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mercoledì 15 dicembre 2004

Titolo del tema: Il 2004 è stato l'anno in cui.

Il Quattro è stato l'anno in cui.
Il Quattro è stato l'anno in cui ci siamo resi conto che la Cina potrebbe farcela. Una cosa piuttosto destabilizzante.

Crescendo alla fine di un millennio, abbiamo sempre pensato di essere quelli chiamati a giudicare e liquidare i fenomeni. Dopo di noi, sottointeso, il diluvio. Metti il Comunismo: secondo noi era "finito", un "esperimento storico", che evidentemente "non funzionava". Mentre il liberalismo, la democrazia, qualunque cosa fossero, ci avevano dimostrato di funzionare. Con qualche crisi di crescita, talvolta, si capisce. Ma insomma, la "Storia" aveva emesso dei "giudizi".

Le virgolette, maestra, esprimono l'ironia.

Purtroppo ci era sfuggito un particolare molto banale, e cioè che le cose accadono continuamente. Le nostre analisi, invece, si bloccano nel 1989. La breve stagione del "crollo del Comunismo" comincia in giugno, con la repressione di piazza Tienammen.
Neanche 3 anni dopo Li Peng arriva in visita in Occidente, e più precisamente in Italia, accolto con tutti gli onori dal Presidente del Consiglio Andreotti, e con il mal di pancia di tutti: destra, sinistra, centro. In quell'occasione si sentì in giro per la prima volta la storiella che indubbiamente i comunisti cinesi erano totalitari, fucilavano gli oppositori, etc., però era possibile dialogare con loro, fare affari con loro (prima che li facessero gli altri, magari), e ottenere in questo modo risultati migliori che non con embarghi, corse agli armamenti, eccetera. Tanto il Comunismo era comunque finito. Portava ben stampata una data di scadenza: 1989. Questo lo avevano capito tutti, e con il tempo, lo avrebbe capito anche il dinosauro cinese. Certo, ci sarebbe voluto molto tempo, perché la Cina è molto grande.

Questo tipo di discorsi, signora maestra, li abbiamo sentiti per 15 anni: nel frattempo la Cina è diventata più grande, più moderna, più competitiva. Ma non ha smesso di essere un regime comunista totalitario. Nel frattempo, in compenso, noi siamo diventati meno grandi, meno moderni, meno competitivi, tanto che la nostra industria sembra essere tornata al livello del primo dopoguerra. E allora io volevo solo pormi una domanda, e porla a tutti quanti: siamo sicuri che nel 1989 il Comunismo ha perso e il Capitalismo o la Democrazia hanno vinto?
Dopotutto, chi ci ha mai raccontato che la partita aveva un round solo, e che si decideva tutto nel 1989? Ce lo siamo raccontati noi. Ma se il 1989 fosse stata solo una crisi di crescita di un Dinosauro che ha ancora molte primavere davanti?

E' un discorso amorale, ovviamente. Diamo per scontato che il Comunismo è cattivo, e che anche il Capitalismo occidentale non scherza, d'accordo. Quello che mi domando è quale dei due sistemi ha veramente più chances di sopravvivere nel nuovo millennio. Così, darwinisticamente. Noi occidentali, del resto, ci appelliamo molto spesso a Darwin: siamo superiori perché siamo sopravvissuti. Senza accorgerci della tautologia: un giorno saremo inferiori e non sopravviveremo. Ci addormenteremo pensando a una "crisi di crescita", e non ci sveglieremo più. Non cresceremo più.

Con questo, signora maestra, io non voglio dire che dobbiamo diventare comunisti: evidentemente non lo siamo. Siamo cittadini occidentali che hanno deciso, democraticamente, di difendere il nostro benessere e la nostra sicurezza con le unghie e le bombe a grappolo, se necessario. Essendo adulti, e un po' informati, sappiamo che il nostro benessere e la nostra sicurezza non sono modelli esportabili in tutto il mondo, anzi: il nostro benessere, per perpetuarsi, ha bisogno di materie prime sottocosto e manodopera sottocosto. In poche parole, il nostro benessere è una delle concause dell'indigenza e della schiavitù del resto del mondo. Questo ci fa sentire, a volte, un po' tristi.

