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mercoledì 24 luglio 2002

Avrete notato che è passato un anno da Genova
E che è da un po' che non scrivo granché.
Beh,
giusto oggi stavo cercando di scrivere qualcosa su Genova, su quest'anno così incredibile e terribile per me, quando mi sono reso conto che stavo scrivendo la storia della mia vita, partendo dalla crisi petrolifera del 1973. E allora ho lasciato perdere, perché non credo che sia quel tipo di cose che vi va di leggere qui.
D'altro canto: cosa vi aspettate di leggere?
Domanda interessante.

Tirate al reduce

Genova è stata tante cose per me, l'anno scorso, tante che quasi rischiavo di ricaderci addosso tornandoci: tornando al bar da cui vidi passare la polizia che andava alle Diaz, ecc. Per fortuna non c'è stato il tempo. Per fortuna la Genova di quest'anno è stata un'altra cosa, che non si sovrappone in nessun modo. Un viaggio con amici vecchi e nuovi, soprattutto. E quattro giorni senza computer, un'ottima cosa.
Poi torno a casa e trovo su Defarge un'interessantissima intervista a "Ignacio Ramonet, direttore de Le monde diplomatique". Ramonet, invitato a un convegno sull'informazione, stacca un cospicuo assegno e spara a zero sull'informazione via Internet, "piena di menzogne e falsità. Che tende ad essere gratuita e disponibile 24 ore su 24, e che da un lato ottempera ai suoi scopi principali annunciare, vendere, sorvegliare e dall’altro priva la vera informazione della propria ragion d’essere e delle entrate sulle vendite".

La cosa mi punge un po' sul vivo. Io probabilmente non sarò mai un giornalista, troppo vecchio per affiliarmi all'albo, ormai. Ma a Genova, l'anno scorso, feci un po' d'informazione per i fatti miei. Gratuitamente. Per la verità, non feci nessun scoop, non scrissi nulla che non si trovasse già su Indymedia o Radio Gap. Eppure feci realmente qualcosa di rivoluzionario. E spiego perché.
Cos'è una rivoluzione?
Ho la sensazione che si tratti prima di tutto di una scoperta. Il rivoluzionario non fa che sfruttare una forza, un'energia che esisteva già in natura, ma che nessuno aveva notato. Il vapore, il Terzo Stato, i treni, le televisioni. Per cui, in realtà, il vero rivoluzionario non fa le barricate, ma sfonda una porta aperta. I sanculotti alla Bastiglia non trovarono resistenza.

Del resto io non mi sono mai sentito un rivoluzionario. Anzi ho passato i primi 27 anni della mia vita a sentirmi ripetere che tutto era già stato inventato, raccontato, catalogato, esaurito, e non restava che citare e fare il verso. Nessun entusiasmo, tutta ironia.
E poi, un giorno, mi sono trovato a Genova, in una sala stampa, con al collo un accredito quasi fasullo. Stavo semplicemente facendo la fila per accedere a un computer, quando iniziò la conferenza stampa del GSF, e all'improvviso tutti i giornalisti lasciarono i terminali e… tirarono fuori il taccuino.
All'inizio non ci feci nemmeno caso, perché non sono un tipo così svelto. Mi misi a navigare tutto contento, aprii blogger, cominciai a snocciolare i fatti miei come al solito. Solo dopo qualche minuto realizzai che tutti quei giornalisti erano dei deficienti. Avevano libero accesso a internet e… usavano il taccuino! Il primo a pubblicare le dichiarazioni di Agnoletto e Susan George sarei stato io, sul mio piccolo sito artigianale!

La rivoluzione di cui parlo è tutta qui: il blog come strumento di cronaca. È l'uovo di Colombo, ma tutti quei giornalisti affilati all'albo non c'erano arrivati, e scribacchiavono sui loro taccuini (i più fighetti avevano il portatile). Ma si poteva fare soltanto l'anno scorso, a Genova, alle Diaz. Si poteva fare grazie a Indymedia, che in quel momento era la fonte di prima mano per tutti gli organi d'informazione. Era un caso eccezionale, e – come ha scritto da qualche parte un mio amico – non possiamo nemmeno augurarci che si ripeta. Mi scuso, perciò, con chi si aspetta da me qualcosa "stile Genova": non credo che ne sarò più capace.
Personalmente vado fiero del mio piccolo successo di quei giorni, e insieme me ne vergogno. Me ne vergogno perché ho la sensazione che avrei avuto di meglio da fare che pigiar tasti alle Diaz, e perché alla fine non ho fatto proprio nulla di speciale. Salvo che sono stato uno dei primi a farlo.

Tra qualche anno, immagino, inizieranno a farlo anche i giornalisti. Ma a quel punto saranno in tanti ad accorrere sul luogo del delitto con portatili o cellulari finalmente connessi, e non sarà più rivoluzione, sarà la solita sommossa di tutti i giorni. E allora sì, le "menzogne e le falsità" prenderanno il sopravvento sulla verità, come succede sempre quando le verità, le informazioni, iniziano a inflazionarsi. I giornalisti, oggi, sono quelli che corrono tutti assieme nello stesso posto con un microfono in mano, un nugolo di mosconi che gira sempre intorno alla stessa merda. Sì, lo so, non sono tutti così. Ma non sono nemmeno quei disinteressati paladini dell'informazione che ha forse in mente Ramonet. E anche Internet, in sé, non è un bene e non è un male: può essere un veicolo d'innovazione, una forza che scrolla via le vecchie abitudini dei cronisti. O viceversa può essere un mezzo di conservazione, e arenarsi in forum inconcludenti e mefitici. Vedi Indymedia, sempre a un passo dall'impantanarsi.

Morale (individuale): non conta il messaggio, non conta il medium, conta trovarsi almeno una volta nella vita davanti una porta che nessuno ha mai aperto, e spalancarla, prima che arrivino gli altri tutti in una volta. Vale anche per i blog: sono interessanti perché sono ancora relativamente pochi. Ma tra qualche anno ne avremo tutti uno, e saremo così occupati a leggere quelli dei nostri conoscenti che non ci verrà mai più in mente di curiosare tra gli sconosciuti. E il fenomeno finirà lì.
A quei tempi io rilascerò interviste dicendo: eeeeh, ai miei tempi sì che era diverso, eravamo una manciata di animi eletti in giro per l'Italia… e pensate che io ero a Genova… ecco, quando sarò così, sparatemi.
Promettetemi che lo farete.
No, ma sul serio.

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