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lunedì 31 ottobre 2011
Triste terra senza morti che camminano
E così stasera è Halloween, la festa che in Italia non si potrebbe festeggiare perché noi avremmo delle radici, noi, per esempio noi il due di novembre festeggiamo gli, ehm, morti, e in certe regioni intagliavamo le, ehm, zucche. Se ne parla sul Post, si commenta là, portate i dolcetti.
1 novembre - Tutti i Santi
Sì, in realtà Ognissanti è domani. Stasera invece sarà la notte di Halloween in cui i bambini tormentano i citofoni minacciando scherzetti ed estorcendo dolcetti, secondo l'usanza americana, mentre i preti e i severi opinionisti borbottano che non si può, secondo l'usanza italiana. Perlomeno questa è la tradizione: lamentarsi della non italianità di Halloween. Durerà?
L'impressione è che i severi opinionisti stiano cedendo, man mano che arrivano figli e nipotini. Com'è noto, nessuna convinzione politica o culturale regge l'impatto di un marmocchio che frigna: così, dopo aver visto leader noglobal rincasare sul presto da un picchetto antimultinazionali per accompagnare la figlia a un compleanno da McDonald's, credo che la resistenza di molti anti-halloweenisti italiani sia destinata a dissolversi al primo urlo di un frugoletto che vuole la zucca illuminata e la vuole subito. Per lo stesso motivo immagino che invece i preti resisteranno per qualche altro secolo. Però prima o poi bisognerà spiegarglielo, che un prete che si lamenta di Halloween-festa-pagana è un prete che non sa fare il suo mestiere.
Ovvero: ammettiamo pure che Halloween sia una festa pagana, anche se "All Hallows' Even" vuol proprio dire "Vespro d'Ogni Santo", e l'usanza d'intagliare rape o zucche è attestata in Toscana e fin in Sardegna. Ma fa lo stesso. Fingiamo che Halloween sia un rito pagano proveniente da un universo culturale radicalmente alieno, e tuttavia ai bambini piace. Piace anche a qualche grande. Cosa fa a questo punto il prete che sa fare il prete? Scrive ad Avvenire o al Foglio che è una vergogna? Cosa fecero i preti quando l'imperatore Aureliano intimò di festeggiare la terza notte dopo il solstizio d'inverno (25 dicembre) come vittoria del Dio Sole sulla notte? Non c'era ancora Avvenire su cui sfogarsi e forse fu una fortuna, perché decisero di celebrare anche loro la nascita di Gesù (che comunque è il Giorno che vince la Notte, più o meno, dai, metaforicamente) e la cosa funzionò. E quando Sant'Odilone di Cluny nel decimo secolo si rese conto che nello spazio enorme tra un monastero e l'altro i villici francesi pur battezzati ai primi di novembre amavano ancora festeggiare il capodanno celtico, l'alba delle Pleiadi, il trionfo della Notte e dei morti che tornano sulla terra, cosa fece? Scrisse un tonante editoriale su qualche pergamena che avanzava? No: provò a spostare la festa cristiana d'Ognissanti in quella zona del calendario, e da lì in poi tutti contenti. I preti bravi fanno così. Se la montagna non va da Maometto... ops. Insomma, ci siamo capiti. Dovete immaginarvi più o meno situazioni del genere:
Non è che la tribù avesse ancora tutta questa paura dei morti, e tuttavia alcuni di loro ancora tornavano a tormentare i sonni dei parenti, dei bambini soprattutto, specie quando le notti s'allungavano. Per ovviare al problema s’inventò la sepoltura; restava il problema dei morti dispersi. Si pensò allora di celebrare un rito anche per loro, una volta all’anno. Finché dalla città arrivò un predicatore, sembrava un tipo in gamba, spiegò che Gesù era risorto anche per loro, che il Paradiso era un gran posto, e battezzò tutta la tribù in mezza giornata. Prima che andasse via gli chiesero: ma possiamo ancora festeggiare la prima notte di novembre?
“E cosa sarebbe?”
“È il giorno in cui lasciamo i dolci per i morti”.
“I dolci per i morti. Dunque… nel Vangelo non se ne parla. Ma cosa se ne farebbero, i morti, insomma?”
“Sono morti dissepolti, che altrimenti vanno negli incubi dei bambini”.
“Aaah, è per i bambini”.
“In pratica sì”.
“Ma se lasciate i dolci sui davanzali, le bestie selvatiche…”
“Dopo un po’ in effetti li togliamo e li diamo ai bambini. Dici che è una cosa troppo pagana?”
“Via, non si dica che Gesù è venuto a togliere i dolci ai bambini. Fate pure. E intanto dite delle preghiere”.
“Preghiere?”
“Dei discorsi, delle richieste a Dio... Santo cielo che campagnoli [pagani, da pagus, contado]. Chiedete a Gesù che porti i morti in paradiso. Teologicamente non fa una grinza, e rispetta anche le tradizioni del territorio. Col vescovo poi me la vedo io. C’è altro?”
