, e la vita è breve, e io dovrei iniziare a fare delle scelte.
Non è che mi stia stancando, ma dovrei cominciare a disintossicarmi. Accadono avvenimenti inquietanti, sintomi di dissociazione, tipo e-mail inviate alla Spettabile Redazione di Me Stesso (Proprio così: Spettabile redazione di Leonardo), paranoie da contatore ("Oddio! Oggi ho dieci contatti in meno! Sto diventando noioso!" Poi ci si lamenta se bruno vespa chiama le ballerine, ma io al suo posto potrei fare di peggio...), ecc.
Tutto questo che c'entra con Wile... beh, è anche un po' colpa sua. Prima che passasse lui, io credevo più o meno di essere solo al mondo, con quei due o tre lettori occasionali che mi conoscevano già di persona.
Poi è passato Wile, ha passato la voce, e questo sito in qualche mese è diventato un personaggio virtuale, (molto più interessante del suo autore, probabilmente), con un carattere, delle idee, delle responsabilità addirittura. Scrivere qui diventa sempre più difficile, bisogna documentarsi... spendere notti in ricerche storiche... è un bimbo esigente, mi fa perdere un sacco di tempo...
Io lo ammazzerei anche, che ci vuole? Ma non vorrei fare un dispiacere a Wile.
Farò così. Scriverò post sempre più noiosi, finché lui e tutti gli altri non eleggeranno un nuovo vate.
In realtà è già da un po' che mi sto dando da fare.
Ciao Wile, stammi bene. Ti leggo sempre (anche se non lo ammetto mai). Saluti alla Jena.
Bip bip
- Perché se lo merita
- perché lui parla sempre di me e io di lui mai
- Perché ha chiesto un feedback
- Perché gli è successo qualcosa, Non so esattamente, ma dev'esser stata grave, e a me dispiace... sono sempre molto impacciato in queste situazioni, e preferisco di solito far finata di niente, ma non vuol dire che non ci sono.
- Perché ha compiuto gli anni: auguri! In ritardo. Gli auguri in ritardo ci fanno sentire più giovani! Ahem... sì, vabbè.
- Perché lui parla sempre di me e io mai di lui, e, a proposito di feedback, io faccio sempre finta di niente, ma i suoi sono importanti per me. E a proposito:
--- grazie, ma non credo di essere "il blog più noto e amato"... magari "il più noto e amato da Wile", e questo è fin troppo sufficiente. Ma se sono noto da qualcuno è anche e soprattutto per la pubblicità che ti ostini a farmi, contro ogni buon senso. Io non posso pagarti! nemmeno in natura! Sono povero anche lì!
--- la "sindrome del diessino-noglobal-depresso" è una buona descrizione, tuttavia il mio decorso un è po' particolare. Non sono stato mai diessino, è questo soprattutto che mi fa incazzare. Se lo fossi stato adesso almeno potrei pentirmi di qualcosa.
--- Tu comunque hai fatto di peggio... sei reo confesso pannelliano... dove andrai a sbattere la testa, adesso?
--- Se sono più alto di Yoda? Mmm. Di sicuro sono più carino.
In realtà non parlo spesso degli altri blog perché m'imbarazza parlare di persone che non conosco, o conosco in modo così particolare. Potrei anch'io mettermi a segnalare questo o quello, col risultato di mandare i miei 30 lettori in un altro blog dove si segnala il mio, e siamo daccapo.
C'è anche una questione di economia. I blog sono tanti, e la vita è breve, e io dovrei iniziare a fare delle scelte.
Non è che mi stia stancando, ma dovrei cominciare a disintossicarmi. Accadono avvenimenti inquietanti, sintomi di dissociazione, tipo e-mail inviate alla Spettabile Redazione di Me Stesso (Proprio così: Spettabile redazione di Leonardo), paranoie da contatore ("Oddio! Oggi ho dieci contatti in meno! Sto diventando noioso!" Poi ci si lamenta se bruno vespa chiama le ballerine, ma io al suo posto potrei fare di peggio...), ecc.
Tutto questo che c'entra con Wile... beh, è anche un po' colpa sua. Prima che passasse lui, io credevo più o meno di essere solo al mondo, con quei due o tre lettori occasionali che mi conoscevano già di persona.
Poi è passato Wile, ha passato la voce, e questo sito in qualche mese è diventato un personaggio virtuale, (molto più interessante del suo autore, probabilmente), con un carattere, delle idee, delle responsabilità addirittura. Scrivere qui diventa sempre più difficile, bisogna documentarsi... spendere notti in ricerche storiche... è un bimbo esigente, mi fa perdere un sacco di tempo...
Io lo ammazzerei anche, che ci vuole? Ma non vorrei fare un dispiacere a Wile.
Farò così. Scriverò post sempre più noiosi, finché lui e tutti gli altri non eleggeranno un nuovo vate.
In realtà è già da un po' che mi sto dando da fare.
Ciao Wile, stammi bene. Ti leggo sempre (anche se non lo ammetto mai). Saluti alla Jena.
Bip bip
giovedì 22 novembre 2001
Sono molto triste e autocritico
per come stanno andando le cose. Sì, ancora politica qui. Lasciatemi perdere. Cosa fate ancora qui? Andate su Polaroid!
Picture me in 1991
Dieci anni fa ero già insopportabilmente saccente. Leggevo i giornali e avevo le mie idee. Avevo un’onesta pietà di mio padre (deluso da De Mita) e da mia madre (delusa da Craxi). Io la sapevo già più lunga, non mi avrebbero fregato mai. Anche quell’Occhetto, non me la contava mica, con quelle sue arie da ggiovane. Il suo secondo, lui sì era un tipo interessante. Dirigeva “L’Unità” e ammiccava dai baffetti.
Dieci anni fa ero un coglione.
Non fare il socialista, dai
Dieci anni c’era un Partito non grande (15%), ma potente, che stava antipatico a tutti (destra o sinistra), dove comandava solo Un Uomo che stava antipatico a tutti. Era talmente arrogante da far sapere a tutti che viveva nella suite di un albergo.
I membri di questo Partito non avevano vita propria, ma si limitavano a vestire elegante, farsi le canne di nascosto e applaudire il Capo che voleva ‘punire i drogati’. Io lo odiavo. Papà lo odiava. Solo su questo si andava d’accordo in casa.
Adesso suona strano, ma dieci anni fa, tra amici, dire “socialista” era un’offesa. Ricordo un mio amico, un bel ragazzo, e anche simpatico, molto popolare al liceo. Una volta, vedendolo arrivare in bicicletta, in giacca e cravatta, per motivi di rappresentanza (era nella lista di sinistra), mi scappo detto: “Guarda, mi sembri un… socialista”. Lui ci rimase molto male. Ma male veramente. Ci scherzò sopra un poco, ma si capiva che la cosa lo aveva ferito. “Tond, ma davvero ti sembro così socialista?”. “Ma no, noo, scherzavo”.
Il giorno che quell’Uomo uscì dal suo albergo in gran velocità, sotto una sassaiola, e lasciò il Paese, anche quel Partito all’improvviso si sgonfiò, come se non ci fosse mai stato, e dopo qualche anno si faceva persino fatica a ricordarlo. Sembrava tutto così pulito, dopo, senza questa anomalia del Partito di Sinistra Antipatico… ora io e mio padre ci trovavamo fianco a fianco, e i nemici stavano da tutt’un’altra parte.
A volte mi venivano in mente, i socialisti: Ah, sì, quelli del garofano. Chissà poi perché ci stavano così sulle palle… in fondo erano di sinistra, cercavano soltanto di modernizzare il Paese…
Sono passati dieci anni, e adesso c’è un Partito non grande (15%), ma potente, che sta antipatico a tutti (destra o sinistra), dove il presidente è Un Uomo che sta antipatico a tutti. Talmente arrogante che quando si è dimessa tutta la dirigenza, lui è rimasto lì.
I membri di questo Partito non avevano vita propria, ma si limitavano a vestire elegante, andare di nascosto alle manifestazioni e applaudire il Capo che non fa niente di male, vuole soltanto modernizzare il Paese.
Colpa nostra
Comunque ne ho piene le p**** di tutti questi affossatori dei Ds, che suonano a morto da mesi, che su Internet si danno del "diessino" a vicenda per offendersi, che dopo essersi visti in corteo con altre centomila persone hanno deciso che *loro* sono la sinistra e salveranno il mondo. Si, d’accordo, a chi non piacciono i cortei, quanti colori, quanti giovani, bellissimo, ma quando poi ci sarà da votare finiremo ancora dispersi tra la marea dell’astensionismo e tutti quei piccoli partitini dove se guardi bene c’è meno democrazia interna che nei Ds.
Veramente, sono stanco di questi pacifisti per i quali “tutte le guerre sono sbagliate e basta”, quindi l’Italia dovrebbe disarmarsi unilateralmente e anche in Afghanistan di colpo sarebbero tutti più buoni; di questi attivisti saccenti come e più di me, che conoscono gli errori della sinistra come e più di me e alle prossime elezioni si rifiuteranno di dare il voto all’Ulivo perché evidentemente Rutelli è peggio di Berlusconi (anche dopo Genova, la depenalizzazione del falso in bilancio, i tagli alle scuole e alla ricerca, i fondi neri all’estero che ritornano gratis, il conflitto delle culture, Taormina? Sì, anche dopo tutto questo: qualsiasi cosa pur di evitarci Rutelli).
Ho molta più simpatia per quei poveri ragazzi della sinistra giovanile, in perenne minoranza e dissidio interiore, disposti a fare le ore piccole in tutti i congressi locali pur di far approvare a tradimento ordini del giorno peregrini dove si parla di tobin tax, liberalizzazione delle droghe e sospensione dei bombardamenti. Viva la Sinistra Giovanile! Voglio la tessera, datemela! Ah no…dimenticavo... non sono più un giovane.
Sapete di chi ho nostalgia, adesso? Ho nostalgia di Occhetto. Sì, proprio di quel buffo signore, che nei momenti giusti faceva le cose che riteneva giuste. Dopo il massacro di Piazza Tien An Men andò davanti all’ambasciata cinese con un megafono e disse: non possiamo più avere lo stesso nome, voi e noi. Il Partito Comunista Cinese non cambiò nome, e allora lo cambiò Occhetto. Ci fu un dibattito interno immenso, e da fuori sembrò che finalmente qualcosa stava cambiando, che nasceva un partito nuovo e tutti, comunisti, cattolici, società civile, potevamo farne parte. E poi?
Perché dopo dieci anni ci troviamo con la brutta copia del PSI craxiano? Cosa è successo? È stata veramente tutta colpa di D’Alema? Di Veltroni? Quante autocritiche devono fare ancora?
No, io credo di no. Credo che sia in buona misura colpa nostra. Noi società civile, noi così bravi, buoni, saccenti, noi sempre pronti a criticare la falsa sinistra modernista e neoliberista, noi che negli anni Novanta abbiamo fatto tanto, tanto volontariato (come siamo buoni!) e adesso facciamo tante, tante belle manifestazioni… come siamo coraggiosi.
Beh, noi siamo la vergogna di questo Paese. C’era un Partito da fondare, nel 1991, e noi dov’eravamo? A manifestare contro la guerra del Golfo. Benissimo. Ma perché non siamo entrati tutti in massa nel benedetto partito? Perché non lo abbiamo trasformato nel nostro? Perché lo abbiamo lasciato in mano allo stesso apparato di prima? Cosa credevamo, che diventasse un partito nuovo solo cambiando il nome?
Ma no, noi eravamo troppo sdegnosi per piegarci al confronto con un Partito. Un partito gestisce il potere e a noi il potere non c’interessa, noi siamo bravi e idealisti (nelle discussioni. Poi andiamo a lavorare e sbraniamo il prossimo come chiunque altro). Noi di sinistra. Noi duri e puri. Noi coglioni. Dieci anni fa come oggi.
per come stanno andando le cose. Sì, ancora politica qui. Lasciatemi perdere. Cosa fate ancora qui? Andate su Polaroid!
