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mercoledì 27 giugno 2012

27 adulti andata e ritorno grazie


Cara Trenitalia, quante te ne potrei dire, ma chissà quante te ne dicono tutti i giorni: chissà quanti ti rimproverano i tuoi ritardi, le tue biglietterie chiuse, il tuo sito inaffidabile, eccetera. Ma se proprio devo aggiungermi al coro dei tuoi detrattori, cercherò almeno di metterci qualcosa di mio. Per esempio: cara Trenitalia, cos'hai contro le gite scolastiche? (Continua sull'Unita.it, H1t#133).

Perché dai 12 anni in su non concepisci che una classe di scuola possa viaggiare in comitiva? Perché se voglio organizzare una gita in treno, un mezzo assai più sicuro delle corriere (e credo anche più educativo) mi tocca acquistare, per 25 alunni di 13 anni, 25 biglietti per adulti, a prezzo pieno? Oltre ovviamente ai biglietti per gli insegnanti, sia mai che ti venga in mente di offrire uno sconto a chi ti riempie un mezzo scompartimento.
Cara Trenitalia, perché invece di riempirmi la mail di offerte meravigliose sui Frecciarossa e i Frecciargento, non mi stupisci con una bella offerta per le gite scolastiche? Non ti ci vorrebbe nulla per essere competitiva con gli autotrasportatori. E dovresti essere la prima interessata a far conoscere il treno ai ragazzini. Il mezzo meno pericoloso di tutti, il più riposante. O hai paura che gli studenti disturbino i pendolari, o i manager col laptop che cercano di guardarsi i gol con la connessione WiFi che va a scatti?
Cara Trenitalia, perché insisti a volermi portare da Bologna a Milano in un’ora, quando l’unico treno che vorrei prendere ultimamente è un Modena-Verona, e ce ne mette due e venti? Ma ti pare normale che nel 2012 Modena e Verona stiano a 140 minuti di distanza? A volte, mentre guardo al finestrino la bassa emiliana diventare per un attimo lombarda, sento come uno spostamento d’aria: è il fantasma di un calesse ottocentesco che sorpassa il regionale Suzzara-Mantova. Lo so che darai la colpa alle regioni. Ma l’Italia è fatta di regioni, non viviamo tutti nell’immediata vicinanza di una stazione dell’Alta Velocità. Cara Trenitalia, ma che t’abbiamo fatto di male noi utenti? Perché fai di tutto per evitarci?

Ribadisce la sua incompetenza


Io ero un po' perplesso, ma alla fine mi hanno intervistato su State of Mind (giornale delle scienze psicologiche) a proposito del caso di Rignano Flaminio. Sono sicuro che c'è molta gente che ne sa più di me sull'argomento, compreso un blogger a cui hanno sequestrato il sito. Due anni fa. E non glielo rendono. È una cosa che mi rende più difficile star zitto, diciamo.

sabato 23 giugno 2012

Egregia Presidente

Avevo letto in giro che era stata l'unica a fare un discorso serio, Emma Bonino al Senato prima di votare per l'arresto di Lusi, e così ho trovato sei minuti e me lo sono guardato. In effetti è un bel discorso. Allora sono andato a guardare quello in cui mesi fa spiegava perché gli onorevoli radicali non avrebbero votato per l'arresto di Cosentino, ed era bello anche quello, millemiglia lontano dalle scenate di Pannella che strillava di voler essere la escort di Berlusconi e tutto il resto. Emma Bonino ci sa fare, a discorsi, tratta i suoi interlocutori da adulti e questo gli adulti in generale lo apprezzano.

Mentre guardavo il primo video mi faceva un certo effetto il sottopancia che diceva "Emma Bonino - Partito Democratico"; passano gli anni ma ancora suona strano vivere da separati in casa. Mi sono distratto a pensare se qualcuno del PD la ricandiderebbe ancora o no. Tutti gli altri peones radicali no, non credo proprio, ma lei qualche ammiratore deve avercelo ancora, malgrado vanti credo il record assoluto di legislature. Poi c'è quella cosa della candidatura al Quirinale, che ogni tanto rispunta fuori ed è anche l'unica idea di successo che i radicali abbiano avuto da trent'anni a questa parte: il solo sfoggiarla sullo stemmino elettorale alle europee del '99 fruttò loro l'8,5%, risultato mai più raggiunto: nella tornata precedente avevano ottenuto l'1,8; nella successiva il 2,2. Non avessero avuto l'idea di candidare, anzi di fingere di candidare la Bonino, alla faccia della costituzione che non prevede consultazioni popolari sul Quirinale, i radicali probabilmente non esisterebbero più nemmeno nella forma imbarazzante in cui esistono adesso.

Probabilmente è anche grazie al nome, al volto della Bonino, che si sono ritrovati annessi al PD veltroniano, con tanto di posti sicuri in lista (nove poltrone in parlamento! per un movimento di poche migliaia di iscritti) e rimborsi elettorali e tutto quanto. Così tanto valeva la pena pagare per poter leggere, un giorno, su una tv che trasmette la diretta del Senato "Emma Bonino - Partito Democratico". E pazienza per tutte le volte che gli altri peones hanno cercato di boicottare l'opposizione, pazienza per quelle volte che Berlusconi poteva cadere, e sarebbero bastati pochi voti, e i radicali si sono guardati bene dal contribuire, mentre il loro guru non eletto dava da intendere ai giornalisti di essere pronto a trattative con Berlusconi stesso. Pazienza per tutto, perché c'era Emma Bonino, veramente un altro livello, che intanto spiegava che non votare per l'arresto di Cosentino aveva un senso alto, costituzionale, così come l'altro giorno votare a favore dell'arresto di Lusi aveva un medesimo senso alto, costituzionale, e se lo dice lei ci crediamo, per carità, l'unica candidata credibile al Colle si merita rispetto.

L'unica cosa che mi ha lasciato un po' perplesso del discorso della Bonino è proprio il riferimento all'anziano guru, Marco Pannella, che "utilizza la nonviolenza perché non ha più altro per farvi ragionare".

Che altro dovrebbe possedere Pannella, oltre alla nonviolenza che peraltro usa da quarant'anni, con risultati mediocri? (a meno che l'obiettivo fosse banalizzare e ridicolizzare la nonviolenza e gli scioperi della fame). Chi, cosa esattamente gli impedirebbe di farsi sentire? A parte foraggiare il suo minuscolo partitino, che da solo non potrebbe mai varcare nessuno sbarramento; a parte mantenere con generosi finanziamenti quella Radio Radicale da cui Pannella può lanciare qualsiasi messaggio desideri, se solo riuscisse ancora a formularne di senso compiuto; a parte tutto questo, che altro deve fare il parlamento per dare più risonanza alle parole di Marco Pannella, politico che nessuno ha eletto, leader di un'emittente radio nazionale finanziata coi miei soldi? Quanto altro devo sborsare io, contribuente, per aiutare Pannella a farmi la predica: non un politico che voto io o qualcun altro in Italia, ma Marco Pannella: quello che ha inventato prima di Berlusconi il partito personale con il cognome nello stemma; quello che nel 1988 chiuse il Partito Radicale e lo trasformò in Lista Pannella, un'associazione privata che, in virtù del fatto che riesce a presentare abbastanza firme da presentarsi alle elezioni, può disporre di finanziamenti pubblici (vedi Malvino)? Certo, mi fa rabbia pensare che Lusi buttasse via i miei soldi per sbafare aragoste, ma perché dovrei essere contento se Pannella li usa per gracchiare nonsense alla radio, o per far organizzare referendum che finiscono quasi sempre nel nulla?

