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domenica 8 settembre 2013

Difficilis, querulus, laudator temporis acti

Ma siamo sicuri che sia una tragedia se calano un po' le iscrizioni ai licei classici? In realtà calano anche gli iscritti agli scientifici, ma inevitabilmente si finisce per discutere dei licei classici, e di paventarne la fine, e con essa il crollo della civiltà italiana tutta. Vedi Giorgio Israel sul Messaggero: "Se muore il liceo classico muore il paese". Può anche darsi. Per ora il classico non muore, ha soltanto registrato un calo di iscrizioni a livello nazionale intorno allo 0,6%. È grave? Lo stiamo perdendo? Vogliamo almeno aspettare giugno, e confrontare con il dato dei promossi? Forse l'anno scorso si era iscritto qualche migliaio di studenti in più che a dicembre aveva già capito di aver sbagliato scuola. O magari è la crisi economica che comincia a picchiare davvero, anche sui progetti familiari a lungo termine: se meno famiglie scelgono il liceo (classico o scientifico), è perché non sono più sicure di potersi permettere di mantenere il figlio all'università. Potrebbe trattarsi insomma di una questione economica, ma in rete e sui giornali continuo a leggere allarmi accorati sulla fine della cultura classica  assassinata dal pensiero unico, dalla barbarie tecnoscientifica del 'sapere applicato', eccetera eccetera eccetera.

Chi scrive questo genere di cose continua a difendere la vecchia idea del liceo classico che 'apre la mente', anche se non offre competenze immediatamente spendibili, anzi proprio per questo: un luogo comune contro-intuitivo che però è strenuamente difeso da esperti che molto spesso nei classici per coincidenza ci lavorano. Nessuno sembra voler ricordare che il liceo classico, oltre a essere quella famosa fucina di intelligenze eclettiche che il mondo ci invidierebbe, è stato sempre uno status symbol: ci andavano i rampolli delle buone famiglie, non necessariamente i più dotati o motivati. Gli stessi poi proseguivano attraverso l'università, approdando a un buon posto di lavoro a cui erano destinati, spesso non per i meriti maturati studiando i classici. Se in qualche realtà - specie in provincia - questo tipo di civiltà stesse tramontando, io non la troverei una cattiva notizia. Sono sicuro che di studenti di materie classiche abbiamo bisogno. Ma non di tantissimi. Anzi, meglio se pochi, ma bravi veramente.

Io non credo che il liceo classico 'apra la mente' più di altri indirizzi di studio (continua sull'Unita.it, H1t#196)