Picture me in 1991
Dieci anni fa ero già insopportabilmente saccente. Leggevo i giornali e avevo le mie idee. Avevo un’onesta pietà di mio padre (deluso da De Mita) e da mia madre (delusa da Craxi). Io la sapevo già più lunga, non mi avrebbero fregato mai. Anche quell’Occhetto, non me la contava mica, con quelle sue arie da ggiovane. Il suo secondo, lui sì era un tipo interessante. Dirigeva “L’Unità” e ammiccava dai baffetti.
Dieci anni fa ero un coglione.
Non fare il socialista, dai
Dieci anni c’era un Partito non grande (15%), ma potente, che stava antipatico a tutti (destra o sinistra), dove comandava solo Un Uomo che stava antipatico a tutti. Era talmente arrogante da far sapere a tutti che viveva nella suite di un albergo.
I membri di questo Partito non avevano vita propria, ma si limitavano a vestire elegante, farsi le canne di nascosto e applaudire il Capo che voleva ‘punire i drogati’. Io lo odiavo. Papà lo odiava. Solo su questo si andava d’accordo in casa.
Adesso suona strano, ma dieci anni fa, tra amici, dire “socialista” era un’offesa. Ricordo un mio amico, un bel ragazzo, e anche simpatico, molto popolare al liceo. Una volta, vedendolo arrivare in bicicletta, in giacca e cravatta, per motivi di rappresentanza (era nella lista di sinistra), mi scappo detto: “Guarda, mi sembri un… socialista”. Lui ci rimase molto male. Ma male veramente. Ci scherzò sopra un poco, ma si capiva che la cosa lo aveva ferito. “Tond, ma davvero ti sembro così socialista?”. “Ma no, noo, scherzavo”.
Il giorno che quell’Uomo uscì dal suo albergo in gran velocità, sotto una sassaiola, e lasciò il Paese, anche quel Partito all’improvviso si sgonfiò, come se non ci fosse mai stato, e dopo qualche anno si faceva persino fatica a ricordarlo. Sembrava tutto così pulito, dopo, senza questa anomalia del Partito di Sinistra Antipatico… ora io e mio padre ci trovavamo fianco a fianco, e i nemici stavano da tutt’un’altra parte.
A volte mi venivano in mente, i socialisti: Ah, sì, quelli del garofano. Chissà poi perché ci stavano così sulle palle… in fondo erano di sinistra, cercavano soltanto di modernizzare il Paese…
Sono passati dieci anni, e adesso c’è un Partito non grande (15%), ma potente, che sta antipatico a tutti (destra o sinistra), dove il presidente è Un Uomo che sta antipatico a tutti. Talmente arrogante che quando si è dimessa tutta la dirigenza, lui è rimasto lì.
I membri di questo Partito non avevano vita propria, ma si limitavano a vestire elegante, andare di nascosto alle manifestazioni e applaudire il Capo che non fa niente di male, vuole soltanto modernizzare il Paese.
Colpa nostra
Comunque ne ho piene le p**** di tutti questi affossatori dei Ds, che suonano a morto da mesi, che su Internet si danno del "diessino" a vicenda per offendersi, che dopo essersi visti in corteo con altre centomila persone hanno deciso che *loro* sono la sinistra e salveranno il mondo. Si, d’accordo, a chi non piacciono i cortei, quanti colori, quanti giovani, bellissimo, ma quando poi ci sarà da votare finiremo ancora dispersi tra la marea dell’astensionismo e tutti quei piccoli partitini dove se guardi bene c’è meno democrazia interna che nei Ds.
Veramente, sono stanco di questi pacifisti per i quali “tutte le guerre sono sbagliate e basta”, quindi l’Italia dovrebbe disarmarsi unilateralmente e anche in Afghanistan di colpo sarebbero tutti più buoni; di questi attivisti saccenti come e più di me, che conoscono gli errori della sinistra come e più di me e alle prossime elezioni si rifiuteranno di dare il voto all’Ulivo perché evidentemente Rutelli è peggio di Berlusconi (anche dopo Genova, la depenalizzazione del falso in bilancio, i tagli alle scuole e alla ricerca, i fondi neri all’estero che ritornano gratis, il conflitto delle culture, Taormina? Sì, anche dopo tutto questo: qualsiasi cosa pur di evitarci Rutelli).
Ho molta più simpatia per quei poveri ragazzi della sinistra giovanile, in perenne minoranza e dissidio interiore, disposti a fare le ore piccole in tutti i congressi locali pur di far approvare a tradimento ordini del giorno peregrini dove si parla di tobin tax, liberalizzazione delle droghe e sospensione dei bombardamenti. Viva la Sinistra Giovanile! Voglio la tessera, datemela! Ah no…dimenticavo... non sono più un giovane.
Sapete di chi ho nostalgia, adesso? Ho nostalgia di Occhetto. Sì, proprio di quel buffo signore, che nei momenti giusti faceva le cose che riteneva giuste. Dopo il massacro di Piazza Tien An Men andò davanti all’ambasciata cinese con un megafono e disse: non possiamo più avere lo stesso nome, voi e noi. Il Partito Comunista Cinese non cambiò nome, e allora lo cambiò Occhetto. Ci fu un dibattito interno immenso, e da fuori sembrò che finalmente qualcosa stava cambiando, che nasceva un partito nuovo e tutti, comunisti, cattolici, società civile, potevamo farne parte. E poi?
Perché dopo dieci anni ci troviamo con la brutta copia del PSI craxiano? Cosa è successo? È stata veramente tutta colpa di D’Alema? Di Veltroni? Quante autocritiche devono fare ancora?
No, io credo di no. Credo che sia in buona misura colpa nostra. Noi società civile, noi così bravi, buoni, saccenti, noi sempre pronti a criticare la falsa sinistra modernista e neoliberista, noi che negli anni Novanta abbiamo fatto tanto, tanto volontariato (come siamo buoni!) e adesso facciamo tante, tante belle manifestazioni… come siamo coraggiosi.
Beh, noi siamo la vergogna di questo Paese. C’era un Partito da fondare, nel 1991, e noi dov’eravamo? A manifestare contro la guerra del Golfo. Benissimo. Ma perché non siamo entrati tutti in massa nel benedetto partito? Perché non lo abbiamo trasformato nel nostro? Perché lo abbiamo lasciato in mano allo stesso apparato di prima? Cosa credevamo, che diventasse un partito nuovo solo cambiando il nome?
Ma no, noi eravamo troppo sdegnosi per piegarci al confronto con un Partito. Un partito gestisce il potere e a noi il potere non c’interessa, noi siamo bravi e idealisti (nelle discussioni. Poi andiamo a lavorare e sbraniamo il prossimo come chiunque altro). Noi di sinistra. Noi duri e puri. Noi coglioni. Dieci anni fa come oggi.
martedì 20 novembre 2001
Carlo Bonini, su Repubblica.
Carlo Verdelli sul Corriere.
Barbara Stefanelli e Paolo Valentino, sul Corriere.
L'ultimo articolo di Maria Grazia Cutuli
Solo una cosa.
Si dice in questi casi (sempre sottovoce) "sono i migliori che se ne vanno": purtroppo è vero. Se ne vanno prima perché vivono più intensamente, perché sono sempre nei posti peggiori nei momenti più pericolosi: e quando nessuno le manda lì, ci vanno in vacanza. Come faceva Maria Grazia Cutuli
domenica 18 novembre 2001
Le furbizie di Pablo
“Vigliacco” disse amaramente Pablo. “Un uomo viene chiamato vigliacco perché ha un senso tattico. Perché ha la forza di prevedere dove porta una stupidaggine. Non si è vigliacchi perché si capisce quello che è stupido”.
I pinguini funzionano. Non l’avrei mai detto.
E allora continuiamo. Vagonate di c**zi miei. Questo vuole la gente, altro che il Congresso Diesse. C’è già fior di commentatori al lavoro, io dovrei farlo gratis, a che pro?
Io devo parlare di me, di quanto sono spiritoso, intelligente e colto. Chissenefrega di D’Alema, di Hemingway v’ho da parlare. Ultimamente ho *riletto* Per chi suona la campana, il celebre romanzo. Che trama, che stile, che personaggi. Prendete Pablo, il furbo partigiano della Sierra. Di gente così vi voglio parlare, altro che D’Alema.
Oltre le linee, nel cuore della Spagna franchista, Pablo combatte la sua guerra privata. I suoi gradi se li è fatti sul campo, massacrando senza pietà fascisti e guardie civili a cavallo. Col tempo, è vero, ha imparato a mirare alla guardia e a salvare il cavallo. I cavalli gli piacciono, non sono stupidi, lo capiscono e lui capisce loro. Col tempo ne ha messo su una discreta mandria.
Pablo è furbo, Pablo sa che i cavalli sono tutta la vittoria che può attendersi. È il terrore della Sierra, ma sa che a valle le cose si stanno mettendo sempre peggio. E questo ragazzino, questo Inglés venuto da di là del Fronte, con la sua stupida pretesa di far saltare un ponte, non capisce in che guaio sta cacciando tutti quanti?
“Sono molto forti”, disse Pablo. “Voialtri non vi rendete conto di come sono forti. Io li vedo diventare sempre più forti, sempre meglio armati. Hanno sempre più materiale. E io son qua, con dei cavalli come questi. E cosa posso aspettarmi? Che mi diano la caccia e mi uccidano. Nient’altro… e se ci toccherà sloggiare da questi monti, dove andremo?… … la cosa importante, per me, ora, è che qui non ci disturbi. Questo è il mio dovere verso quelli che sono con me e verso te stesso”.
“È un pezzo che si parla di te! Di te e dei tuoi cavalli! finché non avevi cavalli, eri con noi. Ora sei anche tu un capitalista”.
“Sei ingiusto. I cavalli io li espongo continuamente per la causa, lo sai”.
“Molto poco, secondo il mio parere. Rubare, sì. Mangiare bene, sì. Assassinare, certo. Combattere, no”.
I suoi compagni non lo amano più. Cavalli o non cavalli, è vero che Pablo sembra il relitto di quello che era. Impigrito, invecchiato, sempre più spesso lo sorprendi ubriaco. Ma anche chi lo odia sa di non poter fare a meno di lui. Per quanto stanco, per quando scaduto, Pablo resta il più furbo di tutti. Non il più coraggioso, né il più deciso. Ma è il più furbo, e la furbizia in guerra è indispensabile.
“Ora nuotiamo già da un anno in questa idiozia. Ma Pablo è un uomo di molto giudizio. Pablo è molto furbo”.
“Sono furba anch’io”.
“No, Pilar. Tu non sei furba, tu sei leale. Sei coraggiosa. Hai la vista acuta. Hai molta decisione e molto cuore. Ma non sei furba.[…] Di Pablo lo so, che è furbo”.
“Ma non conclude niente, perché ha paura e l’azione gli ripugna”.
“Non importa: è furbo. […] In questo momento dobbiamo agire con intelligenza. Dopo la storia del ponte bisognerà andarcene subito. Tutto dev’essere preparato. Dobbiamo sapere dove si va e come. Perciò abbiamo bisogno di Pablo. Della sua furberia.”.
“Io non ho nessuna fiducia in Pablo”.
“Per queste cose, sì”.
“No. Tu non sai sino a che punto è finito”.
“Però es muy vivo. È molto furbo. E se noi non ci comportiamo da furbi siamo fregati”.
“[…]Se Pablo è così furbo, come mai non lo capisce?”
“Lui vorrebbe che tutto rimanesse così com’è, perché è un poltrone. Vorrebbe rimanere nella pozza della sua poltroneria. Ma l’acqua sale. Se lo costringiamo a intraprendere qualcosa di nuovo, la furberia si sveglierà. Es muy vivo”.
È Pablo stesso, inaspettatamente, a cedere. Ha deciso: se l’Inglés e gli altri vogliono far saltare quel ponte, lui li aiuterà. Organizzerà la fuga per loro: nessuno può organizzarla se non lui.
La sera prima della battaglia (i fascisti hanno appena fatto strage di una banda partigiana, su una collina vicina) Pablo siede taciturno, e fissa la tazza di vino “come se non ne avesse mai vista una in vita sua”. Finché non parla: “Oggi ho ammirato molto il tuo giudizio, inglés. Trovo che tu hai molta picardia. Sei più furbo di me, io trovo. Ho fiducia in te”.
