un Paese poco serio (per fortuna)
In questo momento non è ancora dato sapere se il Governo sposterà il Forum Sociale Europeo. Ma è facile prevedere che lo lascerà dov'è, scaricando le responsabilità di eventuali disastri su sindaco o Regione. No surprise, o meglio, la vera sorpresa è il Riformista. Ancora lui. Sentiamo:
In un paese serio, se il governo ha dubbi sulla tenuta dell’ordine pubblico, se ha informazioni rilevanti e circostanziate sui rischi, non sta lì a giocare a rimpiattino con il Comune e la Regione: vieta e basta.
In un Paese serio, ne deduciamo, non esiste il diritto a manifestare liberamente. O, se esiste, è davvero molto limitato. Per una volta, non mi vergogno di abitare in un Paese poco serio, dove certi diritti li sancisce una Costituzione ancora troppo poco Riformata.
Qui non è questione di essere global o no global ("il Riformista", comunque, "è global. Internazionalista e a favore del free trade… Molte volte è vittima del protezionismo agricolo alla Bovè"). Spostare o vietare il Forum Sociale è un'idea stupida, molto stupida, se non convince nemmeno questo Governo.
Sappiamo da più di un anno il luogo e la data del Forum. Se davvero c’erano rischi documentati, il Comune e la Regione andavano dissuasi per tempo. Ma com’è possibile tirare fuori il pericolo blecbloc dalla naftalina appena 15 giorni prima?
Il Forum Sociale non è un concerto. Non è un paio di dibattiti in un teatro. Il Forum Sociale sono decine di migliaia di persone che arrivano da tutta Europa, profittando del loro diritto alla libera circolazione. In che senso un governo 'serio' potrebbe proibire al Forum di arrivare a Firenze? Serrando ferrovie e autostrade? Pattugliando i valichi?
Qualcuno obietterà che per salvare i tesori di Firenze si può venir meno anche ai diritti dell'uomo. Dostoevskij, per dirne uno, sarebbe d'accordo: l'uomo è mortale, l'arte è potenzialmente immortale, ma molto fragile, e come tale bisogna salvarla a tutti i costi.
"E io dichiaro" gridò Stepan Trofimovic all'ultimo grado di furore "io dichiaro che Shakespeare e Raffaello sono al di sopra della liberazione dei contadini, al di sopra della nazionalità, al di sopra del socialismo, al di sopra della giovane generazione, al di sopra della chimica, quasi al di sopra di tutta l'umanità, perché essi sono il frutto, il vero frutto di tutta l'umanità, e, forse, il frutto più alto che essa può dare!…" (I demoni)
Un discorso così potrei quasi accettarlo: ma chi lo legge più Dostoevskij oggigiorno, chi ha più il tempo, con tutti i giornali nuovi che escono?
Occorre però dimostrare che Shakespeare e Raffaello corrano davvero seri pericoli. Ammettiamo che a Firenze arrivi il famigerato blecbloc (e se arriva, arriva, anche se il Governo intanto fa spostare le assemblee a Perugia). Ormai ne sappiamo parecchio su di lui: evita lo scontro frontale, s'infiltra dappertutto, distrugge vetrine e macchine, con preferenza per fastfood, agenzie di lavoro interinale e grandi cilindrate. I simboli del neoliberismo (non della globalizzazione, che è un'altra cosa).
Ora, prendiamo il David di Michelangelo. Posso concedere, col vecchio Trofimovic, che sia "al di sopra della liberazione dei contadini, al di sopra del socialismo, al di sopra della giovane generazione". Senza dubbio è un simbolo di bellezza e nobiltà che può attirare (e ha attirato) i maniaci e gli invasati, ma non è certo un simbolo del neoliberismo. O della globalizzazione. Anzi, è un simbolo di una bellezza e di una nobiltà che il neoliberismo e la globalizzazione si possono scordare.
Qualche anno proprio al David qualcuno scheggiò un dito del piede. Cose che capitano: fortuna che esistono i restauratori. Ma insomma, se un mitomane ha voglia di farlo a pezzi può provarci in qualsiasi momento. Se è un mitomane abbastanza furbo, forse eviterà i giorni del Forum, con tutta quella polizia in giro.
Ma perché mai un anarco-insuerrezionalista dovrebbe prendersi su dal Canada o dalla Bassa Sassonia per venire a Firenze a mettersi nei guai rovinando monumenti a casaccio senza neanche veicolare un messaggio politico preciso?
È inutile aspettarsi i barbari, quelli non arrivano mai. Arriveranno, invece (se arriveranno) gruppi organizzati con obiettivi precisi. Io non credo che la facciata di Santa Maria degli Angeli, per dirne una, corra seri problemi. Ma la bigiotteria di Ponte Vecchio, quello è un altro discorso. Ok, la polizia farà da piantone. Li paghiamo per questo, no? E piantonare costa meno che caricare la folla, sparare fumogeni e infiltrare facinorosi nei cortei. Capisco che il prefetto avrebbe preferito un’altra città, ma sono i rischi del mestiere.
Anch’io avrei preferito un altro clima, un po’ più disteso: invece mi sembra di essere tornato nel giugno 2001, quando al telegiornale davano già i trailer di Genova. L’ossessione per la zona rossa è nato così, a furia di parlarne. E ora si parla di distruggere monumenti. Si parla, si parla, si creano aspettative. Sai che delusione se poi non succede niente.
Il fatto è che a parlarne, prima o poi, qualcosa succede per forza. Basta un mitomane a rovinare la festa a migliaia di persone.
O è proprio questo che si vuole, alzare un po’ la tensione, mettere in scena un po’ di scontri di piazza? E tanto peggio per le vetrine de’ negozi – tanto è tutta roba assicurata, no?
Pages - Menu
▼
giovedì 31 ottobre 2002
mercoledì 30 ottobre 2002
A proposito, Luca Sofri ha poi risposto:
La domanda "chi vi paga" è vile e insinuante, e io credo che lo sappia anche Ferrara, che non ha insistito con Agnoletto dopo il suo abbozzo di risposta. Grazie della lettera, ciao. Luca S.
Credo che mi abbia dato del vile e dell'insinuante, ma soprattutto, è riuscito a farlo in 189 caratteri. Io ce ne avevo messo settemila. Mm. C'è tanto da imparare.
Il concetto di decimazione
Da qualche parte devo aver sentito Lodoli dire che gli studenti oggigiorno non riescono a formulare concetti. Beh, io credo che sia anche compito del docente attirare il loro interesse. E che alcuni concetti alla loro età siano più interessanti di altri. La decimazione, per esempio.
"Metti via le forbici, Nizzoli, e leggi il titolo sul giornale".
"I ceceni: decimeremo gli ortaggi".
"Gli ostaggi".
"Prof, cosa vuol dire decimare?"
"Uccidere una persona ogni dieci".
"Beh, neanche tante".
"Come neanche tante?"
"Sì, per esempio, Bin Laden ne uccide di più".
"Mettiamola così. Ora sei un terrorista…"
"Sì…"
"…e hai deciso di decimare la Terza C. Quante persone devi uccidere?"
"Er…"
"Ventisette diviso dieci, Gavioli. È matematica".
Silenzio. Decidono di chiedere a Yi, che ha un anno in più e alle olimpiadi di matematica va forte, ma nessuno sa mai cos'abbia in mente. Yi è categorico. Due virgola sette.
"Ne ammazzo due, prof".
"E il virgola sette?"
"Gli stacco una gamba".
Dal fondo qualcuno protesta, sostiene che una gamba sola al massimo è un virgola tre. Aleggia comunque una certa delusione: non è che sia quella gran strage, decimare.
"D'accordo, Gavioli. Ma chi ammazzi?"
"La Lusatto, perché ieri…" (risolini)
"Alt. Niente di personale. Sei un terrorista. Li metti tutti in fila alfabetica, li conti, e quando arrivi al decimo gli dici: tu. Chi è il decimo?"
"Ma prof, è Magdi".
Oops.
"Va bene, Magdi muore. E poi?"
"Ma perché, prof, io cosa c'entro?"
"Non c'entri niente tu, muori e basta. È la decimazione. Se ti chiamavi, uhm, Bagdi, te la cavavi".
"Ma non è giusto, solo perché io…"
Sempre così. Non è mai giusto quando tocca a loro. "Non ho detto che sia giusto. È la decimazione. Gavioli è il terrorista. Ti appoggia nell'angolo dietro alla porta e ti spara alla schiena, così".
Questo non piace a nessuno. Pensavano una cosa più umana, magari un duello ninja in una concessionaria. Ma Gavioli che spara alla schiena di Magdi nell'angolo di fianco alla lavagna è un po' dura da mandar giù. È una bella giornata, di un ottobre imprevisto, dolcissimo.
"…e quando cadi ti tira un altro colpo alla nuca, per sicurezza. E il venti chi è?"
"La Tardini, prof."
La figlia dell'avvocato. Andiam bene. Avrà la mia testa su un vassoio per il prossimo consiglio di classe. Ma perché mi caccio in questi guai? Ho una fantasia malata? Sono proprio sicuro che sia un lavoro adatto a me? che sia un lavoro adatto a qualcuno?
"Bene, allora spariamo anche alla Tardini… cos'hai, Cinzia, stai male?"
"No, prof, non è niente".
"Come niente, sei pallida come un cencio".
"Prof, è che non vuole morire".
"Nessuno vuole morire, è per quello che andiamo in ordine alfabetico. Fa un respiro profondo".
"Prof, basta".
"Cosa c'è Gavioli, non vuoi più decimare?"
"Ho capito cosa vuol dire, adesso basta".
"Resta da staccare una gamba a… a… a Yi, direi".
Yi sgrana gli occhi. Non aveva riflettuto su questo aspetto del problema. Vedi che capita a fare i pignoli coi decimali.
"Ho detto basta, prof".
"Non urlare, sono io che urlo qui. Non ti piace fare il terrorista?"
"Ma…"
"Sai che i ceceni sono stati decimati dai russi? Erano un milione, adesso sono novecentomila".
"…"
"Se la nostra scuola fosse in Cecenia, Magdi e la Tardini sarebbero morti in un bombardamento, a Yi avrebbero amputato una gamba e un braccio. E in terza B sarebbe successo ad altri tre ragazzi".
"Ma perché sempre a me, prof?"
Stavolta Magdi non ha tutti i torti. E la Tardini sta per mettersi a piangere. "Posso andare in bagno?"
"È solo un esempio, Magdi, non ti vuole ammazzare nessuno… sì, Cinzia, vai in bagno. E Nizzoli, metti via quelle forbici. Prima che qualcuno si faccia male".
La domanda "chi vi paga" è vile e insinuante, e io credo che lo sappia anche Ferrara, che non ha insistito con Agnoletto dopo il suo abbozzo di risposta. Grazie della lettera, ciao. Luca S.
Credo che mi abbia dato del vile e dell'insinuante, ma soprattutto, è riuscito a farlo in 189 caratteri. Io ce ne avevo messo settemila. Mm. C'è tanto da imparare.
Il concetto di decimazione
Da qualche parte devo aver sentito Lodoli dire che gli studenti oggigiorno non riescono a formulare concetti. Beh, io credo che sia anche compito del docente attirare il loro interesse. E che alcuni concetti alla loro età siano più interessanti di altri. La decimazione, per esempio.
"Metti via le forbici, Nizzoli, e leggi il titolo sul giornale".
"I ceceni: decimeremo gli ortaggi".
"Gli ostaggi".
"Prof, cosa vuol dire decimare?"
"Uccidere una persona ogni dieci".
"Beh, neanche tante".
"Come neanche tante?"
"Sì, per esempio, Bin Laden ne uccide di più".
"Mettiamola così. Ora sei un terrorista…"
"Sì…"
"…e hai deciso di decimare la Terza C. Quante persone devi uccidere?"
"Er…"
"Ventisette diviso dieci, Gavioli. È matematica".
Silenzio. Decidono di chiedere a Yi, che ha un anno in più e alle olimpiadi di matematica va forte, ma nessuno sa mai cos'abbia in mente. Yi è categorico. Due virgola sette.
"Ne ammazzo due, prof".
"E il virgola sette?"
"Gli stacco una gamba".
Dal fondo qualcuno protesta, sostiene che una gamba sola al massimo è un virgola tre. Aleggia comunque una certa delusione: non è che sia quella gran strage, decimare.
"D'accordo, Gavioli. Ma chi ammazzi?"
"La Lusatto, perché ieri…" (risolini)
"Alt. Niente di personale. Sei un terrorista. Li metti tutti in fila alfabetica, li conti, e quando arrivi al decimo gli dici: tu. Chi è il decimo?"
"Ma prof, è Magdi".
Oops.
"Va bene, Magdi muore. E poi?"
"Ma perché, prof, io cosa c'entro?"
"Non c'entri niente tu, muori e basta. È la decimazione. Se ti chiamavi, uhm, Bagdi, te la cavavi".
"Ma non è giusto, solo perché io…"
Sempre così. Non è mai giusto quando tocca a loro. "Non ho detto che sia giusto. È la decimazione. Gavioli è il terrorista. Ti appoggia nell'angolo dietro alla porta e ti spara alla schiena, così".
Questo non piace a nessuno. Pensavano una cosa più umana, magari un duello ninja in una concessionaria. Ma Gavioli che spara alla schiena di Magdi nell'angolo di fianco alla lavagna è un po' dura da mandar giù. È una bella giornata, di un ottobre imprevisto, dolcissimo.
"…e quando cadi ti tira un altro colpo alla nuca, per sicurezza. E il venti chi è?"
"La Tardini, prof."
La figlia dell'avvocato. Andiam bene. Avrà la mia testa su un vassoio per il prossimo consiglio di classe. Ma perché mi caccio in questi guai? Ho una fantasia malata? Sono proprio sicuro che sia un lavoro adatto a me? che sia un lavoro adatto a qualcuno?
"Bene, allora spariamo anche alla Tardini… cos'hai, Cinzia, stai male?"
"No, prof, non è niente".
"Come niente, sei pallida come un cencio".
"Prof, è che non vuole morire".
"Nessuno vuole morire, è per quello che andiamo in ordine alfabetico. Fa un respiro profondo".
"Prof, basta".
"Cosa c'è Gavioli, non vuoi più decimare?"
"Ho capito cosa vuol dire, adesso basta".
"Resta da staccare una gamba a… a… a Yi, direi".
Yi sgrana gli occhi. Non aveva riflettuto su questo aspetto del problema. Vedi che capita a fare i pignoli coi decimali.
"Ho detto basta, prof".
"Non urlare, sono io che urlo qui. Non ti piace fare il terrorista?"
"Ma…"
"Sai che i ceceni sono stati decimati dai russi? Erano un milione, adesso sono novecentomila".
"…"
"Se la nostra scuola fosse in Cecenia, Magdi e la Tardini sarebbero morti in un bombardamento, a Yi avrebbero amputato una gamba e un braccio. E in terza B sarebbe successo ad altri tre ragazzi".
"Ma perché sempre a me, prof?"
Stavolta Magdi non ha tutti i torti. E la Tardini sta per mettersi a piangere. "Posso andare in bagno?"
"È solo un esempio, Magdi, non ti vuole ammazzare nessuno… sì, Cinzia, vai in bagno. E Nizzoli, metti via quelle forbici. Prima che qualcuno si faccia male".