Non capisco in che modo lo studio della grammatica e della letteratura latine o greche riuscirebbero a sviluppare le capacità critiche degli studenti meglio di qualsiasi altra materia. E siccome il mio parere lascia il tempo che trova, scomoderò l’auctoritas del professor Alfonso Traina: “Il latino non è più “logico” di qualunque altra lingua. Tutte le lingue hanno una loro “logica”, cioè un loro sistema: formativo è lo studio contrastivo di sistemi linguistici diversi, della lingua madre, per noi l’italiano, e di una lingua seconda, che può essere il latino come il greco antico o qualunque lingua moderna. È lo studio contrastivo a stimolare la riflessione sui meccanismi del linguaggio, la consapevolezza delle relatività delle categorie grammaticali e delle “visioni del mondo” che vi si esprimono. Anzi, a tale scopo sarebbe forse più utile una lingua geneticamente diversa dall’italiano”(¹).
È vero, molti studenti con la maturità classica ottengono ottimi risultati anche nelle facoltà scientifiche, ma trovo più semplice dedurne che si tratti di alunni brillanti, che avrebbero avuto ottimi risultati in qualsiasi cosa si fossero applicati: il fatto che in Italia li si addestri per cinque anni nella traduzione di testi in lingue morte mi sembra una resistenza culturale, forse uno spreco di risorse e di potenzialità. Non penso che il liceo classico favorisca una qualche forma di eclettismo culturale: mi sembra viceversa un indirizzo di studi molto specifico, da cui in teoria si dovrebbe uscire con competenze già molto raffinate. E ho la sensazione che questo non accada più, perché tutti questi latinisti e grecisti in giro non li vedo – d’accordo, non li vedo perché il mercato del lavoro non ne ha bisogno; ma dopo cinque anni di immersione in un mondo così diverso e affascinante, dovrei almeno sentirli scambiare qualche sentenza in latino ogni tanto, quando scrivono sui blog o sui giornali o quando cercano di colpirti con un detto memorabile in tv. Di solito copiano frasi fatte dai titoli di giornale, Cicerone mai: questo è ben strano. Una volta perlomeno non era così.
Credo che per constatare la crisi irreversibile della cultura classica in Italia – molto prima che il liceo accusasse una flessione di iscrizioni – si possa semplicemente dare un’occhiata alle annate della Gazzetta dello Sport e degli altri quotidiani dello stesso settore. Fino al 1985 nei fondi troveremo latinismi a iosa, se non proprio a vanvera, citazioni omeriche a buon mercato e voli pindarici ogni volta che uno scalatore si aggiudicava la tappa. I cronisti della vecchia scuola il latino lo avevano studiato, qualche volta persino il greco, e in un qualche modo erano riusciti a rivenderlo. La generazione successiva non si è mai permessa di scomodare l’Iliade per parlare delle imprese di un centravanti. Forse erano preoccupati di non arrivare al lettore medio? Ma nel frattempo la base dei lettori si era persino ristretta. Comunque è gente che ha sopratutto bisogno di foto grosse e didascalie molto chiare. Il giornalismo sportivo campa da sempre di frasi fatte e retorica a buon mercato: fino a 25 anni fa li rubacchiava anche dalle pagine dei classici, poi ha smesso. Non ci sono più aitanti e indomiti centromediani metodisti, adesso sono tutti top player. Questo non è il motivo per cui il liceo classico è in crisi: diciamo che è un sintomo suggestivo. Può darsi che al classico il latino e il greco si continuino a studiare bene come in passato. La differenza è che non escono più da porte e finestre, verso la piazza; non investono più i lettori casuali che ancora nel 1968 imparavano a dire “Timeo Danaos et dona ferentes” perché lo avevano letto su un fumetto di Asterix(²). È un processo lungo, e oltre a stracciarsi le vesti, i nostri esperti di scuola e didattica potrebbero riflettere sulle implicazionidi aver tolto la storia antica dalla secondaria inferiore: il tredicenne che oggi deve scegliere tra un liceo o un istituto, il più delle volte non sa chi sia Giulio Cesare; pretendere che si innamori del latino così, di punto in bianco, forse è un po’ ingiusto. http://leonardo.blogspot.com
(¹) Latino perché? Latino per chi?, “Nuova Paideia”, II, 5, 1983, poi in Traina-Perini, Propedeutica al latino universitario, Bologna, 1992. Anche se prosegue così: “Ma proprio perché il latino non è che una fase antica dell’italiano, ci aiuta a renderci conto dello strumento linguistico che usiamo. E al limite, a usarlo meglio”.
(²) Asterix il legionario, Milano 1968.

48 commenti:

  1. Per caso hai fatto lo scientifico? ;)

    Comunque, io ho fatto il classico, senza essere rampollo di buona famiglia, mi sono trovato bene, lo reputo un'ottima scuola, traduco il latino all'impronta pur lavorando in tutt'altro settore, il greco anche, e con la conoscenza del greco antico ho imparato anche quello moderno: in circa due pomeriggi. Non lo dico per vantare me, ma per difendere una scuola che mi sembra tu attacchi con un po' troppa cattiveria.

    Poi, permettimi, ma deciditi: o al classico ci vanno i rampolli di buona famiglia, e allora perché i "maturati classici" dovrebbero cavarsela particolarmente bene anche nelle discipline scientifiche? forse essere rampolli di buona famiglia ha qualche legame con il pensiero scientifico?
    Oppure chi va al classico è in media uno che se la caverebbe in tutte le discipline, e allora non si spiega perché tanti si ostinino proprio a studiare le inutili "lingue morte" (è un concetto molto discutibile, peraltro visto che, per esempio, correttamente il greco parlato oggi è "greco popolare" contrapposto a "greco classico", non "moderno" contrapposto a "antico" o tantomeno "morto"... basta entrare in una chiesa ortodossa per sentirlo vivissimo).

