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venerdì 26 marzo 2004

Contro la lingua italiana, 3

(Le altre puntate: 1, 2)

Essere contro la lingua italiana significa essere anche contro il raddoppiamento fonosintattico. A questo punto bisognerebbe però spiegare cos’è questo raddoppiamento. (Per fortuna ci ha già pensato Aelred, chiaro e conciso).

In pratica si tratta della regola per cui “che vuoi?” si pronuncia “chevvuoi?”;
per cui “è vero” si pronuncia “èvvero”,
la pronuncia corretta di “là vicino” è “làvvicino”,
e la frase “Carlo è venuto a dirmi che ha fatto il compito tutto da sé” in italiano si deve pronunciare:
“Carlo èvvenuto addirmi che àffatto il compito tutto dassé”.

Vi risulta?
Dipende su quale versante del crinale tosco-emiliano siete nati.
Se siete italiani a sud della linea Rimini - La Spezia, la regola magari non la conoscevate, ma non vi dice niente di nuovo: avete sempre pronunciato “chevvuoi”, e nessuno vi ha mai corretto (a meno che non vi siate trovati un lavoro da speaker a radiopadania).

Se invece abitate sul versante padano (e non avete fatto un corso di dizione), probabilmente la regola non vi risulta. Perché nessuno ve l’ha insegnata . Anzi, sin dalle elementari vi è stato inculcato il principio per cui “l’italiano è la lingua che si pronuncia come si scrive”, (vero: ma solo fino a un certo punto). Perciò avete sempre pronunciato “che vuoi?”, “è vero”, “là vicino”, ecc., esattamente come erano scritti. Covando magari un po’ risentimento per il romanesco televisivo. Sorpresa: i presentatori finto-buzzurri pronunciano l’italiano meglio di voi. Frustrante, vero?

Prendiamo un padano a caso, me.
Otto anni di scuola dell’obbligo. Cinque di liceo. Poi quattro anni di facoltà di lettere – un errore, probabilmente, ma non è questo il punto. Il punto è che, malgrado tutta questa scolarizzazione, la regola del raddoppiamento fonosintattico mi sarebbe del tutto ignota se non l’avessi trovata per caso in un vecchio e simpatico libro di grammatica di mia madre. Un Oscar Mondadori che costava £. 1500: Aldo Gabrielli, Il museo degli Errori. Immagino che non lo ristampino più.

Sul Gabrielli ho anche capito il perché del raddoppiamento. È la memoria di antiche consonanti latine, che i dialetti del Centro e Sud hanno conservato, e quelli del Nord no. “A me”, in latino, si diceva “Ad me”: la particella “ad” si saldava alla parola, per cui la pronuncia diventava “admé”; ma già i latini cominciavano ad assimilare le consonanti e a leggere “ammé”. Lo stesso vale, per esempio, con “è vero” (est verum -> estverum-> evverum).

Questa è la “regola”. Ma bisogna intenderci una volta per tutte su cos’è una “regola”, in italiano.
È una “legge”, sì, ma non ha valore coercitivo. Non sono previste sanzioni penali per chi la infrange (in altri Paesi succede, da noi no). È una legge, nel senso in cui esistono “leggi” nella scienza. Non è che Einstein abbia ordinato a “E” di essere uguale al quadrato di “mc”. Einstein ha trovato una formula per descrivere una cosa che esiste già (forse).
Allo stesso modo, la grammatica è l’arte di descrivere fenomeni linguistici che esistono già. La regola del raddoppiamento fonosintattico spiega perché gli italiani delle regioni centrali tendono a raddoppiare certe consonanti di cui nell’italiano scritto non c’è traccia.

Di qui a dire che tutti gli italiani devono raddoppiare le consonanti, ce ne corre.
In sé, non ci sarebbe nulla di male a uniformare la pronuncia. Ma bisognerebbe farlo subito, insegnando dizione sin dalla scuola dell’obbligo. Cercare di correggere gli adulti è inutile. Ormai la frittata è fatta.

Ma c’è di più: non solo mezza Italia (da Rimini in su) non sa di pronunciare male; ma anche l’altra mezza, (da Rimini in giù) spesso non sa di pronunciare bene. Così, nelle occasioni speciali, cosa fa? Si corregge. Anzi, si iper-corregge. Da un commento sul Village:

...il romano verace, quando vuole essere fino sta attento attento attento alla pronuncia e si sforza di non raddoppiare, cerca di levarsi il vizio, insomma. ottenendo come risultato quello di stuprare regolarmente anche questa regola, l'unica che invece gli permetterebbe il raddoppio. così, può capitare di sentire signore ingioiellate che ti dicono per esempio: "sai, ero a cortina, poi sono tornata aroma", invece di dire più semplicemente e più correttamente arroma. il tutto è molto comico.

È il solito spettro che si aggira per l’Italia: l’ipercorrettismo. A Roma ‘fa fine’ ricalcare la pronuncia del nord, semplicemente perché è diversa dall’uso comune. È segno che con questa lingua non ci troviamo a nostro agio. Che siamo sempre alla ricerca di regole per complicarcela. E se fosse questo, il problema? Questa ossessione per le regole astruse e per le eccezioni ancora più astruse, per gli accenti che tanto non sappiamo pronunciare, per tutto quello che la scuola non ci ha insegnato?

Più che fissarci su una o più regole, forse dovremmo cercare di superare questo disagio. Trasformare l'italiano in una lingua più confortevole, tollerante, elastica.

Chiedo perciò indulgenza per quei venticinque-trenta milioni di persone che abitano da Rimini in su e non conoscono la regola del raddoppiamento fonosintattico. Come a dire, la metà degli italiani. Per come sono andate le cose, trovo già abbastanza miracoloso che nel giro del secolo si sia trovata una lingua comune. Abbiamo perso i dialetti, però. Lasciateci almeno un po’ di pronuncia.

(D’altro canto, i leghisti che vogliono far studiare il “lumbard” a scuola andrebbero tutti deportati in Toscana, a sciacquare i panni in Arno: non come il loro antenato, proprio letteralmente).

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