25 ottobre terza C
matematica | correzione compiti |
matematica | minimo comune multiplo |
francese | passé composé |
italiano | come si legge un giornale |
italiano | il concetto di decimazione |
lunedì 28 ottobre 2002
Questo signore è il vecchio attore Charlton Heston. Per me è il simbolo del terrorismo mondiale, e forse andrebbe bombardato.
Non è il feroce dittatore di un Paese islamico; è solo il volto umano della lobby dei produttori di armi USA. Non produce armi di distruzione di massa, ma s'impegna affinché ogni cittadino americano possa comprare nei supermercati fucili ad alta precisione, con i quali, in mancanza di altre qualità, egli può attirare l'attenzione dei propri concittadini.
Mosca e Washington non se la passano un gran bene…
Vent'anni fa, erano le imprendibili capitali dei due mondi. E oggi? Sono ancora due capitali, ma sotto assedio, dove agli onesti cittadini è consigliato di restare in casa e attendere giorni migliori. A un anno dall'inizio di "Giustizia Infinita" viene da pensare che la guerra contro il terrorismo esiste davvero, dopo tutto, e che la stiamo perdendo. Perché spariamo a casaccio, perché ci facciamo prendere dal panico, perché continuiamo a illuderci di poter staccare la testa al nemico localizzando questo o quel papa mondiale del terrorismo, un Bin Laden o in mancanza di meglio un Saddam Hussein.
Ma il nostro nemico non ha bisogno di un papa, né di speranze – siamo noi ad averne bisogno. Tutto quello che gli serve è un po' di armi, e al mondo ce n'è in abbondanza. Del resto, siamo noi a produrle. E a metterle sul mercato.
Il presunto geniale serial killer di Washington era in realtà un mediocre cecchino. Parola di Frederick Forsyth (sulla Repubblica di venerdì: "a giudicare dal suo score si è un po' esagerato sulle sue capacità. Anche un cacciatore sarebbe in grado di centrare al petto con un fucile a cannocchiale da 150 m. di distanza. E quei fucili in America li trovi al supermercato. […] Due delle sue vittime sono sopravvissute… non è poi così infallibile".
Non diversamente, il commando ceceno che giovedì scorso ha messo sotto scacco la capitale russa era in realtà poco più di una squadra di disperati. Non ci vuole un genio del male per far saltare in aria un teatro: ci vuole solo una certa quantità di disperazione e di esplosivo, e al giorno d'oggi ne troviamo in abbondanza, nei supermarket dell'occidente e dell'oriente.
Così, una volta catturati e giustiziati questi presunti geni del terrore, ci accorgiamo che il terrore trionfa. Scopriamo ogni giorno quanto sia facile minacciare le capitali dell'Occidente. E abbiamo paura. Non riusciamo più a ragionare. Arriviamo ad ammettere che Putin "non poteva fare altro" che usare un'arma chimica o batteriologica, un orrore che il mondo civile ha bandito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Un'alternativa – ritirarsi temporaneamente dalla Cecenia – non viene nemmeno presa in considerazione. Non si può "venire a patti col terrorismo". Ma intanto si cede al terrore.
Ma forse io la vedo troppo grigia. Magari dovrei dar retta all'editoriale del Riformista, secondo cui L’Occidente, piuttosto, è al suo apogeo. Non è né stanco, né vecchio, né imbelle. Mai prima nella storia dell’umanità era riuscito a esportare su scala globale e con tanto successo il suo sistema economico, i suoi valori e la sua forma politica per eccellenza: la democrazia. Per questo i suoi nemici gli portano proprio ora una sfida così terribile. Perché è il loro mondo, fondamentalista e antirazionale, che non regge al confronto. Perché temono che le loro credenze e i loro valori ne siano spazzati via. Il terrorismo è segno di debolezza e di crepuscolo, non di alba e di inizio. Perderà. La battaglia sarà dura, dolorosa e lunga, ma perderà. Se l’Occidente rimarrà Occidente: razionale, freddo, tollerante, individualista...
Qui, come altrove, il Riformista mi sembra arrivato con un certo ritardo. Forse qualche anno fa l'Occidente era ancora, in una certa misura razionale, freddo, tollerante. Ma oggi? Dov'è la razionalità nel commercio internazionale delle armi? Nello sfruttamento dissennato dei beni non rinnovabili come l'acqua? Nella speculazione finanziaria che manda avanti, tra alti e bassi (più bassi che alti), il sistema? Dov'è la freddezza se a ogni colpo subito i nostri leader ci chiedono di rispondere subito, lasciando perdere il pacifismo da femminette, occhio per occhio e guai ai vinti? Oggi questo Occidente mi sembra, lo dico senza compiacermene, in preda a paure irrazionali, intolleranze, sudori freddi. È tarantolato, mira a casaccio e spesso si spara sui piedi. È solo una mia sensazione? È il tipico "castrofismo della vecchia sinistra", come dice il Riformista? Peggio per me…
D'altro canto noi occidentali dimentichiamo alla svelta (vi dice niente Bali, appena 15 giorni fa?). Giustizieremo il cecchino di Washington, dimenticheremo i ceceni e tra un mesetto appoggeremo razionalmente l'invasione dell'Iraq. La battaglia sarà dura, dolorosa e lunga, ma stroncheremo finalmente il terrorismo. Certo, poi dovremo assorbire quella dozzina di reduci matti e individualisti che una volta tornati a casa decideranno di mettere a frutto il loro addestramento sterminando parenti e sconosciuti: sono cose che succedono ormai anche da noi. Ma è il prezzo da pagare. Siamo o non siamo all'apogeo?
Non è il feroce dittatore di un Paese islamico; è solo il volto umano della lobby dei produttori di armi USA. Non produce armi di distruzione di massa, ma s'impegna affinché ogni cittadino americano possa comprare nei supermercati fucili ad alta precisione, con i quali, in mancanza di altre qualità, egli può attirare l'attenzione dei propri concittadini.
Mosca e Washington non se la passano un gran bene…
Vent'anni fa, erano le imprendibili capitali dei due mondi. E oggi? Sono ancora due capitali, ma sotto assedio, dove agli onesti cittadini è consigliato di restare in casa e attendere giorni migliori. A un anno dall'inizio di "Giustizia Infinita" viene da pensare che la guerra contro il terrorismo esiste davvero, dopo tutto, e che la stiamo perdendo. Perché spariamo a casaccio, perché ci facciamo prendere dal panico, perché continuiamo a illuderci di poter staccare la testa al nemico localizzando questo o quel papa mondiale del terrorismo, un Bin Laden o in mancanza di meglio un Saddam Hussein.
Ma il nostro nemico non ha bisogno di un papa, né di speranze – siamo noi ad averne bisogno. Tutto quello che gli serve è un po' di armi, e al mondo ce n'è in abbondanza. Del resto, siamo noi a produrle. E a metterle sul mercato.
Il presunto geniale serial killer di Washington era in realtà un mediocre cecchino. Parola di Frederick Forsyth (sulla Repubblica di venerdì: "a giudicare dal suo score si è un po' esagerato sulle sue capacità. Anche un cacciatore sarebbe in grado di centrare al petto con un fucile a cannocchiale da 150 m. di distanza. E quei fucili in America li trovi al supermercato. […] Due delle sue vittime sono sopravvissute… non è poi così infallibile".
Non diversamente, il commando ceceno che giovedì scorso ha messo sotto scacco la capitale russa era in realtà poco più di una squadra di disperati. Non ci vuole un genio del male per far saltare in aria un teatro: ci vuole solo una certa quantità di disperazione e di esplosivo, e al giorno d'oggi ne troviamo in abbondanza, nei supermarket dell'occidente e dell'oriente.
Così, una volta catturati e giustiziati questi presunti geni del terrore, ci accorgiamo che il terrore trionfa. Scopriamo ogni giorno quanto sia facile minacciare le capitali dell'Occidente. E abbiamo paura. Non riusciamo più a ragionare. Arriviamo ad ammettere che Putin "non poteva fare altro" che usare un'arma chimica o batteriologica, un orrore che il mondo civile ha bandito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Un'alternativa – ritirarsi temporaneamente dalla Cecenia – non viene nemmeno presa in considerazione. Non si può "venire a patti col terrorismo". Ma intanto si cede al terrore.
Ma forse io la vedo troppo grigia. Magari dovrei dar retta all'editoriale del Riformista, secondo cui L’Occidente, piuttosto, è al suo apogeo. Non è né stanco, né vecchio, né imbelle. Mai prima nella storia dell’umanità era riuscito a esportare su scala globale e con tanto successo il suo sistema economico, i suoi valori e la sua forma politica per eccellenza: la democrazia. Per questo i suoi nemici gli portano proprio ora una sfida così terribile. Perché è il loro mondo, fondamentalista e antirazionale, che non regge al confronto. Perché temono che le loro credenze e i loro valori ne siano spazzati via. Il terrorismo è segno di debolezza e di crepuscolo, non di alba e di inizio. Perderà. La battaglia sarà dura, dolorosa e lunga, ma perderà. Se l’Occidente rimarrà Occidente: razionale, freddo, tollerante, individualista...
Qui, come altrove, il Riformista mi sembra arrivato con un certo ritardo. Forse qualche anno fa l'Occidente era ancora, in una certa misura razionale, freddo, tollerante. Ma oggi? Dov'è la razionalità nel commercio internazionale delle armi? Nello sfruttamento dissennato dei beni non rinnovabili come l'acqua? Nella speculazione finanziaria che manda avanti, tra alti e bassi (più bassi che alti), il sistema? Dov'è la freddezza se a ogni colpo subito i nostri leader ci chiedono di rispondere subito, lasciando perdere il pacifismo da femminette, occhio per occhio e guai ai vinti? Oggi questo Occidente mi sembra, lo dico senza compiacermene, in preda a paure irrazionali, intolleranze, sudori freddi. È tarantolato, mira a casaccio e spesso si spara sui piedi. È solo una mia sensazione? È il tipico "castrofismo della vecchia sinistra", come dice il Riformista? Peggio per me…
D'altro canto noi occidentali dimentichiamo alla svelta (vi dice niente Bali, appena 15 giorni fa?). Giustizieremo il cecchino di Washington, dimenticheremo i ceceni e tra un mesetto appoggeremo razionalmente l'invasione dell'Iraq. La battaglia sarà dura, dolorosa e lunga, ma stroncheremo finalmente il terrorismo. Certo, poi dovremo assorbire quella dozzina di reduci matti e individualisti che una volta tornati a casa decideranno di mettere a frutto il loro addestramento sterminando parenti e sconosciuti: sono cose che succedono ormai anche da noi. Ma è il prezzo da pagare. Siamo o non siamo all'apogeo?
giovedì 24 ottobre 2002
Un Altro Mondo non è Gratis
Neri ha chiesto scusa. Bravo. Io però ci sto prendendo gusto e stasera scrivo al
>Distinto Luca Sofri,
volevo farle i complimenti per la puntata di martedì di Otto e mezza, in cui è stato dato ad Agnoletto, per una volta, lo spazio che si merita.
Senza avere le doti del grande comunicatore, Agnoletto è pur sempre un portavoce del Forum Sociale Europeo, in cui io mi riconosco – e tanto peggio per me, per noi, se non sappiamo trovarci portavoci più trascinanti. Ma insomma, questa volta gli è stato dato un po' più di tempo per uscire dal suo stereotipo di ometto stizzito, e mi pare che se la sia cavata, via.
("E i seimila violenti che, dice Piasanu, stanno partendo dal Canada per il Forum Europeo?"
"Mah, mi vedo costretto a ricordare al ministro Pisanu che il Canada non è in Europa".
Non male, non male, c'è da lavorare, ma… non male).
Mi ha solo un po' infastidito l'atteggiamento del suo collega, come si chiama, quello grosso. Certe domande sporche, ha presente? Sì, quel tipico voler estorcere dichiarazioni col cavatappi ("dunque lei afferma che il Ministero sta perseguendo una strategia della tensione?"), qualche colpo basso da talk show di terz'ordine, ("E Saddam perché lo difendete?". "Ma lei, che è il capo, cosa ne pensa…"), quell'aria sorniona da infiltrato ("Eeeh, io so come vanno le cose da voi nei movimenti…") poco plausibile, vista la stazza.
Però la domanda che più mi ha infastidito ("Chi vi dà i soldi?") tutto sommato era legittima. È giusto volerlo sapere, ed è giusto dare al portavoce lo spazio e il tempo per rispondere decentemente. Chi ci dà i soldi per fare tutto quello che facciamo? È una domanda che viene da lontano, striscia in rete nei forum e nelle mailing list, e io la sento perfino nell'aria, nelle piazze, quando mi capita una raccolta firme o una manifestazione. Chi ci paga quelle belle bandiere colorate? Chi ci finanzia la vita di attivisti?
Chi ci paga? Che un po' come dire: fancazzisti, andate a lavorare. Ma è anche una legittima curiosità. Visto che sono i soldi che fanno la differenza tra chi può protestare e chi non se lo può permettere. Chi ce li dà?
Agnoletto ha dato la sua risposta l'altra sera a Otto e Mezza. Mi è sembrato convincente, ma poco soddisfacente, come capita spesso coi portavoce. Parlano per tutti, e nessuno si riconosce. Per questo ho sentito il bisogno di dare la mia risposta personale. Chi mi dà i soldi? Sì, immagino, non gliene frega un granché. Ma rispondo lo stesso.
Ho 29 anni. L'anno scorso ero impiegato in una ditta senza articolo 18 – tre settimane l'anno di ferie. Due le ho prese in luglio per andare a Genova. Il biglietto del treno l'ho pagato io. Ma fin qui è poca cosa.
Dopo Genova sono entrato in un'organizzazione che vorrebbe darsi una struttura nazionale. Il che ha significato week-end a Roma, Napoli … non ho mai girato tanto l'Italia. A mie spese. Mi sono anche tesserato, e non è stato indolore.
Ma la vera botta è venuta con le ferie di Capodanno. Ho pensato di passarle in Palestina con Action For Peace. Il viaggio veniva mille euro tutto compreso, che per un giro turistico non sarebbe neanche male, ma per prendersi dei fumogeni in testa da Tsahal, beh… io poi mille euro non li guadagnavo in un mese. E in più mi sono anche dovuto comprare le mie belle kefie di cotone, i presepi intagliati in legno, tutta la chincaglieria tipica di qualsiasi mercatino rionale equo-solidale, ma avesse visto con che facce me la vendevano… è riuscito a scucirmi qualcosa anche un tale che pretendeva di farmi da guida alla tomba della Madonna.
("Guarda che io sono cattolico, per me la Madonna è assunta in cielo"
"Sì, sì, e io mussulmano, famiglia a Betlemme, non lavoro da sei mesi, dai…")
Il 2002 è trascorso così, tra collette e raccolte di fondi e tesseramenti – sono stato referente per la raccolta firme sulla Tobin Tax della mia provincia e lo sa Dio il gasolio che ho speso girando da ufficio comunale a ufficio comunale. Ma sono riuscito – siamo riusciti – a certificare più del triplo delle firme necessarie per portare la proposta di legge in parlamento.