Nessun soggetto politico dell’area radicale è finanziariamente autonomo, se non la Lista Pannella: 653.000 euro di rimborso elettorale per i 9 parlamentari eletti nelle liste del Pd, altri 4.400.000 come fondo per l’editoria destinato a Radio Radicale, più altri 8.330.000 per la convenzione per le sedute parlamentari. Senza questo denaro la «galassia radicale» sarebbe ingoiata da un buco nero, ed è denaro che va alla Lista Pannella, che non è un partito, ma un’associazione, della quale fanno parte «quelli che, sottoscrivendo l’atto costitutivo, acquistano la qualifica di fondatori e quelli che vi aderiscono annualmente, denominati “soci ordinari” previa loro ammissione da parte dell’assemblea dei soci». In pratica, un consiglio di amministrazione nel quale si può entrare solo per cooptazione (Malvino).

Emma Bonino, si dice in giro, sarebbe un ottimo Presidente della Repubblica donna. Per me sarebbe un ottimo Presidente della Repubblica e basta: ha le competenze, un alto senso delle istituzioni maturato in anni di esperienze in Italia e fuori, conosce l'arte del compromesso, difende con cura la propria privacy, è una persona elegante. Tutte caratteristiche che un Presidente dovrebbe avere, mentre i caratteri sessuali primari sono irrilevanti. Le manca forse un po' di empatia, ma forse è meglio così, il pertinismo ha fatto danni. Posso capire che qualcuno faccia il suo nome - fermo restando che in Italia non sono previste candidature popolari al Colle (e non dovrebbero nemmeno esistere partiti personali, col nome sulla lista).

Vorrei però che fosse chiaro che 'candidare' Emma Bonino è tutto fuorché un gesto antipolitico o anticasta. Nel sistema partitico che lei e Pannella denunciano, i radicali hanno sguazzato come un pesce, uno di quei pesciolini parassiti che vivono incrostati ai cetacei di passaggio. Fu la Bonino, quando Veltroni voleva comprare il nome e infilarlo nel nuovo soggetto politico di nome PD, a tirare sul prezzo, chiedendo 15 scranni e 5 milioni di euro. Non so poi per che cifra si siano messi d'accordo e non so nemmeno dove siano finiti quei soldi, visto che Radio Radicale si finanzia con altri soldi (sempre pubblici). Che poi Bonino Pannella e compagnia campino cavalcando, tra gli altri argomenti, proprio quello dell'abolizione dei finanziamenti ai partiti, è una di quelle contraddizioni tipicamente radicali: come proporre da decenni il bipartitismo all'americana, e nel frattempo rimanere nel mezzo con un partitino minuscolo intestato al leader, più volte pronto a cambiare barricata in cambio di sedie e di soldi. Sono proprio le contraddizioni che mostrano la bravura di un politico: non tutti riescono a dissimularle, Emma Bonino ci riesce. Perché è brava. Ma è una brava politica, che sia chiaro.

mercoledì 20 giugno 2012

Waiting for my break

Io, per dire quanto ne ho piene le palle del terremoto, in questo momento sto in mutande.
Mi rendo conto che non è che sia questo scoop, ma dovete pensare invece a quanto sia coraggioso, di questi tempi, in queste plaghe, salire in casa propria al primo piano e mettersi in mutande, toh, irridendo la scossa che potrebbe costringerti a uscire nudo in strada o - se il pudore prevale - a cadere nudo tra i rottami del tuo geniale investimento immobiliare. C'è gente che ogni giorno rientra nella zona sismica per lavorare otto dieci e ore e finché non torna in una casa sicura non va in bagno, sul serio c'è gente così, e a costoro, poveri, io dico amen: in caso di big one, mi identificherete dalle mutande. D'altro canto sono un grafomane ed è sempre stato statisticamente molto probabile che le mie ultime parole fossero un'assoluta scemenza.

Qui c'è la solita afa del secolo, molta gente sbaracca le tende e torna in case non sicure ma dotate di air conditioning. Se non ci vivi non puoi capire come la paura di un terremoto possa cedere il passo all'insofferenza per l'umidità. A parte questo non ho molto da dire, ma in mezzo ai vecchi post non pubblicati ho trovato una lista buttata lì; a fine maggio era partita una catena sui dieci pezzi migliori degli Anni Novanta. Così ora, per dire quanto ne ho piene le palle, scriverò un pezzo su questo argomento di cui frega pochissimo anche a me, figurarsi voi, ma se viene il Big One ci tengo a farmi trovare in mutande mentre parlo d'altro con ostentata indifferenza.

I miei dieci pezzi preferiti degli anni Novanta, come se la cosa interessasse a qualcuno

Gli anni Novanta si riconoscono dal fatto che si compravano i CD. Io per la verità già pochissimi, la mia cultura musicale era sin d'allora il sintomo di un'offerta inflazionata, era il calore che d'inverno si prende gratis il barbone sulla grata della metro, era il frescolino che si prendono gli anziani al centro commerciale senza acquistare niente. Anche ai centri commerciali ci si poteva fare una cultura musicale dignitosa ai tempi, adesso non so. Tengo le cuffiette tutto il tempo.

Zooropa, 1993.
Giusto per mettere le cose in chiaro, io negli anni Novanta ero musicalmente già vecchio, ancorato a miti già messi in discussione e poi traditi, e poi ripresi in casa con la stanchezza con cui si riannoda l'unica storia dignitosa che sei riuscito a mettere su. Quando si misero a lavorare a Zooropa gli U2 ormai non erano più i rocker irlandesi che avevamo amato in parrocchia, non erano più molto rocker e nemmeno molto irlandesi, ormai vivevano nella terra di nessuno tra un aeroporto e l'altro ed è lì che composero ed eseguirono Zooropa, e si sente, e la cosa è molto anni Novanta. Gli U2 di quel decennio forse furono le ultime rockstar, se ha un senso la parola, quelli che a ogni disco dovevano cambiare volto e progetto, tradire qualche fan e recuperarne altri che li avevano fanculati, per esempio, dopo Rattle and Hum. Oggi nessuno ha più il coraggio di disorientare così quei poveretti che ancora portano avanti la nobile tradizione di comprarti i dischi; anche gli U2 hanno smesso di fare le rockstar, ho sentito che hanno un circo itinerante ma è molto caro. Zooropa, la prima volta che l'ho sentita accovacciato in un vagone passeggeri, pensavo a tutto tranne che avrei ancora ascoltato nella vita un disco degli U2; quando dal ghettoblaster un tizio che aveva paura di addormentarsi sul treno e perdere la coincidenza per Saint Tropez, Zooropa sboccò fuori come un fiume in pena ispirandomi pensieri come: Ce l'hanno fatta di nuovo, quegli stronzi! Ora ci tocca ascoltarli anche per tutti gli anni '90. Non è andata proprio così. Il testo parla di come ci si sentiva negli anni 90, nei lounge dei terminal o accovacciati nei corridoi dei treni per il mare.


Friday i'm in love, 1993.Non so, vogliamo starne a discutere? Non era il decennio dei Cure e non era la canzone migliore dei Cure, e nemmeno ho intenzione di riascoltarla nei prossimi 200 anni neanche se la coverizza il clone di Johann Sebastian Bach recuperato da un frammento di DNA impigliato tra le corde di un clavicembalo ben temperato; ma si può far finta che non sia uscita? Vogliamo suggerire di avere gusti musicali più raffinati, canzoni d'amore più intelligenti da sfoggiare? Fammi controllare, che giorno è? Mercoledì? Mercoledì non me ne può fregar di meno, guarda.