“No, direi di... Aspetta. C'è questa cosa dell’equinozio di primavera”.
“Perché, cosa fate nell’equinozio di primavera?”
“Ma una cosa da nulla, noi rubiamo un bambino alla tribù vicina, che ne ha tanti e, ehm, lo sgozziamo”.
“D’ora in poi sgozzerete un agnellino”.
“Ma gli agnellini sono carini!”
“Stop. Su questo Gesù Cristo non transige. Stop ai sacrifici umani”.
“Uffa”.
Io poi, lo confesso, non ho bisogno di nessun marmocchio tra i piedi per apprezzare Halloween. Sarà anche un’americanata, ma se funziona (e funziona), forse risponde ad esigenze a cui la cattolica liturgia dei Morti non risponde più.
Per esempio, l’elemento paura. Non venite a dirmi che è un sostrato celtico: i morti fanno paura a tutte le tribù del mondo. Morte e Paura vanno a braccetto: ma Halloween celebra la paura, Ognissanti no.
Ora arriverà qualcuno a spiegarmi che noi latini siamo troppo solari per celebrare questo tipo di cose. La letteratura gotica non l’abbiamo inventata noi. Le storie di fantasmi non sono roba nostra.
Ma non è vero. Noi siamo il popolo del sangue e del terrore. Gli elisabettiani ambientavano le tragedie in Italia perché il pubblico si metteva paura solo a sentire i nomi delle città… Noi facevamo splatter nel Trecento, con Dante Alighieri e i suoi effettacci che gli americani ancora c’invidiano! E anche Boccaccio quando voleva sapeva mettere insieme storie di fantasmi mica male. E certe pagine di Ariosto, del Tasso… ma restiamo nel folklore. Prendiamo le Fiabe Italiane e andiamo a vedere quanti boschi oscuri e quanti diavoli incontriamo. No, quello che fa rabbia di Halloween, è che fino a due secoli fa avevamo tutto il materiale culturale per farcelo da soli, il nostro Halloween, anche più spaventoso di quello americano. E poi cos’è successo?
Sbaglio di troppo a dire che l’egemonia anglosassone nella letteratura fantastica nasce proprio dalla consuetudine di raccontarsi storie di fantasmi ad Halloween? Pensate a Henry James, a Dickens. Col suo Cantico, Dickens si è preso persino il Natale, l’ha trasformato in un’anglosassonissima leggenda di fantasmi. Con i Fantasmi dei Natali Passati e Futuri, Dickens ha persino inventato la nozione moderna di viaggio nel tempo. La moderna letteratura fantastica e fantascientifica deve moltissimo alle storie di fantasmi. Gli inglesi e gli americani sono abituati a raccontarsele da bambini, noi no.
Alla fine, sarà un caso? Loro hanno un immaginario vivace, pieno di instrusioni fantastiche e what if, e noi andiamo avanti con il nostro realismo borghese minimalista. Non c'è ancora nessuno che abbia pensato di fare i Promessi Sposi Zombie, che è un'idea persin banale, con un po' di sforzo poteva venire anche a don Alessandro, in fin dei conti l'epidemia e gli incubi ci sono già, se mi date un congruo anticipo ve li scrivo io i Promessi Sposi Zombie (devo solo chiedere l'aspettativa). (Update: mi segnalano nei commenti che qualcuno ha finalmente scritto i Promessi Sposi Zombie).
Non ditemi che ci manca l'inclinazione, perché noi siamo quelli che abbiamo lanciato Dario Argento e Dylan Dog. Se penso a un film letteralmente terrificante, penso alla Casa delle Finestre che Ridono di Avati, che non solo è orrore puro, ma folklore italiano al 100%: il pittore matto, il prete ambiguo… Il nostro problema è che tutto questo rimane confinato nel “genere”. La più grande fregatura degli ultimi vent’anni. Dieci anni fa era un ghetto, oggi ha messo i cancelli d’oro, ma sempre ghetto è. Nel mondo anglosassone la storia di fantasmi non è per forza “genere”: può essere benissimo grande letteratura. Amleto è un groviglio di psicanalisi e antropologia, ma allo stesso tempo è anche una grande storia di fantasmi. I fantasmi sono una cosa seria. Il racconto dell’orrore, quando lo scrive Kafka in una notte insonne, mette a fuoco l’umanità meglio di cento o mille romanzetti minimal-realisti. Se nei nostri film non atterrano mai gli alieni, se non si risvegliano gli zombie, se non si riesce mai a fare un discorso che vada un po’ più in là del nostro naso, è proprio perché a un certo punto abbiamo voluto tenere i fantasmi fuori dal nostro Ognissanti. Abbiamo fatto male. Non so se ce lo meritiamo, Halloween, ma un po' ci serve. Prendete un bambino sulle ginocchia, questa sera. Raccontategli qualche storia spaventosa. Ve ne sarà grato per la vita.