Nel frattempo ho un nuovo lavoro, un po' più precario, ma meglio pagato – a patto che mi paghino, un giorno: l'ente preposto (il Ministero del Tesoro) versa in lievi difficoltà, ma io ho fiducia nelle istituzioni. A volte mi vengono dei dubbi: forse sto trascurando il mio lavoro per il movimento… ma alle riunioni del giovedì mi assicurano che è il contrario, è il lavoro che mi fa trascurare il movimento. Una soluzione al problema consiste nel dormire tre, quattro ore per notte.
L'altra sera, guardando la vostra trasmissione, ho scoperto che mi toccherà pure scucire trenta euro per aderire al Forum Sociale. Pagherò anche questo tichet, sperando che non includa le manganellate di qualche agente terrorizzato dai blecblòc canadesi.
A questo punto lei avrà già smesso di leggere, oppure sarà passato alla domanda successiva: perché? Perché butto via i miei (pochi) soldi così? Oltretutto la Rivoluzione non si può scontare dalle tasse, come una qualsiasi Porsche (in tempi di Tremonti-bis).
La risposta è banale: mi avanzano un po' di soldi e non so dove metterli – in Borsa? Andiamo. Tenerli in banca? A quel punto conviene spenderli. E li spendo. La Rivoluzione è la mia spesa voluttuaria.
Invece di drogarmi, o acquistare esosi Cd; invece di comprare libri che ahimè, non avrei il tempo di leggere o vhs che non avrei il tempo di guardare; invece di farmi sequestrare e torturare in qualche fumosa discoteca; invece di andare a puttane nel casino preferito dai calciatori, o masturbarmi davanti ai costosi calendari delle loro fidanzate… invece di fare tutto questo, io investo in un Altro Mondo Possibile.
È un buon investimento? Oddio. Rende qualcosina, se non in soldi, almeno in soddisfazioni, contatti umani, esperienza. Mi sembra di aver imparato molte cose in un anno e mezzo, e di aver pagato il prezzo che c'era da pagare.
Non creda, infatti, che io sia il tipo che butta via i soldi. Passo anzi per un tipo taccagno. E ho notato che siamo parecchi così nel movimento: gente arcigna, che si conta i centesimi in tasca, perché… perché lavora molte ore al giorno e se li suda, quei centesimi. Insomma, il contrario di quei stralunati figli di papà che si immagina il suo collega cicciottello (si vede che è da parecchio che non viene alle riunioni, più o meno da quando il kgb ha chiuso i rubinetti).
Per questo sono un po' stanco di sentirmi dare dell'ingenuo idealista. Venerdì mattina era sciopero, potevo stare a letto, invece mi sono alzato presto per andare a vendere giornali al corteo, una vitaccia. Coi soldi raccolti finanzieremo una festa. Coi soldi che raccoglieremo alla festa andremo al forum. E se poi al forum qualche poliziotto ci picchierà, dovremo anche sorbirci il giornalista che ha letto Pasolini e tifa per il povero poliziotto proletario. Bello stracciamento di coglioni, proletariamente parlando…
Ecco qui, ho risposto a tutte le domande. Ancora complimenti per la trasmissione e per il blog, e non mi saluti il suo collega stronzetto – per favore, non mi risponda che la stronzaggine fa parte del personaggio, non mi dica che è un abile comunicatore – via, se fosse così abile sarebbe a libro paga Berlusconi, come tutti. Invece tiene una trasmissione su La7…
A proposito, posso girare a voi la domanda? chi vi paga per fare informazione e approfondimento? Il giornale su cui scrivete, lo so, lo pago un po' anch'io. Infatti riceve un bel po' di soldi dallo Stato, in quanto organo di stampa del rinomato Movimento "Convenzione per la giustizia". Io, se devo essere sincero, lo leggo poco e non lo compro mai, perché non mi piace tanto. Ma mi sembra giusto che la legge salvaguardi il pluralismo delle opinioni. Sennò chi avrebbe in Italia, i soldi per pagare una redazione? Solo Berlusconi. E non sarebbe bello, vero?
Neri ha chiesto scusa. Bravo. Io però ci sto prendendo gusto e stasera scrivo al
>Distinto Luca Sofri,
volevo farle i complimenti per la puntata di martedì di Otto e mezza, in cui è stato dato ad Agnoletto, per una volta, lo spazio che si merita.
Senza avere le doti del grande comunicatore, Agnoletto è pur sempre un portavoce del Forum Sociale Europeo, in cui io mi riconosco – e tanto peggio per me, per noi, se non sappiamo trovarci portavoci più trascinanti. Ma insomma, questa volta gli è stato dato un po' più di tempo per uscire dal suo stereotipo di ometto stizzito, e mi pare che se la sia cavata, via.
("E i seimila violenti che, dice Piasanu, stanno partendo dal Canada per il Forum Europeo?"
"Mah, mi vedo costretto a ricordare al ministro Pisanu che il Canada non è in Europa".
Non male, non male, c'è da lavorare, ma… non male).
Mi ha solo un po' infastidito l'atteggiamento del suo collega, come si chiama, quello grosso. Certe domande sporche, ha presente? Sì, quel tipico voler estorcere dichiarazioni col cavatappi ("dunque lei afferma che il Ministero sta perseguendo una strategia della tensione?"), qualche colpo basso da talk show di terz'ordine, ("E Saddam perché lo difendete?". "Ma lei, che è il capo, cosa ne pensa…"), quell'aria sorniona da infiltrato ("Eeeh, io so come vanno le cose da voi nei movimenti…") poco plausibile, vista la stazza.
Però la domanda che più mi ha infastidito ("Chi vi dà i soldi?") tutto sommato era legittima. È giusto volerlo sapere, ed è giusto dare al portavoce lo spazio e il tempo per rispondere decentemente. Chi ci dà i soldi per fare tutto quello che facciamo? È una domanda che viene da lontano, striscia in rete nei forum e nelle mailing list, e io la sento perfino nell'aria, nelle piazze, quando mi capita una raccolta firme o una manifestazione. Chi ci paga quelle belle bandiere colorate? Chi ci finanzia la vita di attivisti?
Chi ci paga? Che un po' come dire: fancazzisti, andate a lavorare. Ma è anche una legittima curiosità. Visto che sono i soldi che fanno la differenza tra chi può protestare e chi non se lo può permettere. Chi ce li dà?
Agnoletto ha dato la sua risposta l'altra sera a Otto e Mezza. Mi è sembrato convincente, ma poco soddisfacente, come capita spesso coi portavoce. Parlano per tutti, e nessuno si riconosce. Per questo ho sentito il bisogno di dare la mia risposta personale. Chi mi dà i soldi? Sì, immagino, non gliene frega un granché. Ma rispondo lo stesso.
Ho 29 anni. L'anno scorso ero impiegato in una ditta senza articolo 18 – tre settimane l'anno di ferie. Due le ho prese in luglio per andare a Genova. Il biglietto del treno l'ho pagato io. Ma fin qui è poca cosa.
Dopo Genova sono entrato in un'organizzazione che vorrebbe darsi una struttura nazionale. Il che ha significato week-end a Roma, Napoli … non ho mai girato tanto l'Italia. A mie spese. Mi sono anche tesserato, e non è stato indolore.
Ma la vera botta è venuta con le ferie di Capodanno. Ho pensato di passarle in Palestina con Action For Peace. Il viaggio veniva mille euro tutto compreso, che per un giro turistico non sarebbe neanche male, ma per prendersi dei fumogeni in testa da Tsahal, beh… io poi mille euro non li guadagnavo in un mese. E in più mi sono anche dovuto comprare le mie belle kefie di cotone, i presepi intagliati in legno, tutta la chincaglieria tipica di qualsiasi mercatino rionale equo-solidale, ma avesse visto con che facce me la vendevano… è riuscito a scucirmi qualcosa anche un tale che pretendeva di farmi da guida alla tomba della Madonna.
("Guarda che io sono cattolico, per me la Madonna è assunta in cielo"
"Sì, sì, e io mussulmano, famiglia a Betlemme, non lavoro da sei mesi, dai…")
Il 2002 è trascorso così, tra collette e raccolte di fondi e tesseramenti – sono stato referente per la raccolta firme sulla Tobin Tax della mia provincia e lo sa Dio il gasolio che ho speso girando da ufficio comunale a ufficio comunale. Ma sono riuscito – siamo riusciti – a certificare più del triplo delle firme necessarie per portare la proposta di legge in parlamento.
Nel frattempo ho un nuovo lavoro, un po' più precario, ma meglio pagato – a patto che mi paghino, un giorno: l'ente preposto (il Ministero del Tesoro) versa in lievi difficoltà, ma io ho fiducia nelle istituzioni. A volte mi vengono dei dubbi: forse sto trascurando il mio lavoro per il movimento… ma alle riunioni del giovedì mi assicurano che è il contrario, è il lavoro che mi fa trascurare il movimento. Una soluzione al problema consiste nel dormire tre, quattro ore per notte.
L'altra sera, guardando la vostra trasmissione, ho scoperto che mi toccherà pure scucire trenta euro per aderire al Forum Sociale. Pagherò anche questo tichet, sperando che non includa le manganellate di qualche agente terrorizzato dai blecblòc canadesi.
A questo punto lei avrà già smesso di leggere, oppure sarà passato alla domanda successiva: perché? Perché butto via i miei (pochi) soldi così? Oltretutto la Rivoluzione non si può scontare dalle tasse, come una qualsiasi Porsche (in tempi di Tremonti-bis).
La risposta è banale: mi avanzano un po' di soldi e non so dove metterli – in Borsa? Andiamo. Tenerli in banca? A quel punto conviene spenderli. E li spendo. La Rivoluzione è la mia spesa voluttuaria.
Invece di drogarmi, o acquistare esosi Cd; invece di comprare libri che ahimè, non avrei il tempo di leggere o vhs che non avrei il tempo di guardare; invece di farmi sequestrare e torturare in qualche fumosa discoteca; invece di andare a puttane nel casino preferito dai calciatori, o masturbarmi davanti ai costosi calendari delle loro fidanzate… invece di fare tutto questo, io investo in un Altro Mondo Possibile.
È un buon investimento? Oddio. Rende qualcosina, se non in soldi, almeno in soddisfazioni, contatti umani, esperienza. Mi sembra di aver imparato molte cose in un anno e mezzo, e di aver pagato il prezzo che c'era da pagare.
Non creda, infatti, che io sia il tipo che butta via i soldi. Passo anzi per un tipo taccagno. E ho notato che siamo parecchi così nel movimento: gente arcigna, che si conta i centesimi in tasca, perché… perché lavora molte ore al giorno e se li suda, quei centesimi. Insomma, il contrario di quei stralunati figli di papà che si immagina il suo collega cicciottello (si vede che è da parecchio che non viene alle riunioni, più o meno da quando il kgb ha chiuso i rubinetti).
Per questo sono un po' stanco di sentirmi dare dell'ingenuo idealista. Venerdì mattina era sciopero, potevo stare a letto, invece mi sono alzato presto per andare a vendere giornali al corteo, una vitaccia. Coi soldi raccolti finanzieremo una festa. Coi soldi che raccoglieremo alla festa andremo al forum. E se poi al forum qualche poliziotto ci picchierà, dovremo anche sorbirci il giornalista che ha letto Pasolini e tifa per il povero poliziotto proletario. Bello stracciamento di coglioni, proletariamente parlando…
Ecco qui, ho risposto a tutte le domande. Ancora complimenti per la trasmissione e per il blog, e non mi saluti il suo collega stronzetto – per favore, non mi risponda che la stronzaggine fa parte del personaggio, non mi dica che è un abile comunicatore – via, se fosse così abile sarebbe a libro paga Berlusconi, come tutti. Invece tiene una trasmissione su La7…
A proposito, posso girare a voi la domanda? chi vi paga per fare informazione e approfondimento? Il giornale su cui scrivete, lo so, lo pago un po' anch'io. Infatti riceve un bel po' di soldi dallo Stato, in quanto organo di stampa del rinomato Movimento "Convenzione per la giustizia". Io, se devo essere sincero, lo leggo poco e non lo compro mai, perché non mi piace tanto. Ma mi sembra giusto che la legge salvaguardi il pluralismo delle opinioni. Sennò chi avrebbe in Italia, i soldi per pagare una redazione? Solo Berlusconi. E non sarebbe bello, vero?
lunedì 21 ottobre 2002
La Gazzetta di Modena ha pubblicato il pezzo di Marco Biagi. Grazie. Però non ha messo il link. Pazienza. Fossero tutti qui i problemi.
I problemi, infatti, sono altri. Pensavo che non avrei mai dovuto parlare male di Clarence, né di Gianluca Neri, ma questa volta l'ha fatta veramente sporca. Ha copiato il folgorante pezzo della Pizia su E-tree, ha cambiato qualcosina, e lo ha rivenduto o elaborato come se fosse un software "open source" liberamente modificabile grazie alla GPL, la General Public License". La GPL, anvedi...
...Peccato che non si sia nemmeno curato di togliere la (c) di copyright che sta alla fine di ogni pagina di Clarence! Così abbiamo il paradosso che se adesso La Pizia si lamenta, al massimo Neri può denunciarla per plagio...
Giù le mani dalla Pizia!
Il problema non è copiare. Io copio un sacco (potrebbero mettermi in galera e gettare la chiave per furto di immagini sotto copyright), ma cito sempre, linco ove possibile, e soprattutto non ci prendo un soldo.
Riporto il mio commento dal forum (general public ladruncolo)
>Masentaunpo'bene, egregio Gianluca Neri,
e se io copiassi paro paro uno dei suoi 42 sul mio sito allungandolo qua e là con qualche frasetta, è sicuro che non violerei qualche copyright?
Prima di qualsiasi licence, vale pur sempre la più elementare netiquette:
1. citare la fonte (e linkarla)
2. non lucrerai su ciò che non è tuo.
Clarence è un sito che lucra, e non c'è nulla di male in questo, purché lucri su materiali suoi originali - non sulla Pizia!
Complimenti per aver scoperto che La Pizia scrive bene, come fanno almeno un centinaio di persone al giorno. E' già triste che nessuno la paghi per questo, ma vedere che ci sono giornalisti grandi e grossi che se ne approfittano, beh, mi riempie di sdegno. Se vuole sfruttare La Pizia, la assuma!
(Tra l'altro, sarebbe anche un affare).
I problemi, infatti, sono altri. Pensavo che non avrei mai dovuto parlare male di Clarence, né di Gianluca Neri, ma questa volta l'ha fatta veramente sporca. Ha copiato il folgorante pezzo della Pizia su E-tree, ha cambiato qualcosina, e lo ha rivenduto o elaborato come se fosse un software "open source" liberamente modificabile grazie alla GPL, la General Public License". La GPL, anvedi...
...Peccato che non si sia nemmeno curato di togliere la (c) di copyright che sta alla fine di ogni pagina di Clarence! Così abbiamo il paradosso che se adesso La Pizia si lamenta, al massimo Neri può denunciarla per plagio...
Giù le mani dalla Pizia!
Il problema non è copiare. Io copio un sacco (potrebbero mettermi in galera e gettare la chiave per furto di immagini sotto copyright), ma cito sempre, linco ove possibile, e soprattutto non ci prendo un soldo.
