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sabato 20 ottobre 2007

chi fa sempre divertire i grandi ed i piccin?

In questi giorni invidio un po' chi non ha visto Ratatouille e può fare la fila al botteghino per vederlo la prima volta. Chi torna a casa poi se vuole può finalmente leggere cosa ne avevo scritto io (so che c'è gente che - giustamente - questi pezzi preferisce leggerli dopo la prima visione). Così lo re-incollo qui.
E questo cos'è? Non ci sono già stati abbastanza cartoni con il gatto e il topo? (I manager della MGM ad Hanna e Barbera, nel 1940).

Una delle principali differenze tra la realtà e l’animazione è il topo. Il topo di cartone è istintivamente simpatico: canta, balla e si fa beffe dei grandi. Il topo vero è una bestia orrenda, un parassita e un untore. Questa differenza, che abbiamo tutti afferrato in età prescolare, è uno dei grandi misteri della cinematografia. Perché Disney, tra una varietà infinita di animali esotici e da cortile, si fissò sul topo? Perché Mickey il Topo ha fatto il botto e Felix il Gatto no? Nel Trecento i ratti sui bastimenti che venivano da Oriente portarono un’epidemia di peste che dimezzò la popolazione europea: la salvezza fu un nuovo animale domestico importato dall’Africa, il gatto. Eppure i bambini tifano per Jerry e contro Tom.
E non i bambini di oggi, disinfettati ai limiti della sterilità, che di topi ne vedono solo sullo schermo piccolo o grande. I bambini degli anni '40 che in mezzo ai topi ci vivevano, in case con buchi nel battiscopa e rumori in cantina. Al cinema ridevano (grandi e piccoli) per il topo di cartone; poi rincasavano e controllavano le trappole.
Magari il tifo per il topo era il primo accenno di ribellione del piccolo di casa: una specie di solidarietà tra le piccole creature sempre affamate. Ci saranno stati bambini che di nascosto portavano briciole al roditore. Credo che uno dei passaggi cruciali della pre-adolescenza sia quando ti accorgi che Jerry non è poi così simpatico, anzi, a ben vedere è uno stronzo, e cominci a tifare per il suo avversario frustrato. Fine della solidarietà tra le piccole creature: diventi grande, cominci ad avere paura dei germi e a sviluppare il senso della proprietà: giù le mani dalle nostre provviste, parassita!
Cosa c’è nella stanza 101? (Winston del Grande Fratello)

Ratatouille è un film piuttosto strano, anche per la media della Pixar. Per quanto la consociata della Disney rifugga le trame scontate, tutti i suoi film mantengono un sano contenuto morale, di quelli che si possono condensare in due righe e che mettono d’accordo grandi e bambini (i grandi devono lasciare lo scetticismo nel vestibolo, s’intende): per esempio Mosters & co. dimostra che la fantasia vince sempre sulla paura, Nemo ricorda ai genitori che i figli devono imparare a nuotare da soli, proprio perché il mondo è vasto e alieno come l’oceano; Cars insegna a grandi e piccini il valore dei rapporti umani, che trionfa sulla grande competitività universale. E così via. Anche Ratatouille ha una morale e un lieto fine, ma zoppicano. Sembrano appicicati per contratto.

Tutto ciò per dire che davanti a Ratatouille si sta a bocca aperta per l’esperienza della visione che dà, quasi travolgente. È su questa sensazione di realismo cartoonesco che poi si muove l’amore per i personaggi (Secondavisione)

Il film (che è bellissimo, se non avete la fobia dei topi, ed è andato meglio in Francia che negli USA) non è americano al 100%. L’idea è di Jan Pinkava, britannico d’origine boema, già premio Oscar per un corto. Gli uomini della Pixar devono averne apprezzato soprattutto il senso della sfida: dopo aver creato con Cars un mondo cromato e arrugginito, in cui l’automobile è Natura, i canyon hanno le sagome di vecchie cadillac e le nuvole sono strisce di pneumatici, stavolta si trattava di stravolgere uno degli archetipi dell’animazione: il Topo. Togliere al Topo il cravattino di Jerry e le braghette di Mickey. De-antropomorfizzarlo, riportarlo alla natura, alla sua condizione di scroccone purulento. E poi rimettersi nel suo punto di vista: il punto di vista di un animale braccato, per il quale anche una vecchia zia borgognona è un orco sterminatore, e la sua vecchia spingarda lancia razzi Terra-Aria.