    Permettimi, ma, premesso che hai ragione sul fatto che non occorra stracciarsi le vesti per un calo (presunto) dello 0,6% delle iscrizioni; costa però tanto ammettere che il liceo classico è una buona scuola?

    Un Paolo che è arrivato qua tramite l'Unità.

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    1. "perché i "maturati classici" dovrebbero cavarsela particolarmente bene anche nelle discipline scientifiche? "
      per lo stesso motivo per cui il figlio ciuccio del medico finisce per fare il medico anche se è, come già detto, un ciuccio in qualsiasi disciplina; siamo un paese medievale e l'appartenenza all'ordine conta di più di qualsiasi merito.

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    2. Non è solo questo: i rampolli delle famiglie agiate hanno spesso accesso a strumenti e possibilità culturali che fanno sì che il loro potenziale si esprima al meglio. Non sono affatto più brillanti in sé rispetto ai figli degli altri, ma se hanno dei talenti, si riveleranno (qualsiasi scuola facciano). Nei figli di persone disagiate i talenti restano inespressi.
      Quindi non è che sono ciucci e raccomandati, sono spesso bravi e raccomandati, o anche solo bravi e fortunati a nascere in una famiglia che ha dato loro tutte le possibilità educative.

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  2. Tanti anni fa un compianto quotidiano romano dedicò una paginata di intervista a un calciatore che giocava nella Lazio. Il giovanotto era danese, così l'esperto cronista penso: danese, danese... aspetta, non c'era una cosa famosa con un danese dentro? Così piazzò nell'articolo il suo riferimento colto, definendo il calciatore "pallido discendente di Otello". La cosa piacque al redattore che passò il pezzo, che lo riprese all'inizio del catenaccio sotto il titolo: Il pallido discendente di Otello rassicura i tifosi eccetera eccetera. Insomma, i vecchi giornalisti sportivi sapevano rivendersi le loro versioni di latino, ma un po' di inglese non avrebbe fatto male neanche a loro

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  3. ahi, vademecum tango... ad usum delphini?

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  4. Da un Paolo a Paolo, a me sembra che Leonardo non stia disintegrando il classico, sta solo dicendo che forse oggi si potrebbe anche uscire dal mito della formazione classica uguale miglior formazione possibile. E te lo dice uno che il classico l'ha fatto.
    L'Italia è ancora il posto dove uno va in televisione a vantarsi di non capire una mazza di matematica perché è convinto di risultare più simpatico. Non ho mai visto nessuno ammettere di non saper latino né greco.

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    1. Io invece ne conosco moltissimi, che ammettono di non sapere né latino né greco, perchè non ci si sono applicati, non ci erano portati, o non hanno avuto insegnanti validi. Capita. Non sapere la matematica non è qualcosa di cui vantarsi, ma non vedo l'utilità di dileggiare la conoscenza di altre discipline. Mi pare che si voglia sostituire un mito con un altro: certo non è necessario essere tutti classicisti; ma parlare e conoscere l'italiano sì, e l'italiano non è il figlio del latino? o per meglio dire, "latino moderno".
      Ed è davvero necessario che siamo tutti matematici?
      E tra risolvere la equazioni di secondo grado ed essere matematici, passa la stessa differenza che c'è tra saper parlare l'italiano ed essere classicisti.

      Non parliamo poi di alcuni commenti letti in calce all'articolo o post che sia ripreso sull'Unità: c'è chi continua a vedere il liceo classico come un baluardo di privilegi di classe, scordandosi che si tratta di una banale, comune, scuola pubblica alla quale si può iscrivere liberamente chiunque, e che al giorno d'oggi (e anche di ieri, quando l'ho frequentato io) offre esattamente gli stessi sbocchi lavorativi di tutte le altre scuole superiori, cioé nessuno. Comunque nella mia classe c'erano persone di ogni estrazione sociale.
      Ma niente, il pregiudizio per cui il latino sia "nemico del popolo" è ancora troppo forte.

      Per non parlare del greco; che avranno fatto di male, Sofocle e Platone, da impedirne la lettura ai poveri proletari?

