E' tornata S. dal Portogallo, con una pancia di sette mesi.
Ieri sera le ho tenuto un po' compagnia, e ho mangiato:
- uno yogurt-gelato ai frutti di bosco
- una fetta d'anguria
- scamorza
- grissini
- birra.
L'ho lasciata a sgranocchiare davanti a ER: la puntata introduceva (1) un tumore al cervello; (2) un bambino con una guancia masticata da un cane (sangue a fiumi in corsia); (3) una dottoressa che partoriva con dolore, ovviamente. E lei: "Bah, sono tutte scene (>crunch<), io tanto lo faccio in casa".
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mercoledì 31 luglio 2002
martedì 30 luglio 2002
E un altro è sistemato.
Certi matrimoni sono meno peggio di altri.
Per esempio, se la pieve è romanica e il prete ha un accento brasiliano, si comincia a respirare.
Gli appassionati di lapsus vorranno notare questo: dopo il Gloria la sorella dello sposo si volta verso di me e bisbiglia qualcosa. Non sento niente. Poso la chitarra, mi avvicino, lei: "devi leggere la prima lettura, non ti ricordi?"
No.
Corro verso il leggìo, do un'occhiata al messale: il Cantico dei Cantici, ovvio, è un matrimonio. Mi metto a leggere col tono delle grandi occasioni:
...Forte come la morte è l'amore
Tenace come gli inferi è la sua passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere l'amore,
né i fiumi travolgerlo…
Vado bene, vado bene, sembra una scena lungamente provata in sacrestia. Alla fine mi volto tutto fiero del lavoro compiuto, ma dietro c'è ancora la sorella che bisbiglia: "Ehm, hai sbagliato lettura".
"Eh? Ma il messale…"
"Quella era la lettura del giorno, ma tu dovevi leggere questa, vedi?"
E mi sventola davanti il foglietto con la prima lettera di Paolo ai Corinzi, 13,1-10. L'inno all'amore, ovvio, è un matrimonio.
"Dai, leggi da capo".
"Ma non posso…"
"Fai finta di niente".
...L'amore è paziente, è benigno l'amore
Non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto,
non cerca il suo interesse,
non si adira, non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell'ingiustizia,
ma si compiace della verità...
Non sembra neanche lo stesso amore. Ma è il bello delle Scritture: l'incoerenza. Dio non ha mai preteso di essere coerente. La coerenza è un problema di noi uomini (e noi donne).
Certi matrimoni sono meno peggio di altri.
Per esempio, se la pieve è romanica e il prete ha un accento brasiliano, si comincia a respirare.
Gli appassionati di lapsus vorranno notare questo: dopo il Gloria la sorella dello sposo si volta verso di me e bisbiglia qualcosa. Non sento niente. Poso la chitarra, mi avvicino, lei: "devi leggere la prima lettura, non ti ricordi?"
No.
Corro verso il leggìo, do un'occhiata al messale: il Cantico dei Cantici, ovvio, è un matrimonio. Mi metto a leggere col tono delle grandi occasioni:
...Forte come la morte è l'amore
Tenace come gli inferi è la sua passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere l'amore,
né i fiumi travolgerlo…
Vado bene, vado bene, sembra una scena lungamente provata in sacrestia. Alla fine mi volto tutto fiero del lavoro compiuto, ma dietro c'è ancora la sorella che bisbiglia: "Ehm, hai sbagliato lettura".
"Eh? Ma il messale…"
"Quella era la lettura del giorno, ma tu dovevi leggere questa, vedi?"
E mi sventola davanti il foglietto con la prima lettera di Paolo ai Corinzi, 13,1-10. L'inno all'amore, ovvio, è un matrimonio.
"Dai, leggi da capo".
"Ma non posso…"
"Fai finta di niente".
...L'amore è paziente, è benigno l'amore
Non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto,
non cerca il suo interesse,
non si adira, non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell'ingiustizia,
ma si compiace della verità...
Non sembra neanche lo stesso amore. Ma è il bello delle Scritture: l'incoerenza. Dio non ha mai preteso di essere coerente. La coerenza è un problema di noi uomini (e noi donne).
venerdì 26 luglio 2002
Giorni vezzosi, inenarrabili
Stavo osservando che non succede al mondo quel che succede al nostro asilo d'infanzia:
il quale – se vi capita di tornarci – si restringe ogni anno un po' di più: i soffitti si abbassano, lo scivolo rattrappisce, e di quel giardino così grande rimane soltanto uno spiazzo di verde. Al mondo accade l'inverso: ogni anno ingrandisce un po' di più. Ovvero, noi diventiamo sempre più piccoli, man mano che cresciamo.
Ci è dato nel corso della nostra vita di aumentare le nostre dimensioni per svariati centimetri, e a questa mutazione diamo una grande importanza. Ma non ci accorgiamo di come nel frattempo le nostre aspirazioni si restringano: a otto anni siamo degli Dei, a sedici ancora ancora rivoluzionari, riformisti a trentadue, rassegnati a sessantaquattro. Che ci succede?
Il fatto è che più cresciamo, più viaggiamo e conosciamo luoghi e persone, più saggiamo la complessità del mondo, che da bambini abbracciavamo in pochi essenziali ragionamenti. Man mano le moltitudini diventano liste d'individui, con nomi, cognomi e convinzioni, spesso più forti e radicali delle nostre. È incredibile quanti individui si aggirino per le strade oggigiorno. Gente complessa, irriducibile ai sondaggi. Date un'occhiata ai blog: una moltitudine di liberi pensatori, chi se l'aspettava? Non erano gli anni della piatta omologazione? Tra un po' li rimpiangeremo.
Così, se penso a questo anno di Movimento, vedo che l'unico progresso apprezzabile è la quantità di persone che ho conosciuto. E questa città che pensavo di conoscere, ora la capisco forse dieci volte meglio. Ma so anche di essere dieci volte meno importante di quello che credevo un anno fa.
E se un anno fa speravo di avere una folla dalla mia parte, ora mi rendo conto di come sia un'impresa anche soltanto convincere una persona, e mi chiedo se mi sia mai successo veramente, se io abbia mai davvero convinto qualcuno di qualcosa. Direi di no.
Dedicato a Madame – che condivide i miei centimetri (e poco altro?)
a gara intorno
Ogni cosa sorride; invidia tace,
Non desta ancora ovver benigna; e quasi
(Inusitata maraviglia!) il mondo
La destra soccorrevole gli porge,
Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
Suo venir nella vita, ed inchinando
Mostra che per signor l'accolga e chiami?
Fugaci giorni!...
Stavo osservando che non succede al mondo quel che succede al nostro asilo d'infanzia:
il quale – se vi capita di tornarci – si restringe ogni anno un po' di più: i soffitti si abbassano, lo scivolo rattrappisce, e di quel giardino così grande rimane soltanto uno spiazzo di verde. Al mondo accade l'inverso: ogni anno ingrandisce un po' di più. Ovvero, noi diventiamo sempre più piccoli, man mano che cresciamo.
Ci è dato nel corso della nostra vita di aumentare le nostre dimensioni per svariati centimetri, e a questa mutazione diamo una grande importanza. Ma non ci accorgiamo di come nel frattempo le nostre aspirazioni si restringano: a otto anni siamo degli Dei, a sedici ancora ancora rivoluzionari, riformisti a trentadue, rassegnati a sessantaquattro. Che ci succede?
Il fatto è che più cresciamo, più viaggiamo e conosciamo luoghi e persone, più saggiamo la complessità del mondo, che da bambini abbracciavamo in pochi essenziali ragionamenti. Man mano le moltitudini diventano liste d'individui, con nomi, cognomi e convinzioni, spesso più forti e radicali delle nostre. È incredibile quanti individui si aggirino per le strade oggigiorno. Gente complessa, irriducibile ai sondaggi. Date un'occhiata ai blog: una moltitudine di liberi pensatori, chi se l'aspettava? Non erano gli anni della piatta omologazione? Tra un po' li rimpiangeremo.
Così, se penso a questo anno di Movimento, vedo che l'unico progresso apprezzabile è la quantità di persone che ho conosciuto. E questa città che pensavo di conoscere, ora la capisco forse dieci volte meglio. Ma so anche di essere dieci volte meno importante di quello che credevo un anno fa.
E se un anno fa speravo di avere una folla dalla mia parte, ora mi rendo conto di come sia un'impresa anche soltanto convincere una persona, e mi chiedo se mi sia mai successo veramente, se io abbia mai davvero convinto qualcuno di qualcosa. Direi di no.
Dedicato a Madame – che condivide i miei centimetri (e poco altro?)
a gara intorno
Ogni cosa sorride; invidia tace,
Non desta ancora ovver benigna; e quasi
(Inusitata maraviglia!) il mondo
La destra soccorrevole gli porge,
Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
Suo venir nella vita, ed inchinando
Mostra che per signor l'accolga e chiami?
Fugaci giorni!...
mercoledì 24 luglio 2002
Avrete notato che è passato un anno da Genova
E che è da un po' che non scrivo granché.
Beh,
giusto oggi stavo cercando di scrivere qualcosa su Genova, su quest'anno così incredibile e terribile per me, quando mi sono reso conto che stavo scrivendo la storia della mia vita, partendo dalla crisi petrolifera del 1973. E allora ho lasciato perdere, perché non credo che sia quel tipo di cose che vi va di leggere qui.
D'altro canto: cosa vi aspettate di leggere?
Domanda interessante.
Tirate al reduce
Genova è stata tante cose per me, l'anno scorso, tante che quasi rischiavo di ricaderci addosso tornandoci: tornando al bar da cui vidi passare la polizia che andava alle Diaz, ecc. Per fortuna non c'è stato il tempo. Per fortuna la Genova di quest'anno è stata un'altra cosa, che non si sovrappone in nessun modo. Un viaggio con amici vecchi e nuovi, soprattutto. E quattro giorni senza computer, un'ottima cosa.