Jamie, 1994.
Jamie cominciò a sentirsi in radio dopo quella cosa paraculissima che era Buddy Holly, e fu il momento in cui di colpo ho smesso di pensare che i Weezer fossero un gruppo scemo da una botta e via, e ho cominciato a pensare che fossero la Cosa Nuova Del RnR, insomma il momento in cui sono passato da una deficienza all'altra; ma mi piace pensare di aver incocciato anche solo per un futile istante il vero gusto musicale, e mi piace pensare che sia quel momento in cui nell'inciso Jamie smette di battere 4/4 e se ne va per i fatti suoi.



Aicha, 1996.
Per come si erano messi gli anni 90 io avrei potuto anche diventare tutt'un'altra persona, per esempio adesso potrei essere un panzone che ascolta rai a palla in autoradio, invece non mi ricordo neanche esattamente cos'è il rai e perché mi piaceva. Mi piaceva perché era diverso ma familiare ma diverso. Si ascoltava molto in Francia, finché quella cosa non troppo interessante che è il rap francese se lo mangiò, fine della storia, oggi se mettete su Cheb Mami io vi chiedo che roba è, e il bello è che non faccio finta, mi sono totalmente dimenticato di cosa sarei potuto diventare. Aicha non è neanche la mia canzone preferita di Khaled, ma le altre non mi ricordo più come si chiamano e mi costa fatica cercare, inoltre descrive due personaggi dei miei anni 90: il panzone d'area magrebina, magari un po'mbriago che cerca di rimorchiare ma ha disposizione solo un frasario del nonno del nonno, e la fanciulla che cerca di emanciparsi, spero tu ci sia riuscita Aicha. Magari hai cinque bambini, un classico; e se torno al quartiere nemmeno ti riconosco. Poteva andarci meglio, sì, inutile discuterne.


Seekers who are lovers, 1996
Anche i Cocteau Twins erano, come me, un relitto degli anni 80, che come me si svegliò verso il 2000 con l'aria piuttosto sbattuta e molto rumore nelle orecchie. In quel periodo, se mi aveste conosciuto, ve l'avrei propinata commentando il frastuono con aria di intenditore, e vi avrei spiegato che la BBC session era molto meglio della versione studio, niente coretti leziosi e così via. Ma dovete anche capirmi, non c'erano ancora i blog a cui affidare tonnellate d'opinioni non richieste. Quando mi è venuta l'idea di fare questa lista ho pensato subito a loro, ero incerto sul pezzo giusto e allora ho dato un'occhiata su youtube: il primo commento è: "this song is sexy as fuck. this BBC version is the greatest - you can hear what everyone's doing. it's not syrupy soup as on the LP". Ecco, basta, mi era sufficiente incontrare qualcuno che la pensasse come me, ora non annoierò più nessuno. Vedete come l'Internet ci ha reso persone migliori, alcuni.



The Rockafeller Skank, 1998
Gli anni '90 erano anche quelli strani in cui andavo a ballare, qualcuno sostiene che è successo anche nel decennio successivo ma è una menzogna e non ci sono prove, né testimoni sobri. E si andavano a ballare cose scemissime a un certo punto, ci fu una specie di riconciliazione tra rochettari anche post-grungi, truzzi ricollocati nel tessuto produttivo e dj coi postumi della summer of love, e l'ex batterista degli Housemartins riciclatosi spacciatore di campionamenti da due soldi è l'epitome di tutto ciò. C'è senz'altro qualcosa di meno banale che meritava, ma Funksoul brother ha sempre funzionato, con chiunque ci fosse in quel momento in sala, ed è tutto quello di cui avevamo bisogno in quel momento. Sì, parlo al plurale per darmi un contegno, ma la verità è che ho veramente ballato questa roba. L'ho anche messa su alle feste.




You turn the screw, 1998.
Senza Antenna 1 anche ai Cake non avrei mai dato più dei tre minuti che misi a guardare il video di I will survive, invece se metti in fila quanti dischi hanno mandato fuori, quante belle canzoni ci sono dentro, quanti stili hanno costeggiato senza smettere un istante d'essere Cake, e quanto poco ciò sia fregato a tutti, capisci che erano avanti, già pronti a quell'incredibile spreco di talento che sarebbe stato il decennio successivo, e anche solo per questo la top 10 se la meritano davvero, anche se non sapresti dire con che pezzo e in che posizione. A me questa piace più di altri, voi arrangiatevi.

4 big speakers, 1998
A un certo punto degli anni Novanta la situazione era così incerta, così aperta - stasera mi piglio un due di picche da una pancabbestia o da un'imprenditrice? - che la risposta alla domanda "qual è il tuo gruppo preferito" era una cosa oggettivamente disperata come  "i Cardigans". Io però qui non ce la faccio a mettere i Cardigans, non riesco proprio a capire cosa mi facesse impazzire in quel poprock leccato il giusto, forse a quel tempo ci voleva della faccia tosta a stare tra i Roxettes e i Black Sabbath, ma è come quella gente che passeggiava in tondo gridando al cellulare, in seguito abbiamo smesso di ritenerlo un fatto degno di nota e di rilevanza culturale. Abbiamo anche smesso di ascoltare i Garbage, ve li ricordate i Garbage? Se uno pensa ai Garbage in heavy rotation nei centri commerciali, può capire perché i Cardigans potessero sembrare un'alternativa di un certo livello. Se ricanticchio dentro me gli immortali successi dei Cardigans, mi accorgo che oggi se li potrebbe cantare pari pari Britney o Lady Gaga, e allora? Allora, giusto per restare in Iscandinavia, ci metto i Whale (gli Whale?) I pezzi tirati de(gl)i Whale mi piacevano in un modo insano, volevo solo picchiare la testa contro il muro, o, in macchina, contro il volante. C'era il problema che questo disco ad Antenna1 qualcuno se lo era fregato - quella radio era un porto di mare! - quindi a un certo punto nessuno richiese più 4 big speakers, i dj dell'indotto cominciarono a temere che nessuno l'avrebbe capita e ballata, sicché essa cadde nel dimenticatoio. Poi arrivò Napster, e all'inizio cercar canzoni era come disseppellire i tesori, se nel frattempo ti eri dimenticato il titolo del pezzo o l'artista la ricerca era ancora più affannosa e divertente. Quando finalmente la trovai, la misi a palla nelle cuffiette, ma non c'era più nessun muro e nessun volante, stavo lavorando in un open space ed ero, come molto spesso negli anni Novanta, un perfetto deficiente. Non l'ho più ascoltata. No. Bugia. Due o tre ascolti l'anno, dai. In settembre di solito.




Waiting for a break, 1999.
Cioè questa roba era il meglio che si è ascoltato negli anni '90? Poveretto, chissà la merda. Effettivamente non so neanche chi siano e non li ascolto mai, però qui descrivono esattamente chi era l'abitante degli anni '90 di cui più avevamo paura, anche nel senso che avevamo paura di diventare come lui, anche nel senso che ormai era troppo tardi per non diventarlo. Qui c'è una traduzione.



