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mercoledì 22 settembre 2004

In Emilia Romagna vivono gli italiani più ricchi, dice. E uno si chiede, sì, ma dove? In città, in montagna, al mare, a Forlimpopoli, a Tolè?
Io me lo sono chiesto spesso, ho fatto quel che si dice delle ricerche.

La città dalle finestre che brontolano

Purtroppo sono una persona un po' più stupida di quel che sembra, e posso metterci a volte decine d'anni a vedere una cosa che magari voi trovate evidente.
Per esempio: ci ho messo una decina d'anni per accorgermi che le finestre del Centro Storico di Modena erano tutte chiuse, anzi sbarrate, con gli scuri. Da mane a sera, d'estate come d'inverno. E siccome sono curioso, ma stupido, per un'altra decina d'anni mi sono chiesto: perché?

Naturalmente sono partito dalle ipotesi più astratte. Per esempio: non ci abita nessuno. Stanno tutti a Montale Rangone, e piuttosto di affittare ai nigeriani tengono tutto chiuso, così i prezzi lievitano (a quel tempo non sapevo che un nigeriano, in termini d'affitto, vale più di un autoctono. Stupido).
Oppure sono anziani, neanche cattivi, solo un po' timidi, come in certi paesini della bassa dove suoni il campanello e non viene ad aprirti nessuno, poi dopo un po' si affaccia il vicino, ti dice che la signora è all'ospedale da tanto tempo, e il marito è morto, e i figli non vengono mai… una città fantasma, pensate, al centro di una provincia industriale.
Oppure (visto che dalle grate di certi scuri cominciavano a sentirsi suoni misteriosi e squillanti), perché no, i cinesi. Come in certi casolari della bassa, sigillati, pieni di piccoli cucitori abusivi che non escono mai, l'unico segno di vita è la parabola sul tetto…

La spiegazione, naturalmente, era molto più banale. Anzitutto, quelle che io credevo abitazioni, otto casi su dieci erano uffici. Perché venivo dal paesello e mi mancava tutto un mondo di avvocati e notai e assicuratori e bancari e commercialisti, che alle cinque o alle sei staccano, più o meno quando mettevo fuori il naso io.
E poi non avevo mai riflettuto alla forma di quelle case, che non erano parallelepipedi col tetto triangolare, come ero convinto che fossero tutte le case del mondo perché da bambino col lego io le facevo così, ma avevano tutte il loro bel cortile interno, verso il quale naturalmente preferivano aprire le finestre. Tuttora continuo a dimenticarmelo, e se per caso un portone schiuso mi sbatte in faccia la realtà, ci resto di sasso: metà del centro storico è chiusa al pubblico!

In quei cortili (che io immagino sempre verdissimi, con una statua di Prassitele e i nanetti), vivono, secondo me, gli italiani più ricchi. Non escono molto, tanto dove vuoi andare la sera a Modena. Si svegliano alle due del pomeriggio, si sistemano nel triclinio, divorano piatti di tortelloni all'aceto balsamico (riserva speciale), vomitano nell'apposito vomitarium, e attaccano la salama da sugo. Il pranzo termina verso le 18, in tempo per l'aperitivo.
Le ragazze più ricche d'Italia invece non mangiano mai, sono magre e stronzissime, fanno sesso estremo, e quando si stancano ci scrivono un libro e giustamente ce lo vendono. Questa è la mia idea dei ricchi. Potete considerarla insulsa, la fantasia di un cretino, e indubbiamente lo è. Ma altrimenti, cosa dovrei credere? Che i ricchi vadano in giro per le stesse strade che giro io, con la stessa faccia grigia che porto io, che facciano la gara con me ai semafori al lunedì mattina? No, lasciatemi alle mie fantasie da basso impero.

Domenica, per la prima volta in vent'anni, ho saltato il turno a stappar bottiglie alla Festa del Lambrusco di Sorbara e ho fatto un salto al Festival di Filosofia. E mi sono, ebbene sì, divertito.
C'era Fabio De Luigi, un ragazzone simpatico che tutto il mondo conosce perché faceva il comico con la Gialappa, che leggeva le Cosmicomiche di Calvino nella piazzetta della Pomposa.
Ora, De Luigi è molto simpatico, e gli basta arricciare il naso per far ridere la gente, ma se c'è qualcosa di cerebrale e difficile da recitare, quelle sono le Cosmicomiche di Italo Calvino. Lo stesso De Luigi sembrava essersi scelto le Cosmicomiche più cerebrali e impervie del mazzo. Ci voleva del coraggio, dico io.
Eppure, incredibile, stava funzionando. La piazzetta era piena, ma che dico, piazzetta. Diciamocelo, che la Pomposa è una piazza quando vuole, e che Modena ha delle belle piazze se si impegna, piene di gente che si appassionano alle Cosmicomiche di Italo Calvino. E quando ne terminava una, la gente gliene chiedeva un'altra, e ridevano, e applaudivano, e restavano zitti e seguivano…

Finché da una finestra di fronte, non si è sentita forte e chiara una voce, vox clamans in piazzetta:
"O, è ancora lunga? No, perché domani noialtri avremmo da lavorare".

Detto con un orgoglio, avete presente, come se l'indomani a lavorare ci dovesse andare lui, solo lui: e tutti gli altri, buoni da niente, seh, filosofi, t'la dàg mè, la filosofia.
E non aveva nemmeno aperto lo scuro: la luce filtrava dalle fessure. Neanche la curiosità di vedere chi era quel pazzo che leggeva le Cosmicomiche. No. Ciavèdi, toti ciavèdi. Domani è lunedì, altroché. Silenzio. E poi risa, e applausi, ma era Modena che si rideva dietro dopo l'ennesimo sfondone. Il bello è che magari quel signore lì doveva alzarsi davvero presto, alle sei o alle cinque, chissà.
E che magari rimpiangeva anche lui il tempo in cui non volava una mosca, in piazzetta, ché gli spaccini controllavano il territorio che era un piacere. Mentre ora, tutte 'ste iniziative, e gli artigiani, e i bambini, e i concerti, e che due maroni, eh?

Non erano neanche le undici di sera, Fabio De Luigi ha promesso al vuoto che avrebbe finito in fretta, e intanto io cominciavo a rivedere le mie teorie sul centro storico. Che non sia davvero una città fantasma, piena di gente non cattiva, forse un po' timida, ma anche un po' troppo stronza? Che non c'è nessuna povertà, nessun mestiere difficile, nessuna sveglia puntata che ti permettano di disturbare una festa di centinaia di persone tranquille, alle undici di sera. Roba che bisognerebbe denunciare te, proprio te, per schiamazzi notturni, per disturbo della pubblica gioia.
Un ricco vero, questo, non lo farebbe mai. E neanche un povero vero, credo. Il problema con noi emiliani, forse, è che siamo rimasti incastrati in mezzo. E non ci schiodiamo. Sigilliamo le fessure e resistiamo.

(ricordo alle lettrici che alla Pomposa c'è il negozio di borse e indumenti fatti/e a mano più esclusivo dell'Emilia Romagna, e quindi dell'Italia, e dell'Universo tutto).

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