Poi torno a casa e trovo su Defarge un'interessantissima intervista a "Ignacio Ramonet, direttore de Le monde diplomatique". Ramonet, invitato a un convegno sull'informazione, stacca un cospicuo assegno e spara a zero sull'informazione via Internet, "piena di menzogne e falsità. Che tende ad essere gratuita e disponibile 24 ore su 24, e che da un lato ottempera ai suoi scopi principali annunciare, vendere, sorvegliare e dall’altro priva la vera informazione della propria ragion d’essere e delle entrate sulle vendite".
La cosa mi punge un po' sul vivo. Io probabilmente non sarò mai un giornalista, troppo vecchio per affiliarmi all'albo, ormai. Ma a Genova, l'anno scorso, feci un po' d'informazione per i fatti miei. Gratuitamente. Per la verità, non feci nessun scoop, non scrissi nulla che non si trovasse già su Indymedia o Radio Gap. Eppure feci realmente qualcosa di rivoluzionario. E spiego perché.
Cos'è una rivoluzione?
Ho la sensazione che si tratti prima di tutto di una scoperta. Il rivoluzionario non fa che sfruttare una forza, un'energia che esisteva già in natura, ma che nessuno aveva notato. Il vapore, il Terzo Stato, i treni, le televisioni. Per cui, in realtà, il vero rivoluzionario non fa le barricate, ma sfonda una porta aperta. I sanculotti alla Bastiglia non trovarono resistenza.
Del resto io non mi sono mai sentito un rivoluzionario. Anzi ho passato i primi 27 anni della mia vita a sentirmi ripetere che tutto era già stato inventato, raccontato, catalogato, esaurito, e non restava che citare e fare il verso. Nessun entusiasmo, tutta ironia.
E poi, un giorno, mi sono trovato a Genova, in una sala stampa, con al collo un accredito quasi fasullo. Stavo semplicemente facendo la fila per accedere a un computer, quando iniziò la conferenza stampa del GSF, e all'improvviso tutti i giornalisti lasciarono i terminali e… tirarono fuori il taccuino.
All'inizio non ci feci nemmeno caso, perché non sono un tipo così svelto. Mi misi a navigare tutto contento, aprii blogger, cominciai a snocciolare i fatti miei come al solito. Solo dopo qualche minuto realizzai che tutti quei giornalisti erano dei deficienti. Avevano libero accesso a internet e… usavano il taccuino! Il primo a pubblicare le dichiarazioni di Agnoletto e Susan George sarei stato io, sul mio piccolo sito artigianale!
La rivoluzione di cui parlo è tutta qui: il blog come strumento di cronaca. È l'uovo di Colombo, ma tutti quei giornalisti affilati all'albo non c'erano arrivati, e scribacchiavono sui loro taccuini (i più fighetti avevano il portatile). Ma si poteva fare soltanto l'anno scorso, a Genova, alle Diaz. Si poteva fare grazie a Indymedia, che in quel momento era la fonte di prima mano per tutti gli organi d'informazione. Era un caso eccezionale, e – come ha scritto da qualche parte un mio amico – non possiamo nemmeno augurarci che si ripeta. Mi scuso, perciò, con chi si aspetta da me qualcosa "stile Genova": non credo che ne sarò più capace.
Personalmente vado fiero del mio piccolo successo di quei giorni, e insieme me ne vergogno. Me ne vergogno perché ho la sensazione che avrei avuto di meglio da fare che pigiar tasti alle Diaz, e perché alla fine non ho fatto proprio nulla di speciale. Salvo che sono stato uno dei primi a farlo.
Tra qualche anno, immagino, inizieranno a farlo anche i giornalisti. Ma a quel punto saranno in tanti ad accorrere sul luogo del delitto con portatili o cellulari finalmente connessi, e non sarà più rivoluzione, sarà la solita sommossa di tutti i giorni. E allora sì, le "menzogne e le falsità" prenderanno il sopravvento sulla verità, come succede sempre quando le verità, le informazioni, iniziano a inflazionarsi. I giornalisti, oggi, sono quelli che corrono tutti assieme nello stesso posto con un microfono in mano, un nugolo di mosconi che gira sempre intorno alla stessa merda. Sì, lo so, non sono tutti così. Ma non sono nemmeno quei disinteressati paladini dell'informazione che ha forse in mente Ramonet. E anche Internet, in sé, non è un bene e non è un male: può essere un veicolo d'innovazione, una forza che scrolla via le vecchie abitudini dei cronisti. O viceversa può essere un mezzo di conservazione, e arenarsi in forum inconcludenti e mefitici. Vedi Indymedia, sempre a un passo dall'impantanarsi.
Morale (individuale): non conta il messaggio, non conta il medium, conta trovarsi almeno una volta nella vita davanti una porta che nessuno ha mai aperto, e spalancarla, prima che arrivino gli altri tutti in una volta. Vale anche per i blog: sono interessanti perché sono ancora relativamente pochi. Ma tra qualche anno ne avremo tutti uno, e saremo così occupati a leggere quelli dei nostri conoscenti che non ci verrà mai più in mente di curiosare tra gli sconosciuti. E il fenomeno finirà lì.
A quei tempi io rilascerò interviste dicendo: eeeeh, ai miei tempi sì che era diverso, eravamo una manciata di animi eletti in giro per l'Italia… e pensate che io ero a Genova… ecco, quando sarò così, sparatemi.
Promettetemi che lo farete.
No, ma sul serio.
E che è da un po' che non scrivo granché.
Beh,
giusto oggi stavo cercando di scrivere qualcosa su Genova, su quest'anno così incredibile e terribile per me, quando mi sono reso conto che stavo scrivendo la storia della mia vita, partendo dalla crisi petrolifera del 1973. E allora ho lasciato perdere, perché non credo che sia quel tipo di cose che vi va di leggere qui.
D'altro canto: cosa vi aspettate di leggere?
Domanda interessante.
Tirate al reduce
Genova è stata tante cose per me, l'anno scorso, tante che quasi rischiavo di ricaderci addosso tornandoci: tornando al bar da cui vidi passare la polizia che andava alle Diaz, ecc. Per fortuna non c'è stato il tempo. Per fortuna la Genova di quest'anno è stata un'altra cosa, che non si sovrappone in nessun modo. Un viaggio con amici vecchi e nuovi, soprattutto. E quattro giorni senza computer, un'ottima cosa.
Poi torno a casa e trovo su Defarge un'interessantissima intervista a "Ignacio Ramonet, direttore de Le monde diplomatique". Ramonet, invitato a un convegno sull'informazione, stacca un cospicuo assegno e spara a zero sull'informazione via Internet, "piena di menzogne e falsità. Che tende ad essere gratuita e disponibile 24 ore su 24, e che da un lato ottempera ai suoi scopi principali annunciare, vendere, sorvegliare e dall’altro priva la vera informazione della propria ragion d’essere e delle entrate sulle vendite".
La cosa mi punge un po' sul vivo. Io probabilmente non sarò mai un giornalista, troppo vecchio per affiliarmi all'albo, ormai. Ma a Genova, l'anno scorso, feci un po' d'informazione per i fatti miei. Gratuitamente. Per la verità, non feci nessun scoop, non scrissi nulla che non si trovasse già su Indymedia o Radio Gap. Eppure feci realmente qualcosa di rivoluzionario. E spiego perché.
Cos'è una rivoluzione?
Ho la sensazione che si tratti prima di tutto di una scoperta. Il rivoluzionario non fa che sfruttare una forza, un'energia che esisteva già in natura, ma che nessuno aveva notato. Il vapore, il Terzo Stato, i treni, le televisioni. Per cui, in realtà, il vero rivoluzionario non fa le barricate, ma sfonda una porta aperta. I sanculotti alla Bastiglia non trovarono resistenza.
Del resto io non mi sono mai sentito un rivoluzionario. Anzi ho passato i primi 27 anni della mia vita a sentirmi ripetere che tutto era già stato inventato, raccontato, catalogato, esaurito, e non restava che citare e fare il verso. Nessun entusiasmo, tutta ironia.
E poi, un giorno, mi sono trovato a Genova, in una sala stampa, con al collo un accredito quasi fasullo. Stavo semplicemente facendo la fila per accedere a un computer, quando iniziò la conferenza stampa del GSF, e all'improvviso tutti i giornalisti lasciarono i terminali e… tirarono fuori il taccuino.
All'inizio non ci feci nemmeno caso, perché non sono un tipo così svelto. Mi misi a navigare tutto contento, aprii blogger, cominciai a snocciolare i fatti miei come al solito. Solo dopo qualche minuto realizzai che tutti quei giornalisti erano dei deficienti. Avevano libero accesso a internet e… usavano il taccuino! Il primo a pubblicare le dichiarazioni di Agnoletto e Susan George sarei stato io, sul mio piccolo sito artigianale!
La rivoluzione di cui parlo è tutta qui: il blog come strumento di cronaca. È l'uovo di Colombo, ma tutti quei giornalisti affilati all'albo non c'erano arrivati, e scribacchiavono sui loro taccuini (i più fighetti avevano il portatile). Ma si poteva fare soltanto l'anno scorso, a Genova, alle Diaz. Si poteva fare grazie a Indymedia, che in quel momento era la fonte di prima mano per tutti gli organi d'informazione. Era un caso eccezionale, e – come ha scritto da qualche parte un mio amico – non possiamo nemmeno augurarci che si ripeta. Mi scuso, perciò, con chi si aspetta da me qualcosa "stile Genova": non credo che ne sarò più capace.
Personalmente vado fiero del mio piccolo successo di quei giorni, e insieme me ne vergogno. Me ne vergogno perché ho la sensazione che avrei avuto di meglio da fare che pigiar tasti alle Diaz, e perché alla fine non ho fatto proprio nulla di speciale. Salvo che sono stato uno dei primi a farlo.
Tra qualche anno, immagino, inizieranno a farlo anche i giornalisti. Ma a quel punto saranno in tanti ad accorrere sul luogo del delitto con portatili o cellulari finalmente connessi, e non sarà più rivoluzione, sarà la solita sommossa di tutti i giorni. E allora sì, le "menzogne e le falsità" prenderanno il sopravvento sulla verità, come succede sempre quando le verità, le informazioni, iniziano a inflazionarsi. I giornalisti, oggi, sono quelli che corrono tutti assieme nello stesso posto con un microfono in mano, un nugolo di mosconi che gira sempre intorno alla stessa merda. Sì, lo so, non sono tutti così. Ma non sono nemmeno quei disinteressati paladini dell'informazione che ha forse in mente Ramonet. E anche Internet, in sé, non è un bene e non è un male: può essere un veicolo d'innovazione, una forza che scrolla via le vecchie abitudini dei cronisti. O viceversa può essere un mezzo di conservazione, e arenarsi in forum inconcludenti e mefitici. Vedi Indymedia, sempre a un passo dall'impantanarsi.