The free design, 1999
Quando ormai gli anni Novanta cominciavano ad essere un po' avanti coi decimali, e nelle iterazioni sociali sempre più aleatorie, sempre più disparate e disperate, la domanda "tu che musica ascolti" cominciava a richiedere una risposta netta senza incertezze e stucchevoli puntini di sospensione, proprio in quel complicato momento gli Stereolab mi soccorsero e gliene sarò infinitamente grato, ma non abbastanza per ricordarmi dei titoli delle loro canzoni - e sì che loro si sforzano e ne inventano di veramente belli, ma gli Stereolab nei Novanta erano un flusso continuo che usciva da Antenna1 e si scioglieva immediatamente nel nastrone che tenevi sempre lì pronto sul momento, ben consapevole che nessun disturbo radio, nessun woofer o blip o drip o persino un'interferenza di Radio Maria avrebbe potuto rovinare un pezzo degli Stereolab, anzi. Secondo voi dovevo prendere il telefono coi tasti grossi e chiamare Max, chiedergli scusa come si chiamava il pezzo degli Stereolab che hai appena messo su? Ma per piacere. The free design è già di una fase successiva, me lo ricordo bello forte nei cuffioni del negozio, era quel momento in cui sembrava che questi signori fossero capaci di tutto, la sbobba la volete più jazz? ve la facciamo più jazz, che problema c'è. Vennero anche alla festa dell'Unità di Modena ma l'acustica era pessima. C'era ancora la corista che poi è morta (ci sono già due morti in questa didascalia, finiamola qui).

Come, neanche un pezzo in italiano? Sì, ne ho ascoltati parecchi ma mi sembrerebbe di pesare assieme mele e pere, no, mele e cachi patocchi. Magari un'altra volta, rigorosamente in mutande. Ciao.

martedì 19 giugno 2012

Europa sì Europa no

Tra le elezioni greche di primavera e quelle di domenica dev'essere successo qualcosa che da qui non si è capito molto bene. Forse nessun osservatore sul campo è riuscito a raccontarcelo come si deve (ed è un vero peccato); o forse eravamo distratti da europei di calcio o terremoti. Fatto sta che la maggioranza di un popolo, che qualche mese fa sembrava ormai orientato a lasciare l'euro, ieri ha deciso che tutto sommato preferisce tenersi la valuta europea. I greci sono tuttora insofferenti nei confronti della politica economica UE, come testimonia il buon risultato di Syriza; però anche la confederazione di sinistra aveva già garantito prima delle elezioni che l'euro era fuori discussione. Che cosa può essere successo in tre mesi, per convincere cittadini di diversi orientamenti politici che tutto sommato l'euro è meglio della dracma? Ho una teoria: si sono fatti due conti in tasca. Meglio tardi che mai: chi siamo noi per giudicare, dopotutto.

Come insegnante mi è capitato più volte di sperimentare uno dei più noti misteri della didattica: qualsiasi problema aritmetico diventa immediatamente più comprensibile se come unità di misura usiamo il denaro. Non c'è nessun motivo logico per cui un bambino debba sommare due euro più volentieri di due mele o due chilometri, eppure è così: la valuta ci rende subito più partecipi al problema, più interessati a risolverlo. Forse è successo qualcosa del genere anche ai greci: a un certo punto un problema economico complesso, con tanti fattori difficili da maneggiare (inflazione, svalutazione, speculazione) si è trasformato in un problema pratico: non si parlava più di soldi come entità estratta; gli euro da convertire in dracme erano quelli che i greci avevano in tasca, e il sogno di una nuova autonomia monetaria si è infranto lì. "Uscire dall'euro" è una frase eroica, che riempie la bocca e incute un certo rispetto; "dimezzare nel giro di pochi giorni i propri risparmi" suona molto più prosaico, e non attira certo gli elettori (continua sull'Unità, H1t#132).

Qualcosa del genere sta succedendo anche in Italia, dove la proposta di uscire dall’euro è sempre buttata lì a mezza voce, più un brontolio che una minaccia. Grillo qualche settimana fa sembrava abbastanza sicuro – ci fece un sondaggio on line e ne parlò anche in un’intervista all’agenzia Bloomberg – ma poi non ci tornò più sopra, il che per la verità è abbastanza tipico delle sue esternazioni via blog: slogan e parole d’ordine possono nascere ed essere accantonate senza più un commento a seconda della situazione. Anche Berlusconi, volendo dirne una delle sue, si limitò a dire che potevamo tenerci gli euro, ma dovevamo cominciare a stamparceli noi – un nonsense come un altro: una volta eravamo abituati a sviscerarli fino alla noia, adesso ci lasciano un po’ smarriti. Insomma il fantasma della sovranità monetaria è buono da agitare per qualche mezz’ora e non di più, giusto il tempo per attirare l’attenzione e cambiare argomento: meglio così, perché la sensazione fino a qualche settimana fa non era affatto buona.
La prospettiva che l’Italia possa uscire dall’euro è preoccupante, ma dovrebbe preoccuparci anche il solo fatto che se ne stia discutendo; che Grillo ottenga il 20% dei sondaggi dopo aver buttato lì che si potrebbe svalutare la lira del 50 per cento. Lo si può accusare di populismo, ma un popolo che acclama chi gli propone di bruciare il 50% dei propri risparmi ha un problema molto più grosso. Non sta cercando un demagogo che gli lisci il pelo, sembra piuttosto a caccia di un Savonarola che imponga austerità e miseria in attesa della fine del mondo. Senz’altro ci manca la cultura economica, e ce ne accorgiamo sempre di più in questa crisi in cui tanti distratti possessori di titoli di Stato si sono ritrovati a chiedere all’Italia di non pagare i suoi debiti senza rendersi conto di essere tra i creditori. Più in profondità, ci manca anche una solida cultura matematica. E in generale il buon senso, o la concentrazione. Forse la troveremo soltanto sotto stress. Ai greci ci sono volute due tornate elettorali. Sapremo fare di meglio? In fondo è semplice: ogni volta che si parla di euro, cerchiamo di pensare a quelli che abbiamo in tasca. L’economia non diventerà di colpo più semplice, ma almeno un po’ più concreta. http://leonardo.blogspot.com

venerdì 15 giugno 2012

Alice guarda i SS

È il solo santino che ho trovato, ed è così brutto che è quasi bello.
15 giugno - Santa Alice, lebbrosa (1204-1250)

In realtà questo pezzo è solo un misero modo per chiedere scusa a una ragazza che si chiama Alice (buon onomastico Alice), in ritardo per giunta, che mi aveva chiesto un'agiografia per oggi: e io credo che sia una cosa carina che mi arrivino le richieste, mi sembra appropriato al taglio della rubrica - peccato che non ce la faccio poi a esaudirle.

Peccato veramente perché stava andando bene questa rubrica, stava dando soddisfazioni, e da giugno in poi pensavo che avrei avuto anche più tempo per pescare storie interessanti -  poi a fine maggio c'è stato un martedì un po' turbolento dalle mie parti, terremoti e altre cose, e da quel momento ho la testa da un'altra parte (spesso ho anche il laptop da un'altra parte); non da una parte necessariamente più utile o interessante, però le storie di santi non riesco a scriverle più, e mi dispiace, mi dispiace veramente Alice, ma pensa che in questi giorni ho già ciccato miseramente Giovanna d'Arco, renditi conto - e Antonio da Padova, si meriterebbero un romanzo per uno e non ci ho scritto nulla. E guarda che ci ho provato, anche se la biblioteca è chiusa a data da destinarsi, ci ho provato lo stesso, ma il processo di Rouen e il miracolo della mula non mi dicono più niente.