Riporto il mio commento dal forum (general public ladruncolo)
>Masentaunpo'bene, egregio Gianluca Neri,
e se io copiassi paro paro uno dei suoi 42 sul mio sito allungandolo qua e là con qualche frasetta, è sicuro che non violerei qualche copyright?
Prima di qualsiasi licence, vale pur sempre la più elementare netiquette:
1. citare la fonte (e linkarla)
2. non lucrerai su ciò che non è tuo.
Clarence è un sito che lucra, e non c'è nulla di male in questo, purché lucri su materiali suoi originali - non sulla Pizia!
Complimenti per aver scoperto che La Pizia scrive bene, come fanno almeno un centinaio di persone al giorno. E' già triste che nessuno la paghi per questo, ma vedere che ci sono giornalisti grandi e grossi che se ne approfittano, beh, mi riempie di sdegno. Se vuole sfruttare La Pizia, la assuma!
(Tra l'altro, sarebbe anche un affare).
sabato 19 ottobre 2002
Marco Biagi è morto (son diversi mesi, ormai), e a me dispiace, anche se da vivo non lo conoscevo.
Da morto, invece, è diventato molto famoso. Gli hanno dedicato una Fondazione (e presto piazze e strade), per poco non gli hanno fatto funerali di Stato, ma in compenso ha fatto dimettere un Ministro.
Ora, se c'è dell'ironia in tutto questo, io non la vedo o non la voglio capire. I morti, per quel poco che ne so, non si interessano alle cose di qui, non hanno interessi o rancori (soprattutto non lottano insieme a noi), e più di ogni altra cosa chiedono d'essere lasciati in pace.
Perciò è triste, sinceramente, dover vedere così spesso Marco Biagi riesumato, per un convegno o una conferenza stampa. Se dobbiamo onorarne la memoria, ci sono tempi e luoghi adatti, e vanno rispettati.
Invece a Modena era una bella giornata d'ottobre, con un'illusione di primavera nell'aria, e in Centro molta confusione per via di uno sciopero generale che – singolare coincidenza – la CGIL ha indetto già da diversi mesi. Ma i morti non amano la confusione e non partecipano alle polemiche, o per lo meno non dovrebbero.
Al convegno c'era Angeletti, segretario della Uil: cos'era venuto a fare? A dire che "gli scioperi inutili non servono e sono diseducativi anche per i lavoratori": insomma, è venuto a insegnarci l'educazione. "Hanno detto che volevano fare uno sciopero contro il patto per l'Italia, questo patto prevede tre cose; riduzione delle tasse per i redditi medio bassi, investimenti per il mezzogiorno e finanziamenti per gli ammortizzatori sociali: fare uno sciopero contro tutto questo si commenta da solo". Ma se ci avessero promesso l'America senza averla prevista nel budget, non sarebbe ugualmente il caso di protestare? E per dire queste poche cose, bisognava venire nelle aule di Marco Biagi?
E poi c'era Pezzotta, segretario della Cisl: cos'era venuto a fare? A dire che lo sciopero della Cgil "ha registrato la più bassa adesione degli ultimi tempi. I dati che abbiamo dicono che la partecipazione non è arrivata al 30%. Avevo detto che era uno sciopero inutile: penso che la larga parte dei lavoratori italiani l'abbia preso così". Secondo Pezzotta non ci sono problemi se il 30% dell'Italia si ferma. Ma si era mai sentito un sindacalista parlare in questi termini di uno sciopero? Dov'è finito il rispetto per le categorie? Ed era il caso di rinnegarlo proprio nelle aule di Marco Biagi?
All'uscita dal convegno, nel Foro Boario c'era molta confusione, perché tutti questi sindacalisti e consulenti e sottosegretari sono persone importanti e non viaggiano certo senza scorta, coi tempi che corrono. Sì: c'è sempre un ingorgo di auto blu e di scorte speciali nel parcheggio di Economia, quando i sindacalisti e i sottosegretari e gli economisti vengono a riesumare Marco Biagi. Riposi in Pace, professore, per quel poco che può.
Da morto, invece, è diventato molto famoso. Gli hanno dedicato una Fondazione (e presto piazze e strade), per poco non gli hanno fatto funerali di Stato, ma in compenso ha fatto dimettere un Ministro.
Ora, se c'è dell'ironia in tutto questo, io non la vedo o non la voglio capire. I morti, per quel poco che ne so, non si interessano alle cose di qui, non hanno interessi o rancori (soprattutto non lottano insieme a noi), e più di ogni altra cosa chiedono d'essere lasciati in pace.
Perciò è triste, sinceramente, dover vedere così spesso Marco Biagi riesumato, per un convegno o una conferenza stampa. Se dobbiamo onorarne la memoria, ci sono tempi e luoghi adatti, e vanno rispettati.
Invece a Modena era una bella giornata d'ottobre, con un'illusione di primavera nell'aria, e in Centro molta confusione per via di uno sciopero generale che – singolare coincidenza – la CGIL ha indetto già da diversi mesi. Ma i morti non amano la confusione e non partecipano alle polemiche, o per lo meno non dovrebbero.
Al convegno c'era Angeletti, segretario della Uil: cos'era venuto a fare? A dire che "gli scioperi inutili non servono e sono diseducativi anche per i lavoratori": insomma, è venuto a insegnarci l'educazione. "Hanno detto che volevano fare uno sciopero contro il patto per l'Italia, questo patto prevede tre cose; riduzione delle tasse per i redditi medio bassi, investimenti per il mezzogiorno e finanziamenti per gli ammortizzatori sociali: fare uno sciopero contro tutto questo si commenta da solo". Ma se ci avessero promesso l'America senza averla prevista nel budget, non sarebbe ugualmente il caso di protestare? E per dire queste poche cose, bisognava venire nelle aule di Marco Biagi?
E poi c'era Pezzotta, segretario della Cisl: cos'era venuto a fare? A dire che lo sciopero della Cgil "ha registrato la più bassa adesione degli ultimi tempi. I dati che abbiamo dicono che la partecipazione non è arrivata al 30%. Avevo detto che era uno sciopero inutile: penso che la larga parte dei lavoratori italiani l'abbia preso così". Secondo Pezzotta non ci sono problemi se il 30% dell'Italia si ferma. Ma si era mai sentito un sindacalista parlare in questi termini di uno sciopero? Dov'è finito il rispetto per le categorie? Ed era il caso di rinnegarlo proprio nelle aule di Marco Biagi?
All'uscita dal convegno, nel Foro Boario c'era molta confusione, perché tutti questi sindacalisti e consulenti e sottosegretari sono persone importanti e non viaggiano certo senza scorta, coi tempi che corrono. Sì: c'è sempre un ingorgo di auto blu e di scorte speciali nel parcheggio di Economia, quando i sindacalisti e i sottosegretari e gli economisti vengono a riesumare Marco Biagi. Riposi in Pace, professore, per quel poco che può.
giovedì 17 ottobre 2002
"La verità è che tu ce l'hai con gli americani".
"Ma no, anzi".
"Con tutto quello che hanno fatto per te".
"Beh, in effetti…"
"Ingrato, ecco cosa sei".
Ma non è vero. Io ho un grande rispetto per la civiltà americana. Molto più di quanto ne possa avere, per esempio, Mirko Tremaglia.
Il Columbus Day anche quest’anno non ha tradito le aspettative. […] Lo testimoniano le tantissime bandiere tricolore che sventolavano sulla strada più famosa del mondo, che si è vestita di verde, bianco e rosso. Ma lo testimonia soprattutto la presenza dell’ospite d’onore di questa edizione del Columbus Day: il Ministro per gli Italiani nel Mondo, Mirko Tremaglia che, in piedi su una macchina d’epoca e sventolando un Tricolore, ha aperto il corteo accompagnato dall’entusiasmo della gente che si avvicinava per stringergli la mano, per manifestare la propria gratitudine per la sua partecipazione all’evento e per le intense espressioni di solidarietà dell’Italia verso gli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre.
Con amici come Tremaglia, chi ha bisogno di nemici?
Ognuno ha le sue piccole curiosità: per esempio, io mi chiedo come ci sarà arrivato, il ministro Tremaglia, a New York. Con un volo di linea, probabilmente (business class). In questo caso, qualche inserviente del J.F.K. Airport, o del La Guardia, gli avrà messo in mano quel simpatico cartoncino che regala a tutti i turisti europei un attimo di buonumore.
È il famoso questionario per entrare su suolo americano: avete presente? Viene chiesto al viaggiatore, senza tanti preamboli, se collabora ho a collaborato con organizzazioni terroristiche; se ha mai spacciato o comprato stupefacenti; e altre amenità che non rammento. Bisogna barrare il "sì" o il "no" e consegnare.
Ovviamente, nessuno si aspetta che voi confessiate di aver fatto parte di un'organizzazione mafiosa o di avere cospirato contro gli USA: il questionario non va in mano alla CIA (io senza volere mi dimenticai di consegnarlo e nessuno mi fece niente). È soltanto un sistema, apparentemente ingenuo, ma in realtà semplice ed efficace, per spiegare ai viaggiatori di tutto il mondo che sono graditi, sì, ma ad alcune condizioni.
Il cartoncino, insomma, ha lo stesso significato che potrebbe avere un volantino "Vietato l'accesso a terroristi e spacciatori" appeso ai cancelli dell'aeroporto: ma è un po' più elegante. E mi chiedo se il Ministro Tremaglia ci abbia riflettuto su.
Sì, anche perché tra le domande del cartoncino, ve ne sono un paio molto esplicite, che dicono più o meno così: "Ha collaborato con l'esercito tedesco negli anni dal 1940 al 1945? Ha fatto parte del partito nazista o ha collaborato col partito nazista negli anni Quaranta?"
Il viaggiatore distratto sorride e barra il "no", ma il Ministro Tremaglia ha ben poco da ridere. Non ha mai fatto mistero di essersi arruolato, a 17 anni, nelle forze armate della Repubblica di Salò. E soprattutto (da quanto emerge dalle sue dichiarazioni), non sembra essersene ancora pentito.
Eppure non sono soltanto terroristi e spacciatori a non essere graditi, sul suolo americano. Anche nazisti e collaborazionisti sono personae non gratae. È scritto sul cartoncino. Il Ministro l'ha compilato?
È doloroso sentirsi dare lezioni di americanismo da un repubblichino. Ma fosse solo questo. Il Ministro per gli Italiani nel Mondo è anche il promotore di una delle più assurde e nefaste modifiche alla Costituzione in Italia – un palese insulto all'americanissimo principio "No taxation without representation".
"No taxation without representation" significa, papale papale, che non può essere tassato chi non è rappresentato in parlamento. E viceversa: non può essere rappresentato in parlamento chi non paga le tasse.
Una banalità, direte voi, ma per gli americani è come dire "liberté, egalité, fraternité".
Al principio non c'erano che una dozzina di colonie britanniche che si facevano i fatti loro – poi la Madrepatria pretese che pagassero le tasse sul serio, e così nacquero gli Stati Uniti d'America. Perché non ci poteva essere "tassazione" senza "rappresentazione". E viceversa: chi non paga le tasse, non è rappresentato. Non vota e non può farsi eleggere.
Il principio vale ancora oggi – tanto che a Portorico, protettorato USA, ogni tanto si fa un referendum col seguente quesito: "vogliamo diventare il 51esimo Stato degli Stati Uniti d'America, sì o no"? Scegliendo Sì, i portoricani diventerebbero 'americani' come tutti gli altri, con i loro bravi seggi al Congresso e al Senato, e le loro cartoline elettorali per votare Bush e Gore. Ma hanno sempre votato no. Perché? Perché si sentono inferiori? No. Perché così pagano meno tasse.
Quello che mi piace degli USA è questo tipo di approccio ai problemi, semplice, pragmatico, che talvolta può sembrare un po' ingenuo e senz'altro certe volte è un po' drastico. Se sei nazista, fuori. Se non paghi le tasse, non puoi votare e non puoi farti eleggere. Punto.
Questo tipo di mentalità, in Italia, è sconosciuta. Prendete i dibattiti stile: "perdoniamo i ragazzi di Salò". Negli USA non avrebbero senso: cosa c'è da perdonare? Hanno fatto una cazzata, hanno perso una guerra, discorso chiuso. Prendete il caso dei Savoia: cosa pretendono ancora? Prendete il caso di Mirko Tremaglia, che tanto ha brigato, per legislature e legislature, finché non è riuscito a ottenere da una maggioranza bipartisan una cosa come il diritto di voto per gli italiani all'estero.
Ma chi sono questi italiani all'estero? Non si è mai capito bene. Quanti sono? Quasi quattro milioni.
Hanno i diritti civili nei Paesi di residenza? Di solito sì (negli USA senz'altro). Ma soprattutto: le pagano le tasse? Le nostre tasse? No, sembra di no. E allora perché dovrebbero votare per il nostro Parlamento? Mah. Così, per solidarietà. In ricordo dei bei tempi andati.
Onorevole Ministro, mi creda, io non trovo nulla di male nell'andare in giro in parata su una macchina d'epoca sventolando il tricolor. Il Verde, il Bianco, il Rosso, mi sembrano colori bellissimi, e le macchine d'epoca poi, le Alfa, le Bugatti, l'Isotta Fraschini, son ben cose che mi fanno sentir fiero, non so bene di cosa, ma fiero. Inoltre mangio molta pastasciutta e conosco il testo di due o tre canzoni napoletane ("Te'ssi fatta 'na veste scollata… 'Nu capiello coi nastri e coi rosa…").
Però sono convinto che essere italiano significhi un'altra cosa. Essere italiano, per me, significa partecipare al prodotto lordo nazionale, contribuire come posso alla Cosa Pubblica, e ricevere in cambio dei miei contributi alcuni servizi (sanità, igiene, istruzione, strade decenti, ecc.). In tutta franchezza, onorevole Ministro, il mio vicino di casa marocchino, che lavora in un cantiere, avrebbe più diritto lui di votare e di essere rappresentato che un italiano di Brooklyn che sfila al Columbus' day con la maschera di Pulcinella. E credo che Thomas Jefferson mi darebbe ragione. E credo che George Washington ci darebbe man forte. Non ci può essere Rappresentazione Senza Tassazione!
Onorevole Tremaglia, Lei è andato in parata a New York, e ha ribadito che gli americani sono nostri amici. In che senso nostri amici? Gli amici sono persone che rispettiamo e cerchiamo di comprendere.
Se Lei rispetta gli americani, cosa aspetta a chiedere scusa per averli combattuti mentre davano le loro vite per liberarci?
E come può comprendere gli americani chi si è creato un feudo elettorale extrastatale, una cosa mai vista al mondo, una circoscrizione di gente che ha il diritto di dire la sua sulla repubblica italiana senza pagare le tasse? Representation without Taxation? No, Onorevole ministro, mi creda, lei non ha capito nulla dell'America!
Per lei l'America è solo quel posto dove tutti sventolano i tricolori e suonano il mandolino per le strade, e poi si va a mangiare le trenette al pesto da Pino, all'incrocio con la Sesta Strada…
“E’ un altro trionfo di tricolori” ripeteva Tremaglia alle varie emittenti, anche americane, che approfittando delle varie soste, gli si avvicinavano, “ed io sono emozionantissimo nel vedere questo entusiasmo, questo amore per la Patria e per il Tricolore che proprio voi avete conservato con devozione. Sono istanti che porterò sempre nel cuore, perché questa è tutta la mia famiglia, tutta la mia vita”.