Morale (individuale): non conta il messaggio, non conta il medium, conta trovarsi almeno una volta nella vita davanti una porta che nessuno ha mai aperto, e spalancarla, prima che arrivino gli altri tutti in una volta. Vale anche per i blog: sono interessanti perché sono ancora relativamente pochi. Ma tra qualche anno ne avremo tutti uno, e saremo così occupati a leggere quelli dei nostri conoscenti che non ci verrà mai più in mente di curiosare tra gli sconosciuti. E il fenomeno finirà lì.
A quei tempi io rilascerò interviste dicendo: eeeeh, ai miei tempi sì che era diverso, eravamo una manciata di animi eletti in giro per l'Italia… e pensate che io ero a Genova… ecco, quando sarò così, sparatemi.
Promettetemi che lo farete.
No, ma sul serio.
giovedì 18 luglio 2002
Le tentazioni del raccoglitore di firme
Nel quarantesimo giorno di chiusura della campagna (l'estate torrida era all'apice), un coordinatore provinciale, chiuso nella sua cella, riconteggiava per la quarta volta le firme su un modulo spurio, quando il demonio comparve, e lo tentò. Portava occhiali da sole e valigetta ventiquattrore, e il suo alito sapeva d'aria condizionata. Il coordinatore aveva finito il gatorade e grondava sudore sul modulo. "Cosa fai, pirla", disse il demonio, "non vedi che lo rovini?".
"Ah, sì", si scusò il coordinatore. "Tanto questo è da sbattere via. Il consigliere ha scritto cinquantuno firme invece di cinquanta".
"E tu correggi, no?"
"Eh, non posso. Dovrebbe rifirmarlo lui, ma è in ferie in Birmania".
"Andiamo, falsifica la firma. Chi vuoi che se ne accorga?"
"Ma poi ci vuole il timbro".
"E falsifica anche quello. Quante firme hai raccolto?"
"Siamo a mille, non mi lamento".
"Poche, poche. Su, falsifica, falsifica, non fai male a nessuno".
"Bah, forse hai ragione… però poi vado all'inferno…"
"Per così poco? Naaaa! Mille firme, hai detto?"
"Sì, eccole qui".
"E lì ci sono i dati di nascita, la residenza, tutto…"
"Già".
"Hai pensato di metterle in un database?"
"Ohibò, e perché?"
"Così. Non si butta mai via niente. Metti che un domani ci sia un'altra raccolta da fare, le hai già pronte".
"Sì, ma le firme…"
"Le firme, le firme… se mi dai retta… chi vuoi che se ne accorga…"
"Ah, sì?"
"Ma sì! Sapessi quante ne ho viste, io! C'è gente che è morta da dieci anni e ancora continua a firmare per i referendum! E le liste elettorali! Se tu sapessi!"
"Ehi, un attimo. Tu sei il demonio. Tu vuoi veramente portarmi all'inferno".
"E con questo? Non si sta mica male, sai? D'estate fa anche più fresco che qui".
"Ah sì?"
"Sì. Ma senti, mi sembri un tipo intelligente. Io qui ho un contratto già pronto: ti compro l'anima e un migliaio di dati sensibili".
"E in cambio?"
"In cambio? Quel che vuoi. L'eterna giovinezza? La felicità? Quel che vuoi. Un altro mondo è possibile!"
"Mmmm. Non so se posso. Ho delle responsabilità, sai".
"Andiamo, il contratto è già pronto. Basta solo la firma".
"E tu falsificala, chi vuoi che se ne accorga".
Quest'ultima risposta indispettì il demonio, che scomparve in una nuvola di zolfo. Un calo di zuccheri, pensò il coordinatore, e scosse la testa.
Nel cinquantesimo giorno di chiusura della campagna (l'estate torrida trionfava) il demonio riapparve all'incrocio tra la tangenziale di San Possidonio e la provinciale per Concordia. Vestiva pelli di cammello ruvide e parastinchi bianchi, stava in mezzo all'incrocio e guai a chi lo spostava. Ma il coordinatore sfrecciava ai novanta all'ora e quasi lo investì.
"Ehi!", disse il demonio, "ma che modi sono questi".
"Oddio, scusa, è che ho una fretta dannata. Tra un quarto d'ora mi chiude l'ufficio elettorale di San Martino in Rio, e…".
"Ma dì, non ti vergogni? Sessanta chilometri per andare a certificare un paio di firme nella bassa reggiana? Che spreco di energie e d'idrocarburi!"
"Bah, forse hai ragione, ma già che sono qui…"
"Torna indietro! Chi vuoi che se ne accorga, per due firme in più o in meno! Tanto non saranno mai abbastanza! A che punto sei?"
"Siamo a duemila, non c'è male".
"Poche, troppo poche. Ormai la battaglia è persa. Torna indietro! Scommetti su un altro cavallo!"
"Bah, forse hai ragione. Due vetrine sprangate fanno più notizia di sei mesi di banchetti, di riunioni, di incontri. È straziante".
"Ecco, lo vedi? Il mondo è fuori squadra. Ma tu meriti ben altro. La felicità, l'eterna giovinezza, questo genere di cose. Ora, se vuoi dare un'occhiata al mio contratto, io…"
"Vuoi dire che sei venuto fin nella bassa reggiana solo per far su la mia anima? Che spreco di energie, figliolo!"
E detto questo, il coordinatore sgommò in direzione Rio Saliceta. Un miraggio, pensò. L'umidità sull'asfalto, senza dubbio.
Ma il sessantesimo giorno di chiusura della campagna (fuori impazzava il temporale) il demonio riapparve nel fragore della folgore. Vestiva un gessato extralarge, ma aveva rughe profonde, da sciopero della fame protratto. Fuori dall'ufficio protocolli il coordinatore riordinava i moduli, mentre attendeva gli ultimi timbri. "Ah, sei tu", disse. "Mi hai spaventato".
"Sono io, sì. Come va con le firme?"
"Siamo a tremila, ce l'abbiamo fatta".
"Bravo, bravo, io non ho mai dubitato di te".
"Io sì".
"E adesso? Che farai, ci hai pensato?"
"Mah, mi piacerebbe tornare anch'io in pirelli, però io non ci sono mai stato, alla pirelli".
"Ma per carità. Ora che hai mostrato al mondo il tuo talento, vuoi sprecarlo così?"
"Sono un po' stanco, e poi hanno detto che deresponsabilizzo la gente".
"Sciocco! Non hai occhi per vedere? Il mondo ha bisogno di un leader, di un portavoce, un messia!"
"Sì, ne ho sentito parlare".
"E tu, tu, nel tuo piccolo, hai scommesso sul cavallo giusto, e ora non c'è limite a quello che puoi fare! Dì a quelle firme di trasformarsi in angeli, ed essi ti serviranno!"
"Mi serviranno a cosa?"
"Oggi una campagna, domani dieci, cento, mille campagne, il mondo! Forse che non mancano le giuste cause?"
"Ma potrei perdere".
"Saranno belle sconfitte! E poi ti rialzerai, prenderai un cappuccino alla buvette, dichiarerai a reti unificate che non ti danno abbastanza spazio in tv! Sarai un eroe, un protagonista! Quello che la gente vuole".
"Ma finirò all'inferno".
"Ooh, sai la differenza. Allora, firmi o no?"
"Un'altra volta, magari, eh? Anzi, lasciami il volantino, così intanto ci penso su".
La campagna per la Tobin Tax è finita. Sono state raccolte più del triplo delle firme necessarie a presentare l'iniziativa di legge parlamentare in parlamento.
Nella provincia di Modena sono state raccolte e certificate 3100 firme. Non ne è stata falsificata nessuna, né è stato stipulato alcun patto col diavolo – solo con Sinistra Giovanile, Rifondazione, CGIL e Forum Sociale Modenese. Alcuni comuni hanno aiutato concretamente la campagna. Il comune di Modena no, non ha messo un soldo.
Io sono molto contento. Grazie a tutti.
Nel quarantesimo giorno di chiusura della campagna (l'estate torrida era all'apice), un coordinatore provinciale, chiuso nella sua cella, riconteggiava per la quarta volta le firme su un modulo spurio, quando il demonio comparve, e lo tentò. Portava occhiali da sole e valigetta ventiquattrore, e il suo alito sapeva d'aria condizionata. Il coordinatore aveva finito il gatorade e grondava sudore sul modulo. "Cosa fai, pirla", disse il demonio, "non vedi che lo rovini?".
"Ah, sì", si scusò il coordinatore. "Tanto questo è da sbattere via. Il consigliere ha scritto cinquantuno firme invece di cinquanta".
"E tu correggi, no?"
"Eh, non posso. Dovrebbe rifirmarlo lui, ma è in ferie in Birmania".
"Andiamo, falsifica la firma. Chi vuoi che se ne accorga?"
"Ma poi ci vuole il timbro".
"E falsifica anche quello. Quante firme hai raccolto?"
"Siamo a mille, non mi lamento".
"Poche, poche. Su, falsifica, falsifica, non fai male a nessuno".
"Bah, forse hai ragione… però poi vado all'inferno…"
"Per così poco? Naaaa! Mille firme, hai detto?"
"Sì, eccole qui".
"E lì ci sono i dati di nascita, la residenza, tutto…"
"Già".
"Hai pensato di metterle in un database?"
"Ohibò, e perché?"
"Così. Non si butta mai via niente. Metti che un domani ci sia un'altra raccolta da fare, le hai già pronte".
"Sì, ma le firme…"
"Le firme, le firme… se mi dai retta… chi vuoi che se ne accorga…"
"Ah, sì?"
"Ma sì! Sapessi quante ne ho viste, io! C'è gente che è morta da dieci anni e ancora continua a firmare per i referendum! E le liste elettorali! Se tu sapessi!"