Sarà il brutto periodo, ma tutti questi Santi in cielo li vedo un po' più lontani ultimamente, se alzo gli occhi fanno tutti le smorfie, ora sì che avresti bisogno di noi, vero? Ah! Arrangiati, così impari a ridere dei nostri colleghi. Di' che non ti servirebbe un Santo per sanare la crepa nella camera dei bambini. Non c'è! Un Santo per far tornare il sorriso sulle facce dei tuoi cari, un Santo che ridia il sonno a chi l'ha perso, un Santo per ripristinare il valore del tuo investimento immobiliare... aspetta che controllo, aspetta... ti attacchi Leonardo! La prossima volta va' a far la rubrica sugli avatar degli indù, va'. Ma sul serio pensavi di poter fare a meno di noi? (Continua)

martedì 12 giugno 2012

Piccoli uomini Grandi rischi


Ma quelli che oggi si lamentano perché la Commissione Grandi Rischi ha segnalato il rischio di altre scosse, sono gli stessi che prima si lamentavano perché i sismologi non riuscivano a prevedere i terremoti e ad allertare la popolazione?

Certo che dev'essere dura fare i sismologi in Italia. Fino a pochi giorni fa Beppe Grillo e compagnia si lamentavano del fatto che non riuscissero a fare previsioni accurate almeno come quelle del meteo ("Se il meteo ci dice che domani pioverà, terremo a portata di mano l'ombrello. Ma se non viene nemmeno annunciato il rischio di un forte terremoto, perché il Comune non ci dice come comportarci?") Ora che i sismologi hanno indicato con una certa precisione l'area a maggior rischio, ecco che li si accusa di voler seminare un panico ingiustificato.

Una domanda antipatica: il documento della Commissione Grandi Rischi che ha fatto infuriare tanta gente (qui nell'Emilia terremotata e altrove), quanti lo hanno letto davvero? Perché purtroppo la voce che correva tra tendopoli e bar, il giorno dopo, era la solita: "hanno detto che sta per arrivare un'altra scossa forte". Oltre all'angoscia, che a un certo punto dovremo cominciare a gestire, stavolta si è sentita anche una certa rabbia, forse dovuta alla sensazione che lo sciame comunque si stia disperdendo: scosse se ne sentono ancora tutti i giorni, ma ogni giorno un po' meno, e meno forti (la stessa cosa, purtroppo, la stavamo pensando alla vigilia del 29 maggio). E quindi, insomma, cos'è questa Commissione che insiste a farci paura? (continua sull'Unità, H1t#131).

La Commissione, in realtà, ha semplicemente fatto il suo mestiere. Non ha omesso di notare che “le scosse di assestamento stanno decrescendo in numero e dimensione”, almeno nell’area centro-occidentale, e ha segnalato che viceversa il segmento centro-orientale (tra Finale e Ferrara) è quello più a rischio “nel caso di una ripresa dell’attività sismica nell’area già interessata dalla sequenza in corso”. Forse valeva la pena di sottolinearlo, quel “nel caso di”, perché la Commissione non dà affatto per scontato che arrivino altre scosse forti: afferma soltanto che qualora riprendesse l’attività sismica, è tra Finale e Ferrara che bisogna aspettarsi la scossa più forte, paragonabile “ai maggiori eventi registrati nella sequenza”.
Ma non si era detto fino alla noia che i terremoti non si potevano prevedere? Infatti (qui una spiegazione di un sismologo vero). Il massimo che si può fare è segnalare un’area più o meno vasta dove più facilmente potrebbe verificarsi la prossima scossa forte. Cioè quello che la Commissione ha fatto – seminando il panico in chi non ha letto bene, o ha creduto al sentito dire. Forse, tenuto conto della condizione emotiva di chi vive nella zona, il comunicato di sintesi poteva essere scritto in un italiano più semplice. Ma forse tocca anche a noi cercare di capire quello che gli esperti ci stanno dicendo, prima di spaventarci inutilmente.
Ma il panico è sempre ingiustificato. La prossima scossa, se ci sarà, non dovrebbe essere più terribile delle altre. Per il semplice motivo che ormai ce l’aspettiamo, sappiamo come comportarci, abbiamo già verificato la tenuta delle nostre abitazioni e non dormiamo in quelle a rischio; abbiamo capito che non dobbiamo gettarci dalle finestre o dalle scale, né sostare sotto i cornicioni. Tutte cose che in teoria avremmo sempre dovuto sapere, ora le abbiamo imparate, meglio che dopo tutte quelle esercitazioni annuali che non prendevamo mai sul serio. Chi sa cosa aspettarsi non dovrebbe più vivere nell’angoscia. Certo, una scossa nel cuore della notte continuerà a rovinarci il sonno. Certo, non abbiamo la minima idea di quando finirà, e questa cosa ci lascia sgomenti. Ma se il terremoto non si può controllare, la nostra angoscia e il nostro panico sì, possiamo combatterli. Smettendo per esempio di aspettare che un espertone ci dica che siamo fuori pericolo: lasciamo perdere, quell’espertone non ce lo dirà mai, finché non ce ne accorgeremo da soli. http://leonardo.blogspot.com

domenica 10 giugno 2012

Il Cristo gay e il Grande Inquisitore

Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa...