È ingiusto, ma è normale: ai bambini piacciono gli animali piccoli, vispi e birichini.

L’altra scommessa era il cibo. L’ultima frontiera del digitale è rendere l’organico coi pixel: le croste croccanti, il verde delle muffe, il ribollire di una salsa. E dopo avere programmato cibo vero e ratti veri, farli interagire in un film per bambini. Trasformare un’orda di ratti sporchi e scrocconi nel personale di un ristorante francese: una sfida impossibile, salvo che nulla è impossibile per gli uomini della Pixar. La morale del film è la sfida stessa: non tutti hanno talento, ma se ce l’hai puoi fare qualsiasi cosa. Puro calvinismo: la fede è un dono che sposta le montagne. Rémy è il ratto aspirante chef, che per cucinare deve servirsi dello sguattero Linguini: il modo in cui impara a guidare il suo strumento umano, tirandogli i capelli per condizionarne i movimenti, è una stupenda metafora del mestiere dell’animatore (e di qualunque arte o mestiere): migliaia di tentativi e ore di lavoro, anche solo per affettare un tubero. Ma se hai talento puoi solo farcela, e infatti Rémy ce la farà. Titoli, fine.

Ecco, questa è la crosta croccante del film. Quello che c’è dentro, però, è un po’ meno dolciastro: come se qualche spezia europea fosse riuscita a salvarsi anche dopo che Pinkava ha lasciato la Pixar e il progetto è passato a Brad Bird. Il retrogusto amaro si percepisce soprattutto nelle prime sequenze: più tardi, quando si avventurerà in quel mondo pieno di coltelli, carrelli e altre insidie, sarà impossibile non prendere le parti del Piccolo chef. Ma all’inizio della storia Rémy non è necessariamente un personaggio simpatico. È il figlio del Capo di un branco accampato nel solaio di una casa di campagna. Il suo fiuto straordinario lo rende prezioso per la sopravvivenza della “famiglia”, grazie alla sua capacità di riconoscere il cibo avvelenato. Per il resto, il padre e i fratelli non hanno la minima considerazione per le sue capacità. Per il padre il cibo è solo carburante, ai fini dell’unica missione di vita: sopravvivere, malgrado gli umani. Di fronte a questi orchi enormi, che massacrano i ratti senza pietà, la famiglia non ha altra scelta che scappare e mangiare, mangiare e scappare, senza dividersi mai.
È una vita che Remy non sopporta. A lui piace il mondo degli uomini: gli odori della dispensa, i programmi di cucina, i libri di ricette. Sarà la sua imprudenza a causare la fuga in città della famiglia. In città del resto la vita dei ratti non è molto diversa: la famiglia è sempre la famiglia, e il cibo è sempre carburante. Ma non per Remy. Lui passerà definitivamente dalla parte dei nemici, degli assassini, degli uomini.
REMY: Prima o poi il piccolo deve lasciare il nido
IL PADRE: Noi siamo ratti! Non lasciamo il nido! Lo facciamo più grande!