"Ehi, un attimo. Tu sei il demonio. Tu vuoi veramente portarmi all'inferno".
"E con questo? Non si sta mica male, sai? D'estate fa anche più fresco che qui".
"Ah sì?"
"Sì. Ma senti, mi sembri un tipo intelligente. Io qui ho un contratto già pronto: ti compro l'anima e un migliaio di dati sensibili".
"E in cambio?"
"In cambio? Quel che vuoi. L'eterna giovinezza? La felicità? Quel che vuoi. Un altro mondo è possibile!"
"Mmmm. Non so se posso. Ho delle responsabilità, sai".
"Andiamo, il contratto è già pronto. Basta solo la firma".
"E tu falsificala, chi vuoi che se ne accorga".
Quest'ultima risposta indispettì il demonio, che scomparve in una nuvola di zolfo. Un calo di zuccheri, pensò il coordinatore, e scosse la testa.
Nel cinquantesimo giorno di chiusura della campagna (l'estate torrida trionfava) il demonio riapparve all'incrocio tra la tangenziale di San Possidonio e la provinciale per Concordia. Vestiva pelli di cammello ruvide e parastinchi bianchi, stava in mezzo all'incrocio e guai a chi lo spostava. Ma il coordinatore sfrecciava ai novanta all'ora e quasi lo investì.
"Ehi!", disse il demonio, "ma che modi sono questi".
"Oddio, scusa, è che ho una fretta dannata. Tra un quarto d'ora mi chiude l'ufficio elettorale di San Martino in Rio, e…".
"Ma dì, non ti vergogni? Sessanta chilometri per andare a certificare un paio di firme nella bassa reggiana? Che spreco di energie e d'idrocarburi!"
"Bah, forse hai ragione, ma già che sono qui…"
"Torna indietro! Chi vuoi che se ne accorga, per due firme in più o in meno! Tanto non saranno mai abbastanza! A che punto sei?"
"Siamo a duemila, non c'è male".
"Poche, troppo poche. Ormai la battaglia è persa. Torna indietro! Scommetti su un altro cavallo!"
"Bah, forse hai ragione. Due vetrine sprangate fanno più notizia di sei mesi di banchetti, di riunioni, di incontri. È straziante".
"Ecco, lo vedi? Il mondo è fuori squadra. Ma tu meriti ben altro. La felicità, l'eterna giovinezza, questo genere di cose. Ora, se vuoi dare un'occhiata al mio contratto, io…"
"Vuoi dire che sei venuto fin nella bassa reggiana solo per far su la mia anima? Che spreco di energie, figliolo!"
E detto questo, il coordinatore sgommò in direzione Rio Saliceta. Un miraggio, pensò. L'umidità sull'asfalto, senza dubbio.
Ma il sessantesimo giorno di chiusura della campagna (fuori impazzava il temporale) il demonio riapparve nel fragore della folgore. Vestiva un gessato extralarge, ma aveva rughe profonde, da sciopero della fame protratto. Fuori dall'ufficio protocolli il coordinatore riordinava i moduli, mentre attendeva gli ultimi timbri. "Ah, sei tu", disse. "Mi hai spaventato".
"Sono io, sì. Come va con le firme?"
"Siamo a tremila, ce l'abbiamo fatta".
"Bravo, bravo, io non ho mai dubitato di te".
"Io sì".
"E adesso? Che farai, ci hai pensato?"
"Mah, mi piacerebbe tornare anch'io in pirelli, però io non ci sono mai stato, alla pirelli".
"Ma per carità. Ora che hai mostrato al mondo il tuo talento, vuoi sprecarlo così?"
"Sono un po' stanco, e poi hanno detto che deresponsabilizzo la gente".
"Sciocco! Non hai occhi per vedere? Il mondo ha bisogno di un leader, di un portavoce, un messia!"
"Sì, ne ho sentito parlare".
"E tu, tu, nel tuo piccolo, hai scommesso sul cavallo giusto, e ora non c'è limite a quello che puoi fare! Dì a quelle firme di trasformarsi in angeli, ed essi ti serviranno!"
"Mi serviranno a cosa?"
"Oggi una campagna, domani dieci, cento, mille campagne, il mondo! Forse che non mancano le giuste cause?"
"Ma potrei perdere".
"Saranno belle sconfitte! E poi ti rialzerai, prenderai un cappuccino alla buvette, dichiarerai a reti unificate che non ti danno abbastanza spazio in tv! Sarai un eroe, un protagonista! Quello che la gente vuole".
"Ma finirò all'inferno".
"Ooh, sai la differenza. Allora, firmi o no?"
"Un'altra volta, magari, eh? Anzi, lasciami il volantino, così intanto ci penso su".
La campagna per la Tobin Tax è finita. Sono state raccolte più del triplo delle firme necessarie a presentare l'iniziativa di legge parlamentare in parlamento.
Nella provincia di Modena sono state raccolte e certificate 3100 firme. Non ne è stata falsificata nessuna, né è stato stipulato alcun patto col diavolo – solo con Sinistra Giovanile, Rifondazione, CGIL e Forum Sociale Modenese. Alcuni comuni hanno aiutato concretamente la campagna. Il comune di Modena no, non ha messo un soldo.
Io sono molto contento. Grazie a tutti.
(Ehi... dov'è molilli quando serve?)
Ciao a tutti.
Oggi, come probabilmente saprete, il comitato promotore della campagna per la tobin tax e Attac Italia presentano in parlamento le firme raccolte per la campagna della tobin tax: dalle ultime stime dovrebbero essere 153.000 (per presentare la legge d'iniziativa popolare ne sono sufficienti 50.000). E' un gran risultato, per una campagna che era partita un po' in sordina, promossa da un'associazione appena nata.
Per quanto riguarda Modena e provincia, l'obiettivo previsto erano 2500 firme. Grazie all'impegno dei membri di attac, della sinistra giovanile, di rifondazione e dei giovani comunisti, del forum sociale e di tanti altri che probabilmente sto dimenticando, l'obiettivo è stato abbondantemente superato: le firme raccolte, autenticate e certificate sono 3100. Ma le firme raccolte, che per vari motivi burocratici non abbiamo potuto certificare, sono molte di più.
E' un bel risultato, perché la tobin tax non è un tema semplice né scontato, e chi ha raccolto le firme non poteva contare su nessun zoccolo duro o 'parco buoi'. Raccogliere più di tremila firme significa aver parlato della tobin tax a più di tremila persone, di qualsiasi estrazione ed età.
E' un bel risultato, perché il comitato di Modena che non poteva vantare una grande esperienza, è riuscito a controllare una raccolta massiccia e capillare. Abbiamo fatto certificare firme in trentotto comuni delle province di Modena e di Reggio (e in tanti altri comuni purtroppo non siamo riusciti ad arrivare in tempo).
E' un bel risultato che fa onore a tutti quelli che in questi mesi difficili, in cui molti altri temi erano all'ordine del giorno, hanno trovato il tempo e l'energia per collaborare alla campagna. A tutti loro va un ringraziamento: è per merito vostro se oggi la Tobin Tax è molto più che una proposta di legge: è un'idea partecipata. Grazie ancora.
L.
Attac Modena
Ciao a tutti.
Oggi, come probabilmente saprete, il comitato promotore della campagna per la tobin tax e Attac Italia presentano in parlamento le firme raccolte per la campagna della tobin tax: dalle ultime stime dovrebbero essere 153.000 (per presentare la legge d'iniziativa popolare ne sono sufficienti 50.000). E' un gran risultato, per una campagna che era partita un po' in sordina, promossa da un'associazione appena nata.
Per quanto riguarda Modena e provincia, l'obiettivo previsto erano 2500 firme. Grazie all'impegno dei membri di attac, della sinistra giovanile, di rifondazione e dei giovani comunisti, del forum sociale e di tanti altri che probabilmente sto dimenticando, l'obiettivo è stato abbondantemente superato: le firme raccolte, autenticate e certificate sono 3100. Ma le firme raccolte, che per vari motivi burocratici non abbiamo potuto certificare, sono molte di più.
E' un bel risultato, perché la tobin tax non è un tema semplice né scontato, e chi ha raccolto le firme non poteva contare su nessun zoccolo duro o 'parco buoi'. Raccogliere più di tremila firme significa aver parlato della tobin tax a più di tremila persone, di qualsiasi estrazione ed età.
E' un bel risultato, perché il comitato di Modena che non poteva vantare una grande esperienza, è riuscito a controllare una raccolta massiccia e capillare. Abbiamo fatto certificare firme in trentotto comuni delle province di Modena e di Reggio (e in tanti altri comuni purtroppo non siamo riusciti ad arrivare in tempo).
E' un bel risultato che fa onore a tutti quelli che in questi mesi difficili, in cui molti altri temi erano all'ordine del giorno, hanno trovato il tempo e l'energia per collaborare alla campagna. A tutti loro va un ringraziamento: è per merito vostro se oggi la Tobin Tax è molto più che una proposta di legge: è un'idea partecipata. Grazie ancora.
L.
Attac Modena
giovedì 11 luglio 2002
Nuovo? No.
Sì, credo fermamente che gli Ottanta siano stati l'età classica del Consumismo. I supermercati erano pieni di flaconi di mille colori, si poteva scegliere e la scelta era la felicità, il Benessere. Tutti non vedevano l'ora di scegliere, comprare, consumare: la pubblicità non aveva che da riprodurre la realtà. Alla tv gli spot erano brevi, essenziali e memorabili: col tempo mi dimenticherò di Kafka e Shakespeare, ma nella mia testa ci sarà sempre spazio per l'uomo-del-Monte-ha-detto-sì, Luisa arriva presto e non pulisce mai il water, abbiamo l'esclusiva, con Nelson piatti li vuol lavare lui, Michele l'alcolista con la sua fama d'intenditore, e il maglione che non è nuovo, no, è lavato con Perlana. Passaparola!