“Dunque, la scena comincia così: immaginati una processione, in una città medievale, oscurantista... facciamo Bologna”.
“Bologna, via, così oscurantista poi...”
“Bologna è perfetta, ci stanno i domenicani, quindi l'Inquisizione. Immaginati una di quelle processioni medievali coi flagellanti, no? E proprio durante questa processione, chi ti compare?”
“Chi mi compare?”
“Un Cristo gay”.
“Un Cristo gay”.
“È quel che ho detto”.
“Non so, Ivan, abbiamo già diverse polemiche in corso, se magari riusciamo a evitare di offendere cristiani e gay in un botto solo io preferirei...”
“Nonò fidati, un Cristo gay che appena compare, tutti all'improvviso capiscono che è lui, la folla si apre per lasciarlo passare, tutti lo seguono in silenzio, senza osanna, senza alleluja, tanto ovvio è che lui è Cristo”.
“E che è gay”.
“È un Cristo gay”.
“Ivan questa cosa però spiegamela meglio, perché io posso anche capire un Cristo a Bologna nel medioevo, cioè se sono in Strada Maggiore e all'improvviso vedo un ebreo con la corona di spine più o meno ci arrivo che è Cristo, ma spiegami come faccio a capire che è pure gay”.
“In effetti anch'io mi sono posto il problema”.
“Cioè non gli possiamo mica mettere l'aureola arcobaleno”.
“Perché no”.
“Perché è il medioevo a Bologna, cosa vuoi che ne sapessero dei colori del movimento LGBT”.
“Va bene, ci pensiamo dopo. L'importante è che sia evidentemente gay”.
“E tutti lo seguono”.
“Per forza, è un Cristo gay. Tu non lo seguiresti? Anche solo per curiosità?”
“E poi che succede?”
“Succede che a un trivio si devono fermare per dare la precedenza al cocchio, e il cocchio è ovviamente una cosa kitschissima, tutti intarsi e intagli e lacche in oro zecchino”.
“Nel medioevo? Non è un po' presto?”
“Il cocchio però invece di sfilare inchioda, e dalla finestrella spunta il volto arcigno di un vecchio Inquisitore, sormontato da un tricorno fucsia molto chic”.
“Questa cosa finisce malissimo, vero?”
“Non abbiamo neanche iniziato. Anche l'Inquisitore ovviamente capisce subito chi ha davanti, ovvero...”
“...un Cristo gay”.
“Un Cristo gay, e gli basta un cenno perché gli uomini della sua scorta lo prendano in consegna. Ovviamente gli uomini della sua scorta sono maschiacci nerboruti e sudaticci, muniti di alabarde un po' falliche”.
“Questi particolari sono tutti necessari?”
“No, però sono divertenti. Dunque l'Inquisitore si fa portare il Cristo gay nel suo palazzo, e dopo una sobria cena e un sobrio intrattenimento, decide di scendere nelle segrete per interrogarlo. Senza testimoni”.
“Ci mancherebbe”.
“La scena vera comincia adesso. Dunque l'Inquisitore entra nella cella, squadra il suo uomo a lume di candela e gli dice: taci”.
“Come taci, scusa, ma che interrogatorio è”.
“È un interrogatorio molto interessante. Gli dice, taci, non c'è bisogno che tu mi dica chi sei, e non c'è nulla che tu possa aggiungere per modificare la tua posizione. Non so cosa sei venuto a fare sulla terra una seconda volta”.
“Ma come non lo sa, scusa...”
“...ma non m'interessa, hai avuto una vita per parlare e adesso ti tocca ascoltare. Lo sai in che guaio ci hai messo? No che non lo sai. Ci hai dato la libertà, come credi che l'avremmo usata, se non per mangiarci a vicenda? Lo sai in che disastro ci hai mollati? E sai quanto ci abbiamo messo a pulire? Mille anni ci abbiamo messo. C'è toccato persino allearci col tuo nemico, sai, Satana. Abbiamo una joint-venture, adesso. Non lo sapevi? Vedi che in questo interrogatorio hai qualcosa da imparare. Non è che ne andiamo fieri, ma cos'altro potevamo fare? Siamo gay, perdio, quanti credi che siamo in tutto? Il dieci per cento della popolazione mondiale? Il quindici?”
“No, dai, il quindici no”.
“Che male ci sarebbe?”
“Mi sembra esagerato, via, il quindici”.
“Ma fosse anche il venti, è pur sempre una minoranza, lo sai cosa vuol dire?”
“Vuol dire che dovranno lottare affinché alle minoranze siano riconosciuti i loro diritti”.
“Ecco, lo vedi? Il classico ragionamento da Cristo gay. Ma non funziona così”.
“E perché non funziona così?”
“Perché l'umanità è una cosa un po' meno nobile di come la raccontava lui, perché homo homini lupus e tutto il resto, e insomma non importa che sia una razza o un'identità di genere o una preferenza sessuale o il colore dei capelli: la minoranza sarà sempre angariata dalla maggioranza. Sempre”.
“Ma no dai, sempre no”.
“Sempre, te lo dico io. Cioè no, te lo dice il Grande Inquisitore Gay”.
“Ah, perché anche il Grande Inquisitore è...”
“Lo aveva appena detto. Quindi mettiti nei nostri panni, continua il Grande Inquisitore Gay, infilati nei nostri soffici ermellini. Se almeno fossimo stati una minoranza, che so, etnica. Potevamo sempre sperare di diventare una maggioranza da qualche parte, con guerre o complotti. Ma siamo gay. Non possiamo diventare una maggioranza, per definizione”.
“E perché no?”
“Perché siamo gay, stupido. Non siamo prolifici”.
“Ah già dimenticavo. Ma potevate adottare”.
“In effetti pensammo subito a questo. Ma come potevamo riuscirci? Tu che avresti fatto? Una bella campagna per il diritto della coppia gay all'adozione durante l'impero romano?”
“Beh, forse i tempi sarebbero stati un po' prematuri”.
“Ah, perché invece nell'Alto Medioevo...”
“Quindi insomma niente da fare”.
“Al contrario. Ci siamo riusciti alla grandissima, spiega il Grande Inquisitore Gay (da qui in poi GIG). Siamo in assoluto la comunità che adotta di più. Abbiamo uomini in tutti gli orfanotrofi, anzi gli orfanotrofi li costruiamo direttamente noi. Non è stato difficile. Sai come abbiamo fatto?”
“Come avete fatto”.
“Abbiamo fatto coming in”.
“Coming in... cosa?”
“È un neologismo che ho inventato io, spiega compiaciuto il GIG. Ci siamo nascosti. Certo tu avresti preferito che noi vivessimo in mezzo alla gente fieri dei nostri costumi. Certo tu, caro Cristo gay, avresti preferito che il sale della terra rimanesse nella terra, e che la lucerna non restasse occultata sotto il moggio... ma ne abbiamo parlato con Satana e lui è stato molto più convincente. Ci siamo nascosti perché era l'unico modo per sopravvivere nei secoli, capisci. Noi non siam come te, che vieni, predichi tre anni e poi ciao ciao, fate i bravi, ci vediamo alla fine dei tempi. Noi abbiamo da pensare a sopravvivere per millenni, non possiamo accontentarci di qualche oasi di tolleranza qua e là, noi sappiamo che gli olocausti sono sempre dietro l'angolo e dobbiamo corazzarci”.
“Così insomma i gay ci sono sempre stati, ma si sono nascosti per sopravvivere”.
“Certo, continua il GIG, e lo sai dove ci siamo nascosti?”
“Non so, in qualche confraternita immagino”.
“Nella confraternita più esclusiva e allo stesso tempo più universale e più potente e allo stesso tempo più capillare dell'universo, sai qual è? La domanda la faccio a te, col Cristo gay non ce n'è bisogno, lui la sa già”.
“E quindi insomma...”
“Ma non hai capito? Hai davanti un Grande Inquisitore Gay, con lo zuccotto fucsia, l'ermellino, le scarpette di Gucci, eddai... dove vuoi che si siano nascosti”.
“No dai Ivan per favore”.
Nella Chiesa cattolica! Siamo tutti qui, continua il GIG. Da secoli siamo qui, e ce la spassiamo! Prolifici quanto mai, abbiamo in mano gli orfanotrofi, le scuole, i precettori nelle case private, se da qualche parte nasce un ragazzino o una fanciulla tendente all'omoerotico, fidati che lo troviamo all'istante, e ci preoccupiamo di lui per tutta la vita! Questo facciamo”.
“La Spectre gay”.
“Abbiamo inventato la Confessione, ti rendi conto? Non c'è mai stata in tutta la storia dell'uomo un età così fortunata per i gay”.
“Ivan, sei sicuro?”
“Altro che lottare per i diritti civili e la tolleranza e tutte queste menate. Noi non vogliamo la tua patetica tolleranza, dice il GIG a Cristo. Noi vogliamo il potere, e lo abbiamo. Siamo o non siamo stati bravi. Da secoli una congregazione di gay regna sull'Europa, così ben organizzata che gli etero ancora non se ne sono accorti, ed è meglio così, no? Per il loro bene”.
“Perché voi non ce l'avete con gli etero”.
“Ci sono indispensabili, poveretti. Lavorano, ci pagano le decime. E soprattutto sono prolifici, loro”.
“Qualcuno lo deve pur essere”.
“Finché non inventeremo l'inseminazione artificiale, l'utero artificiale, magari la clonazione, ecco, ma la scienza è ancora indietro, indietro...”
“Potreste provare a bruciare meno scienziati”.
“Comunque ci vorrebbero secoli, il nostro sistema è molto più efficiente. Ora capisci perché la tua libertà è solo una scemenza? Capisci perché non hai diritto di parlare con me, che sono l'esponente di un sapienza millenaria, veramente incarnata nel sangue vivo e putrescente dell'uomo? Tu sei solo il figlio di Dio, che ne sai? Uno si fa una passeggiata sulla terra, due o tre prediche e una morte in croce, e poi è convinto di aver capito, ma cosa hai capito, cosa? Non esiste la libertà, se non per piccoli periodi. Non esiste la tolleranza. Nel medio-lungo termine esiste solo il potere, esiste solo la sopraffazione, e noi gay perché dovremmo essere meglio degli altri? Perché? Perché non dovremmo anche noi tentare di prendere il potere e usarlo per abusare dei deboli e degli indifesi? Perché ce lo chiedi tu con quegli occhioni azzurri incongrui in un mediorientale? Adesso sai che faccio? Ti processo e poi ti brucio come pederasta. Gli stessi che ti hanno osannato stamattina, saranno lì a raccontare di quando molestavi i loro figli nel cortile. Io queste cose le so, io lo so come è fatto l'uomo. Adesso parla pure se ti va. Ma il Cristo gay non parla”.
“Lo sospettavo”.
“Non dice niente. Solo fa un passo avanti verso il GIG, e per miracolo le catene si sciolgono, le manette sadomaso si aprono con un clac. Il GIG spaventato si ritrae, ma il Cristo Gay lo abbraccia”.
“E lo bacia”.
“Ovviamente”.
“Avremo i troll cattolici e quelli LGBT per sei mesi, Ivan...”
“Sarà divertente”.
“Si baciano a lungo?”
“Quanto basta. Poi il GIG, sconvolto, apre la porta della cella e dice Vai Via! Vai Via e non tornare mai più”.
“E poi? Fa coming out? Denuncia la sporcizia annidata nella Chiesa?”
“No, macché. Torna nel castello in tempo per la finale del torneo canoro dei castrati Ma quel bacio, quel bacio continua a bruciargli nel cuore”.

