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mercoledì 16 giugno 2004

(Ma voi ci siete arrivati, alla fine del pezzo di ieri? Io mi sono addormentato a mezzo).

Ché non sono solo il ben noto politologo, sapete, ma anche un esperto di musica di prim'ordine, almeno, è quel che dice Enzo.

A tal proposito ricordo un episodio illuminante.
Seconda metà degli anni 80: mentre molti voi rimasticavate gli avanzi insapori del Joshua Tree, io mi davo alla ricerca di nuove tendenze su… non so, poteva essere Telesanterno od Odeon, in ogni caso dava le repliche di Sky Music, in inglese, spesso senza neanche i sottotitoli.

Fu verso le nove della sera – in tinello i miei genitori e mio fratello indugiavano al desco vespertino – che, in virtù di pochi spezzoni di video e interviste, io ebbi la rivelazione di due band che avrebbero sconvolto la musica degli anni Novanta. Fu forse la prima volta che ci pensai, agli anni Novanta (nutrivo molte speranze, sugli anni Novanta).

Il primo era un gruppo fascinoso ed esangue. Su un fraseggio ipnotico ed elementare, una voce atona scandiva:

You're naked as the day
Naked as the day you were born


Si chiamavano Weather Prophets, mi sembrarono subito fortissimi. Dopo di loro, un video di ossessi mezzi nudi (era un po' presto per individuarli a colpo sicuro come californiani). Nudità a parte, il pezzo attirava l'attenzione: accordi strani, un'energia nuova. La canzone si chiamava Knock me down.

Era la fine dell'autunno. Mia zia voleva sapere cosa poteva regalarmi per Natale. Vivendo a Cavezzo (Mo), era l'unica di famiglia a poter entrare facilmente presso un rivenditore di 33 giri, così ne approfittai. Feci una scelta di rottura. Gli anni Ottanta dovevano finire, con tutta la loro plastica e la loro opulenza. Si tornava nudi, nudi come il giorno in cui eravamo nati. Fu così che la mia minuscola collezione di 33 LP acquisì Mayflower, immortale capolavoro dei Weather Prophets (per intenderci, c'è Sgt. Pepper, Aqualung, Highway 61, The dark side of the moon, Remain in light e Mayflower).

In seguito, sapete com'è, si cresce, ci si evolve, e quel disco rimase per molto tempo nel dimenticatoio. A un certo punto cadde proprio nel vergognatoio. Ultimamente lo riascolto più volentieri. Sembra un perfetto disco indiepop. Ehi, forse mi ero solo sbagliato di decennio… Ma veniamo a quegli altri, come si chiamavano... i Red Hot Chili Peppers.

In seguito i RHCP misero a punto quella nota miscela di funk e rock, sbancarono e aprirono la strada a una nuova generazione di ascoltatori di rock, una vera rivoluzione del mercato musicale Usa, il grunge, eccetera.
Ma knock me down c'entra molto poco con tutto questo. Era il primo pezzo di John Frusciante alla chitarra, ed era dedicato al suo predecessore, morto di overdose. Ironicamente, lo stesso Frusciante sarebbe uscito dal gruppo per lo stesso motivo, qualche anno dopo. L'eroina avrebbe continuato a tener compagnia ai RHCP per un pezzo (gli '80 non finiscono mai, in un certo senso).

Ai tempi di Knock me down i RHCP erano un gruppo hard rock con pretese strane. Come se stessero cercando la ricetta di una ciambella attraverso una serie di tentativi, di solito senza buco. Quando poi la trovarono, si misero a sfornare ciambelle a ripetizione, ma ovviamente i trendsetters come me non ci trovano più nulla d'interessante, preferiscono tornare con la mente ai ricordi delle schifezze che ci fecero mangiare. A distanza di anni, Knock me down continua a darmi dei brividi: perché? Forse un giro armonico strano, accordi che mi sembravano quasi jazz (non credo che lo siano).

E poi parlava di morte. (Ma anche Naked as the day you were born dei Weather Prophets parlava di morte. Quella sera io cercavo una speranza per un decennio, e invece stavo assistendo, senza saperlo, a una specie di parata funebre. Ora che so le lingue, non prendo più abbagli del genere, ed è un peccato).

È un pezzo di convenienza, in effetti, quasi un coccodrillo. Sei un cantante rock, un apprendista divo: cosa puoi chiedere al tuo amico chitarrista morto? Anthony Kiedis domandava, letteralmente, dei pugni: se vedi che mi sto alzando, knock me down, sbattimi al tappeto. Mostrami che non sono "più grande della vita".

Quest'idea, di chiedere pugni ai morti, mi ha molto colpito, ed è forse il motivo per cui non frequento molto i cimiteri. Sì che di pugni avrei bisogno, e di qualcuno che mi rammentasse quanto sono piccolo, e quant'è grande la vita, quante cantonate ho preso, quanti libri e riviste e gruppi pop che non sono decollati mai, quant'è fragile tutto questo castello di parole che mi costruisco addosso E quanto mi manca una tua parola, una battuta, un buffetto, anche un pugno. Quanto mi manchi. Buttami giù.

Karaoke esistenziale, Ciak, 19!

Never too soon to be through:
Being cool too much, too soon.
Too much for me, too much for you
You’re gonna loose in time.

Every turn looking to burn
Some never learn, live and learn
Stop your searching for a curse
Before you end up in a hearse…

Don’t be afraid to show your friends
That you hurt inside, inside
Pain’s part of life – don’t hide behind your false pride
It’s a lie, your lie

Don’t slip away and don’t forget
I’ll give you more than you can get
It’s so lonely – when you don’t even know
yourself – come to me.

If you see me getting mighty
If you see me getting high
Knock me down
I’m not bigger than life

If you see me getting mighty
If you see me getting high
Knock me down
I’m not bigger than life

I’m tired of being untouchable
I’m not above the love
I’m part of you and you’re part of me
Why did you go away?

Too late to tell you how I feel
I want you back. but I get real
Can you hear my falling tears
Making rain where you lay
Finding what you’re looking for

Can end up being such a bore?
I pray for you most every day
My love’s with you now fly away
If you see me getting mighty
If you see me getting high
Knock me down
I’m not bigger than life

(It’s so lonely when you don’t even know yourself
It's so lonely)

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