      Il Paolo di prima

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  5. io sono semi-analfabeta e non faccio testo (e non ne vado particolarmente fiero)
    immagino che se il nostro pil fosse sceso dello 0,6% stapperemmo spumante (di quello buono), farei lo stesso se il potere d'acquisto del mio stipendio fosse sceso di una percentuale simile
    dove lavoro io ci sono tante donne e le sento parlare di figli e corsi di studi... è indubbio che il classico, per alcune di loro, è davvero uno status symbol ed è altrettanto indubbio che le mamme influenzano pesantemente le scelte dei loro "bambini"
    ma secondo me c'è una cosa che può rendere bene la qualità dei frequentatori medi del classico: una parte di loro fa giurisprudenza e poi fa il concorso da magistrato e noi ci divertiamo a leggere i resoconti sui giornali, oppure riesce a farsi raccomandare per scrivere su un giornale e noi ci divertiamo a leggere le stronzate che scrivono
    insomma secondo me contano le persone: siamo talmente circondati da mezze seghe che è davvero difficile "attribuire" le colpe
    sentire i ragazzotti parlare di storia è imbarazzante: saranno pure nativi digitali... ma sape' 'ndo sta la siria secondo me aiuta

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  6. Mi urta da morire, ma sono completamente d'accordo con Leonardo.
    In realtà, il latino e il greco non sono mai stati ben insegnati a scuola. Pascoli si lamentava già del fatto che alla fine il tutto si limitava ad un imparaticcio sterile e senza particolari pregi.

    Le uniche difese della validità (non mai primazia) della cultura classica che mi sento di provare sono queste: a) quella latina e greca sono splendide letterature, vale la pena di conoscerle. b) le civiltà antiche sono complesse ed esotiche: richiedono tanta antropologia, filologia, scienza politica, geografia, con apporti anche di scienze vere e proprie come la biologia (in archeologia soprattutto) che studiarle non fa male.

    Ma nel Classico non c'è nulla di tutto questo: solo tanta retorica e spocchia.

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    1. Ah, davvero nel classico non si insegnano le prime basi della filologia? Allora ho sbagliato tutto, dovevo iscrivermi all'Itis, visto che mi sono laureato in filologia greca... (e ripeto, da piùdi un decennio lavoro in tutt'altro settore, per scelta).
      E la biologia, non la insegnano? allora sono io che ho dei ricordi confusi, perché mi ricordo distintamente le ore di chimica e quelle di biologia.

      Sicuro, ci saranno scuole dove queste materie sono insegnate meglio, ma visto che ci piacciono tanto le civiltà antiche, ne conosci qualcuna che insegna meglio il greco? Dimmela, ché ci iscriverò mio figlio!

      Il solito Paolo rompipalle

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    2. Il classico di certo non ti ha insegnato la logica.

      Il Classico non insegna il greco, o le civiltà antiche, meglio degli altri. E' solo l'unico.

      Tutto è insegnato in maniera polverosa e asfittica, e il singolo insegnante può intervenire solo limitatamente mettendoci del suo (tra programmi, mont-ore, pagellini, libri di testo balordi -non tutti-, aspettative delle famiglie, dei presidi, ecc. ecc.).

      Inoltre, latino e greco sono le materie caratterizzanti. In un discorso sul classico, non ha senso citare la biologia o la chimica o la fisica. Quelle le studi in tutte le scuole.

      E non si fa filologia, bensì un po' di storia della letteratura (imparaticcia) e traduzioni (scopiazzate o da internet o dalle balorde note a pié di pagina degli stessi testi, che partono dal presupposto che gli studenti non sono capaci). Ah, beh, si fa tanta inutile inutile inutile grammatica storica, per cui un 14enne sa più del 99% resto del mondo di jod e digamma per il solo fatto che ne conosce l'esistenza, ma a che serve?

      Tu ti sei laureato in filologia greca, quindi ti chiedo: nel tuo classico ti hanno mai spiegato cos'è una lectio difficilior, cos'è la tradizione del testo, chi è Pasquali, ti hanno mai messo di fronte a due lezioni diverse e spiegato cosa sono, ti hanno spiegato cosa è un codice, ti hanno mostrato un papiro, detto due parole di paleografia? Menzionato un editio princeps? Illustrato qualche tipologia di errore di copiatura (che pure sono interessanti)? Parlato di tradizione diretta-indiretta?

