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giovedì 17 giugno 2004

Vanità di vanità, tutto è vanità, dice il signore, e quei sorrisi sui cartelloni elettorali, sembrano tutti vecchi e scemi stamattina.

Io penso al 17 giugno 1983, venerdì, eravamo sotto elezioni anche allora. Ogni sera su Rai1 alle 20.30 c'era Tribuna Elettorale, con un politico per volta. Il 17 giugno toccava ad Almirante, MSI. Sono l'unico al mondo che se ne ricorda. Ero a cena dai miei zii del piano di sotto, mio padre e mia madre erano via. Non ero abituato a cenare davanti alla tv. Non ero abituato a una tavolata di otto persone. In effetti, non ero ancora abituato a niente.

(E Radio Tirana trasmette
musiche balcaniche, mentre
danzatori bulgari
a piedi nudi su bracieri ardenti).

A farmi conoscere Battiato fu mio cugino più grande, sparando al massimo volume la cassetta dell'Arca di Noè dal piano inferiore. Fu un'educazione musicale subliminale, per prima cosa imparai i giri di basso che facevano vibrare il pavimento. Adoravo mio cugino più grande, avrei voluto capire la musica e sorridere come lui. Mio cugino più piccolo, invece, era il mio migliore amico. Aveva nove mesi in meno di me. I miei due cugini dividevano la stanza congruente a quella che occupavo io, sul piano superiore. Eppure io li invidiavo. Invidiavo il loro letto a castello.

(Il mondo è piccolo,
il mondo è grande – e avrei bisogno
di tonnellate
d'idrogeno).

Mia madre era partita al mattino, prima del previsto: mi aveva svegliato per farsi una foto, con me, sul balcone.

Più tardi, in cortile, scesi dal ciliegio per assistere alla grande novità: il mio cugino grande si era fatto tagliare un foglio di compensato per farci un plastico, un plastico per trenini elettrici, ma fatto bene. Una cosa seria. In qualche modo io e il mio cugino più piccolo dovevamo aiutarlo, che lui lo volesse o no. Il plastico attirò tutta la nostra attenzione fino alle quattro del pomeriggio, quando squillò il telefono. Vennero a dirmi che era per me: a dieci anni, è una cosa che dà i brividi.
Mio padre chiamava da Carpi, era tranquillo e allegro. Oggi dovrei scrivere: "sembrava tranquillo e allegro", ma non ero così sveglio nel 1983. Nessuno mi aveva insegnato a preoccuparmi. Mi disse tutto andava bene, che era un maschio, e mi disse il nome. Il nome era già deciso, e anche il sesso io lo avevo capito da mesi, senza ecografia. Non c'era nulla di cui stupirsi, insomma. Eppure sembrava tutto così strano. Che accadesse così, banalmente, in un pomeriggio di sole, mentre giocavo coi trenini.

Più tardi, correvo per andare da qualche parte, correvo in mezzo all'officina, e a un certo punto ritenni opportuno gridare: "ho un fratello". Avevo un fratello. Ma anche dopo anni di speranze, e nove mesi di preparazione psicologica, la parola continuava a suonarmi strana. E ancora oggi.
E quella foto sul balcone, chissà dov'è finita

[…]

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