sabato 9 giugno 2012

Certi giorni (sono meglio di altri)

Certi giorni ti svegli e c'è il sole, le tende ai giardini pubblici sembrano un camping, ti danno l'illusione che dietro i pini ci sia una spiaggia da qualche parte. La badante che dorme sulla panda all'angolo, il sismografo meglio calibrato del quartiere, dice che scosse lei non ne ha sentite; il cornetto al bar si scioglie in bocca, e pensi che non c'è nulla che non si possa risolvere: casca un campanile, lo rifaremo più bello. E anche le industrie, prima delocalizzano, prima si sbrigano a tornare indietro. Abbiamo mille sfollati? Fammi ridere, prima del sisma avevamo quattromila appartamenti sfitti, tutti ancora in piedi, tutti nuovi antisismici. All'ex coop rilevata dai cinesi stanno cambiando i mattoni, giuro: tolgono quelli vecchi evidentemente crepati, e ne mettono di nuovi, sembra un lego. Nel frattempo i cinesi hanno riaperto, dalla porta di servizio per non disturbare i muratori. Vai così. Se ci credono i cinesi, che hanno il mondo a disposizione, un margine c'è.

Hai presente quel balcone che si affaccia sotto il campanile, dove ci sta una famiglia di paki. Sono tornati. Cioè, dormono ancora nel parco, ma di giorno stanno nell'appartamento, i bambini vanno persino sul balcone. Quel balcone sporge troppo, mi preoccupava anche prima dello sciame, così ho detto al padre di starci attento. Magari mi ha dato retta, portavo il casco giallo.

Certi giorni dopo mezz'ora si mette a piovere, ti dicono che il duomo e il teatro forse sono da buttare giù e il sindaco è ricoverato, la scuola non si sa nemmeno se riapre in settembre, al centro di coordinamento nessuno coordina un cazzo, e il tuo architetto è latitante. I marocchini stanno disertando in massa, c'è l'ambasciata che li rimpatria gratis. Insomma ci credono giusto i cinesi, e il muschio, e i licheni. E non sono ancora le otto di mattina. Piove nelle chiese, nelle case scoperchiate dopo quattrocento anni, e tu sei lì col tuo casco giallo limone, l'omino playmobil di guardia a un solaio sfondato.

Sei arrabbiata con me? Ho tradito la tua fiducia, quando ci siamo conosciuti avrei dovuto almeno accennare alla faglia ferrarese, al terremoto del 1570? Vorresti che ti dicessi che non durerà altre settimane, altri mesi, altri anni? Che non succederà mai niente a noi e ai nostri figli, assolutamente niente mai?

Certi giorni non ti svegli nemmeno, sei su dal giorno prima. Dovresti buttar già qualcosa ma hai la nausea dei casolari diroccati, della magnitudo, invidi gli inviati speciali che a un certo punto prendono un taxi, un treno, e il loro terremoto finisce lì. Guardi le case in cui nessuno forse avrà più coraggio ad abitare, e pensi a quanto costavano al metro quadro quando ne stavi cercando una. Adesso per la stessa cifra potresti prenderti una contrada intera e farci un ospizio, che è poi quello che diventerà questo quartiere, quando le imprese delocalizzate non torneranno, i giovani se ne andranno e resteranno i vecchi, resteremo noi.

Due ragazze sono cadute dal quarto piano. In ospedale hanno detto che i ladri erano entrati nell'appartamento e le avevano costrette a buttarsi di sotto. Stasera ho ridato un'occhiata e la storia era cambiata, c'erano due ragazze che tentando di svaligiare la casa dei vicini erano cadute giù.

Certi giorni puoi solo incassare e sperare che tramonti presto, anche se il terremoto veramente non si corica mai, ma alla fine sei stanco anche di aver paura. Lascia perdere l'INGV ci siamo presi quello del secolo e siamo ancora qui, siamo vivi. Possiamo ancora andare dove vogliamo, vuoi che andiamo via? Ero di guardia al campanile ma al telefono con te, ricordo che mi stavi dicendo che l'Italia comunque è fottuta, quando ho visto una, due, tre bolle di sapone cadere giù dal balcone dei paki, e non scoppiare fino al marciapiede. Certi giorni alla fine tieni duro e sono meglio di altri.

(Stamattina, mi hanno detto, riaprono il Centro).

martedì 5 giugno 2012

Sovrani cercansi

Riotta, perdio, sai che rumore fa il terremoto?
Un rombo che arriva da lontano. Ogni volta che arriva,
a qualcuno saltano la coronarie. Non è una metafora, si
sentono le ambulanze, gli saltano davvero. Perché non
organizzi un bel match di baseball benefico molto
fuori dai coglioni?
E poi ci siete voi.

Voi che la colpa è dei politici.
Voi che siccome la collisione di due faglie a decine di chilometri di profondità è oggettivamente difficile da collegare ai politici, voi però non vi tirate indietro, vi lambiccate, e dai e dai un modo per dimostrare che è colpa dei politici anche la tettonica a placche la si trova.
Voi che quando martedì scorso Cavezzo è andata giù, coi suoi edifici a norma, coi suoi capannoni appena ispezionati, voi nel giro di poche ore avevate pronta la soluzione: bisognava rinunciare alla parata.
Voi che, siccome Napolitano non poteva rinunciare alla parata, ecco, lo vedi? È colpa di Napolitano. Facile.
Voi che quando vi si chiede, con diplomazia, ma che cazzo state dicendo? Secondo voi a sospendere una parata già montata si risparmiano i fondi necessari a ricostruire? Ma l'avete capita che è più o meno come sospendere una festa di compleanno per curare la leucemia? Voi fate spallucce, lo sappiamo, eh. Non siamo mica cretini, noi. Però...
Voi che però cosa? Non siete cretini però cosa?

Voi che però sarebbe stato un gesto simbolico.
Rinunciare alla festa di compleanno.
E anche Napolitano, perché non è corso a farsi inquadrare sullo sfondo dei calcinacci? Sarebbe stato un bel gesto simbolico. Sicuramente chi sta nelle tendopoli a Novi o Rolo avrebbe apprezzato, non è vero, un ampio spiegamento di forze per garantire le inquadrature di Napolitano sullo sfondo dei calcinacci. Ah, e anche il Papa. Andava a Milano. Poteva fermarsi per strada (per strada?) Con tutto il codazzo di bodyguard necessario. Sarebbe stato un bel gesto simbolico, un caos logistico che gli sfollati avrebbero senza dubbio apprezzato. Però non ha voluto, lo vedi? È colpa del Papa. Poteva stendere le mani e non l'ha fatto. E di Napolitano. Non è degno di fare il presidente della, della Repubblica.