(Sarà. Io avevo pur letto da qualche parte che il ministro era sposato con Mrs. Italy…)
Dedicato a Massimo -- senza il quale questo post non avrebbe mai potuto... ecc.
"Ma no, anzi".
"Con tutto quello che hanno fatto per te".
"Beh, in effetti…"
"Ingrato, ecco cosa sei".
Ma non è vero. Io ho un grande rispetto per la civiltà americana. Molto più di quanto ne possa avere, per esempio, Mirko Tremaglia.
Il Columbus Day anche quest’anno non ha tradito le aspettative. […] Lo testimoniano le tantissime bandiere tricolore che sventolavano sulla strada più famosa del mondo, che si è vestita di verde, bianco e rosso. Ma lo testimonia soprattutto la presenza dell’ospite d’onore di questa edizione del Columbus Day: il Ministro per gli Italiani nel Mondo, Mirko Tremaglia che, in piedi su una macchina d’epoca e sventolando un Tricolore, ha aperto il corteo accompagnato dall’entusiasmo della gente che si avvicinava per stringergli la mano, per manifestare la propria gratitudine per la sua partecipazione all’evento e per le intense espressioni di solidarietà dell’Italia verso gli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre.
Con amici come Tremaglia, chi ha bisogno di nemici?
Ognuno ha le sue piccole curiosità: per esempio, io mi chiedo come ci sarà arrivato, il ministro Tremaglia, a New York. Con un volo di linea, probabilmente (business class). In questo caso, qualche inserviente del J.F.K. Airport, o del La Guardia, gli avrà messo in mano quel simpatico cartoncino che regala a tutti i turisti europei un attimo di buonumore.
È il famoso questionario per entrare su suolo americano: avete presente? Viene chiesto al viaggiatore, senza tanti preamboli, se collabora ho a collaborato con organizzazioni terroristiche; se ha mai spacciato o comprato stupefacenti; e altre amenità che non rammento. Bisogna barrare il "sì" o il "no" e consegnare.
Ovviamente, nessuno si aspetta che voi confessiate di aver fatto parte di un'organizzazione mafiosa o di avere cospirato contro gli USA: il questionario non va in mano alla CIA (io senza volere mi dimenticai di consegnarlo e nessuno mi fece niente). È soltanto un sistema, apparentemente ingenuo, ma in realtà semplice ed efficace, per spiegare ai viaggiatori di tutto il mondo che sono graditi, sì, ma ad alcune condizioni.
Il cartoncino, insomma, ha lo stesso significato che potrebbe avere un volantino "Vietato l'accesso a terroristi e spacciatori" appeso ai cancelli dell'aeroporto: ma è un po' più elegante. E mi chiedo se il Ministro Tremaglia ci abbia riflettuto su.
Sì, anche perché tra le domande del cartoncino, ve ne sono un paio molto esplicite, che dicono più o meno così: "Ha collaborato con l'esercito tedesco negli anni dal 1940 al 1945? Ha fatto parte del partito nazista o ha collaborato col partito nazista negli anni Quaranta?"
Il viaggiatore distratto sorride e barra il "no", ma il Ministro Tremaglia ha ben poco da ridere. Non ha mai fatto mistero di essersi arruolato, a 17 anni, nelle forze armate della Repubblica di Salò. E soprattutto (da quanto emerge dalle sue dichiarazioni), non sembra essersene ancora pentito.
Eppure non sono soltanto terroristi e spacciatori a non essere graditi, sul suolo americano. Anche nazisti e collaborazionisti sono personae non gratae. È scritto sul cartoncino. Il Ministro l'ha compilato?
È doloroso sentirsi dare lezioni di americanismo da un repubblichino. Ma fosse solo questo. Il Ministro per gli Italiani nel Mondo è anche il promotore di una delle più assurde e nefaste modifiche alla Costituzione in Italia – un palese insulto all'americanissimo principio "No taxation without representation".
"No taxation without representation" significa, papale papale, che non può essere tassato chi non è rappresentato in parlamento. E viceversa: non può essere rappresentato in parlamento chi non paga le tasse.
Una banalità, direte voi, ma per gli americani è come dire "liberté, egalité, fraternité".
Al principio non c'erano che una dozzina di colonie britanniche che si facevano i fatti loro – poi la Madrepatria pretese che pagassero le tasse sul serio, e così nacquero gli Stati Uniti d'America. Perché non ci poteva essere "tassazione" senza "rappresentazione". E viceversa: chi non paga le tasse, non è rappresentato. Non vota e non può farsi eleggere.
Il principio vale ancora oggi – tanto che a Portorico, protettorato USA, ogni tanto si fa un referendum col seguente quesito: "vogliamo diventare il 51esimo Stato degli Stati Uniti d'America, sì o no"? Scegliendo Sì, i portoricani diventerebbero 'americani' come tutti gli altri, con i loro bravi seggi al Congresso e al Senato, e le loro cartoline elettorali per votare Bush e Gore. Ma hanno sempre votato no. Perché? Perché si sentono inferiori? No. Perché così pagano meno tasse.
Quello che mi piace degli USA è questo tipo di approccio ai problemi, semplice, pragmatico, che talvolta può sembrare un po' ingenuo e senz'altro certe volte è un po' drastico. Se sei nazista, fuori. Se non paghi le tasse, non puoi votare e non puoi farti eleggere. Punto.
Questo tipo di mentalità, in Italia, è sconosciuta. Prendete i dibattiti stile: "perdoniamo i ragazzi di Salò". Negli USA non avrebbero senso: cosa c'è da perdonare? Hanno fatto una cazzata, hanno perso una guerra, discorso chiuso. Prendete il caso dei Savoia: cosa pretendono ancora? Prendete il caso di Mirko Tremaglia, che tanto ha brigato, per legislature e legislature, finché non è riuscito a ottenere da una maggioranza bipartisan una cosa come il diritto di voto per gli italiani all'estero.
Ma chi sono questi italiani all'estero? Non si è mai capito bene. Quanti sono? Quasi quattro milioni.
Hanno i diritti civili nei Paesi di residenza? Di solito sì (negli USA senz'altro). Ma soprattutto: le pagano le tasse? Le nostre tasse? No, sembra di no. E allora perché dovrebbero votare per il nostro Parlamento? Mah. Così, per solidarietà. In ricordo dei bei tempi andati.
Onorevole Ministro, mi creda, io non trovo nulla di male nell'andare in giro in parata su una macchina d'epoca sventolando il tricolor. Il Verde, il Bianco, il Rosso, mi sembrano colori bellissimi, e le macchine d'epoca poi, le Alfa, le Bugatti, l'Isotta Fraschini, son ben cose che mi fanno sentir fiero, non so bene di cosa, ma fiero. Inoltre mangio molta pastasciutta e conosco il testo di due o tre canzoni napoletane ("Te'ssi fatta 'na veste scollata… 'Nu capiello coi nastri e coi rosa…").
Però sono convinto che essere italiano significhi un'altra cosa. Essere italiano, per me, significa partecipare al prodotto lordo nazionale, contribuire come posso alla Cosa Pubblica, e ricevere in cambio dei miei contributi alcuni servizi (sanità, igiene, istruzione, strade decenti, ecc.). In tutta franchezza, onorevole Ministro, il mio vicino di casa marocchino, che lavora in un cantiere, avrebbe più diritto lui di votare e di essere rappresentato che un italiano di Brooklyn che sfila al Columbus' day con la maschera di Pulcinella. E credo che Thomas Jefferson mi darebbe ragione. E credo che George Washington ci darebbe man forte. Non ci può essere Rappresentazione Senza Tassazione!
Onorevole Tremaglia, Lei è andato in parata a New York, e ha ribadito che gli americani sono nostri amici. In che senso nostri amici? Gli amici sono persone che rispettiamo e cerchiamo di comprendere.
Se Lei rispetta gli americani, cosa aspetta a chiedere scusa per averli combattuti mentre davano le loro vite per liberarci?
E come può comprendere gli americani chi si è creato un feudo elettorale extrastatale, una cosa mai vista al mondo, una circoscrizione di gente che ha il diritto di dire la sua sulla repubblica italiana senza pagare le tasse? Representation without Taxation? No, Onorevole ministro, mi creda, lei non ha capito nulla dell'America!
Per lei l'America è solo quel posto dove tutti sventolano i tricolori e suonano il mandolino per le strade, e poi si va a mangiare le trenette al pesto da Pino, all'incrocio con la Sesta Strada…
“E’ un altro trionfo di tricolori” ripeteva Tremaglia alle varie emittenti, anche americane, che approfittando delle varie soste, gli si avvicinavano, “ed io sono emozionantissimo nel vedere questo entusiasmo, questo amore per la Patria e per il Tricolore che proprio voi avete conservato con devozione. Sono istanti che porterò sempre nel cuore, perché questa è tutta la mia famiglia, tutta la mia vita”.
(Sarà. Io avevo pur letto da qualche parte che il ministro era sposato con Mrs. Italy…)
Dedicato a Massimo -- senza il quale questo post non avrebbe mai potuto... ecc.
lunedì 14 ottobre 2002
(Le mie guerre, 5):
Meglio la Wehrmacht?
Riassunto: Storia dei conflitti umanitari - e degli effetti collaterali sulla mia coscienza - dalla guerra del Golfo in poi. Siamo al Kossovo…
…A tutto, dicevo, c'è un limite: e io a certe cose non ero preparato. Per esempio:
– Non ero preparato all'uranio impoverito: non mi facevo illusioni sulla 'guerra umanitaria' , ma credevo che non avesse nulla a che vedere con la radioattività. Non ero preparato a sentire un graduato italiano dire che le troppe morti di leucemia dei nostri soldati erano imputabili, ehm, allo stress. Ma gli Onorevoli di destra o sinistra che hanno votato per mandare mille alpini in Afganistan ne hanno mai sentito parlare? O sperano semplicemente che il Karakorum si riveli "meno stressante" dei Balcani?
– Non ero preparato al pietismo degli organi d'informazione. La tv francese fa uso di melassa in quantità assai inferiore alla nostra, ma in quell'occasione si superò: del resto bisognava farci piangere per la sorte di un popolo mentre noi ne bombardavamo un altro…
Non sono ancora riuscito a scordarmi un reportage su una bimbetta zoppa, salvata e accudita in un ospedale di campo, inquadrata dal basso all'alto mentre pedala col solo piede che ha su una bici a rotelle. Pensavo: Ma noi occidentali, che stronzi siamo? Prima gli abbiamo venduto le mine per azzoppargli i bambini, poi abbiamo aspettato che arrivassero i miliziani serbi a bruciargli le case, infine siamo arrivati con il nostro uranio impoverito, le nostre biciclette a rotelle e le videocamere, per immortalare il nostro capolavoro umanitario. Ma se qualcuno facesse lo stesso a noi, come reagiremmo? Ringrazieremmo anche noi per le rotelle?
– Non ero preparato al cosiddetto "fallimento della missione Arcobaleno". Per la verità, anche se 'fallita', la missione ha reso un servizio importante. Ma il danno che la gestione degli aiuti ha arrecato all'immagine del volontariato italiano è incalcolabile. Oggi gli italiani si fidano molto meno del volontariato, a torto o a ragione. Ma perché un programma di aiuti così importante fu affidato a un cartello di associazioni non governative? Chi fu a sbagliare i calcoli? Fu il Volontariato, a causa di un'eccessiva fiducia nelle proprie risorse e nelle proprie capacità organizzative? O fu lo Stato troppo lesto a delegare ai 'professionisti del volontariato', dai quali ci si aspettava (ma perché?) una maggiore professionalità e… onestà? È in casi come questi che si rivela l'altra faccia della medaglia della Sussidiarietà: lo scaricabarile.
– Non ero preparato all'ennesimo bombardamento eterno. Pensavo: l'adriatico non è il Golfo, laggiù i caccia americani potevano fare la gara a tirare giù i minareti, ma qui è diverso, colpiranno qualche stabilimento e amen – Seee, come no. Tonnellate di tritolo, in perfetto stile yankee, senza neanche preoccuparsi di accertare se una camionetta carica miliziani o profughi. E siccome il perfido tiranno si nascondeva ogni notte in un covo diverso, la Nato si sentiva moralmente autorizzata a mollar bombe nei centri storici delle città, senza perder tempo a controllare sulle piantine, caso mai per sbaglio mettessero nel mirino l'ambasciata cinese. Perfino Attila usava più rispetto per la diplomazia.
Cosa c'è di umanitario in questi bombardamenti lunghi mesi, che fanno naturalmente più vittime tra i civili che tra i militari? Non era forse più 'umanitaria' la guerra-lampo della Wehrmacht, che consisteva nello sfondare le linee nemiche coi carri armati, finché c'era benzina (i veri orrori li facevano le SS nelle retrovie)?. Ma la Wehrmacht era l'esercito di un regime odioso che educava i cittadini a morire per la Patria, e poteva permettersi di lasciare qualche soldato morto sul campo. La Nato, invece, è l'espressione delle ricche democrazie occidentali, che si fondano sul consenso e sul benessere individuale. Per salvaguardare il nostro tenore di vita ci si può chiedere, talvolta, di combattere una guerra 'umanitaria': ma di lasciare dei morti sui campi di battaglia, eh no, questo no. È questo che ha reso le guerre della Nato molto, molto più cruente e incivili di quelle combattute dagli eserciti regolari dei regimi nazifascisti. Prima d'intervenire da terra, i potenti eserciti Nato devono essere sicuri che nessuno torcerà un capello ai nostri 'ragazzi' imbottiti e ipervitaminici, cosicché loro possano sorridere e salutare a casa, ciao mamma, qui è tutto tranquillo, ora che ci siamo noi.
La democrazia e il benessere rendono le guerre ancora più violente di quanto già non siano. Questo paradosso l'ho imparato nel 1999, e non sono più riuscito a liberarmene. Sì, perché non mi offre via d'uscita: io, infatti, credo nella democrazia e vivo nel benessere. Ho persino praticato l'obiezione di coscienza, e trovo naturalmente assurda l'idea di morire per la Patria. Bene, non è grazie a gente come me, cinica e disincantata, che la Nato è costretta a combattere le sue guerre a suon di tritolo per non sprecare uomini?
Sento già l'obiezione: chi ci obbliga a combattere le guerre della Nato? Possiamo perfino uscirne. Ma non è proprio grazie alla Nato che abbiamo potuto permetterci non solo cinquant'anni di pace, ma l'esercito da operetta che abbiamo? Perfino il nostro diritto di 'obiettare', di non andare a militare, di professarsi pacifisti, noi lo dobbiamo alla Nato, che ha presidiato i nostri avamposti per tutto questo tempo. E il giorno che volessimo "mandare a casa" la Nato (ammesso che sia possibile), questo non significherebbe forse dover ricominciare ad armarsi… seriamente? Siamo certi di volerlo fare?