Peraltro, non è che il Comunismo Totalitario possa rallegrarci. Abbiamo visto molto bene che in Europa dell'est non funzionava. Resta da capire se fosse colpa del Comunismo Totalitario o dell'Europa dell'est. Per come vanno le cose in Russia, oggi, o in Ucraina, il dubbio rimane.
Ci sarebbe Cuba, ma un'isola tropicale sotto embargo da decenni, proprietà privata di un tiranno logorroico, non sembra l'ideale per fare osservazioni scientifiche su un esperimento economico. Non parliamo di quell'incubo laggiù, la Corea del Nord.
E poi c'è la Cina, di cui in realtà sappiamo poco. Sappiamo che un mondo a sé, dove accadono cose paradossali: un tiranno vegliardo può lanciare una rivoluzione culturale tra gli studenti, un altro tiranno (anche lui vegliardo) può schiacciare gli studenti coi carri armati e intanto dire: "crescete e arricchitevi". Da 15 anni facciamo affari con lei, con l'idea che prima o poi diventerà una cosa simile a una socialdemocrazia. Ma quali argomenti abbiamo per sostenere questo? A parte, naturalmente, le nostre belle speranze?

L'occidentalizzazione della Cina, poi, comporta problemi che preferiremmo non dover affrontare. La democrazia è divisibile dal benessere? Chi può impedire a un miliardo di cinesi di ambire al benessere occidentale, se lo vogliono? D'altro canto: il benessere di un miliardo di cinesi è compatibile con l'equilibrio ambientale della terra? Un miliardo di tubi di scappamento sono compatibili con l'atmosfera? No. È un bel problema. Come si risolve? Lasciando libertà d'iniziativa a un miliardo di persone, o restando in un'economia di piano? La domanda è formulata in modo sempliciotto, e ci porta a una risposta altrettanto sempliciotta: meglio il piano. Per ora. In questa situazione di emergenza (di questo è fatta la Storia: di transizioni ed emergenze).

È che il mondo si è fatto piccolo (e i cinesi, chissà, forse c'entrano qualche cosa). In questo piccolo mondo servono soluzioni collettive, che i Paesi democratici e liberali, in sede di istituzioni internazionali, non riescono a prendere. Non riesce a prenderle l'Onu, non ci riesce il Wto. Ci sono troppe voci. Troppi interessi in conflitto. Il problema è che sono troppo competitivi, questi liberali. Sono convinti di avere ancora a disposizione ampi margini di crescita, ampie fette di mercato. È gente che vive in una perpetua Frontiera. Ma esiste davvero il Far West, oggi? Fuori dalla nostra immaginazione, intendo?
Forse no. Forse il liberalismo è finito, saturato, out. Sta ancora scalciando, ma in realtà si è trasformato in qualcosa d'altro. In un'oligarchia di guerra, fortemente ideologizzata, negli USA. In un'economia in liquidazione, in Italia. Con qualche speranza di rifarsi sul mercato cinese: per anni li abbiamo fatti lavorare, ora pretendiamo di rivendergli i manufatti. Indovinate cosa succede tra una generazione? Se posso arrivarci io, maestra, l'industriale brianzolo c'è già arrivato da un pezzo, mica è scemo.

Col senno del poi, sarà divertente pensare che nell'inverno del 2004 fioriva in Italia, su quotidiani e blog, il dibattito "è giusto commerciare coi cinesi?". Probabilmente anche i pellerossa più illuminati, intorno al fuoco, si ponevano il problema: è giusto indicare i sentieri ai cow-boys, in cambio di liquori e fucili? Non rischiamo di pervertirli, di destabilizzarli? Bella domanda. A lungo termine, sarei portato a dire: no, non è giusto, è anche un po' stupido. D'altro canto i fucili ci servono, e il liquore può tirarci un po' su. E a lungo termine, si sa, saremo comunque morti.


Buono il ritmo, ma la sostanza è poca, e l'argomentazione condotta senza veri rimandi alla materia (link sull'economia della Cina, dibattito sui diritti civili, crisi dell'economia italiana, etc.). Qualche battutina (e la scipitissima citazione finale) potevi anche risparmiartela. Come sempre. 7-.

La maestra non mi vuole più bene.

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