Perlana era – ed è tuttora – un ammorbidente in grado di ringiovanire il guardaroba di chiunque, ricco o povero, maschio o femmina, perché il Consumismo classico degli anni Ottanta non conosceva barriere di ceto o di genere, era democratico e totalizzante. Del resto a quel tempo sembravamo tutti bianchi e borghesi allo stesso modo. Tutti vestivamo maglioni colorati e sfidavamo l'usura del tempo con sorrisi smaglianti, a prova di carie tartaro e placca. La nonnina dai capelli bianchi, il ragazzo acqua e sapone, la distinta massaia, alla domanda "Che colori! È nuovo?" rispondevano indistintamente: "No! È lavato con perlana!" E d'incanto il flacone colorato compariva nelle loro mani: lo portavano con sé, dovunque andavano, ma non per questo ne erano gelosi, anzi: erano pronti a farne dono al curioso inquisitore: "Passaparola!". Perché tutti dovevano sapere, tutti dovevano provare: nessuno doveva rimanere escluso dalla verità del prodotto. Come certe droghe leggere, l'ammorbidente perlana era un momento di condivisione: guai a negare un tiro. Tutti potevano avere maglioni come nuovi. Tutti potevano consumare ed essere felici. Passaparola!
E ora in che età siamo? So che queste domande non sono di nostra competenza, ci penseranno i posteri, se ne avremo, ma certe sere sono impaziente. Stasera per esempio penso che potremmo essere nell'età manierista: non copiamo più la realtà, copiamo i classici, ma le nostre copie suonano in qualche modo stonate, espressionistiche, malgrado le tinte pastello: per quanto ci affanniamo a tenerla fuori dallo sguardo, dallo spot, la realtà tracima e si prende gioco di noi. È una realtà dolente, disillusa: "cosa credi di scegliere", ci dice, "tanto lo sai che in tutti quei flaconi colorati c'è la stessa merda. E che tutto il perlana di questo mondo non potrà competere col cashmire nuovo del vicino di casa". I consumi stagnano, la borsa cala, la forbice tra ricchi e poveri si allarga, i supermercati s'ingrandiscono ma sono pieni di facce tristi e contorte che si aggirano solo in cerca di offerte speciali.
I pubblicitari lo sanno, che gli 80 erano un'altra musica, e ogni tanto provano la carta del revival. Se in discoteca funzionano Duran Duran e Camerini, perché non dovrebbero funzionare anche i vecchi spot? La nostalgia, l'autoironia, il citazionismo: tutto fa brodo, anzi, tutto fa branding. Questo deve aver pensato il creativo della Perlana, del resto se lo slogan ("Nuovo? No!") funziona da vent'anni, perché cambiarlo? Doveva soltanto cercare di attualizzarlo, "ammorbidirlo". Beh, c'è riuscito.
Siamo in un'anonima stazione. Un ragazzo sfigato con la camicia stropicciata non riesce a togliere gli occhi dalle forme procaci di una ragazza seduta di fianco a lui sulla panchina. Quest'ultima, scocciata, si toglie le cuffie del walkman e fissa il povero ragazzo con uno sguardo inquisitore: "Embeh?" Lui, vistosamente imbarazzato, si difende: stava ammirando i colori vivaci del maglione di lei. "Che colori! È nuovo?".
"No!", risponde lei, ed estrae il flacone dallo zainetto. "Lavato con Perlana!".
Seguono le informazioni sul prodotto.
Ma le disavventure dello sfigato non sono finite qui. Memore anche lui degli spot d'infanzia, quando vede il flacone perlana crede giusto impossessarsene, e lo afferra con una mano. Ma la bonazza non è tipa da concedere alcunché, nemmeno un tiro di perlana, per cui comincia una specie di tiro alla fune col flacone. "Che fai? Molla!" dice lei, mentre lo sfigato la guarda coi suoi occhioni perplessi. E lo spot finisce su questa scena di quotidiana inciviltà: due ventenni in una stazione che si azzuffano per un ammorbidente. Metafora della violenza crescente in cui viviamo (dov'è finita la condivisione?), dell'incomunicabilità, ma non solo.
Questi due ragazzi – la Bonazza e lo Sfigato – incarnano alla perfezione le figure della Consumista Femmina e del Consumista Maschio. Quest'ultimo ha perso ogni tipo di fascino: sono lontani i tempi dell'Uomo che Non Doveva Chiedere Mai: lui deve chiedere tutto, ripetutamente, il più delle volte per sentirsi ripetere no. In più, bombardato ogni sera da una ridda di vallette, modelle e testimonial di prodotti cosmetici, ormai è incapace di controllarsi davanti a qualsiasi presenza femminile. Incapace, impotente e perennemente allupato, in più è costretto a lavarsi e ammorbidirsi i maglioni da solo, perché in un goffo tentativo di maturare ha lasciato la famiglia ed è andato a vivere per i fatti suoi.
Quanto alla Bonazza, sotto sotto così bona non è, ma deve, fortissimamente deve comportarsi come tale. Fa palestra, si cosparge di creme, si abbronza, si tinge i capelli ma solo con riflessi naturali, indossa maglioni colorati a strisce orizzontali per dar rilievo alle sue forme. E tutto questo non per sedurre, ma per sbattere in faccia a tutti la propria bellezza ed eleganza. Tutti la devono desiderare, nessuno la può toccare. Se incrocia il tuo sguardo, è solo per fulminarti, povero sfigato, non hai nessuna chance. Dopodiché arriva a casa, si guarda allo specchio e piange, probabilmente perché non riesce a innamorarsi. "Cosa c'è che non va? Forse dovrei cambiare ammorbidente".
Domani andrò in stazione e ti fisserò finché non potrei fare a meno di notarmi.
"Embeh?"
"No, niente, ti stavo guardando il seno, che colori! È nuovo?"
Passate parola.
Sì, credo fermamente che gli Ottanta siano stati l'età classica del Consumismo. I supermercati erano pieni di flaconi di mille colori, si poteva scegliere e la scelta era la felicità, il Benessere. Tutti non vedevano l'ora di scegliere, comprare, consumare: la pubblicità non aveva che da riprodurre la realtà. Alla tv gli spot erano brevi, essenziali e memorabili: col tempo mi dimenticherò di Kafka e Shakespeare, ma nella mia testa ci sarà sempre spazio per l'uomo-del-Monte-ha-detto-sì, Luisa arriva presto e non pulisce mai il water, abbiamo l'esclusiva, con Nelson piatti li vuol lavare lui, Michele l'alcolista con la sua fama d'intenditore, e il maglione che non è nuovo, no, è lavato con Perlana. Passaparola!
Perlana era – ed è tuttora – un ammorbidente in grado di ringiovanire il guardaroba di chiunque, ricco o povero, maschio o femmina, perché il Consumismo classico degli anni Ottanta non conosceva barriere di ceto o di genere, era democratico e totalizzante. Del resto a quel tempo sembravamo tutti bianchi e borghesi allo stesso modo. Tutti vestivamo maglioni colorati e sfidavamo l'usura del tempo con sorrisi smaglianti, a prova di carie tartaro e placca. La nonnina dai capelli bianchi, il ragazzo acqua e sapone, la distinta massaia, alla domanda "Che colori! È nuovo?" rispondevano indistintamente: "No! È lavato con perlana!" E d'incanto il flacone colorato compariva nelle loro mani: lo portavano con sé, dovunque andavano, ma non per questo ne erano gelosi, anzi: erano pronti a farne dono al curioso inquisitore: "Passaparola!". Perché tutti dovevano sapere, tutti dovevano provare: nessuno doveva rimanere escluso dalla verità del prodotto. Come certe droghe leggere, l'ammorbidente perlana era un momento di condivisione: guai a negare un tiro. Tutti potevano avere maglioni come nuovi. Tutti potevano consumare ed essere felici. Passaparola!
E ora in che età siamo? So che queste domande non sono di nostra competenza, ci penseranno i posteri, se ne avremo, ma certe sere sono impaziente. Stasera per esempio penso che potremmo essere nell'età manierista: non copiamo più la realtà, copiamo i classici, ma le nostre copie suonano in qualche modo stonate, espressionistiche, malgrado le tinte pastello: per quanto ci affanniamo a tenerla fuori dallo sguardo, dallo spot, la realtà tracima e si prende gioco di noi. È una realtà dolente, disillusa: "cosa credi di scegliere", ci dice, "tanto lo sai che in tutti quei flaconi colorati c'è la stessa merda. E che tutto il perlana di questo mondo non potrà competere col cashmire nuovo del vicino di casa". I consumi stagnano, la borsa cala, la forbice tra ricchi e poveri si allarga, i supermercati s'ingrandiscono ma sono pieni di facce tristi e contorte che si aggirano solo in cerca di offerte speciali.
I pubblicitari lo sanno, che gli 80 erano un'altra musica, e ogni tanto provano la carta del revival. Se in discoteca funzionano Duran Duran e Camerini, perché non dovrebbero funzionare anche i vecchi spot? La nostalgia, l'autoironia, il citazionismo: tutto fa brodo, anzi, tutto fa branding. Questo deve aver pensato il creativo della Perlana, del resto se lo slogan ("Nuovo? No!") funziona da vent'anni, perché cambiarlo? Doveva soltanto cercare di attualizzarlo, "ammorbidirlo". Beh, c'è riuscito.
Siamo in un'anonima stazione. Un ragazzo sfigato con la camicia stropicciata non riesce a togliere gli occhi dalle forme procaci di una ragazza seduta di fianco a lui sulla panchina. Quest'ultima, scocciata, si toglie le cuffie del walkman e fissa il povero ragazzo con uno sguardo inquisitore: "Embeh?" Lui, vistosamente imbarazzato, si difende: stava ammirando i colori vivaci del maglione di lei. "Che colori! È nuovo?".
"No!", risponde lei, ed estrae il flacone dallo zainetto. "Lavato con Perlana!".
Seguono le informazioni sul prodotto.
Ma le disavventure dello sfigato non sono finite qui. Memore anche lui degli spot d'infanzia, quando vede il flacone perlana crede giusto impossessarsene, e lo afferra con una mano. Ma la bonazza non è tipa da concedere alcunché, nemmeno un tiro di perlana, per cui comincia una specie di tiro alla fune col flacone. "Che fai? Molla!" dice lei, mentre lo sfigato la guarda coi suoi occhioni perplessi. E lo spot finisce su questa scena di quotidiana inciviltà: due ventenni in una stazione che si azzuffano per un ammorbidente. Metafora della violenza crescente in cui viviamo (dov'è finita la condivisione?), dell'incomunicabilità, ma non solo.