Nel cuore della notte, mentre l’Inglés si diverte con la sua ragazza nel sacco a pelo, Pablo ruba il detonatore, lo getta nel fiume e fugge via coi cavalli. Vigliacco? No. Per dirla con le sue parole, “Non si è vigliacchi perché si capisce quello che è stupido”. L’Inglés è stupido. Tenterà ugualmente di far saltare il ponte, senza detonatore. Farà massacrare i suoi uomini per nulla. Peggio per lui, e per loro… Pablo non è stupido, Pablo vuole vivere.
Ma accade qualcosa d’inaspettato. Libero, coi suoi cavalli, senza più obblighi nei confronti dei compagni, Pablo si sente solo. E non resiste. Decide di tornare. Non da solo: andrà a cercare i cavalli e gli uomini necessari per fare riuscire la folle impresa dell’Inglés. Soltanto lui può farlo. E poi tornerà, con la faccia più tosta di questo mondo, al rifugio dei suoi. Chiedendo scusa a tutti per il suo tradimento. Tanto, traditore o no, resta sempre il più furbo di tutti. Senza di lui sono spacciati, e lo sanno.
“Quando uno ha fatto una cosa simile, prova una solitudine che non può sopportare”.
“Che non può sopportare… che uno come te non può sopportare per un quarto d’ora”.
“Non ti burlare di me, mujer. Sono tornato… […] No me gusta estar solo. Sabes? Tutto ieri, solo, lavorando per il bene di tutti, non mi sono sentito solo. Ma la notte scorsa, Hombre! Qué mal lo pasé!”
“Il tuo predecessore, il famoso Giuda Iscariota si impiccò”.
“Non mi parlare così, donna. Non vedi che sono tornato? Non parlare di Giuda né di altro di simile. Sono qui”.
“Come sono questi uomini che hai portato? Valeva la pena di portarli?”
“Buenos y bobos. Buoni e stupidi. Pronti a morire eccetera. A tu gusto”.
Il racconto dice che Pablo quel giorno lottò valorosamente. Non spiega in che modo finirono quegli uomini raccolti all’ultimo momento, che Pablo portò con sé alla riva del fiume. Quando alla fine della sparatoria salta fuori è di nuovo solo, Pablo, solo con tre cavalli. Gli altri sono morti, come non si sa. Si sono battuti, questo è importante. È importante anche che ora ci siano cavalli a sufficienza per tutti, visto che si tratta di fuggire. I compagni hanno perso Fernando, Eladio, Anselmo… tanto meglio. “Abbiamo una quantità di cavalli! perfino per i bagagli”, esclama Pablo. Sarà lui a guidare la fuga, verso i Gredios. Lui, il più furbo di tutti. Senza di lui non ce l’avrebbero mai fatta, no?
Questi sono personaggi. Altro che Massimo D’Alema. Anche lui, poi: che meravigliose regate avrebbe potuto farsi, intorno al mondo! ma non sopportava la solitudine, ed è tornato a salvare i suoi compagni. Certo, in fondo tutti lo considerano il più furbo. Buon per lui. Meno, forse, per chi si ritrova arruolato al suo fianco. Occhio alle spalle, ragazzi. Lui non mira ai cavalli.
“Vigliacco” disse amaramente Pablo. “Un uomo viene chiamato vigliacco perché ha un senso tattico. Perché ha la forza di prevedere dove porta una stupidaggine. Non si è vigliacchi perché si capisce quello che è stupido”.
I pinguini funzionano. Non l’avrei mai detto.
E allora continuiamo. Vagonate di c**zi miei. Questo vuole la gente, altro che il Congresso Diesse. C’è già fior di commentatori al lavoro, io dovrei farlo gratis, a che pro?
Io devo parlare di me, di quanto sono spiritoso, intelligente e colto. Chissenefrega di D’Alema, di Hemingway v’ho da parlare. Ultimamente ho *riletto* Per chi suona la campana, il celebre romanzo. Che trama, che stile, che personaggi. Prendete Pablo, il furbo partigiano della Sierra. Di gente così vi voglio parlare, altro che D’Alema.
Oltre le linee, nel cuore della Spagna franchista, Pablo combatte la sua guerra privata. I suoi gradi se li è fatti sul campo, massacrando senza pietà fascisti e guardie civili a cavallo. Col tempo, è vero, ha imparato a mirare alla guardia e a salvare il cavallo. I cavalli gli piacciono, non sono stupidi, lo capiscono e lui capisce loro. Col tempo ne ha messo su una discreta mandria.
Pablo è furbo, Pablo sa che i cavalli sono tutta la vittoria che può attendersi. È il terrore della Sierra, ma sa che a valle le cose si stanno mettendo sempre peggio. E questo ragazzino, questo Inglés venuto da di là del Fronte, con la sua stupida pretesa di far saltare un ponte, non capisce in che guaio sta cacciando tutti quanti?
“Sono molto forti”, disse Pablo. “Voialtri non vi rendete conto di come sono forti. Io li vedo diventare sempre più forti, sempre meglio armati. Hanno sempre più materiale. E io son qua, con dei cavalli come questi. E cosa posso aspettarmi? Che mi diano la caccia e mi uccidano. Nient’altro… e se ci toccherà sloggiare da questi monti, dove andremo?… … la cosa importante, per me, ora, è che qui non ci disturbi. Questo è il mio dovere verso quelli che sono con me e verso te stesso”.
“È un pezzo che si parla di te! Di te e dei tuoi cavalli! finché non avevi cavalli, eri con noi. Ora sei anche tu un capitalista”.
“Sei ingiusto. I cavalli io li espongo continuamente per la causa, lo sai”.
“Molto poco, secondo il mio parere. Rubare, sì. Mangiare bene, sì. Assassinare, certo. Combattere, no”.
I suoi compagni non lo amano più. Cavalli o non cavalli, è vero che Pablo sembra il relitto di quello che era. Impigrito, invecchiato, sempre più spesso lo sorprendi ubriaco. Ma anche chi lo odia sa di non poter fare a meno di lui. Per quanto stanco, per quando scaduto, Pablo resta il più furbo di tutti. Non il più coraggioso, né il più deciso. Ma è il più furbo, e la furbizia in guerra è indispensabile.
“Ora nuotiamo già da un anno in questa idiozia. Ma Pablo è un uomo di molto giudizio. Pablo è molto furbo”.
“Sono furba anch’io”.
“No, Pilar. Tu non sei furba, tu sei leale. Sei coraggiosa. Hai la vista acuta. Hai molta decisione e molto cuore. Ma non sei furba.[…] Di Pablo lo so, che è furbo”.
“Ma non conclude niente, perché ha paura e l’azione gli ripugna”.
“Non importa: è furbo. […] In questo momento dobbiamo agire con intelligenza. Dopo la storia del ponte bisognerà andarcene subito. Tutto dev’essere preparato. Dobbiamo sapere dove si va e come. Perciò abbiamo bisogno di Pablo. Della sua furberia.”.
“Io non ho nessuna fiducia in Pablo”.
“Per queste cose, sì”.
“No. Tu non sai sino a che punto è finito”.
“Però es muy vivo. È molto furbo. E se noi non ci comportiamo da furbi siamo fregati”.
“[…]Se Pablo è così furbo, come mai non lo capisce?”
“Lui vorrebbe che tutto rimanesse così com’è, perché è un poltrone. Vorrebbe rimanere nella pozza della sua poltroneria. Ma l’acqua sale. Se lo costringiamo a intraprendere qualcosa di nuovo, la furberia si sveglierà. Es muy vivo”.
È Pablo stesso, inaspettatamente, a cedere. Ha deciso: se l’Inglés e gli altri vogliono far saltare quel ponte, lui li aiuterà. Organizzerà la fuga per loro: nessuno può organizzarla se non lui.
La sera prima della battaglia (i fascisti hanno appena fatto strage di una banda partigiana, su una collina vicina) Pablo siede taciturno, e fissa la tazza di vino “come se non ne avesse mai vista una in vita sua”. Finché non parla: “Oggi ho ammirato molto il tuo giudizio, inglés. Trovo che tu hai molta picardia. Sei più furbo di me, io trovo. Ho fiducia in te”.
Nel cuore della notte, mentre l’Inglés si diverte con la sua ragazza nel sacco a pelo, Pablo ruba il detonatore, lo getta nel fiume e fugge via coi cavalli. Vigliacco? No. Per dirla con le sue parole, “Non si è vigliacchi perché si capisce quello che è stupido”. L’Inglés è stupido. Tenterà ugualmente di far saltare il ponte, senza detonatore. Farà massacrare i suoi uomini per nulla. Peggio per lui, e per loro… Pablo non è stupido, Pablo vuole vivere.
Ma accade qualcosa d’inaspettato. Libero, coi suoi cavalli, senza più obblighi nei confronti dei compagni, Pablo si sente solo. E non resiste. Decide di tornare. Non da solo: andrà a cercare i cavalli e gli uomini necessari per fare riuscire la folle impresa dell’Inglés. Soltanto lui può farlo. E poi tornerà, con la faccia più tosta di questo mondo, al rifugio dei suoi. Chiedendo scusa a tutti per il suo tradimento. Tanto, traditore o no, resta sempre il più furbo di tutti. Senza di lui sono spacciati, e lo sanno.
“Quando uno ha fatto una cosa simile, prova una solitudine che non può sopportare”.
“Che non può sopportare… che uno come te non può sopportare per un quarto d’ora”.
“Non ti burlare di me, mujer. Sono tornato… […] No me gusta estar solo. Sabes? Tutto ieri, solo, lavorando per il bene di tutti, non mi sono sentito solo. Ma la notte scorsa, Hombre! Qué mal lo pasé!”
“Il tuo predecessore, il famoso Giuda Iscariota si impiccò”.
“Non mi parlare così, donna. Non vedi che sono tornato? Non parlare di Giuda né di altro di simile. Sono qui”.
“Come sono questi uomini che hai portato? Valeva la pena di portarli?”
“Buenos y bobos. Buoni e stupidi. Pronti a morire eccetera. A tu gusto”.
Il racconto dice che Pablo quel giorno lottò valorosamente. Non spiega in che modo finirono quegli uomini raccolti all’ultimo momento, che Pablo portò con sé alla riva del fiume. Quando alla fine della sparatoria salta fuori è di nuovo solo, Pablo, solo con tre cavalli. Gli altri sono morti, come non si sa. Si sono battuti, questo è importante. È importante anche che ora ci siano cavalli a sufficienza per tutti, visto che si tratta di fuggire. I compagni hanno perso Fernando, Eladio, Anselmo… tanto meglio. “Abbiamo una quantità di cavalli! perfino per i bagagli”, esclama Pablo. Sarà lui a guidare la fuga, verso i Gredios. Lui, il più furbo di tutti. Senza di lui non ce l’avrebbero mai fatta, no?
Questi sono personaggi. Altro che Massimo D’Alema. Anche lui, poi: che meravigliose regate avrebbe potuto farsi, intorno al mondo! ma non sopportava la solitudine, ed è tornato a salvare i suoi compagni. Certo, in fondo tutti lo considerano il più furbo. Buon per lui. Meno, forse, per chi si ritrova arruolato al suo fianco. Occhio alle spalle, ragazzi. Lui non mira ai cavalli.
giovedì 15 novembre 2001
Questo blog sta sprofondando
Questo blog ha bisogno di un post leggero, come il deserto chiede la pioggia.
Perché poi questo blog non dovrebbe essere il tipico blog in cui ti racconto la barzelletta, ti canto la canzone, come-è-andata-la-serata? Letto-qualche-libro-visto-qualche-bel-film-di-recente? Perché?
Solo perché Bloggando mi segnala in Politica e Società? (Sotto Indymedia!)?