Non preferiamo forse lasciare le cose così come stanno, pagando solo ogni tanto alla Nato un tributo di parà o d'alpini su questo o quel fronte esotico? Del resto, quando ne abbiamo avuto bisogno noi, la Nato ha risposto rapidamente, o ce lo siamo già scordati? Si trattava, ricordiamolo, di difenderci da due milioni di profughi cossovari. E cosa sono mille alpini, al confronto…
(continua)
Meglio la Wehrmacht?
Riassunto: Storia dei conflitti umanitari - e degli effetti collaterali sulla mia coscienza - dalla guerra del Golfo in poi. Siamo al Kossovo…
…A tutto, dicevo, c'è un limite: e io a certe cose non ero preparato. Per esempio:
– Non ero preparato all'uranio impoverito: non mi facevo illusioni sulla 'guerra umanitaria' , ma credevo che non avesse nulla a che vedere con la radioattività. Non ero preparato a sentire un graduato italiano dire che le troppe morti di leucemia dei nostri soldati erano imputabili, ehm, allo stress. Ma gli Onorevoli di destra o sinistra che hanno votato per mandare mille alpini in Afganistan ne hanno mai sentito parlare? O sperano semplicemente che il Karakorum si riveli "meno stressante" dei Balcani?
– Non ero preparato al pietismo degli organi d'informazione. La tv francese fa uso di melassa in quantità assai inferiore alla nostra, ma in quell'occasione si superò: del resto bisognava farci piangere per la sorte di un popolo mentre noi ne bombardavamo un altro…
Non sono ancora riuscito a scordarmi un reportage su una bimbetta zoppa, salvata e accudita in un ospedale di campo, inquadrata dal basso all'alto mentre pedala col solo piede che ha su una bici a rotelle. Pensavo: Ma noi occidentali, che stronzi siamo? Prima gli abbiamo venduto le mine per azzoppargli i bambini, poi abbiamo aspettato che arrivassero i miliziani serbi a bruciargli le case, infine siamo arrivati con il nostro uranio impoverito, le nostre biciclette a rotelle e le videocamere, per immortalare il nostro capolavoro umanitario. Ma se qualcuno facesse lo stesso a noi, come reagiremmo? Ringrazieremmo anche noi per le rotelle?
– Non ero preparato al cosiddetto "fallimento della missione Arcobaleno". Per la verità, anche se 'fallita', la missione ha reso un servizio importante. Ma il danno che la gestione degli aiuti ha arrecato all'immagine del volontariato italiano è incalcolabile. Oggi gli italiani si fidano molto meno del volontariato, a torto o a ragione. Ma perché un programma di aiuti così importante fu affidato a un cartello di associazioni non governative? Chi fu a sbagliare i calcoli? Fu il Volontariato, a causa di un'eccessiva fiducia nelle proprie risorse e nelle proprie capacità organizzative? O fu lo Stato troppo lesto a delegare ai 'professionisti del volontariato', dai quali ci si aspettava (ma perché?) una maggiore professionalità e… onestà? È in casi come questi che si rivela l'altra faccia della medaglia della Sussidiarietà: lo scaricabarile.
– Non ero preparato all'ennesimo bombardamento eterno. Pensavo: l'adriatico non è il Golfo, laggiù i caccia americani potevano fare la gara a tirare giù i minareti, ma qui è diverso, colpiranno qualche stabilimento e amen – Seee, come no. Tonnellate di tritolo, in perfetto stile yankee, senza neanche preoccuparsi di accertare se una camionetta carica miliziani o profughi. E siccome il perfido tiranno si nascondeva ogni notte in un covo diverso, la Nato si sentiva moralmente autorizzata a mollar bombe nei centri storici delle città, senza perder tempo a controllare sulle piantine, caso mai per sbaglio mettessero nel mirino l'ambasciata cinese. Perfino Attila usava più rispetto per la diplomazia.
Cosa c'è di umanitario in questi bombardamenti lunghi mesi, che fanno naturalmente più vittime tra i civili che tra i militari? Non era forse più 'umanitaria' la guerra-lampo della Wehrmacht, che consisteva nello sfondare le linee nemiche coi carri armati, finché c'era benzina (i veri orrori li facevano le SS nelle retrovie)?. Ma la Wehrmacht era l'esercito di un regime odioso che educava i cittadini a morire per la Patria, e poteva permettersi di lasciare qualche soldato morto sul campo. La Nato, invece, è l'espressione delle ricche democrazie occidentali, che si fondano sul consenso e sul benessere individuale. Per salvaguardare il nostro tenore di vita ci si può chiedere, talvolta, di combattere una guerra 'umanitaria': ma di lasciare dei morti sui campi di battaglia, eh no, questo no. È questo che ha reso le guerre della Nato molto, molto più cruente e incivili di quelle combattute dagli eserciti regolari dei regimi nazifascisti. Prima d'intervenire da terra, i potenti eserciti Nato devono essere sicuri che nessuno torcerà un capello ai nostri 'ragazzi' imbottiti e ipervitaminici, cosicché loro possano sorridere e salutare a casa, ciao mamma, qui è tutto tranquillo, ora che ci siamo noi.
La democrazia e il benessere rendono le guerre ancora più violente di quanto già non siano. Questo paradosso l'ho imparato nel 1999, e non sono più riuscito a liberarmene. Sì, perché non mi offre via d'uscita: io, infatti, credo nella democrazia e vivo nel benessere. Ho persino praticato l'obiezione di coscienza, e trovo naturalmente assurda l'idea di morire per la Patria. Bene, non è grazie a gente come me, cinica e disincantata, che la Nato è costretta a combattere le sue guerre a suon di tritolo per non sprecare uomini?
Sento già l'obiezione: chi ci obbliga a combattere le guerre della Nato? Possiamo perfino uscirne. Ma non è proprio grazie alla Nato che abbiamo potuto permetterci non solo cinquant'anni di pace, ma l'esercito da operetta che abbiamo? Perfino il nostro diritto di 'obiettare', di non andare a militare, di professarsi pacifisti, noi lo dobbiamo alla Nato, che ha presidiato i nostri avamposti per tutto questo tempo. E il giorno che volessimo "mandare a casa" la Nato (ammesso che sia possibile), questo non significherebbe forse dover ricominciare ad armarsi… seriamente? Siamo certi di volerlo fare?
Non preferiamo forse lasciare le cose così come stanno, pagando solo ogni tanto alla Nato un tributo di parà o d'alpini su questo o quel fronte esotico? Del resto, quando ne abbiamo avuto bisogno noi, la Nato ha risposto rapidamente, o ce lo siamo già scordati? Si trattava, ricordiamolo, di difenderci da due milioni di profughi cossovari. E cosa sono mille alpini, al confronto…
(continua)
venerdì 11 ottobre 2002
Oggi non era partita male, voglio dire, gli alunni erano un po' vivaci, ma partecipi.
Poi è entrato il bidello e mi ha detto, testuale: "Se senti degli urli, va' tu a vedere, ché io devo andare in sede".
Nel frattempo i ragazzi si erano messi a giocare ai nazisti, come a volte gli prende verso la quarta ora. Adriano si è incollato un quadratino di nastro adesivo sotto il naso e girava per i corridoi col passo dell'oca. Che bella occasione per una lezione di Storia (peccato che oggi dovevamo partire con gli antichi Romani). E poi cosa vuoi che sia, una cifra sulla lavagna, sei milioni di morti, capirai. Dov'è una vhs di Schindler's list quando serve?
Sono un po' preoccupato, perché ho letto su Diario che quella dell’insegnante è una professione a rischio di malattia fisica ma soprattutto mentale. Uhm. Fortuna che, da supplente, mi tocca un rischio di malattia mentale solo nove mesi l'anno (gli altri tre ho le normalissime angoscie da disoccupato).
Poi è entrato il bidello e mi ha detto, testuale: "Se senti degli urli, va' tu a vedere, ché io devo andare in sede".
Nel frattempo i ragazzi si erano messi a giocare ai nazisti, come a volte gli prende verso la quarta ora. Adriano si è incollato un quadratino di nastro adesivo sotto il naso e girava per i corridoi col passo dell'oca. Che bella occasione per una lezione di Storia (peccato che oggi dovevamo partire con gli antichi Romani). E poi cosa vuoi che sia, una cifra sulla lavagna, sei milioni di morti, capirai. Dov'è una vhs di Schindler's list quando serve?
Sono un po' preoccupato, perché ho letto su Diario che quella dell’insegnante è una professione a rischio di malattia fisica ma soprattutto mentale. Uhm. Fortuna che, da supplente, mi tocca un rischio di malattia mentale solo nove mesi l'anno (gli altri tre ho le normalissime angoscie da disoccupato).
mercoledì 9 ottobre 2002
"Fa' qualcosa per il tuo sito", mi dicono, "ci stiamo annoiando".
E che ci posso fare? Il blog non è che uno specchio, come dice Stendhal.blogspot.com, gli troviamo le rughe che abbiamo addosso noi. Lo so che non sono divertente: d'altronde, coi tempi che corrono – guerre, scioperi, rincari… potrei per una volta tirar fuori Berlusconi.
Impariamo l'Inglese con Silvio
Funziona sempre, Berlusconi. Vediamo, cos'ha fatto oggi? Ecco: Mike Bongiorno senatore a vita. Roba che neanche Caligola. Dico, ma avessi anche solo un decimo della sua fantasia, qui ci si divertirebbe tutti i giorni.
Non si erano ancora spenti gli echi della battutaccia su Cacciari – a proposito, l'altro giorno su Radio 24 Santalmassi ha fatto sentire il sonoro, e il dito mi è scivolato sul pulsante Rec. Ora, quello che Silvio ha detto in italiano già lo sapete dai giornali: il premier danese è più bello di Cacciari, mia moglie è una povera donna, ecc…
Io invece vi invito a concentrarvi sulle due frasette in inglese che Berlusconi bisbiglia direttamente al collega danese. Le potete ascoltare qui (accompagnate da una risata agghiacciante):
"povera donna, eh eh eh eh eh…
You don't know the history
I explain after"
Un inglese piuttosto approssimativo, da parte di un presidente-imprenditore, il cui senso comunque è chiaro: ehi, amico danese, tu non sai di cosa sto parlando e perché ti rido in faccia, "non sai la storia", te la racconto dopo con calma. Spicca, in questo gergo da vacanza studio a Brighton, l'uso di una parola un po' più ricercata: "history".
History?
Ho controllato sul Ragazzini. Ho dato un'occhiata al Longmann: niente da fare. I significati di "History" sono tre
1: (the study of) events in the past, "lo studio di eventi del passato"
2: a (written) account of history, per esempio la "Storia d'Italia" di Montanelli è una "History"
3: e poi c'è il mio significato preferito, quello dei dialoghi d'azione: "you'll be history" non significa "passare alla storia", ma essere spacciato, finito, sottoterra. "Next time you'll be history", said the gangster…
Nessuno dei tre, purtroppo, ha a che vedere con quello che intendeva Berlusconi. Lui voleva soltanto dire al povero scandinavo: sta tranquillo, se ti rido in faccia c'è un motivo, c'è una storiella divertente, poi te la racconto. Beh, bastava dire "story". Era anche più facile! Perfino alle elementari sanno dire "story"! Perché è andato a scovare per forza la parola più difficile?
Questo è il classico errore da parvenu (in gergo nostro si dice "ipercorrettivismo"). Dovendo parlare in una lingua che non sa, Berlusconi ha paura di sembrare ignorante. Sceglie perciò le parole più diverse da quelle italiane: incerto tra "story" e "history" sceglie senza dubbio la seconda, non perché sappia cosa vuol dire, ma perché suona 'meno italiana' dell'altra.
Il risultato è che Rasmussen, probabilmente già piuttosto allibito, si è sentito dire da un Berlusconi sghignazzante le seguenti parole (traduzione letterale):
"ahahahahahah
tu non conosci la Storia
io spiegare poi".
Dove Storia è inequivocabilmente quella con la S maiuscola ("events in the past"), che dai Sumeri fino al Novecento, passando per Greci, antichi Romani, guerra dei Trent'anni, rivoluzione francese, un paio di guerre mondiali, tutte cose che magari Rasmussen credeva di aver imparato. Immaginiamoci cosa deve aver pensato in quel momento: ma come, tutte quelle notti insonni sui libri di scuola, tutte quelle vigilie di interrogazioni al lume della speranza di diventare un giorno il premier danese, tutta quella fatica per arrivare un giorno in Italia a farsi ridere in faccia da un nanetto che non sa l'inglese… "Tu non conosci Storia, io dopo spiega te" Gesù, ma come parla questo, mi prende in giro? Solo perché ho il torto di essere un bel ragazzo? E perché tutti ridono qui intorno? Cosa ci trovano di divertente?
Vorrei tranquillizzare Rasmussen: noi non ridiamo delle battute di Berlusconi: ridiamo di lui. Come Berlusconi ben sa, del resto. E il giorno dopo non c'è divisione della sinistra che tenga: la battutaccia di Berlusconi va nel titolo di prima pagina anche su "Libero". Coi tempi che corrono, tagli, licenziamenti, arruolamenti, quell'uomo se le inventa tutte per distrarci. È una risorsa nazionale – l'ultima che ci resta, ahimé. Senza di lui, di cosa rideremmo? Saremmo spacciati, sottoterra, una triste "history" che nessuno conosce, e nessuno vuole sentirsi raccontare.
E che ci posso fare? Il blog non è che uno specchio, come dice Stendhal.blogspot.com, gli troviamo le rughe che abbiamo addosso noi. Lo so che non sono divertente: d'altronde, coi tempi che corrono – guerre, scioperi, rincari… potrei per una volta tirar fuori Berlusconi.
Impariamo l'Inglese con Silvio
Funziona sempre, Berlusconi. Vediamo, cos'ha fatto oggi? Ecco: Mike Bongiorno senatore a vita. Roba che neanche Caligola. Dico, ma avessi anche solo un decimo della sua fantasia, qui ci si divertirebbe tutti i giorni.
Non si erano ancora spenti gli echi della battutaccia su Cacciari – a proposito, l'altro giorno su Radio 24 Santalmassi ha fatto sentire il sonoro, e il dito mi è scivolato sul pulsante Rec. Ora, quello che Silvio ha detto in italiano già lo sapete dai giornali: il premier danese è più bello di Cacciari, mia moglie è una povera donna, ecc…
Io invece vi invito a concentrarvi sulle due frasette in inglese che Berlusconi bisbiglia direttamente al collega danese. Le potete ascoltare qui (accompagnate da una risata agghiacciante):
"povera donna, eh eh eh eh eh…
You don't know the history
I explain after"
Un inglese piuttosto approssimativo, da parte di un presidente-imprenditore, il cui senso comunque è chiaro: ehi, amico danese, tu non sai di cosa sto parlando e perché ti rido in faccia, "non sai la storia", te la racconto dopo con calma. Spicca, in questo gergo da vacanza studio a Brighton, l'uso di una parola un po' più ricercata: "history".
History?
Ho controllato sul Ragazzini. Ho dato un'occhiata al Longmann: niente da fare. I significati di "History" sono tre
1: (the study of) events in the past, "lo studio di eventi del passato"
2: a (written) account of history, per esempio la "Storia d'Italia" di Montanelli è una "History"
3: e poi c'è il mio significato preferito, quello dei dialoghi d'azione: "you'll be history" non significa "passare alla storia", ma essere spacciato, finito, sottoterra. "Next time you'll be history", said the gangster…
Nessuno dei tre, purtroppo, ha a che vedere con quello che intendeva Berlusconi. Lui voleva soltanto dire al povero scandinavo: sta tranquillo, se ti rido in faccia c'è un motivo, c'è una storiella divertente, poi te la racconto. Beh, bastava dire "story". Era anche più facile! Perfino alle elementari sanno dire "story"! Perché è andato a scovare per forza la parola più difficile?