Questi due ragazzi – la Bonazza e lo Sfigato – incarnano alla perfezione le figure della Consumista Femmina e del Consumista Maschio. Quest'ultimo ha perso ogni tipo di fascino: sono lontani i tempi dell'Uomo che Non Doveva Chiedere Mai: lui deve chiedere tutto, ripetutamente, il più delle volte per sentirsi ripetere no. In più, bombardato ogni sera da una ridda di vallette, modelle e testimonial di prodotti cosmetici, ormai è incapace di controllarsi davanti a qualsiasi presenza femminile. Incapace, impotente e perennemente allupato, in più è costretto a lavarsi e ammorbidirsi i maglioni da solo, perché in un goffo tentativo di maturare ha lasciato la famiglia ed è andato a vivere per i fatti suoi.
Quanto alla Bonazza, sotto sotto così bona non è, ma deve, fortissimamente deve comportarsi come tale. Fa palestra, si cosparge di creme, si abbronza, si tinge i capelli ma solo con riflessi naturali, indossa maglioni colorati a strisce orizzontali per dar rilievo alle sue forme. E tutto questo non per sedurre, ma per sbattere in faccia a tutti la propria bellezza ed eleganza. Tutti la devono desiderare, nessuno la può toccare. Se incrocia il tuo sguardo, è solo per fulminarti, povero sfigato, non hai nessuna chance. Dopodiché arriva a casa, si guarda allo specchio e piange, probabilmente perché non riesce a innamorarsi. "Cosa c'è che non va? Forse dovrei cambiare ammorbidente".
Domani andrò in stazione e ti fisserò finché non potrei fare a meno di notarmi.
"Embeh?"
"No, niente, ti stavo guardando il seno, che colori! È nuovo?"
Passate parola.
lunedì 8 luglio 2002
Tra le tante idee sul blog stasera vi passo questa: il blog è un parassita.
Tu apri un blog per parlare di te, ma col tempo ti trovi costretto sempre più a parlare del tuo blog, o meglio: è il blog che inizia a parlare di sé stesso. Dopo un po’ accade fatalmente quello che era già accaduto alla tua posta elettronica: comincia a prescindere dalla tua esistenza. Certe volte vado a vedere se non si è aggiornato da solo. Acc… no, niente neanche stavolta.
Questo blog – bruttino, ma simpatico – oggi deve ringraziare tanta gente. Per prima cosa Ginevra Pezzotti, giornalista di “Diario”, che sul numero in edicola ha scritto un articolo bello ed esauriente sui blog citando anche questo qui (e saluti a chi arriva da lì, chissà cosa vi aspettavate).
Comprate "Diario"! C'è anche Claudio in copertina! Compratene due, tre, dieci copie! Regalatelo agli amici, con un bel segnalibro a pag. 31, quarta colonna in alto, ecco, proprio lì.
Poi, siccome sono sicuro che il mio nome gliel’ha fatto Antonio, il blog lo ringrazia, e già che ci siamo ringrazia anche Frederic e Marco Mazzei, gli animatori del workshop sui blog al webb.it, che non solo lo hanno citato, ma lo hanno impudicamente proiettato sul maxischermo.
Dopodiché questo blog potrebbe dilungarsi in considerazioni sul non-fenomeno blog (sono assolutamente d’accordo con voi: il fenomeno è internet), o parlare di quanto sono simpatici gli altri blog incontrati a Padova, Bruno che ha offerto un brunetto e Rillo che ha prestato un materassino per la notte, l’irresistibile simpatia dei due polarozzi, la dolcezza acida della Pizia, ma… basta così per oggi, il blog torna dentro, il suo padrone è un po’ geloso.
Di lui non parla mai nessuno.
Forse dovrebbe aprire un sito personale.
Tu apri un blog per parlare di te, ma col tempo ti trovi costretto sempre più a parlare del tuo blog, o meglio: è il blog che inizia a parlare di sé stesso. Dopo un po’ accade fatalmente quello che era già accaduto alla tua posta elettronica: comincia a prescindere dalla tua esistenza. Certe volte vado a vedere se non si è aggiornato da solo. Acc… no, niente neanche stavolta.
Questo blog – bruttino, ma simpatico – oggi deve ringraziare tanta gente. Per prima cosa Ginevra Pezzotti, giornalista di “Diario”, che sul numero in edicola ha scritto un articolo bello ed esauriente sui blog citando anche questo qui (e saluti a chi arriva da lì, chissà cosa vi aspettavate).
Comprate "Diario"! C'è anche Claudio in copertina! Compratene due, tre, dieci copie! Regalatelo agli amici, con un bel segnalibro a pag. 31, quarta colonna in alto, ecco, proprio lì.
Poi, siccome sono sicuro che il mio nome gliel’ha fatto Antonio, il blog lo ringrazia, e già che ci siamo ringrazia anche Frederic e Marco Mazzei, gli animatori del workshop sui blog al webb.it, che non solo lo hanno citato, ma lo hanno impudicamente proiettato sul maxischermo.
Dopodiché questo blog potrebbe dilungarsi in considerazioni sul non-fenomeno blog (sono assolutamente d’accordo con voi: il fenomeno è internet), o parlare di quanto sono simpatici gli altri blog incontrati a Padova, Bruno che ha offerto un brunetto e Rillo che ha prestato un materassino per la notte, l’irresistibile simpatia dei due polarozzi, la dolcezza acida della Pizia, ma… basta così per oggi, il blog torna dentro, il suo padrone è un po’ geloso.
Di lui non parla mai nessuno.
Forse dovrebbe aprire un sito personale.
giovedì 4 luglio 2002
La mia solidarietà, a chi la do?
Se la do a Claudio Scajola, non gli basta la mia da sola… eppure mi mancherai, Claudio. La tua inettitudine, che al principio mi era parsa criminale, col tempo ci era diventata familiare. Diciamolo, mi stavi diventando simpatico. La sera dell'11 settembre sapevi già il numero delle vittime: ventimila, "fonte ufficiale". La stessa fonte, probabilmente, ti disse che Biagi e D'Antona erano stati uccisi dalla stessa pistola. E chissà quante altre ancora ne avresti dette e fatte, Claudio… la mia solidarietà non te la posso dare, ma la mia compassione sì, tutta.
Se la do a Sergio Cofferati, si perderà come una gocciolina nel mare di tutta la solidarietà che gli è arrivata, da personaggi di ben altro calibro: Bertinotti, Fassino, Rutelli, chi sono io per competere? E comunque mi resta un dubbio, di fronte a tanta solidarietà: ma siamo sicuri che ne abbia bisogno? O non sono piuttosto loro, questi leader di partito e di coalizione, ad aver un disperato bisogno della solidarietà di Cofferati? Cosa farebbe Bertinotti senza la CGIL? Dove credono di andare, Fassino e Rutelli, senza la CGIL?
La CGIL, badate, non Cofferati. Che poi, in sé e per sé, non è nessuno. Un signore distinto con una bella barba. Un bel giorno si dimetterà e ci accorgeremo tutti di quanto poco ci tenevamo, a Cofferati. Perché la CGIL è qualcosa di più di un distinto signore o di una barba bianca. È un'organizzazione, in tutti i sensi. Probabilmente è l'unica vera organizzazione rimasta a sinistra. I DS sono in crisi d'identità da dieci anni, e hanno un mare di debiti. Rifondazione può contare su un nocciolo duro di attivisti, ma sconta l'autoemarginazione che ha coltivato, e spesso è succube del Movimento. Il Movimento, poi, non ha un soldo e nemmeno un'organizzazione, non è in grado di darsele e forse mai lo sarà. Il resto sono circoli, girotondi, cespugli, fuochi di paglia, iniziative estemporanee senza progettualità.
Chi in quest'anno terribile abbia cercato qualcosa di realmente vivo a sinistra si è imbattuto, volente o no, nella CGIL. Che ha i suoi difetti da scontare, ma è l'unica struttura in grado di formulare un progetto di opposizione al governo (e ad avere i mezzi finanziari per portare milioni di persone a Roma il 23 marzo, un successo tale che ha frastornato il resto della sinistra. Non è un caso che le adunate successive del movimento siano tutte più o meno fallite: che senso ha spostare migliaia di persone quando la CGIL ne sposta milioni?). Il signore con la barba bianca non ha quelle doti carismatiche che crediamo: è semplicemente una persona preparata. Non è costretto a ribattere istericamente ogni frecciatina gli arrivi da Berlusconi: è in grado (ahimé, forse è l'unico) di contestare le riforme nel merito, e di saper anticipare le mosse dell'avversario. Tutto qui. Mi auguro di vedere le stesse doti nel suo successore, ma più di tanto non me ne preoccupo. Sento dire da molti che c'è bisogno di un leader, che Cofferati è l'uomo giusto e il caso Biagi è stato orchestrato apposta per colpirlo. Qui, ognuno ha i suoi pallini: c'è chi invoca un leader, io invoco un'organizzazione. E spero più che mai che Cofferati tenga fede alle sue promesse, e si ritiri a vita privata: che bella lezione per chi, a sinistra come a destra, non è in grado di vedere ideologie o strutture, ma sempre e solo leader o aspiranti tali: come se la politica fosse il pollaio dove i galletti si azzuffano per trovare il maschio dominante. Sì, la mia solidarietà, per quel che vale, potrei darla a Cofferati, ma a patto che si dimetta presto, lo scontro si è già personalizzato troppo.
Invece stasera la mia solidarietà preferisco darla a Valerio Monteventi, ex portavoce del Bologna Social Forum. Consigliere di Rifondazione. Ma, prima di ogni altra cosa, giornalista. Che in tutta questa vicenda si è comportato prima di tutto da giornalista – da bravo giornalista. Ha verificato la fonte. Ha chiesto informazioni della famiglia. E, quando ha capito che la notizia non era una bufala, l'ha pubblicata su "Zero in condotta". Politicamente non è stata forse una mossa felice. Ma un giornalista ha un'etica diversa da un politico: l'informazione prima di tutto.