      Non a livello specialistico, certo: a livello anche solo illustrativo. Se lo hanno fatto sono sinceramente invidioso, ma, credimi, nella media tutto ciò non avviene.

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    3. "Tu ti sei laureato in filologia greca, quindi ti chiedo: nel tuo classico ti hanno mai spiegato cos'è una lectio difficilior, cos'è la tradizione del testo, chi è Pasquali, ti hanno mai messo di fronte a due lezioni diverse e spiegato cosa sono, ti hanno spiegato cosa è un codice, ti hanno mostrato un papiro, detto due parole di paleografia? Menzionato un editio princeps? Illustrato qualche tipologia di errore di copiatura (che pure sono interessanti)? Parlato di tradizione diretta-indiretta?"

      Non vorrei deluderti, ma la risposta è sì. Tranne che non mi hanno mai mostrato fisicamente in classe un codice o un papiro (in compenso li abbiamo visti in visite guidate a biblioteche e musei), sai com'è, non tutto è facilissimo da realizzare... ma la risposta a tutte le altre tue domande è: sì.

      E non sto bluffando. Ci sarà pure un motivo per cui ho scelto di laurearmi in Filologia Greca... e ovviamente, torniamo al punto di partenza: allo scientifico immagino si ammazzino di esercitazione paleografiche, non parliamo poi degli istitui tecnici, quelli sì che ti formano come filologo...

      Quanto alla logica, perdonami, ma è evidente che non hai capito il mio esempio.
      Sì, il liceo classico che insegna il greco e il latino: esiste per quello. Lo insegna male? La cura è farlo insegnare meglio, non inventarsi un altro liceo che insegni greco, mi sbaglio?

      Per finire, ai miei tempi nessuno usava internet, nell'"ora sperimentale" di informatica ci insegnavano il DOS, e le versioni erano tradotte in classe o a casa, con il Rocci...
      come dovrebbe essere, e come sono sicuro che gli studenti bravi fanno ancora.

      Gente, non è colpa mia se non avete avuto buone scuole. La mia era ottima e pubblica.

      Ciao, Paolo.

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    4. Però la filologia è stata definita anche "lettura lenta". Rileggi quel che t'ho scritto e vedrai che il fatto che tu abbia imparato tutte quelle cose non è una risposta.
      Detto in altre parole: non è quel che ha imparato Paolo che conta, ma quel che più frequentemente succede. Una cosa che al classico non insegnano è che l'aneddotica non funziona.

      Cosa vuole vuol dire "un altro liceo che insegni greco"?
      Inoltre io non ho detto che insegnare latino e greco sia inutile; ho detto che lo è come lo è ora e che se anche lo si rendesse efficace non sarebbe un'attività tale da porla al di sopra delle altre nelle altre scuole. Perché ci sarebbe anche da dire, riguardo alle altre scuole, che non è che l'unico metro di giudizio possibile sia "quanta filologia mi ha insegnato?".

      I difetti del classico erano tali anche quando non c'era internet, e i modi per copiare erano appena appena più laboriosi (senza contare che da Meucci in poi le versioni hanno viaggiato benissimo anche sui fili del telefono, di casa in casa). Tant'è vero che alla maturità poi casca l'asino.

      E ribadisco, l'inutilità dell'approccio del classico (mnemonico, prescrittivo, rigido) è stata denunciata tanto, tanto tempo fa.

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  7. Un'aggiunta, poi me ne vado.
    Ho controllato alcuni, forse non tutti, i post contrassegnati dal tag "chiudere i licei (con i professori dentro)".
    Mi pare che la crociata dell'autore del blog contro i licei, classici specialmente, sia una vera ossessione, degna di miglior causa.
    Noi "diplomati classici", apprendo, saremmo sfaticati, ignoranti, e anche idioti. Inoltre non conosceremmo le lingue straniere (tra parentesi, io ho studiato inglese per tutti i cinque anni, e sì, l'esperienza del latino mi è stata utile per il tedesco dei filologici citati nella mia tesi, come mi è utile ora che sono alle prese con l'ebraico biblico e- suppongo di dovermi aspettare un brivido d'orrore- con l'ebraico "moderno").