Solo perché il mio sito è visitato in prevalenza durante le catastrofi? “Toh, è cascato un aereo. Vediamo cosa ne pensa Leonardo”. L’avvoltoio del web
Cercherò di guarire da me, con qualche stucchevole post sugli ‘azzi miei. E chi verrà qui a sentire le ultime notizie su Bin Laden (morto?) mi troverà intento a cianciare di film, libri, locali. Ho una vita anch’io, sapete? Per esempio:
L’ultimo film che ho visto… aspetta… sì: Viaggio a Kahandar. Bel film di… ahem… ambientato in Afg… lasciamo perdere.
L’ultimo libro… beh, sto leggendo Primavera di bellezza di Fenoglio. Non avrei potuto trovare un libro più adatto alla situazione. C’è Johnny, quello del Partigiano, ma è più giovane, fa la terza liceo. È già un anglomane, in rotta contro quel regime che gli fa passare i pomeriggi migliori della sua vita a marciare come un imbecille.
Eppure è già un perfetto soldatino, con tutto quello stupido senso dell’onore e del sacrificio. Odia i fascisti ma non vede l’ora di combattere con loro, perché tutti i suoi compagni sono già partiti e l’Estate ad Alba è una palla tremenda. Mentre i suoi adorati inglesi intanto bombardano Torino. L’asfissia del regime, i professori inevitabilmente antifascisti (ma si poteva denunciarli al telefono, a quei tempi ?). Insomma, c’è tutto il senso dell’assurdo di una nazione che entra in guerra di malavoglia e… e… scusate, ok, cambio argomento.
Eppure io sto sempre in giro, incontro persone, faccio cose… questo week end per esempio sono stato a… lasciamo perdere, poi martedì mi sono fatto una birra prima di andare alla riunione di XxX… mercoledì sono andato con L. alla riunione del YyY… e oggi ho tutta la sera libera per… per la riunione di ZzZ che… ‘iinchia, 3 riunioni in tre sere? Forse neanche nei momenti più oscuri del mio passato parrocchiale. Zzz…
Non c’è più nulla da fare. Continuerò a sprofondare fino alla fine. Verrete a trovarmi soltanto in caso di terremoti e massacri.
Trova qualcosa di leggero. Trova qualcosa di leggero.
Ah, ecco, è stato visto un pinguino a Modena, in Corso Canal Chiaro.
Un pinguino azzurro, di quelli che vanno adesso a Milano. Con tanto di firma originale di Pao.
Pao è un artista milanese che si diletta a trasformare i ‘panettoni’ spartitraffico in pinguini azzurri. Bisogna dire che è bravo, e i suoi pinguini sono belli. Almeno, a me piacciono. Ai milanesi anche, meno che ai vigili (che hanno multato Pao) e al vicesindaco, che gli ha fatto sapere che Il graffito rappresenta uno sfregio e una forma di vandalismo in tutti i sensi.
Avevo letto la storia da qualche parte, su un blog più leggero del mio. Ci ho messo un po’ a ritrovarla. È il problema delle cose leggere: se non le fermi le hai già perse.
Dite: va bene, ma a che serve poi un pinguino antitraffico?
A mettere un po’ di colore nel traffico, nel mio sito, nella vita. Per esempio: non dico che debba per forza succedere, ma mettiamo che una ragazza, ma una ragazza di quelle veramente carine, il tipo che normalmente non uscirebbe con te, decida che invece ha voglia di farlo.
Non deve succedere per forza: ma mettiamo che ti chiami dicendo: sono in Centro, dove c’incontriamo?
Tu, invece di dirle cose di cui potresti in seguito pentirti, tipo
“Vediamoci davanti al bancomat, che sono a secco”,
“C’è un distributore di preservativi e siringhe lì vicino”, o
“hai presente il Vecchio Stivale (dove si respira proprio l’atmosfera genuina di una vecchia calzatura sudata)”,
potresti uscirtene con una cosa imprevista del tipo:
“Vediamoci in Canal Chiaro davanti al pinguino azzurro”.
Certe ragazze vanno matte per questo tipo di cose. Mica tutte, ma certe sì. Non è detto che debba succedere, ma…
…ehi, funziona, sto già riprendendo quota
Questo blog ha bisogno di un post leggero, come il deserto chiede la pioggia.
Perché poi questo blog non dovrebbe essere il tipico blog in cui ti racconto la barzelletta, ti canto la canzone, come-è-andata-la-serata? Letto-qualche-libro-visto-qualche-bel-film-di-recente? Perché?
Solo perché Bloggando mi segnala in Politica e Società? (Sotto Indymedia!)?
Solo perché il mio sito è visitato in prevalenza durante le catastrofi? “Toh, è cascato un aereo. Vediamo cosa ne pensa Leonardo”. L’avvoltoio del web
Cercherò di guarire da me, con qualche stucchevole post sugli ‘azzi miei. E chi verrà qui a sentire le ultime notizie su Bin Laden (morto?) mi troverà intento a cianciare di film, libri, locali. Ho una vita anch’io, sapete? Per esempio:
L’ultimo film che ho visto… aspetta… sì: Viaggio a Kahandar. Bel film di… ahem… ambientato in Afg… lasciamo perdere.
L’ultimo libro… beh, sto leggendo Primavera di bellezza di Fenoglio. Non avrei potuto trovare un libro più adatto alla situazione. C’è Johnny, quello del Partigiano, ma è più giovane, fa la terza liceo. È già un anglomane, in rotta contro quel regime che gli fa passare i pomeriggi migliori della sua vita a marciare come un imbecille.
Eppure è già un perfetto soldatino, con tutto quello stupido senso dell’onore e del sacrificio. Odia i fascisti ma non vede l’ora di combattere con loro, perché tutti i suoi compagni sono già partiti e l’Estate ad Alba è una palla tremenda. Mentre i suoi adorati inglesi intanto bombardano Torino. L’asfissia del regime, i professori inevitabilmente antifascisti (ma si poteva denunciarli al telefono, a quei tempi ?). Insomma, c’è tutto il senso dell’assurdo di una nazione che entra in guerra di malavoglia e… e… scusate, ok, cambio argomento.
Eppure io sto sempre in giro, incontro persone, faccio cose… questo week end per esempio sono stato a… lasciamo perdere, poi martedì mi sono fatto una birra prima di andare alla riunione di XxX… mercoledì sono andato con L. alla riunione del YyY… e oggi ho tutta la sera libera per… per la riunione di ZzZ che… ‘iinchia, 3 riunioni in tre sere? Forse neanche nei momenti più oscuri del mio passato parrocchiale. Zzz…
Non c’è più nulla da fare. Continuerò a sprofondare fino alla fine. Verrete a trovarmi soltanto in caso di terremoti e massacri.
Trova qualcosa di leggero. Trova qualcosa di leggero.
Ah, ecco, è stato visto un pinguino a Modena, in Corso Canal Chiaro.
Un pinguino azzurro, di quelli che vanno adesso a Milano. Con tanto di firma originale di Pao.
Pao è un artista milanese che si diletta a trasformare i ‘panettoni’ spartitraffico in pinguini azzurri. Bisogna dire che è bravo, e i suoi pinguini sono belli. Almeno, a me piacciono. Ai milanesi anche, meno che ai vigili (che hanno multato Pao) e al vicesindaco, che gli ha fatto sapere che Il graffito rappresenta uno sfregio e una forma di vandalismo in tutti i sensi.
Avevo letto la storia da qualche parte, su un blog più leggero del mio. Ci ho messo un po’ a ritrovarla. È il problema delle cose leggere: se non le fermi le hai già perse.
Dite: va bene, ma a che serve poi un pinguino antitraffico?
A mettere un po’ di colore nel traffico, nel mio sito, nella vita. Per esempio: non dico che debba per forza succedere, ma mettiamo che una ragazza, ma una ragazza di quelle veramente carine, il tipo che normalmente non uscirebbe con te, decida che invece ha voglia di farlo.
Non deve succedere per forza: ma mettiamo che ti chiami dicendo: sono in Centro, dove c’incontriamo?
Tu, invece di dirle cose di cui potresti in seguito pentirti, tipo
“Vediamoci davanti al bancomat, che sono a secco”,
“C’è un distributore di preservativi e siringhe lì vicino”, o
“hai presente il Vecchio Stivale (dove si respira proprio l’atmosfera genuina di una vecchia calzatura sudata)”,
potresti uscirtene con una cosa imprevista del tipo:
“Vediamoci in Canal Chiaro davanti al pinguino azzurro”.
Certe ragazze vanno matte per questo tipo di cose. Mica tutte, ma certe sì. Non è detto che debba succedere, ma…
…ehi, funziona, sto già riprendendo quota
martedì 13 novembre 2001
In che tempi viviamo, se questo tipo di notizie sono da considerare buone notizie?
Un’orribile disastro aereo e l’avanzata di una milizia di massacratori, torturatori ed esportatori di droga?
Questi sono momenti in cui, più che opinioni, preferirei dare (e avere) più informazioni.
Sinceramente: sono contento che a Queens non sia stato un attentato, ma qualcuno mi spieghi com’è possibile che al JFK decolli regolarmente un aereo giudicato “un mese fa, a rischio dai responsabili statunitensi della sicurezza aerea”.
Quanti altri aerei “a rischio” decollano in America e nel mondo ogni giorno?
Sinceramente: i talebani si meritano tutto il male possibile. Non spingerò la mia attitudine pacifista fino a impedirmi di gioire della loro disfatta. Purtroppo, però, già da prima dei bombardamenti Rawa e Human Rights Watch avevano stroncato sul nascere in me qualsiasi simpatia per gli “eroici resistenti” dell’Alleanza del Nord. Che sono fondamentalisti come i talebani, anche se il loro fondamentalismo non impedisce loro di finanziarsi con l’esportazione dell’oppio. Che quando erano il regime di Kabul “hanno ucciso e violentato migliaia di ragazze, donne e uomini, e che sono stati i primi a imporre numerose restrizioni alle donne, tra cui l’imposizione del velo”. Sto citando Rawa…
Scrupoli da pacifistoide? Ma vedo che persino Bush e Musharraf li condividevano. Avevano preteso che gli Alleati del Nord restassero alle porte di Kabul. E i mujiaheddin sono entrati lo stesso. Ora il re Zahir si dice “preoccupato per la sicurezza e per i civili”. I civili forse avevano più da temere durante i bombardamenti, comunque condividiamo le preoccupazioni del re, c’è poco da stare allegri. È bello potersi tagliare la barba, e sentire canzoni alla radio, indubbiamente. Ma è così presto per farsi un’opinione. Meglio tenersi informati.
Non c’entra niente (o quasi)
Mi è scappato visto un po’ di Vespa ieri sera, e mi sono intristito. Non per Vespa, ormai al di là del bene e (soprattutto) del male. Non per gli insulti da una parte o dall’altra: gli insulti sono opinioni e io, in questo momento, voglio solo informazioni. Però sulle informazioni non transigo. Devono essere precise.
Angius ha l’aria di una persona seria e precisa. Quando ha ricordato le ragioni che portarono l’Ulivo a sostenere l’intervento in Kossovo ero quasi pronto a dargli ragione. Ma quando il direttore del Manifesto gli ha segnalato che molti militanti UCK si stanno iscrivendo ad Al Quaida, tutta la serietà del personaggio si è disciolta in questa affermazione: “Ma l’UCK è nato più tardi! S’informi!”.
Non mi si può rimproverare nessuna partigianeria nei confronti del Manifesto, ma io, che ho cercato sempre a mio modo d’informarmi e ho un po’ di memoria, ricordo benissimo che di UCK si parlava già prima della campagna in Kossovo. E non se ne parlava neanche tanto bene, così come oggi non si parla troppo bene dell’Alleanza del Nord in Afghanistan.
È vero che ci sono due UCK: uno in Kossovo e uno in Macedonia, dove la “K” sta per “nazionale”. L’UCK macedone è nato dopo il conflitto, e anzi, rappresenta uno degli ‘effetti collaterali’ dell’intervento in Kossovo. Che ha rafforzato il nazionalismo albanese nei balcani. E forse anche il fondamentalismo islamico. Non lo so. Dovrei informarmi. Ma anche Angius dovrebbe. Io non ce l’ho coi DS per partito preso, però una figura così è sufficiente a spostarmi a sinistra di cinque o sei gradi. Finché sono solo io… ma non credo di essere il solo.