Ecco la polpa europea. Rémy è un migrante, come Fievel: ma se Fievel sbarca in America era l’epopea nostalgica degli emigranti europei negli USA, Ratatouille racconta l’emigrazione e l’inurbazione con tutta l’ambiguità dei problemi irrisolti di oggi. Gli emigranti hanno due vie (le hanno sempre avute): o si ghettizzano, cristallizzando i costumi e i valori della società di provenienza e isolandosi in un mondo percepito come ostile, o si integrano. Ma integrarsi significa spezzare le radici, tradire la razza. Non ci riescono tutti, e nemmeno Rémy, che pure tratta i suoi simili veramente con la puzza sotto il naso. In Africa i tipi come Rémy li chiamano noir blanchi, neri imbiancati: eppure anche lui preferisce non tagliarsi del tutto i ponti alle spalle: nottetempo scivola nella dispensa del ristorante che lo ha accolto, e ruba un po’ di roba buona per il fratello. La cosa gli scappa naturalmente di mano, proprio come succede quando la tua famiglia esce dal medioevo e viene a bussare nel tuo superattico per chiederti un favore: il problema di Rémy è lo stesso problema di Michael Corleone, è il problema di tutti gli onorati membri della società che hanno ancora qualche legame con le Famiglie.

Ma non ci sono gatti in America! E ti regalano il formaggio! (Fievel sbarca in America)

Verso i tre quarti il film, per quanto divertente, sembra proiettato verso un finale tragico: Rémy ha servito gli umani senza riuscire a integrarsi veramente, e intanto la Famiglia che fa affidamento su di lui è sempre più numerosa, sempre più affamata. Poi c’è il finale, appicicato un po’ così, che non racconto: dico solo che è incredibile la sfacciataggine con cui pretende di salvare capra e cavoli, Famiglia e civiltà. Quando le cose al mondo non stanno così, decisamente: uomini e ratti non possono convivere nello stesso ristorante. È una cosa che semplicemente non succede, nella realtà.
Tutti in coro noi cantiamo viva Topolin. Topolin, Topolin, viva Topolin, (Full Metal Jacket)

D’altro canto è un cartone animato, e nei cartoni animati i topi sono simpatici e la fanno franca. Detto questo, qui propongo il mio finale: dopo decenni di clandestinità Remy riesce a imporsi come un cuoco degno del genere umano, apre un ristorante a Duisberg, e una sera tutti i suoi parenti vengono sterminati nel parcheggio da una banda di roditori concorrenti. Perché la vita è dura, se nasci ratto. Rémy lo diceva già all’inizio. Nei film americani poi ti raccontano che anche il ratto può crescere, scoprire i suoi talenti, tradire i famigliari e poi ritrovarli, diventare famoso e apprezzato. Ma gli europei hanno abbastanza Storia da parte per concludere che non è quasi mai vero. E questo è tutto, gente.

14 commenti:

  1. e io reincollo lo stesso commento: i bambini non tifano per jerry.

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  2. Leonardo ha ragione.
    l'infanzia finisce il giorno che cominci a tifare per tom.

    a volte finisce molto presto, tuttavia.