I movimentisti, invece, non sono né giornalisti né politici, e a questo punto è lecito domandarsi se abbiano un'etica. "Pubblicare quelle lettere è stato un grave infortunio che fa il gioco degli sciacalli nel governo", diceva De Pieri, sulla "Repubblica" bolognese di domenica, pag. III. A noi, che siamo meno esperti dei teorici bolognesi del movimento ci pare il contrario: le lettere hanno messo in imbarazzo più il governo che il sindacato. Ma probabilmente non capiamo. Casarini, invece, lui si che sa come vanno le cose: "Con quelle lettere in mano, io sarei andato da Cofferati e ne avrei parlato prima con lui, perché so come funzionano certe cose". Un virgolettato che sembra preso pari pari dalla sbobinatura di un'intercettazione mafiosa: se Casarini sa come funzionano certe cose, farebbe bene a spiegarle a tutti, a renderle di dominio pubblico. Se invece vuole parlarne a quattrocchi con Cofferati e tenerci fuori, siamo sicuri che passerebbe la portineria?
– Drin –
"Chi è?"
"Salve, sono Casarini. Vorrei parlare con Cofferati, urgente".
"Per la verità il segretario è molto occupato. Sta organizzando uno sciopero generale".
"Sì, ma io debbo informarlo su certe cose che so solo io".
"Il segretario riceve i mitomani il giovedì pomeriggio dalle diciotto".
"Io non sono un mitomane! Sono Casarini! Luca Casarini! Quello che fa il Movimento!"
"Ah sì? E che cosa muove?"
"Dipende. Per il gay pride di Padova eravamo qualche migliaia".
"Impressionante. Facciamo giovedì alle diciotto e trenta".
Se da Casarini è un po' prematuro aspettarsi una cultura democratica, i compagni di partito di Monteventi in consiglio comunale hanno meno scuse. "Tra i comunisti", leggo nella stessa pagina, "qualcuno ricorda con disappunto che giovedì, il giorno prima che ZIC uscisse con lo scoop delle lettere, era a Bologna anche Fausto Bertinotti, eppure anche lui non venne informato di nulla".
Siamo a posto. Adesso i giornalisti di sinistra prima di pubblicare gli scoop devono aspettare l'imprimatur di Bertinotti. È con questa gente che si va nelle piazze a gridare che "Un altro mondo è possibile"? Ma che tipo di mondo è, esattamente? Un mondo dove le notizie vengono pubblicate solo se Casarini e Bertinotti ritengono che non nuocciano al movimento? Un mondo piuttosto semplice, immagino, con un quotidiano solo, così si fa prima a controllare. Che poi lo si voglia chiamare "Zero", "Liberazione" o "Pravda", beh, è irrilevante.
Invece nel mondo che ho in mente io, tra le varie cose, ci sarebbe anche la libertà di stampa, e la libertà per i giornalisti seri di pubblicare quello che gli pare senza preoccuparsi se fanno il bene o il male di questo o quel movimento. La mia totale solidarietà a Monteventi, politico ingenuo, magari, ma giornalista serio. Che non ha avuto paura della verità. Del resto i giornalisti – e gli onesti – non dovrebbero mai averne.
Se la do a Claudio Scajola, non gli basta la mia da sola… eppure mi mancherai, Claudio. La tua inettitudine, che al principio mi era parsa criminale, col tempo ci era diventata familiare. Diciamolo, mi stavi diventando simpatico. La sera dell'11 settembre sapevi già il numero delle vittime: ventimila, "fonte ufficiale". La stessa fonte, probabilmente, ti disse che Biagi e D'Antona erano stati uccisi dalla stessa pistola. E chissà quante altre ancora ne avresti dette e fatte, Claudio… la mia solidarietà non te la posso dare, ma la mia compassione sì, tutta.
Se la do a Sergio Cofferati, si perderà come una gocciolina nel mare di tutta la solidarietà che gli è arrivata, da personaggi di ben altro calibro: Bertinotti, Fassino, Rutelli, chi sono io per competere? E comunque mi resta un dubbio, di fronte a tanta solidarietà: ma siamo sicuri che ne abbia bisogno? O non sono piuttosto loro, questi leader di partito e di coalizione, ad aver un disperato bisogno della solidarietà di Cofferati? Cosa farebbe Bertinotti senza la CGIL? Dove credono di andare, Fassino e Rutelli, senza la CGIL?
La CGIL, badate, non Cofferati. Che poi, in sé e per sé, non è nessuno. Un signore distinto con una bella barba. Un bel giorno si dimetterà e ci accorgeremo tutti di quanto poco ci tenevamo, a Cofferati. Perché la CGIL è qualcosa di più di un distinto signore o di una barba bianca. È un'organizzazione, in tutti i sensi. Probabilmente è l'unica vera organizzazione rimasta a sinistra. I DS sono in crisi d'identità da dieci anni, e hanno un mare di debiti. Rifondazione può contare su un nocciolo duro di attivisti, ma sconta l'autoemarginazione che ha coltivato, e spesso è succube del Movimento. Il Movimento, poi, non ha un soldo e nemmeno un'organizzazione, non è in grado di darsele e forse mai lo sarà. Il resto sono circoli, girotondi, cespugli, fuochi di paglia, iniziative estemporanee senza progettualità.
Chi in quest'anno terribile abbia cercato qualcosa di realmente vivo a sinistra si è imbattuto, volente o no, nella CGIL. Che ha i suoi difetti da scontare, ma è l'unica struttura in grado di formulare un progetto di opposizione al governo (e ad avere i mezzi finanziari per portare milioni di persone a Roma il 23 marzo, un successo tale che ha frastornato il resto della sinistra. Non è un caso che le adunate successive del movimento siano tutte più o meno fallite: che senso ha spostare migliaia di persone quando la CGIL ne sposta milioni?). Il signore con la barba bianca non ha quelle doti carismatiche che crediamo: è semplicemente una persona preparata. Non è costretto a ribattere istericamente ogni frecciatina gli arrivi da Berlusconi: è in grado (ahimé, forse è l'unico) di contestare le riforme nel merito, e di saper anticipare le mosse dell'avversario. Tutto qui. Mi auguro di vedere le stesse doti nel suo successore, ma più di tanto non me ne preoccupo. Sento dire da molti che c'è bisogno di un leader, che Cofferati è l'uomo giusto e il caso Biagi è stato orchestrato apposta per colpirlo. Qui, ognuno ha i suoi pallini: c'è chi invoca un leader, io invoco un'organizzazione. E spero più che mai che Cofferati tenga fede alle sue promesse, e si ritiri a vita privata: che bella lezione per chi, a sinistra come a destra, non è in grado di vedere ideologie o strutture, ma sempre e solo leader o aspiranti tali: come se la politica fosse il pollaio dove i galletti si azzuffano per trovare il maschio dominante. Sì, la mia solidarietà, per quel che vale, potrei darla a Cofferati, ma a patto che si dimetta presto, lo scontro si è già personalizzato troppo.
Invece stasera la mia solidarietà preferisco darla a Valerio Monteventi, ex portavoce del Bologna Social Forum. Consigliere di Rifondazione. Ma, prima di ogni altra cosa, giornalista. Che in tutta questa vicenda si è comportato prima di tutto da giornalista – da bravo giornalista. Ha verificato la fonte. Ha chiesto informazioni della famiglia. E, quando ha capito che la notizia non era una bufala, l'ha pubblicata su "Zero in condotta". Politicamente non è stata forse una mossa felice. Ma un giornalista ha un'etica diversa da un politico: l'informazione prima di tutto.
I movimentisti, invece, non sono né giornalisti né politici, e a questo punto è lecito domandarsi se abbiano un'etica. "Pubblicare quelle lettere è stato un grave infortunio che fa il gioco degli sciacalli nel governo", diceva De Pieri, sulla "Repubblica" bolognese di domenica, pag. III. A noi, che siamo meno esperti dei teorici bolognesi del movimento ci pare il contrario: le lettere hanno messo in imbarazzo più il governo che il sindacato. Ma probabilmente non capiamo. Casarini, invece, lui si che sa come vanno le cose: "Con quelle lettere in mano, io sarei andato da Cofferati e ne avrei parlato prima con lui, perché so come funzionano certe cose". Un virgolettato che sembra preso pari pari dalla sbobinatura di un'intercettazione mafiosa: se Casarini sa come funzionano certe cose, farebbe bene a spiegarle a tutti, a renderle di dominio pubblico. Se invece vuole parlarne a quattrocchi con Cofferati e tenerci fuori, siamo sicuri che passerebbe la portineria?
– Drin –
"Chi è?"
"Salve, sono Casarini. Vorrei parlare con Cofferati, urgente".
"Per la verità il segretario è molto occupato. Sta organizzando uno sciopero generale".
"Sì, ma io debbo informarlo su certe cose che so solo io".
"Il segretario riceve i mitomani il giovedì pomeriggio dalle diciotto".
"Io non sono un mitomane! Sono Casarini! Luca Casarini! Quello che fa il Movimento!"
"Ah sì? E che cosa muove?"
"Dipende. Per il gay pride di Padova eravamo qualche migliaia".
"Impressionante. Facciamo giovedì alle diciotto e trenta".
Se da Casarini è un po' prematuro aspettarsi una cultura democratica, i compagni di partito di Monteventi in consiglio comunale hanno meno scuse. "Tra i comunisti", leggo nella stessa pagina, "qualcuno ricorda con disappunto che giovedì, il giorno prima che ZIC uscisse con lo scoop delle lettere, era a Bologna anche Fausto Bertinotti, eppure anche lui non venne informato di nulla".
Siamo a posto. Adesso i giornalisti di sinistra prima di pubblicare gli scoop devono aspettare l'imprimatur di Bertinotti. È con questa gente che si va nelle piazze a gridare che "Un altro mondo è possibile"? Ma che tipo di mondo è, esattamente? Un mondo dove le notizie vengono pubblicate solo se Casarini e Bertinotti ritengono che non nuocciano al movimento? Un mondo piuttosto semplice, immagino, con un quotidiano solo, così si fa prima a controllare. Che poi lo si voglia chiamare "Zero", "Liberazione" o "Pravda", beh, è irrilevante.