Un’orribile disastro aereo e l’avanzata di una milizia di massacratori, torturatori ed esportatori di droga?
Questi sono momenti in cui, più che opinioni, preferirei dare (e avere) più informazioni.
Sinceramente: sono contento che a Queens non sia stato un attentato, ma qualcuno mi spieghi com’è possibile che al JFK decolli regolarmente un aereo giudicato “un mese fa, a rischio dai responsabili statunitensi della sicurezza aerea”.
Quanti altri aerei “a rischio” decollano in America e nel mondo ogni giorno?
Sinceramente: i talebani si meritano tutto il male possibile. Non spingerò la mia attitudine pacifista fino a impedirmi di gioire della loro disfatta. Purtroppo, però, già da prima dei bombardamenti Rawa e Human Rights Watch avevano stroncato sul nascere in me qualsiasi simpatia per gli “eroici resistenti” dell’Alleanza del Nord. Che sono fondamentalisti come i talebani, anche se il loro fondamentalismo non impedisce loro di finanziarsi con l’esportazione dell’oppio. Che quando erano il regime di Kabul “hanno ucciso e violentato migliaia di ragazze, donne e uomini, e che sono stati i primi a imporre numerose restrizioni alle donne, tra cui l’imposizione del velo”. Sto citando Rawa…
Scrupoli da pacifistoide? Ma vedo che persino Bush e Musharraf li condividevano. Avevano preteso che gli Alleati del Nord restassero alle porte di Kabul. E i mujiaheddin sono entrati lo stesso. Ora il re Zahir si dice “preoccupato per la sicurezza e per i civili”. I civili forse avevano più da temere durante i bombardamenti, comunque condividiamo le preoccupazioni del re, c’è poco da stare allegri. È bello potersi tagliare la barba, e sentire canzoni alla radio, indubbiamente. Ma è così presto per farsi un’opinione. Meglio tenersi informati.
Non c’entra niente (o quasi)
Mi è scappato visto un po’ di Vespa ieri sera, e mi sono intristito. Non per Vespa, ormai al di là del bene e (soprattutto) del male. Non per gli insulti da una parte o dall’altra: gli insulti sono opinioni e io, in questo momento, voglio solo informazioni. Però sulle informazioni non transigo. Devono essere precise.
Angius ha l’aria di una persona seria e precisa. Quando ha ricordato le ragioni che portarono l’Ulivo a sostenere l’intervento in Kossovo ero quasi pronto a dargli ragione. Ma quando il direttore del Manifesto gli ha segnalato che molti militanti UCK si stanno iscrivendo ad Al Quaida, tutta la serietà del personaggio si è disciolta in questa affermazione: “Ma l’UCK è nato più tardi! S’informi!”.
Non mi si può rimproverare nessuna partigianeria nei confronti del Manifesto, ma io, che ho cercato sempre a mio modo d’informarmi e ho un po’ di memoria, ricordo benissimo che di UCK si parlava già prima della campagna in Kossovo. E non se ne parlava neanche tanto bene, così come oggi non si parla troppo bene dell’Alleanza del Nord in Afghanistan.
È vero che ci sono due UCK: uno in Kossovo e uno in Macedonia, dove la “K” sta per “nazionale”. L’UCK macedone è nato dopo il conflitto, e anzi, rappresenta uno degli ‘effetti collaterali’ dell’intervento in Kossovo. Che ha rafforzato il nazionalismo albanese nei balcani. E forse anche il fondamentalismo islamico. Non lo so. Dovrei informarmi. Ma anche Angius dovrebbe. Io non ce l’ho coi DS per partito preso, però una figura così è sufficiente a spostarmi a sinistra di cinque o sei gradi. Finché sono solo io… ma non credo di essere il solo.
lunedì 12 novembre 2001
>Ciao Ric,
>come vedi sono un po' in ritardo e un po' retorico, ma, con quello che sta succedendo, non credo che sarà più questione di copertine...
(ATTENZIONE: Questa è roba forte. Roba noglòbbal. Non sei noglòbbal? Ahi ahi ahi. Leggi la versione edulcorata).
Secondo me stavolta eravamo… no, stavolta non ci provo nemmeno. Fossi stato su quell’elicottero che ci passa sopra lentamente, lentamente, come per scansionarci uno alla volta, magari ora saprei la cifra giusta.
Ma sono solo uno dei tanti che stava lì in basso a marciare, e tutto quel che ho visto è tanta gente, tante serrande chiuse e alcune aperte, che nessuno ha danneggiato, tanta allegria e pochissima polizia.
E poi che bisogno c’è di dare i numeri, se oggi anche il Giornale dice più di centomila: e non in Piazza del Popolo, badate bene, ma intorno al Colosseo. Di solito il Giornale dimezza le cifre della questura: stavolta forse no, ma insomma, fate un po’ voi…
Quanti eravamo. Non si saprà mai di sicuro. E in realtà a chi vuoi che interessi: non alla tv, non alla Questura, non ai Partiti, non al Sindacato. Interessa solo a noialtri, che abbiamo iniziato a discuterne subito e abbiamo continuato sul treno, fino a notte fonda. Chi diceva Centomila, chi il doppio, chi la metà. Comunque più di loro. Molti, molti di più: il doppio o il triplo.
E d’accordo, non eravamo lì per quello: non era una gara a chi mostra più muscoli (li lasciamo a loro questi svaghi puerili), noi la marcia anti-WTO era da mesi che l’avevamo programmata, d’accordo, però… il triplo di loro: vuoi mettere la soddisfazione?
Loro avevano le corriere e i voli charter gratis, a spese dello St… ops, del Partito.
Noi avevamo lo sciopero dei treni, e abbiamo dovuto pure prenotare il biglietto.
Loro avevano il Governo, tre Partiti, ministri e parlamentari da sfoggiare, cinque-sei televisioni.
Noi non abbiamo niente, anzi no, abbiamo qualche avanzo di sinistra, e ci guardiamo bene da sfoggiarlo.
Non abbiamo neanche un nome! E piantatela, per favore, di chiamarci noglobbal! Non ci piace proprio!
Non si sa ancora chi siamo. E non lo sappiamo nemmeno noi. Ancora non riusciamo a contarci, né a darci un nome. Siamo la moltitudine pacifica che è scesa nelle strade di Genova il 21 luglio, in risposta alle brutalità delle forze dell’ordine: ci siamo visti ad Assisi e ora a Roma. Ogni volta che scendiamo nelle strade sorprendiamo tutti, anche noi stessi.
È pur vero che oltre a scendere in strada, finora, ci è riuscito ben poco. In ogni città abbiamo le nostre gatte da pelare coi locali Social Forum, nati sull’onda dello sdegno e dell’entusiasmo di quest’estate, e che ora si dibattono incerti: perché è più facile marciare che darsi un’organizzazione democratica, ovviamente. E poi nessuno ci aiuta. O forse siamo noi che non vogliamo farci aiutare.
Però, anche su questo ‘fronte interno’, la marcia di sabato porta chiarezza. Onestamente non ho nulla da rimproverare a chi ha preferito restare a casa, anzi: questa diversità di vedute alla fine ci ha rafforzato: non eravamo tanti solo a Roma, ma eravamo un bel po’ anche in tante altre città. Onore al merito a chi è si è mobilitato a livello locale: ma adesso ci aspettiamo, noi ‘marcisti’ a oltranza, più considerazione. Non siamo quei ragazzacci che pensate. Non abbiamo toccato una vetrina né un cassonetto. È chiaro adesso?
E ora che siamo tornati a casa, rimettiamoci a lavorare. Sarà un inverno duro: siamo pacifisti e siamo in guerra, ed è la guerra più dura da cinquant’anni a questa parte. Ma siamo in tanti, e ora lo sappiamo. E lavoriamo tutti i giorni: nei forum, nelle associazioni, nel locale e nel globale. Prima o poi sarà primavera, e forse sarà bellissima.
>come vedi sono un po' in ritardo e un po' retorico, ma, con quello che sta succedendo, non credo che sarà più questione di copertine...
(ATTENZIONE: Questa è roba forte. Roba noglòbbal. Non sei noglòbbal? Ahi ahi ahi. Leggi la versione edulcorata).
Secondo me stavolta eravamo… no, stavolta non ci provo nemmeno. Fossi stato su quell’elicottero che ci passa sopra lentamente, lentamente, come per scansionarci uno alla volta, magari ora saprei la cifra giusta.
Ma sono solo uno dei tanti che stava lì in basso a marciare, e tutto quel che ho visto è tanta gente, tante serrande chiuse e alcune aperte, che nessuno ha danneggiato, tanta allegria e pochissima polizia.
E poi che bisogno c’è di dare i numeri, se oggi anche il Giornale dice più di centomila: e non in Piazza del Popolo, badate bene, ma intorno al Colosseo. Di solito il Giornale dimezza le cifre della questura: stavolta forse no, ma insomma, fate un po’ voi…
Quanti eravamo. Non si saprà mai di sicuro. E in realtà a chi vuoi che interessi: non alla tv, non alla Questura, non ai Partiti, non al Sindacato. Interessa solo a noialtri, che abbiamo iniziato a discuterne subito e abbiamo continuato sul treno, fino a notte fonda. Chi diceva Centomila, chi il doppio, chi la metà. Comunque più di loro. Molti, molti di più: il doppio o il triplo.
E d’accordo, non eravamo lì per quello: non era una gara a chi mostra più muscoli (li lasciamo a loro questi svaghi puerili), noi la marcia anti-WTO era da mesi che l’avevamo programmata, d’accordo, però… il triplo di loro: vuoi mettere la soddisfazione?
Loro avevano le corriere e i voli charter gratis, a spese dello St… ops, del Partito.
Noi avevamo lo sciopero dei treni, e abbiamo dovuto pure prenotare il biglietto.
Loro avevano il Governo, tre Partiti, ministri e parlamentari da sfoggiare, cinque-sei televisioni.
Noi non abbiamo niente, anzi no, abbiamo qualche avanzo di sinistra, e ci guardiamo bene da sfoggiarlo.
Non abbiamo neanche un nome! E piantatela, per favore, di chiamarci noglobbal! Non ci piace proprio!
Non si sa ancora chi siamo. E non lo sappiamo nemmeno noi. Ancora non riusciamo a contarci, né a darci un nome. Siamo la moltitudine pacifica che è scesa nelle strade di Genova il 21 luglio, in risposta alle brutalità delle forze dell’ordine: ci siamo visti ad Assisi e ora a Roma. Ogni volta che scendiamo nelle strade sorprendiamo tutti, anche noi stessi.
È pur vero che oltre a scendere in strada, finora, ci è riuscito ben poco. In ogni città abbiamo le nostre gatte da pelare coi locali Social Forum, nati sull’onda dello sdegno e dell’entusiasmo di quest’estate, e che ora si dibattono incerti: perché è più facile marciare che darsi un’organizzazione democratica, ovviamente. E poi nessuno ci aiuta. O forse siamo noi che non vogliamo farci aiutare.
Però, anche su questo ‘fronte interno’, la marcia di sabato porta chiarezza. Onestamente non ho nulla da rimproverare a chi ha preferito restare a casa, anzi: questa diversità di vedute alla fine ci ha rafforzato: non eravamo tanti solo a Roma, ma eravamo un bel po’ anche in tante altre città. Onore al merito a chi è si è mobilitato a livello locale: ma adesso ci aspettiamo, noi ‘marcisti’ a oltranza, più considerazione. Non siamo quei ragazzacci che pensate. Non abbiamo toccato una vetrina né un cassonetto. È chiaro adesso?
E ora che siamo tornati a casa, rimettiamoci a lavorare. Sarà un inverno duro: siamo pacifisti e siamo in guerra, ed è la guerra più dura da cinquant’anni a questa parte. Ma siamo in tanti, e ora lo sappiamo. E lavoriamo tutti i giorni: nei forum, nelle associazioni, nel locale e nel globale. Prima o poi sarà primavera, e forse sarà bellissima.
mercoledì 7 novembre 2001
E se fosse l'otto settembre
Potrà sembrare anche fuori luogo oggi, 7 novembre 2001 – la Camera sta giusto votando la nostra entrata in guerra contro l’Afghanistan – attardarsi a parlare dell’8 settembre 1943.