    Apprendo con gioia che l'autore del blog si è laureato in Lettere col massimo dei voti, ma in un'università in cui non esisteva altro che il massimo dei voti, e nessun professore dava meno di 30, il che, bisogna ammetterlo, ne sminuisce un po' il valore...
    non so dove si trovi questa università, ma non è quella che ho frequentato io.

    Non voglio entrare in psicologismi da quattro soldi per spiegarmi tutto questo livore contro gli studi liceali, classici in primis, ma non credo di dovermi confrontare con le ossessioni altrui: ci sono territori in cui la logica non può addentrarsi, per cui ringrazio l'autore dello spazio che mi ha concesso, e lo lascio alle sue felici illusioni su noi "ignoranti", non prima di avergli ricordato (in risposta al suo elenco di compagni "sperimentali" di successo) che altrettanti, o più compagni di successo ha avuto il sottoscritto.

    Ti saluto, con cordialità e anche stima nonostante il tuo astio, e mi firmo:
    il solito Paolo rompipalle.

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    1. Non c'è ossessione né livore, è solo l'effetto ottico dovuto al fatto di leggere in breve tempo pezzi scritti in un arco di dieci anni. Dovresti avere le basi ermeneutiche per comprenderlo.

      Inoltre, da nessuna parte è scritto che siete "sfaticati, ignoranti, e anche idioti". Non mi ricordo il nome di questa fallacia retorica in latino, ma in sostanza ti stai inventando la tesi dell'interlocutore.

      Se hai fatto inglese per tutti i cinque anni, il tuo non era un classico standard: una delle principali critiche che si fanno (e una delle ragioni della flessione di iscrizioni) è il fatto che la lingua straniera viva non sia studiata per tutto il quinquennio.

      Perché l'ebraico moderno dovrebbe farmi rabbrividire? Son curioso.

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    2. Reintervengo: una buona maniera per imparare il tedesco è studiare il tedesco, non il latino.
      Se il latino (e il greco no?) ti ha aiutato ad imparare il tedesco dopo, è solo per via di quel che diceva il Traina citato da Leonardo: se studi una lingua straniera (quale anche il latino), ti confronti con riflessioni grammaticali che ti tornano utili per qualsiasi lingua.
      Avessi fatto il linguistico e studiato inglese, spagnolo e russo, sarebbe stato uguale.

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  8. preferisco lo scientifico :)
    cmq sono d'accordo

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  9. Personalmente ritengo che nella società italiana la pessima eredità di Giovanni Gentile sia ancora presente; Gentile riteneva che solo le discipline classiche aprano la mente, al contrario delle discipline scientifiche che sono semplici materie meccaniche, opache e ripetitive.

    Tale eredità, al pari di ogni altro pregiudizio, è diffuso "nella pancia": qualunque persona di mentalità aperta (e non importa se abbia fatto il classico, lo scientifico, l'itis, l'alberghiero o cos'altro) lo ritiene una sciocchezza e risponderà che andare a decifrare il DNA non è meno nobile che rovistare fra vecchi in-folio... però nella "pancia" della società permane tale pregiudizio.
    Lo vediamo dai fumosi articoli di chi si straccia le vesti per la morte del liceo classico senza entrare nei dettagli, ma lo vediamo anche da film come "scialla" dove il protagonista si riscatta attraverso le traduzioni omeriche perché si sa: Omero nobilita, capire perché i pianeti non ci caschino sulla testa no.

    Il Latino apre la mente? Sicuramente, ma forse un percorso attraverso il pensiero filosofico occidentale da Talete sino ai giorni nostri un pochino di più... e quindi non sarebbe male fare uscire la Filosofia da classico & scientifico per insegnarla anche in altre scuole, ma mi rendo conto ci sia un monte ore da rispettare. E comunque gente come Cartesio e Leibnitz avrebbero avuto serie difficoltà a distinguere la Filosofia dalla Matematica e forse anche dalle Scienze Naturali. Ma sto divagando.