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  3. Non voglio intaccare la tua costruzione teorica, stimato Leonardo, perché come al solito è così gradevole e ben congegnata che preferisco starmene qui seduto a guardarla senza disturbare. Però vorrei portare un contributo: il tuo commento qua sopra mi conduce alla conclusione che sia tu che Cragno siate stati bambini molto prima del 1940. Io, che bambino lo sono stato in tempi molto più recenti, in una porzione di tempo che cavalca una coda di Settanta e una buona fetta di Ottanta, ricordo bene a chi andassero le mie simpatie.
    Da subito a Tom (nonché a Wile E. Coyote, Macchia Nera e Skeletor; e anche a Berlinguer). Jerry mi repelleva un poco. Solo un poco. Non per i motivi archetipici che rendono il ratto disgustoso; piuttosto per i motivi contrari. Jerry, rotolante, pasciuta palla di caramello, sprizzava di salute, vitalismo e spirito d'iniziativa.
    Tom, Tom sì che era topesco, nel suo grigiore di gatto destinato all'insuccesso. In Tom non c'è ombra di mentalità mercantile. In un'ottica nordamericana può ricordare, piuttosto, un mostacciuto gentiluomo del Sud, così rammollito dal proprio privilegio (gatto domestico, parassitario, dipende in tutto dalla governante africana) da non saperlo più difendere dai morsi della libera impresa.
    Quest'ultima analogia la lascerei cadere qui, perché non ho le spalle abbastanza larghe per avventurarmi in un'analisi di Tom & Jerry come allegoria della Guerra Civile. Lasciamo perdere anche il trito discorso sull'assai ambiguo ruolo del loser nel grande schema narrativo/ideologico nordamericano.
    E cosa ci resta, allora? Ci resta l'identificazione – quantomeno la simpatia – del bimbo che ero con l'inseguitore frustrato, lo stupido derelitto (e qui non parlo del caro Enrico; questi revisionismi li lascio a Fassino), il ritardatario del Novecento, in una certa misura il cattivo.
    Posso – non è mai simpatico, e retoricamente è sempre un azzardo – prevedere la tua replica? Potresti obiettare che il giovane Felix Petruška era già figlio di quel processo di imborghesimento del topo iniziato proprio dai Mickey della Grande Depressione e dai Jerry del secondo conflitto mondiale. Facile per lui, pasciuto fantolino di caramello e Nutella, figlio del privilegio, futuro radical-SchickiMicki al di qua della Cortina di ferro, identificarsi col cattivo; non aveva fatto neanche in tempo a vedere la crisi energetica.
    Perbacco, Leonardo, mi hai messo con le spalle al muro (e senza buchi nel battiscopa in cui intrufolarmi. anzi, non ho neanche il battiscopa).

    Ma i bambini di oggidì, loro per chi tifano? Si apra un'inchiesta. Forse siamo ancora in tempo.



    (comunque Ratatouille non l'ho ancora visto, ma mi attrae molto meno de Gli Incredibili)

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  4. Eh no, la sospensione dell'incredulità ad orologeria non l'accetto. Se Remy pilota Linguini tirandogli i capelli quando cucina, il finale volemmose bene ci sta come il cacio sui maccheroni ehm le erbette provenzali sulla ratatouille :-)

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  5. bella l'idea di partenza, bella anche la tua recensione, ma nel complesso non m'è piaciuto. visto che non m'è piaciuto nemmeno shrek terzo (dio bono, lì sì che ho fatto il tifo per Azzurro e per la masnada che ha messo insieme alla taverna dove servono gli unhappy hour), per un po' starò alla larga dai cartoni, pardon dai film di animazione.

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  6. caro felix,
    del 40 ci sarà leonardo che è senescente. io sono stato bambino tra la metà dei 70 e i primi 80.

    e per quel poco che può valere il sondaggio tratto dai commenti di questi post l'unico voto per jerry è quello di sophia.

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  7. Ma anche nella realtà i topolini non fanno affatto schifo, anzi, sono simpatici! C'è chi si tiene i topini bianchi per compagnia, i criceti poi sono diffusissimi.
    Certo le pantegane sono tutt'altra cosa ma anche chi ama i gatti non terrebbe mai in casa un puma o un giaguaro.
    La razza insomma non c’entra: a volte è più simpatico il gatto a volte il topo, in Cenerentola1 i due topini, Gas Gas e Giac sono degli eroi anche se il gatto Lucifero ci fa la sua figura.

    E ora il problema: se l'emigrante debba ghettizzarsi o integrarsi. Beh, per la società che lo ospita penso sia molto preferibile la seconda via, per lui..farà quel che si sente o gli riesce, se non ce la fa a integrarsi sarà un problema per sè e per gli altri.
    Per gli ottimisti di sinistra i "diversi" sono "una ricchezza e un'opportunità", dove sia tutto questo bengodi non riesco a vederlo, ma sarò io che divento sempre più pessimista, seppur di sinistra.

    A proposito della sinistra riprendo una tua affermazione dal blog precedente che si collega all’attualità:

    "Il problema è che la sinistra non va bene, qualsiasi cosa faccia."