Ma forse è giusto così. Non è solo perché Ragno chiede spazio (potrei anche rifiutarmi, il sito è mio). Non è nemmeno che tutti i primi giorni di guerra si somiglino: però io dopo tutto resto ancora convinto che la Storia c’insegni qualcosa, e che l’otto settembre sia la nostra grande tragedia nazionale.
In momenti come questi ognuno di noi dovrebbe fare un piccolo esercizio di fantasia e chiederselo: “Cosa avrei fatto, quel giorno?” È un’idea che mi era venuta in mente qualche anno fa (la guerra era un’altra), la scrissi anche a qualcuno che a quest’ora se lo sarà scordato. Lo ribadisco ora.
Di solito il nostro esercizio di cittadini si limita a poche semplici cose: pagare le tasse, rispettare le leggi, e fruire in cambio di tutta una serie di diritti che secondo alcuni ci spetterebbero alla nascita. Poi ogni tanto succede qualcosa d’imprevisto, il quadro non è più chiaro, la bilancia dei diritti e dei doveri oscilla e forse cade, e non c’è nessuno a dirci con sicurezza cosa fare. C’è la nostra Coscienza, è vero: ma (ammesso che tutti ne abbiamo una) che ne sa, lei? forse chiede soltanto di tenersi fuori dai guai e riaddormentarsi in pace.
Coraggio, tentiamo. È l’otto settembre 1943, e da 45 giorni l’Italia non è più governata da Mussolini. È vero, quasi tutti i gerarchi che non sono al fronte sono ancora al loro posto. Ma Mussolini è agli arresti. Improvvisamente i soldati tedeschi, che negli ultimi mesi si vedono un po’ dappertutto, ci chiedono le armi. O si mettono direttamente a spararci. Cosa facciamo? Chiediamo notizie ai superiori. I superiori non ci capiscono nulla. Alla fine qualcuno al telefono lascia capire che è vero, Badoglio ha firmato l’armistizio coi nemici. Cosa facciamo?
C'è un'altro elemento da aggiungere: non siamo stupidi. Non lo siamo (forse) oggi, perché avremmo dovuto esserlo 60 anni fa? Forse avremmo avuto meno cultura, ma senz’altro un maggior senso pratico. La tv non c’era, ma ogni sera potevamo ascoltare Radio Londra in religioso silenzio, senza Veline o giornalisti-clown a distrarci. Saremmo stati imbevuti di vent’anni di retorica fascista? Sì, al punto di poterne più, perché in un paese di preti e professori fascisti un ragazzo cresce ribelle per forza.
A questo punto possiamo scegliere (ovviamente dobbiamo avere avuto un po’ di fortuna, perché a molti di noi i tedeschi non hanno lasciato il tempo di pensare).
Che facciamo? La situazione non è chiara. Ma nemmeno così ingarbugliata. I tedeschi non sono più i nostri alleati. I tedeschi chiedono le nostre armi. Insomma, i tedeschi ci hanno invaso. Possiamo (1) passare dalla loro parte, (2) arrenderci, (3) respingerli. Che facciamo?
Se scegliamo (1) non siamo “dei giovani che vanno capiti perché per un frainteso senso dell’Onore scelsero la parte sbagliata”, no, no, no: siamo dei traditori, dotati di un ottuso senso dell’Onore che, guarda caso, si schiera sempre dalla parte del più forte.
E non si tiri fuori “il discorso di Ciampi”: ma l’ha letto veramente qualcuno, quel discorso? Sono cinque cartelle e non sono state pubblicate da nessun giornale.
Se scegliamo (2) facciamo la scelta apparentemente più saggia. Loro sono forti, noi abbiamo dichiarato la pace: perché combattere?
È quello che fecero la maggior parte degli italiani impegnati nelle Forze Armate, al grido di “tutti a casa”. Tra loro ci sarà stato chi lo fece per Coscienza, chi per convenienza, chi per malinteso: si trattò comunque di un tragico malinteso, di cui tutti sono responsabili, dal Capo di Stato Maggiore all’ultimo dei fanti. Grazie a questo malinteso i tedeschi ebbero in poche ore il controllo di quasi tutta la penisola, nella più riuscita delle guerre lampo.
Questa, che è una delle pagine più tristi della Storia d’Italia, io la chiamo diserzione di massa e la trovo vergognosa, anche perché ebbe effetti disastrosi. Chi lo sa, forse anch’io nell’occasione avrei disertato: non sono mica un leone. Ma poi, solo con la mia Coscienza, me ne sarei vergognato, e senz’altro non avrei preteso un monumento.
(Tra parentesi: ieri ho dato un’occhiata a un Quaderno dell’istituto storico della Resistenza di Modena e ho scoperto con stupore che… un ‘monumento al disertore’ a Modena l’abbiamo già! È una lapide del ’59, in Accademia, in cui si legge che il “col. Giovanni Duca / Comandante dell’Accademia Militare di Fanteria e Cavalleria /organizzava con due battaglioni e uno squadrone di allievi / le prime resistenze contro l’invasione tedesca / nella Piana di Pavullo e di Mocogno”. In realtà il col. Duca (che in seguito partecipò davvero alla Resistenza e morì in un lager) se nell’occasione organizzò qualcosa, fu lo sbando e l’imboscamento di quel migliaio di allievi dell’Accademia, che stavano rientrando a Modena dalle esercitazioni in montagna, e alla notizia dell’armistizio si diedero a un precipitoso e indecoroso dietro-front (e non si era visto un solo tedesco in giro)… Ragno, se dobbiamo onorare ‘tutti’ i disertori di tutte le guerre, una corona di fiori su quella lapide bisogna che un giorno o l’altro ce la portiamo…)
La terza possibilità si chiama Resistenza, e non credo dovesse sembrare così strana agli italiani dell’otto settembre. Difficile sì, pericolosa sì: ma strana no. Anche senza radio, quanto tempo serviva a capire che i tedeschi che volevano disarmarci erano nemici? Le armi lasciate sui monti dai cadetti sparirono in poche ore: le portarono via i montanari che, senza saper leggere o scrivere, qualcosa in più degli allievi militari lo avevano capito: per esempio, che dai tedeschi bisognava difendersi. Ma il fatto che lo avessero capito loro rende ancora più vergognoso l’atto di diserzione dei cadetti.
Da quelle armi raccolte e nascoste alle perquisizioni della Wermacht parte la lotta di liberazione nella zona della repubblica di Montefiorino. Nel frattempo, il nove settembre è già nato a Roma il Comitato di Liberazione Nazionale, che in seguito entrerà nel governo Badoglio.
La Repubblica Sociale nasce parecchio tempo dopo: Mussolini viene liberato da un commando tedesco in settembre. Sin dall’inizio la Repubblica di Salò è uno stato fantoccio. La “chiamata alle armi” di cui sotto parla Ragno è addirittura del 9 Novembre del 1943. Poteva qualcuno, dopo sei mesi di occupazione tedesca, credere in buona fede che quello di Salò fosse il legittimo governo italiano? Dall’altra parte c’era il Re, il primo ministro Badoglio, il CLN: insomma, non c’è giustificazione che tenga. Non obbedire a quel bando non era diserzione: obbedire sarebbe stato tradimento.
E infatti la Resistenza non è una guerra civile, ma una guerra di liberazione: una guerra in cui da una parte c’era un invasore, dall’altra la giustizia e la libertà. Insomma, era una guerra giusta – o almeno meno sbagliata di altre. È Fini a dire il contrario. È Storace a volerlo scritto nei libri di scuola. È triste che noi, che dovremmo aver letto altri libri, cadiamo in un equivoco così grave. Allora di Storace non c’è nemmeno bisogno: bastiamo noi.
Dite: bisogna comunque essere fedeli alla propria Coscienza. Rispondo: sì, ma la Coscienza deve anche tenersi un po' informata. Perché sennò si addormenta, davvero, e poi quando la disturbiamo chiede soltanto di essere lasciata in Pace.
Queste cose ho provato a spiegare in questi giorni, in maniera forse incerta, ma senza voler offendere qualcuno. Però con certi pacifisti bisogna usar cautela, e indossare protezioni, anche. Ne son volate di tutti i colori. L’accusa finale, (la più infamante) è che avendo fatto il “boy-scout” la mia infanzia è stata segnata, e che forse ho molestato anche dei lupetti.
Ma Ragno no. Lui è sempre di buonumore, sempre allegro, che gli altri gli combinino una cazzata o che la combini lui. Lo invidio molto. Per questo un po’ di posto su questo sito non democratico (comando io), se la merita comunque. Riporto dunque la sua risposta al presidente del Consiglio comunale.
Comunicato Stampa
Abbiamo letto che il presidente del consiglio comunale ha definito la proposta di erigere un monumento alla memoria dei disertori, dei renitenti e degli obiettori di tutte le guerre, “un’offesa a tutti i cittadini italiani che hanno combattuto e che sono morti per difendere la Patria, un'offesa alla Resistenza e alla memoria di coloro che hanno combattuto e sono morti per la libertà e la democrazia”. Inoltre ha ricordato a noi firmatari di questa proposta che l'Art. 52 della Costituzione sancisce che "La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino".
In effetti non abbiamo capito se abbiamo offeso i cittadini italiani mandati dal governo Salandra a morire in trincea nel 1915 o quelli inviati dal governo Mussolini a morire in giro per il mondo per la gloria dell’Impero nel 1940. Vorremmo però far notare al presidente del consiglio comunale che la nostra proposta è quella di costruire un monumento alla memoria dei disertori, dei renitenti e degli obiettori di tutte le guerre perseguitati a causa della loro condotta. Esattamente come lo furono i partigiani, tutti disertori e quindi meritevoli di fucilazione, per il governo della Repubblica di Salò che amministrava il territorio nel quale operavano. Essi infatti furono tra coloro che non risposero alla chiamata alle armi emanata il 9 Novembre del 1943 dal maresciallo Graziani: il monumento che chiediamo di costruire sarebbe dunque dedicato sia a loro (che disertarono per andare volontariamente a combattere il fascismo) che a quanti disertarono semplicemente per cercare di salvare la pelle,obiettivo tutt’altro che disdicevole.
La difesa della Patria è sicuramente un sacro dovere del cittadino: noi ad esempio stiamo cercando di difenderla da chi ancora oggi pensa che sia lecito che qualcuno ci obblighi a morire in suo nome.
Fabrizio Ragazzi, coordinatore della campagna “Costruiamo un monumento ai disertori di tutte le guerre”
Il testo della lapide citata è tratto da PIETRO ALBERGHI, Attila sull’appennino, Istituto Storico sella Resistenza, Modena, 1969, pag. 23. Non sono un esperto di Storia locale e non ho altri elementi sull’episodio oltre a quelli che ho appreso lì.
Le immagini sono prese dal sito dell'Istituto Storico di Modena
Potrà sembrare anche fuori luogo oggi, 7 novembre 2001 – la Camera sta giusto votando la nostra entrata in guerra contro l’Afghanistan – attardarsi a parlare dell’8 settembre 1943.
Ma forse è giusto così. Non è solo perché Ragno chiede spazio (potrei anche rifiutarmi, il sito è mio). Non è nemmeno che tutti i primi giorni di guerra si somiglino: però io dopo tutto resto ancora convinto che la Storia c’insegni qualcosa, e che l’otto settembre sia la nostra grande tragedia nazionale.
In momenti come questi ognuno di noi dovrebbe fare un piccolo esercizio di fantasia e chiederselo: “Cosa avrei fatto, quel giorno?” È un’idea che mi era venuta in mente qualche anno fa (la guerra era un’altra), la scrissi anche a qualcuno che a quest’ora se lo sarà scordato. Lo ribadisco ora.