    Io ho studiato cinque anni di Latino, domandandomi come mai non si facesse conversazione latina: mi risposero che ero pazzo. Poi andai in Finlandia e scoprii che laggiù capivano il Latino meglio di noi (notare che il Finlandese non è nemmeno indoeuropeo) semplicemente perché lo imparavano come lingua viva, conversavano in Latino e in tal modo restava loro più impresso in mente.

    Forse, se effettivamente si vuole studiare il Latino come lingua morta, andrebbe studiato paragonandolo ai suoi "figli", magari limitandosi ai quattro maggiori: Italiano, Francese, Castigliano, Rumeno.

    Poi non so, io ho fatto lo scientifico, sebbene a scuola mia si approfondissero soprattutto le materie classiche (che studia con grandissima passione, soprattutto la Storia), probabilmente Gentile mi considerebbe di serie B ;)

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    1. ...che studiaI con grandissima passione: ho perso una I (o era forse un 1 romano?)

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    2. bravo VdA...un brillante percorso netto. Sottoscrivo in toto.

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    3. Oddio, U. che mi sottoscrive: mi devo preoccupare? ;)

      Ma no che non mi preoccupo, anzi sono contento!

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  10. ovviamente la "polemica" ha perso senso:
    se leonardo avesse scritto qualcosa di male sull'alberghiero ora ci sarebbe una serie di interventi a difesa dell'alberghiero o il contrario

    la frase migliore è:
    "Gente, non è colpa mia se non avete avuto buone scuole. La mia era ottima e pubblica."
    che dimostra comunque la profonda comprensione dell'argomento in discussione

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  11. ΣΤΡΕΨΙΑΔΗΣ Άλλαξε τρόπους γρήγορα και μάθε να πορεύης όπως θα σ' ορμηνέψω εγώ.

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  12. Io ho fatto il classico.
    Adesso sono iscritta alla facoltè di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, corso di laurea Matematica.
    Non ero la prima della classe al liceo, i miei voti andavano tra il 6 e il 7, in genere. Qualche 8 in Inglese e poi dall'otto in su per la Matematica soltanto.
    Poi sono arrivata all'università. Avevo bisogno di un pò di Matematica pura perché fino a quel momento ero colma di letteratura italiana, greca, latina, inglese. Voglio precisare che non mi dispiaceva per niente la letteratura; semplicemente ho pensato che avrei potuto coltivarla nel privato e cominciare a fare sul serio con la Matematica. In fondo, basta saper leggere per studiare la letteratura, lo stesso NON vale per la Matematica.

    Il mondo dell'università mi ha spiazzata completamente e ancor di più la Matematica. Il primo anno ho superato solo 2 esami: Inglese e Logica. Ero circondata da ragazzi provenienti dallo scientifico che dicevano: tutto il programma di Analisi Matematica 1 (lo scoglio del primo anno) io l'ho fatto al liceo, sarà il mio primo esame.
    Io non avevo fatto nulla di Analisi al liceo, avevo solo le basi, ben salde aggiungerei.
    Ebbene, l'80% dei ragazzi che parlavano in quel modo hanno cambiato facoltà.
    Io ho studiato con ragazzi dello scientifico o di altre scuole e la cosa che ho notato immediatamente è che sono poco aperti di mente. Io ci ho messo un anno per ingranare la marcia ma una volta messa...è andata...loro hanno un atteggiamento come di superiorità nei confronti della Matematica e quindi studiano male, credono di possedere il sapere solo perchè hanno fatto qualcosa in più al liceo. Ovviamente, con questo atteggiamento, se una cosa poi non la capiscono è la fine. Entrano in crisi in una maniera tale da spingerli a mollare completamente.
    Il classico non è una scuola come tutte le altre. Si acquisisce un metodo di studio che altre scuole non danno ed io l'ho provato sulla mia pelle.

    Giovanna.

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    1. Non avevi fatto nulla di analisi al liceo?
      Cioè al classico non si fa nemmeno analisi? Ma cosa fate insomma?

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    2. Giovanna, non vedo molto metodo scientifico nella tua analisi, l'80 per cento di quelli che conosco, l'atteggiamento di superiorità, l'apertura mentale decretata 'immediatamente'...