    E anche che NON faccia.
    Ma è normale, a sinistra ci son quelli che vogliono:

    1)Chiudere i CPT (ha ha)
    2)Venir via dall'Afghanistan
    3)Una legge severa sul conflitto d'interessi
    4)Andare in pensione a 57 anni
    5)Abolire la legge 30 o Biagi
    6)I DiCo
    7)Una commissione d'inchiesta sul G8
    8)Abolire le spese militari
    9)Chiudere le fabbriche d'armi
    10)Il salario sociale
    11)Mettere la tassa sulle rendite
    12)Abbassare le tasse sui salari
    13)Abolire la Bossi-Fini
    14)Aumentare gli stipendi
    15)Non costruire rigassificatori
    16)Non fare la TAV
    17)Non usare il carbone né il nucleare
    18)Ripristinare la scala mobile
    19)Assumere tutti i precari della P.Amm.
    20)Liberalizzare le droghe leggere

    Basta, ho deciso di fermarmi qui, ora chiedo al colto e all’inclita: come fa una qualsivoglia composita maggioranza a star dietro a tutti ? Sbaglierà in ogni caso, perché nella stessa maggioranza ci sono altri che vogliono l’esatto contrario, per tacere dell’opposizione
    Sento lacrimare il Manifesto : “Ma almeno UNA datecela !” Almeno un Dichino ! Almeno una commissioncella ! Una tassina patrimoniale !”
    Piangete piangete, ora ve le darà lui (Berlusca) tutte ste belle cosine de sinistra…
    Ah già, ma finalmente potremo andare in piazza CONTRO il governo, vuoi mettere ?
    Ragazzi nello stesso anno il Livorno in B, il Pisa in A e il nano malefico al potere, che 2008 c’aspetta…

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  8. Da ragazzino dovevi essere una noia mortale.

    Tipo di quelli che tengono per achille.

    che fanno le guardie a "guardia e ladri"

    A proposito, anche contro un drago nella realtà non vinci mai...

    non te la prendere

    ;)

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  9. Mah, veramente è il contrario: chi fa il ladro tiene per il topo.

    In realtà questo pezzo parla di qualsiasi cosa tranne di me.

    Ma sono curioso: dov'è che ci si batte contro i draghi, nella realtà?

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  10. ma allora eri anche un po' capoccione però!

    Non hai capito. Non è la figura. Dipende dal ruolo. Jerry, come Topolino, è il vincente, il politicamente corretto. La guardia nel gioco fra bambini buoni e casinisti, pierinici.

    Tom, Paperino, il Coyote sono i perdenti. I Romantici.

    I draghi nella realtà sono quelli che detengono il potere.

    La Juventus per il Toro.

    Ecco.

    Tu eri il bimbo juventino quando io tifavo il Toro in serie B.

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  11. Guarda, se proprio ci tieni a saperlo io ho iniziato a tifare il Toro ai tempi del 3-2, si parla dell'83, direi. Prima tifavo tutte le squadre tranne la Juve.
    Però chi se ne frega di me? Non era un pezzo che parlava di me.
    Se vieni qua per trarre informazioni sulla mia infanzia, stai occupando il tempo in un modo ben misero.

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  12. touché. sul Toro. Ricordo benissimo quel derby. segnò pure Van de Korput (si chiamava così?)

    Ma non ti offendere sulle mie pseudo-analisi. Tutto ciò che scriviamo parla di noi.

    Se ci pensi leggere i blog degli altri è proprio leggere della loro vita. Traendo tutto ciò che ti viene di trarre. Involontariamente.

    Resta il fatto che io da bambino amavo Tom, il Coyote, Paperino, Gatto Silvestro, Ettore, il Torino e ovviamente il più grande perdente di tutti. Il mito. Villeneuve. Gilles.

    E non ero un bambino così diverso dagli altri...Anzi.

    (ps. dimenticavo Mc Enroe quando perdeva con Borg!:)

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