Di solito il nostro esercizio di cittadini si limita a poche semplici cose: pagare le tasse, rispettare le leggi, e fruire in cambio di tutta una serie di diritti che secondo alcuni ci spetterebbero alla nascita. Poi ogni tanto succede qualcosa d’imprevisto, il quadro non è più chiaro, la bilancia dei diritti e dei doveri oscilla e forse cade, e non c’è nessuno a dirci con sicurezza cosa fare. C’è la nostra Coscienza, è vero: ma (ammesso che tutti ne abbiamo una) che ne sa, lei? forse chiede soltanto di tenersi fuori dai guai e riaddormentarsi in pace.
Coraggio, tentiamo. È l’otto settembre 1943, e da 45 giorni l’Italia non è più governata da Mussolini. È vero, quasi tutti i gerarchi che non sono al fronte sono ancora al loro posto. Ma Mussolini è agli arresti. Improvvisamente i soldati tedeschi, che negli ultimi mesi si vedono un po’ dappertutto, ci chiedono le armi. O si mettono direttamente a spararci. Cosa facciamo? Chiediamo notizie ai superiori. I superiori non ci capiscono nulla. Alla fine qualcuno al telefono lascia capire che è vero, Badoglio ha firmato l’armistizio coi nemici. Cosa facciamo?
C'è un'altro elemento da aggiungere: non siamo stupidi. Non lo siamo (forse) oggi, perché avremmo dovuto esserlo 60 anni fa? Forse avremmo avuto meno cultura, ma senz’altro un maggior senso pratico. La tv non c’era, ma ogni sera potevamo ascoltare Radio Londra in religioso silenzio, senza Veline o giornalisti-clown a distrarci. Saremmo stati imbevuti di vent’anni di retorica fascista? Sì, al punto di poterne più, perché in un paese di preti e professori fascisti un ragazzo cresce ribelle per forza.
A questo punto possiamo scegliere (ovviamente dobbiamo avere avuto un po’ di fortuna, perché a molti di noi i tedeschi non hanno lasciato il tempo di pensare).
Che facciamo? La situazione non è chiara. Ma nemmeno così ingarbugliata. I tedeschi non sono più i nostri alleati. I tedeschi chiedono le nostre armi. Insomma, i tedeschi ci hanno invaso. Possiamo (1) passare dalla loro parte, (2) arrenderci, (3) respingerli. Che facciamo?
Se scegliamo (1) non siamo “dei giovani che vanno capiti perché per un frainteso senso dell’Onore scelsero la parte sbagliata”, no, no, no: siamo dei traditori, dotati di un ottuso senso dell’Onore che, guarda caso, si schiera sempre dalla parte del più forte.
E non si tiri fuori “il discorso di Ciampi”: ma l’ha letto veramente qualcuno, quel discorso? Sono cinque cartelle e non sono state pubblicate da nessun giornale.
Se scegliamo (2) facciamo la scelta apparentemente più saggia. Loro sono forti, noi abbiamo dichiarato la pace: perché combattere?
È quello che fecero la maggior parte degli italiani impegnati nelle Forze Armate, al grido di “tutti a casa”. Tra loro ci sarà stato chi lo fece per Coscienza, chi per convenienza, chi per malinteso: si trattò comunque di un tragico malinteso, di cui tutti sono responsabili, dal Capo di Stato Maggiore all’ultimo dei fanti. Grazie a questo malinteso i tedeschi ebbero in poche ore il controllo di quasi tutta la penisola, nella più riuscita delle guerre lampo.
Questa, che è una delle pagine più tristi della Storia d’Italia, io la chiamo diserzione di massa e la trovo vergognosa, anche perché ebbe effetti disastrosi. Chi lo sa, forse anch’io nell’occasione avrei disertato: non sono mica un leone. Ma poi, solo con la mia Coscienza, me ne sarei vergognato, e senz’altro non avrei preteso un monumento.
(Tra parentesi: ieri ho dato un’occhiata a un Quaderno dell’istituto storico della Resistenza di Modena e ho scoperto con stupore che… un ‘monumento al disertore’ a Modena l’abbiamo già! È una lapide del ’59, in Accademia, in cui si legge che il “col. Giovanni Duca / Comandante dell’Accademia Militare di Fanteria e Cavalleria /organizzava con due battaglioni e uno squadrone di allievi / le prime resistenze contro l’invasione tedesca / nella Piana di Pavullo e di Mocogno”. In realtà il col. Duca (che in seguito partecipò davvero alla Resistenza e morì in un lager) se nell’occasione organizzò qualcosa, fu lo sbando e l’imboscamento di quel migliaio di allievi dell’Accademia, che stavano rientrando a Modena dalle esercitazioni in montagna, e alla notizia dell’armistizio si diedero a un precipitoso e indecoroso dietro-front (e non si era visto un solo tedesco in giro)… Ragno, se dobbiamo onorare ‘tutti’ i disertori di tutte le guerre, una corona di fiori su quella lapide bisogna che un giorno o l’altro ce la portiamo…)
La terza possibilità si chiama Resistenza, e non credo dovesse sembrare così strana agli italiani dell’otto settembre. Difficile sì, pericolosa sì: ma strana no. Anche senza radio, quanto tempo serviva a capire che i tedeschi che volevano disarmarci erano nemici? Le armi lasciate sui monti dai cadetti sparirono in poche ore: le portarono via i montanari che, senza saper leggere o scrivere, qualcosa in più degli allievi militari lo avevano capito: per esempio, che dai tedeschi bisognava difendersi. Ma il fatto che lo avessero capito loro rende ancora più vergognoso l’atto di diserzione dei cadetti.
Da quelle armi raccolte e nascoste alle perquisizioni della Wermacht parte la lotta di liberazione nella zona della repubblica di Montefiorino. Nel frattempo, il nove settembre è già nato a Roma il Comitato di Liberazione Nazionale, che in seguito entrerà nel governo Badoglio.
La Repubblica Sociale nasce parecchio tempo dopo: Mussolini viene liberato da un commando tedesco in settembre. Sin dall’inizio la Repubblica di Salò è uno stato fantoccio. La “chiamata alle armi” di cui sotto parla Ragno è addirittura del 9 Novembre del 1943. Poteva qualcuno, dopo sei mesi di occupazione tedesca, credere in buona fede che quello di Salò fosse il legittimo governo italiano? Dall’altra parte c’era il Re, il primo ministro Badoglio, il CLN: insomma, non c’è giustificazione che tenga. Non obbedire a quel bando non era diserzione: obbedire sarebbe stato tradimento.
E infatti la Resistenza non è una guerra civile, ma una guerra di liberazione: una guerra in cui da una parte c’era un invasore, dall’altra la giustizia e la libertà. Insomma, era una guerra giusta – o almeno meno sbagliata di altre. È Fini a dire il contrario. È Storace a volerlo scritto nei libri di scuola. È triste che noi, che dovremmo aver letto altri libri, cadiamo in un equivoco così grave. Allora di Storace non c’è nemmeno bisogno: bastiamo noi.
Dite: bisogna comunque essere fedeli alla propria Coscienza. Rispondo: sì, ma la Coscienza deve anche tenersi un po' informata. Perché sennò si addormenta, davvero, e poi quando la disturbiamo chiede soltanto di essere lasciata in Pace.
Queste cose ho provato a spiegare in questi giorni, in maniera forse incerta, ma senza voler offendere qualcuno. Però con certi pacifisti bisogna usar cautela, e indossare protezioni, anche. Ne son volate di tutti i colori. L’accusa finale, (la più infamante) è che avendo fatto il “boy-scout” la mia infanzia è stata segnata, e che forse ho molestato anche dei lupetti.
Ma Ragno no. Lui è sempre di buonumore, sempre allegro, che gli altri gli combinino una cazzata o che la combini lui. Lo invidio molto. Per questo un po’ di posto su questo sito non democratico (comando io), se la merita comunque. Riporto dunque la sua risposta al presidente del Consiglio comunale.
Comunicato Stampa
Abbiamo letto che il presidente del consiglio comunale ha definito la proposta di erigere un monumento alla memoria dei disertori, dei renitenti e degli obiettori di tutte le guerre, “un’offesa a tutti i cittadini italiani che hanno combattuto e che sono morti per difendere la Patria, un'offesa alla Resistenza e alla memoria di coloro che hanno combattuto e sono morti per la libertà e la democrazia”. Inoltre ha ricordato a noi firmatari di questa proposta che l'Art. 52 della Costituzione sancisce che "La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino".
In effetti non abbiamo capito se abbiamo offeso i cittadini italiani mandati dal governo Salandra a morire in trincea nel 1915 o quelli inviati dal governo Mussolini a morire in giro per il mondo per la gloria dell’Impero nel 1940. Vorremmo però far notare al presidente del consiglio comunale che la nostra proposta è quella di costruire un monumento alla memoria dei disertori, dei renitenti e degli obiettori di tutte le guerre perseguitati a causa della loro condotta. Esattamente come lo furono i partigiani, tutti disertori e quindi meritevoli di fucilazione, per il governo della Repubblica di Salò che amministrava il territorio nel quale operavano. Essi infatti furono tra coloro che non risposero alla chiamata alle armi emanata il 9 Novembre del 1943 dal maresciallo Graziani: il monumento che chiediamo di costruire sarebbe dunque dedicato sia a loro (che disertarono per andare volontariamente a combattere il fascismo) che a quanti disertarono semplicemente per cercare di salvare la pelle,obiettivo tutt’altro che disdicevole.
La difesa della Patria è sicuramente un sacro dovere del cittadino: noi ad esempio stiamo cercando di difenderla da chi ancora oggi pensa che sia lecito che qualcuno ci obblighi a morire in suo nome.
Fabrizio Ragazzi, coordinatore della campagna “Costruiamo un monumento ai disertori di tutte le guerre”
Il testo della lapide citata è tratto da PIETRO ALBERGHI, Attila sull’appennino, Istituto Storico sella Resistenza, Modena, 1969, pag. 23. Non sono un esperto di Storia locale e non ho altri elementi sull’episodio oltre a quelli che ho appreso lì.
Le immagini sono prese dal sito dell'Istituto Storico di Modena
martedì 6 novembre 2001
Riconciliamentizioniamoci con la lingua italiana
Sì, passo il tempo ad autodenigrarmi. Ma non è per scelta. Ogni volta che provo a tirarmela un po’ ci rimedio una brutta figura. Meglio il basso profilo.
Per esempio:
Ludik, giovane di brillante intelligenza, fresco di diploma, stava preparando un articolo sul “fenomeno blog” e aveva interpellato vari bloggatori, tra cui me.
Io avevo fatto il possibile, naturalmente, per scrivere più di tutti gli altri. Per cominciare, avevo accennato al fatto che ho una “formazione letteraria” e che anche adesso lavoro in una “specie di casa editrice”.
Forte di queste credenziali, mi mettevo a pontificare sull’aspetto letterario dei blog. Secondo me, infatti, la cosa più curiosa dei blog è che siano scritti bene. Pochi errori di ortografia, persino di punteggiatura. Niente di stupefacente… non fossimo in Italia, il bel Paese in cui i quotidiani più prestigiosi non si fanno scrupolo di sbagliare gli accenti in prima pagina.
Ecco così una buona occasione per tirare una stoccatina ai professori universitari che producono bozze spaventose (io, ehm ehm, modestamente, ne ho corrette), e cogli “scrittori anni Novanta”: meglio sfogarsi in un blog personale che non scrivere un romanzo: forse un bel risultato dei blog sarà assorbire quelle velleità letterarie che in passato spingevano molte persone a scrivere romanzi in cui descrivevano il loro ombelico e poco altro: e poi devo confessare che molti bloggatori che conosco sanno descrivere il loro ombelico molto meglio di altri scrittori 'professionisti', e vai così, cantagliele…
Già che c’ero, ne approfittavo per buttar lì un’ipotesi sociologica, che si sa, per quel che costano…: la “blog-community”, dicevo, si è probabilmente riconciliata con la lingua italiana grazie all’ e-mail. La mia ipotesi è che tutti noi bloggatori abbiamo passato una fase nei '90 in cui scrivevamo lunghe e-mail, e se anche adesso le abbiamo cancellate, credo che sia stato quello il momento in cui veramente abbiamo imparato a scrivere. Poi l'e-mail da passatempo sociale è diventato uno strumento di lavoro, sempre meno romantico ed eccitante, per cui abbiamo trovato un'altra nicchia per dar sfogo alla nostra verbosità, e abbiamo trovato il blog.