Questo è il classico errore da parvenu (in gergo nostro si dice "ipercorrettivismo"). Dovendo parlare in una lingua che non sa, Berlusconi ha paura di sembrare ignorante. Sceglie perciò le parole più diverse da quelle italiane: incerto tra "story" e "history" sceglie senza dubbio la seconda, non perché sappia cosa vuol dire, ma perché suona 'meno italiana' dell'altra.
Il risultato è che Rasmussen, probabilmente già piuttosto allibito, si è sentito dire da un Berlusconi sghignazzante le seguenti parole (traduzione letterale):
"ahahahahahah
tu non conosci la Storia
io spiegare poi".
Dove Storia è inequivocabilmente quella con la S maiuscola ("events in the past"), che dai Sumeri fino al Novecento, passando per Greci, antichi Romani, guerra dei Trent'anni, rivoluzione francese, un paio di guerre mondiali, tutte cose che magari Rasmussen credeva di aver imparato. Immaginiamoci cosa deve aver pensato in quel momento: ma come, tutte quelle notti insonni sui libri di scuola, tutte quelle vigilie di interrogazioni al lume della speranza di diventare un giorno il premier danese, tutta quella fatica per arrivare un giorno in Italia a farsi ridere in faccia da un nanetto che non sa l'inglese… "Tu non conosci Storia, io dopo spiega te" Gesù, ma come parla questo, mi prende in giro? Solo perché ho il torto di essere un bel ragazzo? E perché tutti ridono qui intorno? Cosa ci trovano di divertente?
Vorrei tranquillizzare Rasmussen: noi non ridiamo delle battute di Berlusconi: ridiamo di lui. Come Berlusconi ben sa, del resto. E il giorno dopo non c'è divisione della sinistra che tenga: la battutaccia di Berlusconi va nel titolo di prima pagina anche su "Libero". Coi tempi che corrono, tagli, licenziamenti, arruolamenti, quell'uomo se le inventa tutte per distrarci. È una risorsa nazionale – l'ultima che ci resta, ahimé. Senza di lui, di cosa rideremmo? Saremmo spacciati, sottoterra, una triste "history" che nessuno conosce, e nessuno vuole sentirsi raccontare.
domenica 6 ottobre 2002
(Le mie guerre, 4):
Che altro fare, se non bombardare i balcani?
Riassunto delle puntate precedenti: sto riassumendo gli ultimi dieci anni di guerre combattute dall'Italia dal mio punto di vista di pacifista dubbioso e obiettore di convenienza. Ne sentivate il bisogno? No? Tenete duro.
1999
L'anno dopo ci fu la guerra del Kossovo, che tutti si ricordano benissimo. Chi non ha preso posizione, durante la guerra del Kossovo? Chi non ha avuto dei dubbi? Chi non ha mandato aiuti? Persino la famosa "divisione della sinistra italiana", di cui si chiacchiera tuttora molto, si è completata in quell'occasione.
Ancora oggi la "gente di sinistra" è divisa in due frange inconciliabili. La prima frangia rinfaccia alla seconda di aver fatto cadere Prodi nel '98; la seconda accusa l'altra di aver bombardato Belgrado e il Kossovo con l'uranio impoverito. Sono accuse molto forti, che non si possono dimenticare alla prima scampagnata o girotondo che si organizza assieme: sono divisioni vere, che non consentono mediazioni. Bombardare Belgrado era o giusto o sbagliato. Nessuno, infatti, credeva più alle "operazioni chirurgiche" mediante Cruise (ma del resto nessuno ancora immaginava che gli eserciti umanitari facessero tranquillamente uso di armi radioattive). Si trattava, più che mai, di scegliere "da che parte stare".
Io, nel '99, non avevo nessuna intenzione di scegliere. Per prima cosa, mi sentivo molto cinico. Credevo fosse l'età, invece era il governo. La gente come me tende a diventare cinica durante i governi di centrosinistra. Leggi il giornale, il mondo non ti piace, fai una smorfia e pensi che con Berlusconi sarebbe persino peggio. Una cosa molto avvilente, specie quando D'Alema cominciò a farsi vedere a cantare nelle trasmissioni di Morandi.
E poi, per una volta in vita mia, non ero in Italia. Stavo in Francia, ed è bello pensare come possa cambiare il punto di vista variando appena di qualche meridiano. Anche la Francia è un membro della Nato, ma meno deferente. Si partecipa a una guerra se si pensa che è giusta, non solo per fare piacere agli amici americani. E se in Italia lo schieramento pro-contro la guerra era il solito (Rifondazione contro tutti, più o meno), in Francia la situazione era più sfumata.
A chiedere di non intervenire in Kossovo, per esempio, era un Charles Pasqua, nazionalista antieuropeo che da Ministro degli Interni aveva fatto menare un sacco di studenti e immigrati. Mentre a credere senza ironia nell'"intervento umanitario" erano personaggi al di sopra di ogni sospetto come Kouchner, che veniva dall'esperienza dei Medecins sans Frontières, o Cohn-Bendit, il verde tedesco-francese che ho rivisto a La7 sbugiardare Ferrara in un buon italiano, forse l'unico sessantottardo al mondo che mi stia simpatico.
Ma la vera differenza tra Francia e Italia era un'altra: l'idea dell'"albanese". I francesi hanno un sacco di immigrati da tutto il mondo (e, non nego, un sacco di problemi). Ma gli albanesi, non sanno ancora bene cosa siano. La maggior parte di loro faticherebbe a indicare l'Albania sulla cartina – esattamente come qualsiasi italiano, fino al 1991 e ai primi sbarchi. In dieci anni l'italiano medio ha sviluppato una vera fobia per questo tipo di straniero, che è il più straniero di tutti, forse perché è anche il più simile a noi, e il più vicino.
Ora, l'Italia del 1999 andò alla guerra del Kossovo con una cattiva coscienza. Bisognava evitare lo sterminio dei kossovari, si diceva. Può darsi che effettivamente Milosevic stesse pensando alla pulizia etnica, non so (la storia giudicherà). Ma più probabilmente stava pensando a espellerli, con le buone o le cattive. Dietro lo spauracchio delle fosse comuni, noi italiani avevamo soprattutto paura di altri due milioni di albanesi profughi sulle nostre coste. E la guerra del Kossovo è stata fatta soprattutto per questo. Non per il petrolio, che non c'era. Non per un gasdotto, come in Afganistan. Nemmeno per mettere in imbarazzo l'Onu e l'Unione Europea, dimostrandole la sua impotenza di fonte alla Nato (che comunque fu un effetto collaterale coerentemente perseguito dall'amministrazione USA). No. La guerra del Kossovo non è stata che l'episodio più cruento di quella guerra che si combatte da un decennio nell'Adriatico, a suon di gommoni e bagnarole affondate dalla guardia di finanza: la guerra dell'Italia contro gli immigrati. È una guerra che ha visto centrosinistra e centrodestra alleati, senza fratture. Il minimo che potessero fare era votare compatti per fare dell'Italia la portaerea dei bombardieri NATO diretti a Belgrado.
Dal mio divano francese tutto questo si vedeva molto bene. I cronisti insistevano con candore disarmante sulla necessità di "assistere i cossovari nel loro territorio": l'essenziale, insomma, era che non cercassero di evadere dal loro pezzetto di Balcani, a costo di trasformarlo in una riserva indiana (sloggiando la minoranza serba). Milosevic, un tempo vezzeggiato dai diplomatici occidentali, era diventato il responsabile di un decennio di guerre e massacri. La guerra del Kossovo ebbe anche questa funzione, di sgravare la nostra coscienza di occidentali dagli orrori del conflitto jugoslavo. Ecco che finalmente la Nato interveniva, castigava i cattivi e difendeva i buoni. Un po' in ritardo, d'accordo, ma tra un decennio chi avrebbe notato la differenza? Chi la nota, oggi?
Tutto questo era molto chiaro; eppure io non mi trovavo a mio agio nelle dichiarazioni pacifiste che trovavo sui giornali o su internet: mi sentivo cinico, disincantato, forse non avrei nemmeno partecipato a una marcia, se qualcuno l'avesse organizzata. Tutto questo litigare dei miei amici lontani sulle mail, faticavo a capirlo: è davvero così necessario prendere una posizione?, chiedevo. La guerra comunque si farà, che noi siamo contrari o no.
Non ce l'avevo con Bertinotti: lui chiedeva, coerentemente, l'uscita dell'Italia dalla Nato. Era una richiesta realistica? No. Rifondazione non aveva più nulla a che fare con la realtà, almeno dall'autunno dell'anno prima, quando si era chiamata fuori dal governo (mandando a casa Prodi). Rimaneva un partito marginale, occupato a conservare la sua percentuale di consensi, garantendo ai suoi sostenitori un'identità forte, al di sopra dei compromessi. Il suo pacifismo era una bandiera che si poteva sventolare tanto più forte quanto si era sicuri che non avrebbe avuto nessuna conseguenza pratica. Del resto molta gente che si lamentava dell'intervento Nato era la stessa che tre, quattro anni prima aveva accusato l'Occidente di "assistere immobile" alla tragedia dei Balcani…
E infine, mi bloccava quello che chiamerò l'"argomento-brunovespa": Che altro dovremmo fare? D'accordo, siamo dei figli di puttana che piuttosto di ospitare un albanese in più preferiscono rovesciare tonnellate di tritolo su tutta la Serbia. D'accordo, Clinton aveva bisogno di una campagna militare per far dimenticare al mondo la sua stagista: ma Che altro dovevamo fare? Milosevic stava pur sempre massacrando degli innocenti. Se non avessimo fatto nulla, i pacifisti si sarebbero lamentati comunque, della nostra negligenza. Tanto valeva intervenire, no? Coi bombardamenti? Sì, coi bombardamenti. Con cosa, sennò? Paracadutando delle infermiere o dei videoreporter? No, meglio farla finita in fretta.
Ero molto cinico, nel 1999, come si vede. Però a tutto c'è un limite…
Che altro fare, se non bombardare i balcani?
Riassunto delle puntate precedenti: sto riassumendo gli ultimi dieci anni di guerre combattute dall'Italia dal mio punto di vista di pacifista dubbioso e obiettore di convenienza. Ne sentivate il bisogno? No? Tenete duro.
1999
L'anno dopo ci fu la guerra del Kossovo, che tutti si ricordano benissimo. Chi non ha preso posizione, durante la guerra del Kossovo? Chi non ha avuto dei dubbi? Chi non ha mandato aiuti? Persino la famosa "divisione della sinistra italiana", di cui si chiacchiera tuttora molto, si è completata in quell'occasione.
Ancora oggi la "gente di sinistra" è divisa in due frange inconciliabili. La prima frangia rinfaccia alla seconda di aver fatto cadere Prodi nel '98; la seconda accusa l'altra di aver bombardato Belgrado e il Kossovo con l'uranio impoverito. Sono accuse molto forti, che non si possono dimenticare alla prima scampagnata o girotondo che si organizza assieme: sono divisioni vere, che non consentono mediazioni. Bombardare Belgrado era o giusto o sbagliato. Nessuno, infatti, credeva più alle "operazioni chirurgiche" mediante Cruise (ma del resto nessuno ancora immaginava che gli eserciti umanitari facessero tranquillamente uso di armi radioattive). Si trattava, più che mai, di scegliere "da che parte stare".
Io, nel '99, non avevo nessuna intenzione di scegliere. Per prima cosa, mi sentivo molto cinico. Credevo fosse l'età, invece era il governo. La gente come me tende a diventare cinica durante i governi di centrosinistra. Leggi il giornale, il mondo non ti piace, fai una smorfia e pensi che con Berlusconi sarebbe persino peggio. Una cosa molto avvilente, specie quando D'Alema cominciò a farsi vedere a cantare nelle trasmissioni di Morandi.
E poi, per una volta in vita mia, non ero in Italia. Stavo in Francia, ed è bello pensare come possa cambiare il punto di vista variando appena di qualche meridiano. Anche la Francia è un membro della Nato, ma meno deferente. Si partecipa a una guerra se si pensa che è giusta, non solo per fare piacere agli amici americani. E se in Italia lo schieramento pro-contro la guerra era il solito (Rifondazione contro tutti, più o meno), in Francia la situazione era più sfumata.
A chiedere di non intervenire in Kossovo, per esempio, era un Charles Pasqua, nazionalista antieuropeo che da Ministro degli Interni aveva fatto menare un sacco di studenti e immigrati. Mentre a credere senza ironia nell'"intervento umanitario" erano personaggi al di sopra di ogni sospetto come Kouchner, che veniva dall'esperienza dei Medecins sans Frontières, o Cohn-Bendit, il verde tedesco-francese che ho rivisto a La7 sbugiardare Ferrara in un buon italiano, forse l'unico sessantottardo al mondo che mi stia simpatico.
Ma la vera differenza tra Francia e Italia era un'altra: l'idea dell'"albanese". I francesi hanno un sacco di immigrati da tutto il mondo (e, non nego, un sacco di problemi). Ma gli albanesi, non sanno ancora bene cosa siano. La maggior parte di loro faticherebbe a indicare l'Albania sulla cartina – esattamente come qualsiasi italiano, fino al 1991 e ai primi sbarchi. In dieci anni l'italiano medio ha sviluppato una vera fobia per questo tipo di straniero, che è il più straniero di tutti, forse perché è anche il più simile a noi, e il più vicino.
Ora, l'Italia del 1999 andò alla guerra del Kossovo con una cattiva coscienza. Bisognava evitare lo sterminio dei kossovari, si diceva. Può darsi che effettivamente Milosevic stesse pensando alla pulizia etnica, non so (la storia giudicherà). Ma più probabilmente stava pensando a espellerli, con le buone o le cattive. Dietro lo spauracchio delle fosse comuni, noi italiani avevamo soprattutto paura di altri due milioni di albanesi profughi sulle nostre coste. E la guerra del Kossovo è stata fatta soprattutto per questo. Non per il petrolio, che non c'era. Non per un gasdotto, come in Afganistan. Nemmeno per mettere in imbarazzo l'Onu e l'Unione Europea, dimostrandole la sua impotenza di fonte alla Nato (che comunque fu un effetto collaterale coerentemente perseguito dall'amministrazione USA). No. La guerra del Kossovo non è stata che l'episodio più cruento di quella guerra che si combatte da un decennio nell'Adriatico, a suon di gommoni e bagnarole affondate dalla guardia di finanza: la guerra dell'Italia contro gli immigrati. È una guerra che ha visto centrosinistra e centrodestra alleati, senza fratture. Il minimo che potessero fare era votare compatti per fare dell'Italia la portaerea dei bombardieri NATO diretti a Belgrado.