Voi che non siete cretini, però... eh, è tanto liberatorio. C'è un terremoto? Si dà addosso al Papa. In mancanza di meglio. Si dà addosso al presidente della Repubblica. In mancanza del re. Certo una volta era comodo. Il terremoto era un messaggio di Dio al sovrano. Ferrara 1570. Terremoto. Dio vuole punire Alfonso d'Este, sovrano indegno e sterile. Facile. Poi, certo, viene l'Illuminismo, nasce la scienza moderna, Wegener si fa ridere addosso con la deriva dei continenti che poi diventa la tettonica a placche, maledetta tettonica a placche. Chi te lo legge un bel messaggino indignato su facebook contro la zolla africana che si sfrega contro quella euroasiatica? Chi ti clicca “mi piace”? Invece un etto di indignazione contro Napolitano o Ratzinger o Monti te lo affettano tutti fine fine, è roba che va a ruba, e allora no, non siamo cretini, però... però su facebook un po' ci conviene.

E anche la Repubblica, la cosa di tutti, che rottura di palle. Era molto meglio quando era tutto intestato a o're, si faceva molto prima a dare addosso a lui. Napolitano si ingegna, ma non è proprio la stessa cosa.

Ciao sono Leonardo, scrivo da una piazza di Carpi appena fuori dalla zona rossa. Ci sono quattro bar aperti in cento metri, vorrei poter prendere un caffè da tutti, ma non mi farebbe bene. Erano aperti anche ieri, neanche dodici ore dopo una scossa di 5,1 magnitudo. La gente passa a chiedere: quando riaprite il centro? Quando posso riaprire il negozio? Quando riaprite la scuola?, mia figlia vuole i libri per studiare. Molti dormono in tenda. Non hanno mica aspettato che gliela portassero. Se la sono comprata.

Sapete di cosa ha bisogno questa gente? Di un'altra polemica antipolitica un tanto al chilo? No, mi dispiace, no. Vi sta sulle palle la parata? Vi capisco, io trovo deprimenti i compleanni. Scrivete pure di quanto vi sta sulle palle la parata. Ma per favore non mettete in mezzo i terremotati. Loro l'hanno capito cos'è la repubblica. Via, non è difficile. Basta leggere le prime due righe: la sovranità appartiene al popolo. Al popolo, capite, non a un notaio del Quirinale che deve andare a farsi inquadrare con la fascia. Non è il re: è un funzionario. Se la terra trema, non ha colpe e non ha nemmeno particolari poteri. Siamo una repubblica. I sovrani siamo noi. Siete voi. Volete fare un bell'atto simbolico, pensate che i terremotati ne abbiano bisogno? Venite voi. Non serve neanche una fascia, meglio una pettorina anti-infortunistica.

Ieri mattina al presidio ho trovato un sovrano, uno tra tanti. Era venuto da Pescara, faceva la guardia al centro storico. Ho molto apprezzato il gesto, non solo simbolico, visto che la sera prima si era trovato sotto il campanile di San Francesco quando aveva cominciato a oscillare come un pendolo. Sono tornato sedici ore dopo, era ancora lì, si era fatto due turni filati ed era contento perché non avrebbe dormito in macchina, bensì in palestra. Ecco, con sovrani del genere, scusate, ma chi ha bisogno di Napolitano.

sabato 2 giugno 2012

Non imboschiamoci

Ciao, sono un campanile in controtendenza
Oggi avrei qualcosa da dire, purtroppo non tanto a voi che leggete, quanto ai miei compaesani tra Modena e Carpi che dormono ancora in auto o in tenda. Difficilmente verranno qui a guardare - però due cose comunque io devo scriverle, e sono queste.

Prima cosa: chiunque vi dica che c'è un altro grosso terremoto in arrivo - e so che ce ne sono, so che la voce gira - vi sta mentendo. Nel migliore dei casi è un mitomane, nel peggiore un infame, uno sciacallo: e così dovete trattarlo. Non vi chiedo di prenderlo a ceffoni, anche se li meriterebbe, ma ridetegli in faccia: ridicolizzatelo, umiliatelo, fate sì che si vergogni di andare in giro a dire certe cose, e che chi lo ascolta si vergogni di avergli dato retta per più di un istante. I terremoti non si prevedono: i terremoti si sconfiggono con la prevenzione, la prudenza e il coraggio.

L'altra cosa che vorrei dirvi è appunto questa: ci vuole coraggio. Un po' di più di quello che abbiamo avuto fin qui. Vorrei dirvi che il terremoto è un evento catastrofico, che scatena sotto le case l'energia di un bombardamento misurabile in megatoni; però anche il terremoto non è che sia più forte di noi. Di noi tutti assieme, intendo, se ci facciamo coraggio. Chi ha una casa distrutta ha tutto il diritto di piangerla, ma guardiamoci negli occhi: la stragrande maggioranza delle nostre case non è distrutta. La stragrande maggioranza delle nostre case ha ballato su una scossa superiore ai cinque magnitudo, ed è ancora lì. Lo sapevate di avere case così robuste? Ora lo sapete. E quindi adesso si tratta di tornarci, di riprendere a vivere e a lavorare. So anch'io che non è facile.

Ci vuole coraggio. Quel coraggio che hanno avuto per esempio i nostri nonni, molto più poveri di noi, che si sono presi una medaglia d'oro. C'era il nazismo e loro hanno avuto un po' di coraggio. Non credo che oggi ce ne serva più di quello che hanno avuto loro. Noi poi andiamo molto fieri del loro coraggio, lo festeggiamo tutti gli anni e non facciamo che parlarne: ecco, è l'ora di mostrare che lo ricordiamo per un motivo. Fingete solo per un attimo che il terremoto sia il nazismo: che si fa, si scappa? È' un nemico insensato che rade al suolo paesi inermi, e lo fa per spaventarci: ci imboschiamo?

Io non posso dirvi quando finirà - e chiunque sostiene di potervelo dire è un bugiardo, un traditore, una spia. Potrà metterci anni, e forse ci saranno altre crepe e altri caduti. Può benissimo succedere, e allora? L'unica cosa che so è che alla fine se ne andrà, perché alla fine i terremoti se ne vanno tutti: e avremo vinto noi. Se non saremo scappati, se avremo tenuto in vita i centri piccoli e grandi, se non l'avremo data vinta al declino e alla paura del declino, che sono la stessa cosa. Quel giorno avremo vinto: e ricorderemo chi è caduto perché cercava di rimettere in funzione una linea di produzione; ricorderemo chi ha tenuto i negozi aperti anche oggi 2 giugno; chi ha aiutato negli ospedali da campo e nelle tendopoli; chiunque abbia lottato ogni giorno per tornare a una vita normale; e gli imboscati non li ricorderemo. Avete paura per la vostra famiglia? Mettetela al sicuro, ma poi tornate qui. Abbiamo bisogno di voi, anche solo per festeggiare quando sarà tutto finito. Le vostre case, in nove casi su dieci, non vi hanno tradito: non lasciatele sole.

(C'è anche un'altra cosa. L'altra sera, al presidio contro gli sciacalli, c'erano volontari venuti da Reggio ad aiutare. Molto nobile da parte loro: ma davvero vogliamo farci salvare le case, col rispetto parlando, dai reggiani?)