Questo il mio piccolo trattato di sociologia dello stile.
E Ludik, bontà sua, ha premiato il mio sforzo titolando: “un RICONCILIAMENTO con la lingua italiana".
Riconciliamento… aaaargh.
Sento come un'eco di professori universitari e scrittori professionisti che ridacchiano alle mie spalle.
Pare che la parola esista davvero. Sì, vabe’, e come ogni parola in –mento gli si può costruire un bel verbo in –are: riconciliamentare. Riconciliamentiamoci con la lingua italiana. Sarà un bel gesto, la nostra riconciliamentazione. Anche se a questo punto forse varrebbe la pena di riconciliamentazionarci, dedicarci cioè a un’opera di riconciliamentazionizzazione. E via di seguito…
Sì, passo il tempo ad autodenigrarmi. Ma non è per scelta. Ogni volta che provo a tirarmela un po’ ci rimedio una brutta figura. Meglio il basso profilo.
Per esempio:
Ludik, giovane di brillante intelligenza, fresco di diploma, stava preparando un articolo sul “fenomeno blog” e aveva interpellato vari bloggatori, tra cui me.
Io avevo fatto il possibile, naturalmente, per scrivere più di tutti gli altri. Per cominciare, avevo accennato al fatto che ho una “formazione letteraria” e che anche adesso lavoro in una “specie di casa editrice”.
Forte di queste credenziali, mi mettevo a pontificare sull’aspetto letterario dei blog. Secondo me, infatti, la cosa più curiosa dei blog è che siano scritti bene. Pochi errori di ortografia, persino di punteggiatura. Niente di stupefacente… non fossimo in Italia, il bel Paese in cui i quotidiani più prestigiosi non si fanno scrupolo di sbagliare gli accenti in prima pagina.
Ecco così una buona occasione per tirare una stoccatina ai professori universitari che producono bozze spaventose (io, ehm ehm, modestamente, ne ho corrette), e cogli “scrittori anni Novanta”: meglio sfogarsi in un blog personale che non scrivere un romanzo: forse un bel risultato dei blog sarà assorbire quelle velleità letterarie che in passato spingevano molte persone a scrivere romanzi in cui descrivevano il loro ombelico e poco altro: e poi devo confessare che molti bloggatori che conosco sanno descrivere il loro ombelico molto meglio di altri scrittori 'professionisti', e vai così, cantagliele…
Già che c’ero, ne approfittavo per buttar lì un’ipotesi sociologica, che si sa, per quel che costano…: la “blog-community”, dicevo, si è probabilmente riconciliata con la lingua italiana grazie all’ e-mail. La mia ipotesi è che tutti noi bloggatori abbiamo passato una fase nei '90 in cui scrivevamo lunghe e-mail, e se anche adesso le abbiamo cancellate, credo che sia stato quello il momento in cui veramente abbiamo imparato a scrivere. Poi l'e-mail da passatempo sociale è diventato uno strumento di lavoro, sempre meno romantico ed eccitante, per cui abbiamo trovato un'altra nicchia per dar sfogo alla nostra verbosità, e abbiamo trovato il blog.
Questo il mio piccolo trattato di sociologia dello stile.
E Ludik, bontà sua, ha premiato il mio sforzo titolando: “un RICONCILIAMENTO con la lingua italiana".
Riconciliamento… aaaargh.
Sento come un'eco di professori universitari e scrittori professionisti che ridacchiano alle mie spalle.
Pare che la parola esista davvero. Sì, vabe’, e come ogni parola in –mento gli si può costruire un bel verbo in –are: riconciliamentare. Riconciliamentiamoci con la lingua italiana. Sarà un bel gesto, la nostra riconciliamentazione. Anche se a questo punto forse varrebbe la pena di riconciliamentazionarci, dedicarci cioè a un’opera di riconciliamentazionizzazione. E via di seguito…
lunedì 5 novembre 2001
Diserzioni
Uno vorrebbe sempre mantenersi coerente e non fare cazzate, ma non è semplice.
Perciò devo ammettere che ho firmato anch’io la proposta di ordine del giorno che chiede al consiglio comunale di erigere un monumento “ai Disertori di tutte le guerre”. Ho fatto una cazzata e lo ammetto. Ho già chiesto al Ragno se può cancellarla, e spero che scuserà la mia diserzione alla causa. Scusate tutti.
Ragno d’altro canto si è già scusato di aver fatto in alcune sedi il nome del comitato locale di Attac. In tutta la vita di questo comitato, i suoi membri hanno ritenuto di dover votare soltanto una volta, e proprio per rifiutare la proposta del monumento. No, non è stata una decisione unanime. Meglio così: se c’è una cosa che considero pericolosa è l’unanimità.
Confermo comunque – per quel che serve – la mia simpatia per gli anarchici: non “tutti” gli anarchici, ma proprio gli anarchici che hanno portato a spasso il monumento in cartapesta. Hanno il coraggio delle loro idee e un’allegria contagiosa. Senz’altro la loro è stata la manifestazione più allegra da molti mesi a questa parte.
Ma confermo nello stesso tempo il mio fastidio per l'aggettivo "tutto", e quindi anche per i monumenti ai combattenti o ai disertori di "tutte" le guerre.
Tutte le guerre sono sbagliate, ma credo che ce ne siano alcune meno sbagliate di altre, come sapevano gli anarchici che hanno combattuto la guerra di Spagna e la Resistenza in Italia, e che di fronte a quel monumento di cartapesta condividerebbero, penso, la mia perplessità.
Sul piano politico, poi, la manifestazione è un autogol terribile per tutto il movimento locale: quel “gruppo di modenesi - obiettori, pacifisti, no global legati a varie associazioni” di cui parla la Gazzetta, che hanno dimostrato (me per primo) un’ingenuità imperdonabile. Non possiamo andare avanti così. Non possiamo farci dare lezioni di Storia dal presidente del Consiglio Comunale.
L’unica nostra speranza è portare contenuti, informazioni, dati, cifre contro la guerra.
E dire che i contenuti li abbiamo. Molilli trabocca di contenuti. Ragno stesso ha spedito decine di link interessanti. Sono quelli che ci servono. Non gli slogan, non comizi, non proclami contro “tutte le guerre” che possono servire soltanto a emarginarci.
***
Sono giorni molto tristi per tutti, disertori e combattenti. La campagna americana in Afganistan sta andando male: non lo dicono i pacifisti, ma gli specialisti. Tutto il tritolo che si rovescia sulle rovine di Kabul, tra l’altro, non ha il potere di salvare un solo postino americano dal contagio dell’antrace. L’America sta bombardando il recinto vuoto dopo che i buoi sono scappati molto, molto lontano.
In Afganistan forse è rimasto il solo Bin Laden, martire programmato: ogni ospedale colpito contribuisce alla sua popolarità molto più di un VHS proiettato da Al Jazeera. Alle porte c’è il Ramadan, poi l’inverno: il peggior scenario possibile per un intervento a terra.
È in questo contesto che l’Italia annuncia la sua mobilitazione. Non c’è da stupirsi: noi italiani crediamo sempre di saper scegliere i momenti migliori. Nel ‘15 volevamo pugnalare alle spalle l’Austria, nel ’40 la Francia. In entrambi i casi poi, queste pugnalate ci si rivolsero contro… ma che importa? L’importante è esserci, come alle feste importanti, ai ricevimenti dell’ambasciatore, ai summit con Blair e Chirac. Importa il bel faccione rubizzo di Ruggiero sulla prima di “Repubblica”, che dice: “Vedete: non siamo in serie B!” Sarà.
Io in B ci stavo bene, e credo che a questa guerra non ci andrò. Non vedo vie d’uscita, né possibilità di vittoria: vedo solo la possibilità di rimetterci la libertà e la vita. Diserterò, se ne avrò la possibilità. Ma non voglio certo un monumento per questo. I monumenti sono brutti – a Modena ne sappiamo qualcosa.
Uno vorrebbe sempre mantenersi coerente e non fare cazzate, ma non è semplice.
Perciò devo ammettere che ho firmato anch’io la proposta di ordine del giorno che chiede al consiglio comunale di erigere un monumento “ai Disertori di tutte le guerre”. Ho fatto una cazzata e lo ammetto. Ho già chiesto al Ragno se può cancellarla, e spero che scuserà la mia diserzione alla causa. Scusate tutti.
Ragno d’altro canto si è già scusato di aver fatto in alcune sedi il nome del comitato locale di Attac. In tutta la vita di questo comitato, i suoi membri hanno ritenuto di dover votare soltanto una volta, e proprio per rifiutare la proposta del monumento. No, non è stata una decisione unanime. Meglio così: se c’è una cosa che considero pericolosa è l’unanimità.
Confermo comunque – per quel che serve – la mia simpatia per gli anarchici: non “tutti” gli anarchici, ma proprio gli anarchici che hanno portato a spasso il monumento in cartapesta. Hanno il coraggio delle loro idee e un’allegria contagiosa. Senz’altro la loro è stata la manifestazione più allegra da molti mesi a questa parte.
Ma confermo nello stesso tempo il mio fastidio per l'aggettivo "tutto", e quindi anche per i monumenti ai combattenti o ai disertori di "tutte" le guerre.
Tutte le guerre sono sbagliate, ma credo che ce ne siano alcune meno sbagliate di altre, come sapevano gli anarchici che hanno combattuto la guerra di Spagna e la Resistenza in Italia, e che di fronte a quel monumento di cartapesta condividerebbero, penso, la mia perplessità.
Sul piano politico, poi, la manifestazione è un autogol terribile per tutto il movimento locale: quel “gruppo di modenesi - obiettori, pacifisti, no global legati a varie associazioni” di cui parla la Gazzetta, che hanno dimostrato (me per primo) un’ingenuità imperdonabile. Non possiamo andare avanti così. Non possiamo farci dare lezioni di Storia dal presidente del Consiglio Comunale.
L’unica nostra speranza è portare contenuti, informazioni, dati, cifre contro la guerra.
E dire che i contenuti li abbiamo. Molilli trabocca di contenuti. Ragno stesso ha spedito decine di link interessanti. Sono quelli che ci servono. Non gli slogan, non comizi, non proclami contro “tutte le guerre” che possono servire soltanto a emarginarci.
***
Sono giorni molto tristi per tutti, disertori e combattenti. La campagna americana in Afganistan sta andando male: non lo dicono i pacifisti, ma gli specialisti. Tutto il tritolo che si rovescia sulle rovine di Kabul, tra l’altro, non ha il potere di salvare un solo postino americano dal contagio dell’antrace. L’America sta bombardando il recinto vuoto dopo che i buoi sono scappati molto, molto lontano.
In Afganistan forse è rimasto il solo Bin Laden, martire programmato: ogni ospedale colpito contribuisce alla sua popolarità molto più di un VHS proiettato da Al Jazeera. Alle porte c’è il Ramadan, poi l’inverno: il peggior scenario possibile per un intervento a terra.
È in questo contesto che l’Italia annuncia la sua mobilitazione. Non c’è da stupirsi: noi italiani crediamo sempre di saper scegliere i momenti migliori. Nel ‘15 volevamo pugnalare alle spalle l’Austria, nel ’40 la Francia. In entrambi i casi poi, queste pugnalate ci si rivolsero contro… ma che importa? L’importante è esserci, come alle feste importanti, ai ricevimenti dell’ambasciatore, ai summit con Blair e Chirac. Importa il bel faccione rubizzo di Ruggiero sulla prima di “Repubblica”, che dice: “Vedete: non siamo in serie B!” Sarà.
Io in B ci stavo bene, e credo che a questa guerra non ci andrò. Non vedo vie d’uscita, né possibilità di vittoria: vedo solo la possibilità di rimetterci la libertà e la vita. Diserterò, se ne avrò la possibilità. Ma non voglio certo un monumento per questo. I monumenti sono brutti – a Modena ne sappiamo qualcosa.