Dal mio divano francese tutto questo si vedeva molto bene. I cronisti insistevano con candore disarmante sulla necessità di "assistere i cossovari nel loro territorio": l'essenziale, insomma, era che non cercassero di evadere dal loro pezzetto di Balcani, a costo di trasformarlo in una riserva indiana (sloggiando la minoranza serba). Milosevic, un tempo vezzeggiato dai diplomatici occidentali, era diventato il responsabile di un decennio di guerre e massacri. La guerra del Kossovo ebbe anche questa funzione, di sgravare la nostra coscienza di occidentali dagli orrori del conflitto jugoslavo. Ecco che finalmente la Nato interveniva, castigava i cattivi e difendeva i buoni. Un po' in ritardo, d'accordo, ma tra un decennio chi avrebbe notato la differenza? Chi la nota, oggi?
Tutto questo era molto chiaro; eppure io non mi trovavo a mio agio nelle dichiarazioni pacifiste che trovavo sui giornali o su internet: mi sentivo cinico, disincantato, forse non avrei nemmeno partecipato a una marcia, se qualcuno l'avesse organizzata. Tutto questo litigare dei miei amici lontani sulle mail, faticavo a capirlo: è davvero così necessario prendere una posizione?, chiedevo. La guerra comunque si farà, che noi siamo contrari o no.
Non ce l'avevo con Bertinotti: lui chiedeva, coerentemente, l'uscita dell'Italia dalla Nato. Era una richiesta realistica? No. Rifondazione non aveva più nulla a che fare con la realtà, almeno dall'autunno dell'anno prima, quando si era chiamata fuori dal governo (mandando a casa Prodi). Rimaneva un partito marginale, occupato a conservare la sua percentuale di consensi, garantendo ai suoi sostenitori un'identità forte, al di sopra dei compromessi. Il suo pacifismo era una bandiera che si poteva sventolare tanto più forte quanto si era sicuri che non avrebbe avuto nessuna conseguenza pratica. Del resto molta gente che si lamentava dell'intervento Nato era la stessa che tre, quattro anni prima aveva accusato l'Occidente di "assistere immobile" alla tragedia dei Balcani…
E infine, mi bloccava quello che chiamerò l'"argomento-brunovespa": Che altro dovremmo fare? D'accordo, siamo dei figli di puttana che piuttosto di ospitare un albanese in più preferiscono rovesciare tonnellate di tritolo su tutta la Serbia. D'accordo, Clinton aveva bisogno di una campagna militare per far dimenticare al mondo la sua stagista: ma Che altro dovevamo fare? Milosevic stava pur sempre massacrando degli innocenti. Se non avessimo fatto nulla, i pacifisti si sarebbero lamentati comunque, della nostra negligenza. Tanto valeva intervenire, no? Coi bombardamenti? Sì, coi bombardamenti. Con cosa, sennò? Paracadutando delle infermiere o dei videoreporter? No, meglio farla finita in fretta.
Ero molto cinico, nel 1999, come si vede. Però a tutto c'è un limite…
giovedì 3 ottobre 2002
Nel mio quarto d'ora
Ripensandoci, forse sto prendendo la cosa un po' sottogamba.
Voglio dire, io chi sono? Un tale che fa il supplente a Modena. Va bene. Però è la seconda volta in pochi mesi che vengo intervistato da una rivista a diffusione nazionale, per questo fatto piuttosto banale che ho un sito internet e lo aggiorno di tanto in tanto.
Ok, non devo tirarmela, ma nemmeno far finta di niente. È una cosa su cui ragionare. Va bene, sarà il mio fatidico quarto d'ora: avrei preferito che mi capitasse quando suonavo in una band o quando mandavo racconti ai concorsi, invece è successo adesso, il successo. Passerà presto – credo che tra quattro o cinque anni sarà difficile spiegare alla gente cosa ci fosse di così interessante nel fatto che avevo un blog. (E forse anche quattro o cinque anni fa sarebbe stato ugualmente difficile).
In un futuro prossimo avremo tutti un blog o due – il posto dove scriviamo ad amici e colleghi di lavoro. Il blog diventerà il modo in cui fruiamo di Internet. Sarà molto importante averne uno curato, come la macchina di rappresentanza. (Mi è piaciuta la definizione di blogger come "sistema chiavi in mano")
E in un futuro meno prossimo, forse, non fruiremo più di Internet: questa rete oggi ancora così smagliante, ci sembrerà un giocattolino vecchio, tipo il televideo. Ci saranno altre reti, altre connessioni, forse la parola scritta resterà importante, forse no (e io sarò fregato). Avremo qualche nostalgia, ma in generale ci adegueremo con gioia, perché i giocattoli nuovi sono sempre più divertenti (e sì, i vinile erano bellissimi, ma adesso ascoltiamo tutti i cd).
Oppure mancheranno le risorse energetiche necessarie e i miei nipotini per passare il tempo rovisteranno tra le mie vecchie riviste.
"In questa c'è la mia foto, vedi?"
"Sei questo, nonno? Che ganzo!"
"Ma no, sciocchino, questo era Argazzi. Io sono quello in fondo, nella foto piccola, vedi?"
"Sei stato in posa molto per farla?"
"Nooo… a quei tempi c'erano macchine digitali che… bastava un click ed era fatta".
"Ma dai, nonno".
"Ma sì, ti dico".
"Ma perché c'è la tua foto? Eri famoso?"
"No, ma avevo un sito internet che aggiornavo periodicamente, e per questo mi avevano fatto un'intervista".
"Era molto difficile avere un sito?"
"No, era facilissimo. Bastava andare su internet e…"
"Ma costava molti soldi?"
"No, era gratis".
"E allora cosa c'era di strano?"
"Non c'era niente di strano, ma in Italia ce n'erano ancora pochi".
"E dopo ce ne sono stati di più?"
"Sì, dopo tutti ne hanno aperto uno".
"E cosa ci scrivevano".
"Tutto quello che volevano".
"E non potevano scriverlo su un quaderno?"
"Ma così tutti gli altri potevano leggere, in tutto il mondo".
"A te ti leggevano in tutto il mondo, nonno?"
"Noooo, solo un po' di gente, all'inizio":
"Perché? Dopo cos'è successo?"
"Dopo… dopo tutti si sono messi a scrivere e nessuno ha avuto più il tempo per leggere gli altri".
"E dopo?"
"E dopo lo sai: c'è stata la crisi energetica e la luce di una lampadina è iniziata a costare un euro all'ora, così la gente ha smesso di accendere i computer".
"Prima quanto costava?"
"Ehm… non lo so. Nessuno lo sapeva. Molto meno, comunque".
"Ma se la gente avesse scritto sui quaderni?"
"Eh?"
"Se la gente avesse scritto sui quaderni, forse avrebbe consumato meno energia e non ci sarebbe stata la crisi e adesso anche noi potremmo avere un computer e accenderlo".
"Ma no, sciocco… se la gente avesse usato i quaderni, ci sarebbe voluta tutta la foresta amazzonica e adesso non avremmo più aria da respirare".
"Ah già".
"Questo mi fa venire in mente che il carbonaio non si è fatto ancora vivo, oggi".
"Sì, mi hanno detto in paese che si è slogato il mulo, così forse non ce la fa ad arrivare".
"Bella. E noi come facciamo? Ieri notte eravamo sotto zero. Cosa bruciamo?"
"Le tue riviste, nonno".
"Ah, era per quello che frugavi".
"Sì".
Conservate con cura il numero di ottobre 2002 di Internet News. Il dossier è molto bello. E non si sa mai che un domani – non si sa mai.
Ripensandoci, forse sto prendendo la cosa un po' sottogamba.
Voglio dire, io chi sono? Un tale che fa il supplente a Modena. Va bene. Però è la seconda volta in pochi mesi che vengo intervistato da una rivista a diffusione nazionale, per questo fatto piuttosto banale che ho un sito internet e lo aggiorno di tanto in tanto.
Ok, non devo tirarmela, ma nemmeno far finta di niente. È una cosa su cui ragionare. Va bene, sarà il mio fatidico quarto d'ora: avrei preferito che mi capitasse quando suonavo in una band o quando mandavo racconti ai concorsi, invece è successo adesso, il successo. Passerà presto – credo che tra quattro o cinque anni sarà difficile spiegare alla gente cosa ci fosse di così interessante nel fatto che avevo un blog. (E forse anche quattro o cinque anni fa sarebbe stato ugualmente difficile).
In un futuro prossimo avremo tutti un blog o due – il posto dove scriviamo ad amici e colleghi di lavoro. Il blog diventerà il modo in cui fruiamo di Internet. Sarà molto importante averne uno curato, come la macchina di rappresentanza. (Mi è piaciuta la definizione di blogger come "sistema chiavi in mano")
E in un futuro meno prossimo, forse, non fruiremo più di Internet: questa rete oggi ancora così smagliante, ci sembrerà un giocattolino vecchio, tipo il televideo. Ci saranno altre reti, altre connessioni, forse la parola scritta resterà importante, forse no (e io sarò fregato). Avremo qualche nostalgia, ma in generale ci adegueremo con gioia, perché i giocattoli nuovi sono sempre più divertenti (e sì, i vinile erano bellissimi, ma adesso ascoltiamo tutti i cd).
Oppure mancheranno le risorse energetiche necessarie e i miei nipotini per passare il tempo rovisteranno tra le mie vecchie riviste.
"In questa c'è la mia foto, vedi?"
"Sei questo, nonno? Che ganzo!"
"Ma no, sciocchino, questo era Argazzi. Io sono quello in fondo, nella foto piccola, vedi?"
"Sei stato in posa molto per farla?"
"Nooo… a quei tempi c'erano macchine digitali che… bastava un click ed era fatta".
"Ma dai, nonno".
"Ma sì, ti dico".
"Ma perché c'è la tua foto? Eri famoso?"
"No, ma avevo un sito internet che aggiornavo periodicamente, e per questo mi avevano fatto un'intervista".
"Era molto difficile avere un sito?"
"No, era facilissimo. Bastava andare su internet e…"
"Ma costava molti soldi?"
"No, era gratis".
"E allora cosa c'era di strano?"
"Non c'era niente di strano, ma in Italia ce n'erano ancora pochi".
"E dopo ce ne sono stati di più?"
"Sì, dopo tutti ne hanno aperto uno".
"E cosa ci scrivevano".
"Tutto quello che volevano".
"E non potevano scriverlo su un quaderno?"
"Ma così tutti gli altri potevano leggere, in tutto il mondo".
"A te ti leggevano in tutto il mondo, nonno?"
"Noooo, solo un po' di gente, all'inizio":
"Perché? Dopo cos'è successo?"
"Dopo… dopo tutti si sono messi a scrivere e nessuno ha avuto più il tempo per leggere gli altri".
"E dopo?"
"E dopo lo sai: c'è stata la crisi energetica e la luce di una lampadina è iniziata a costare un euro all'ora, così la gente ha smesso di accendere i computer".
"Prima quanto costava?"
"Ehm… non lo so. Nessuno lo sapeva. Molto meno, comunque".
"Ma se la gente avesse scritto sui quaderni?"
"Eh?"
"Se la gente avesse scritto sui quaderni, forse avrebbe consumato meno energia e non ci sarebbe stata la crisi e adesso anche noi potremmo avere un computer e accenderlo".
"Ma no, sciocco… se la gente avesse usato i quaderni, ci sarebbe voluta tutta la foresta amazzonica e adesso non avremmo più aria da respirare".
"Ah già".
"Questo mi fa venire in mente che il carbonaio non si è fatto ancora vivo, oggi".
"Sì, mi hanno detto in paese che si è slogato il mulo, così forse non ce la fa ad arrivare".
"Bella. E noi come facciamo? Ieri notte eravamo sotto zero. Cosa bruciamo?"
"Le tue riviste, nonno".
"Ah, era per quello che frugavi".
"Sì".
Conservate con cura il numero di ottobre 2002 di Internet News. Il dossier è molto bello. E non si sa mai che un domani – non si sa mai.
mercoledì 2 ottobre 2002
Solo qualche riga per dirvi che nel numero in edicola di Internet News trovate un polposo dossier sui blog, con tanto di articolo firmato da Antonio-autorità-in-materia Cavedoni, e interviste ad alcuni bloggatori italiani, tra i quali anche me, toh. (Un grazie di tutto cuore ad Antonio, secondo me è lui che mi coinvolge sempre).
C'è anche una mia foto, molto piccola. Me l'hanno chiesta e io, per qualche secondo, ho considerato l'eventualità di tirarmela. Ma poi mi sono detto: ehi, chi ti credi, Wu Ming? È una foto molto piccola. Non credo che diventerò un feticcio per questo. Si vede subito che non ho il fisico adatto.
Chiedo subito perdono ai blog che non ho citato nell'intervista. È difficile citarli tutti. E comunque non crediate che ne valga la pena, che vi s'impenni il contatore perché siete stati citati su Internet News. Io, per esempio, da una settimana in qua (da quando è uscito Internet News) sono in flessione di accessi. Oh, certo, ancora qualche "c u l o" e qualche "b i n l a d e n" e tornerò in vetta.
Il dossier mi sembra molto bello, ma dopo aver comprato la rivista l'ho lasciata in casa a Modena e non sono più tornato, anche perché la mia chiave del portone si è deformata nella toppa e non riesco ad entrare. Per cui non posso dare un giudizio (che sarebbe ovviamente positivo), né, per ora, scansionare le pagine e mandarle su a Bristol dove adesso studia il nostro esperto.
E se vi sembra una scusa stupida, pensate che è la stessa che userò domani se la padrona di casa domanderà dell'affitto di settembre.
Un saluto a Franco: è netta la sensazione che noi modenesi, domenica, avremmo potuto essere più ospitali. C'è presa invece questa mania di vincere le partite... ma passerà, passerà.
E come qualcuno ha già detto, ribadisco anch'io: adesso vogliamo l'a-utunno!
C'è anche una mia foto, molto piccola. Me l'hanno chiesta e io, per qualche secondo, ho considerato l'eventualità di tirarmela. Ma poi mi sono detto: ehi, chi ti credi, Wu Ming? È una foto molto piccola. Non credo che diventerò un feticcio per questo. Si vede subito che non ho il fisico adatto.
Chiedo subito perdono ai blog che non ho citato nell'intervista. È difficile citarli tutti. E comunque non crediate che ne valga la pena, che vi s'impenni il contatore perché siete stati citati su Internet News. Io, per esempio, da una settimana in qua (da quando è uscito Internet News) sono in flessione di accessi. Oh, certo, ancora qualche "c u l o" e qualche "b i n l a d e n" e tornerò in vetta.
Il dossier mi sembra molto bello, ma dopo aver comprato la rivista l'ho lasciata in casa a Modena e non sono più tornato, anche perché la mia chiave del portone si è deformata nella toppa e non riesco ad entrare. Per cui non posso dare un giudizio (che sarebbe ovviamente positivo), né, per ora, scansionare le pagine e mandarle su a Bristol dove adesso studia il nostro esperto.
E se vi sembra una scusa stupida, pensate che è la stessa che userò domani se la padrona di casa domanderà dell'affitto di settembre.
Un saluto a Franco: è netta la sensazione che noi modenesi, domenica, avremmo potuto essere più ospitali. C'è presa invece questa mania di vincere le partite... ma passerà, passerà.
E come qualcuno ha già detto, ribadisco anch'io: adesso vogliamo l'a-utunno!