Invece nel mondo che ho in mente io, tra le varie cose, ci sarebbe anche la libertà di stampa, e la libertà per i giornalisti seri di pubblicare quello che gli pare senza preoccuparsi se fanno il bene o il male di questo o quel movimento. La mia totale solidarietà a Monteventi, politico ingenuo, magari, ma giornalista serio. Che non ha avuto paura della verità. Del resto i giornalisti – e gli onesti – non dovrebbero mai averne.
martedì 2 luglio 2002
senza pietà, né ritegno
Drin!
"Pronto"
"Presidente, sono Claudio".
"Claudio quale, il custode della villa in Costa Smeralda?"
"No, il Ministro degli Interni".
"Ah, sì… Claudio! Che piacere, come va?"
"Insomma. Io chiamavo per via di quelle dimissioni".
"Ah, già, le dimissioni. Beh, Claudio, non se ne parla nemmeno".
"Ecco, appunto. Credo sia superfluo dirle quanta stima e quanta ammirazione io nutri per lei…"
"Non è mai superfluo, Claudio".
"…il giorno in cui io seppi che mi nominava Ministro degli Interni, non lo nascondo, ero francamente sorpreso…"
"Stupirvi è il mio mestiere, Claudio!"
"…perché fino a quel momento io di Interni non ne sapevo nulla".
"Via, Claudio, adesso sei ingiusto con te stesso".
"…però mi sono detto: il Presidente sa quello che fa, e se mi nomina Ministro, vuol dire che io ne sono capace".
"Bravo Claudio, questa è la giusta attitudine".
"…Ma i risultati, Presidente, sono stati disastrosi!".
"Ma no, che cosa dici".
"Presidente! In quest'anno di ministero io ho abusato della sua fiducia in tutti i modi! L'ho esposta al ridicolo nazionale e internazionale!"
"Ecco, Claudio, qualche errorino l'hai fatto, non lo nego… per esempio, a Genova, gli arazzi alle pareti non erano un granché…"
"A Genova ho lasciato che Fini prendesse il controllo della piazza! I poliziotti usavano armi proibite dalle convenzioni internazionali e nascondevano molotov nei dormitori, e io stavo a Roma a giocare a solitario col computer!"
"E i tappetini della passerella, soprattutto… si vedeva subito che non erano nuovi".
"E poi mi sono intrappolato da solo, con le mie dichiarazioni da deficiente! Siccome i carabinieri sparavano, io mi sono inventato di avergli dato l'ordine di sparare, e perfino i Comandanti mi hanno sputtanato! Che fosse chiaro che i carabinieri sparano quando gli pare e non glielo può ordinare nessuno!"
"Sì, quei tappetini mi hanno fatto sudar freddo. Ma da quale congresso li avevi riciclati? Ti sembrava il caso di lesinare, con Bush Putin e Chirac in giro?".
"Certo, tutto questo è successo un anno fa… ero nuovo del giro… si poteva dar la colpa al Centro-sinistra…"
"Ed è quello che ho fatto, Claudio. Del resto non ho mai dubitato delle tue capacità".
"Lei è troppo buono con me, Presidente! Troppo! Ma è ormai evidente come io sia il più indegno dei suoi Ministri, e sì che è una bella gara!"
"Beh, se proprio insisti, Claudio, qualche rilievo da farti ce l'ho".
"Basti il modo in cui ho gestito il caso Biagi, dico, perfino il suo stalliere si sarebbe comportato in maniera più elegante di me!"
"Lasciamo stare gli stallieri, Claudio…"
"Certo, in fondo ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque! Quel signore viene, sostiene di essere un consulente importante, capirai! E pretende che gli lasci la scorta. Ma se l'ho tagliata a tutti! Me l'aveva chiesto Tremonti…"
"Sì, Tremonti, d'accordo, ma bisogna stare attenti a non esagerare".
"Ho cercato di spiegarglielo, ma lui insisteva… diceva che Cofferati lo minacciava. Ora, è facile adesso prendersela con me, ma sfido chiunque al mio posto a comportarsi diversamente: arriva un professor nessuno, dice: salve, sono un consulente importante, e Cofferati minaccia di uccidermi! Come si fa a dargli retta? Era come se avesse scritto 'Mitomane' sulla fronte".
"Per esempio, tu sai quanto io apprezzi la cura degli dettagli…"
"I dettagli, già, Presidente… Avrei dovuto pensarci. Ricordarmi di D'Antona. Fare due più due. E invece niente. I brigatisti avrebbero potuto ucciderlo in qualsiasi momento, ma hanno aspettato che la questura di Bologna gli togliesse la scorta. Avrei dovuto pensarci".
"Ma ci sono accostamenti che proprio non riesco a mandar giù"
"Neanch'io, Presidente. Non riuscivo ad ammettere che qualcuno potesse tramare alle mie spalle. Io mi fidavo, e loro mi prendevano in giro. Mi hanno fatto dichiarare che era la stessa pistola di D'Antona, e non era vero. Un'altra figura di merda".
"Per esempio, al Viminale mi è capitato di vedere una cassapanca rococò di fianco a una scrivania Luigi XIII. Beh, non mi sembra proprio il caso".
"Poi, naturalmente, Biagi è stato fatto santo. Improvvisamente si è scoperto che il Libro Bianco l'aveva scritto tutto lui. Che era il martire delle riforme. E tutti a cospargersi il capo di cenere. Un'ipocrisia rivoltante".
"Quante volte te l'avrò detto, Claudio? Al Viminale il rococò non si addice. È roba da Farnesina. Un giorno o l'altro ti mando un camioncino per la consegna. Però a queste cose dovresti pensarci tu…".
"Nessuno che si sentisse di dire la sacrosanta verità: che Biagi non aveva più bisogno di scorta perché gli stavamo dando il benservito, che Maroni non gli avrebbe rinnovato il contratto! Certo, col senno del poi era un eroe delle riforme, ma da vivo Biagi mi era sembrato nient'altro che un precario, con le classiche paranoie del caso".
"E ti dirò, anche il mobilio di palazzo Chigi lascia un po' a desiderare":
"Io ho resistito, Presidente, non sa quante volte ho rischiato di scoppiare, ma ho sempre resistito. Poi, l'altro giorno, a Cipro… non so che mi è preso".
"Tutti questi cassettoni stile Impero, te l'ho già detto di buttarle via, ma quand'è che vieni a fare un sopralluogo? Certe volte mi chiedo cosa fai tutto il santo giorno. Per esempio, a Cipro che c'eri andato a fare?"
"Lei forse può capirmi, Presidente… all'estero si crede sempre che i giornalisti non capiscano quello che diciamo. Ho il sospetto che si travestano da giornalisti stranieri. E poi il caldo, lo stress, Maroni che fa il furbo… mi è scappata. Un errore imperdonabile. Imperdonabile".
"Claudio, ma insomma, mi ascolti quando parlo?"
"Certo, Presidente".
"Direi di no. Non fai che lagnarti per delle inezie che non c'entrano niente col tuo mestiere. Io ti ho nominato Ministro degli Interni".
"Sì, Presidente".
"E tu non fai che parlare di quel poveretto di Biagi, di scorte, di carabinieri, del G8… tutto questo cosa ha a che fare con gli Interni?"
"Mah, Presidente, veramente…"
"Claudio, io è da anni che ti tengo d'occhio, da quand'eri un pesce piccolo democristiano un po' inquisito, come tanti. Ma sin d'allora ho capito che in te c'era un grande talento. Io per queste cose ho un occhio. Per esempio, un giorno ho detto: bravo questo Mike Bongiorno, sarà un grande presentatore. Ed è andata così. E un'altra volta ho visto Ruud Gullit e ho detto: però questo negro, mi sa tanto che diventerà un gran calciatore. Nessuno ci credeva, eppure è andata così. O no?"
"Certo Presidente, ma io…"
"Lasciami finire. Sin dal primo momento in cui sono stato tuo ospite a Imperia ho capito che tu avevi un vero talento per gli Interni. Per l'arredamento, le tendine alle finestre, gli stucchi, gli arazzi. Come politico, sai, sei sempre stato una mezzasega. Ma come arredatore sei un genio ancora largamente inespresso. Un mago degli Interni. È per questo che ti ho fatto ministro".
"Ah… beh…"
"E dopo un anno che sei lì, non sei ancora venuto a cambiare i cassettoni di palazzo Chigi, e non fai che rilasciare dichiarazioni su fatti che non ti riguardano! Si può sapere cosa ti ha preso?"
"Ehm… Presidente, forse c'è stato un equivoco".
"Un equivoco?"
"Sì, direi un tragico qui pro quo".
"Ma che qui e quo qua vai parlando, il fatto è che ti sei montato la testa. Non sei l'unico Ministro a cui è successo. Ma non credere che io ti mollerò così facilmente. Un talento come il tuo vale tanto oro quanto pesa. Vuoi che ti ritocchi lo stipendio?"
"No, Presidente, meglio di no…"
"Come vuoi. Allora magari ti raddoppio la scorta, eh? Quattro macchine blu davanti e dietro. Così lo sapranno tutti quanto ti stimo e la pianteranno di attaccarti".
"Beh, Presidente, se insiste…"
"Ok, da domattina scorta raddoppiata. Però domani mattina alle nove precise voglio vederti a Palazzo Chigi per quei cassettoni. È chiaro?"
"Sì, mio Presidente".
"Molto bene. Sogni d'oro, Claudio. A domani".
"A domani Presidente".
-click-
"Ouf".
"Silvio, ma si può sapere chi era a quest'ora della notte?"
"Ma niente, era Claudio".
"Claudio chi, il custode?"
"No, il mio arredatore, un pirla di Forza Italia. Bravo, eh. Però un pirla".
"Certo che te li sai scegliere".
"Oh, Veronica, credi che alla mia età sarei ancora in circolazione se mi scegliessi collaboratori intelligenti? Devono essere perlomeno più pirla di me".
"Bella gara…"
"Cos'era, una battuta?"
"No, niente. Buona notte, Presidente".
"Buona notte".