      C.

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    3. Nello scientifico, da quanto mi consta, si fanno poca matematica e scienza rispetto ad un industriale qualsiasi...però chiedo conferma.

      La didattica della matematica e delle scienze, poi, sempre per quel che ne so, in Italia è una mezza tragedia, a detta dei matematici e degli scienziati. Ma ribadisco, parlo un po' per sentito dire.

      In ogni caso, la quantità di matematica che si fa al classico è veramente ridicola. Le scuole tentano di farcela rientrare in tutti i modi con l'autonomia e le sperimentazioni, altrimenti la gente si mette a ridere.

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    4. La didattica della matematica e delle scienze, a quel che mi risulta, è pari a quello di numerose altre discipline: se gli insegnanti sono bravi è meravigliosa, ma se sono pessimi è la catastrofe.
      Tempo fa avevo sentito un'interessante ipotesi: gli insegnanti di lettere di mezza età sono mediamente (e sottolineo mediamente) più bravi di quelli di scienze semplicemente perché i posti universitari di lettere si sono esauriti prima, così tante personalità eccellenti sono andate nella scuola. Teoria interessante che però non ho dati sufficienti per confermare o negare.

      Per quanto riguarda i programmi, i brutali programmi cui attenersi, quelli di matematica allo scientifico sono un disastro: possibile che si debba spendere quasi un anno a discutere il segno del polinomio di secondo grado? Possibile che strumenti di base quali derivate e integrali debbano essere introdotti solo in quinta? (quando invece alla Fisica farebbero comodissimo in terza, quando si fa la dinamica). E non mi dite che son concetti troppo difficili: se a 16 anni si è maturi per ragionare di Socrate e di Platone, non vedo perché non si possa capire un rapporto incrementale o un limite. Sono più o meno cinque secoli che usiamo allegramente il concetto di funzione, quindi non è una cosa così orribilmente astrusa.
      I ragazzi sono considerati maturi per apprezzare le sottili differenze politiche durante la Rivoluzione Francese, ma non per il fermento scientifico di quegli anni: perché Lavoisier è prodromico a Dalton, come Volta aprì la strada a Faraday... e magari domandarsi come mai nel 1870 con tutto il casino che stava avvenendo a Parigi (ed era un casino bello grosso!) , Schutzenberger decise di non muoversi dal laboratorio e di gettare le basi della moderna Chimica Metallorganica.
      Leggere la "Vita di Galilei" di B. Brecht è bellissimo e ogni volta che lo faccio mi commuovo un pochino di più, ma leggerla conoscendo a fondo le teorie del medesimo lo è ancora di più.

      Scusate la filippica, ma io ricordo la vastità ed il fascino dei programmi di Storia, Filosofia, Letteratura, ma ricordo anche la limitatezza di quelli di Matematica... mi sembra di avere iniziato a farla solo all'università e tutte le mie conoscenze precedenti sono riassumibili nelle prime settimane di corso giù di lì.

      Mi sbaglio? Ho avuto molta fortuna coi miei insegnati di lettere? Non so... forse questo argomento ci infervora tanto in quanto ognuno ricorda i propri vecchi maestri nel bene e nel male e li usa come metro del mondo. Ma se le cose stanno così, allora i finanziamenti alla scuola pubblica dovrebbero essere decuplicati, vista l'importanza che ha per la nostra vita adulta! E non si tratta più di classico o di alberghiero, ma di TUTTE le scuole!

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    5. Se non fai già l'insegnante, ti direi di farci un pensiero.

      Oggi va così, ti meriti i complimenti...

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    6. "Nello scientifico, da quanto mi consta, si fanno poca matematica e scienza rispetto ad un industriale qualsiasi...però chiedo conferma. "

      sbagliato , io ho fatto l' ITIS e per passare l'esame di Analisi 1 ho dannato un sacco rispetto a amici che avevano fatto lo scientifico ed erano più a loro agio su dimostrazioni e teoremi
      Matteo Z.

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    7. Hai ragione C., in realtà mi sono espressa male. Non ho dato spazio a quella che, credo, sia la cosa più importante.
      Io penso che il Liceo Classico trasmetta ai ragazzi un metodo diverso dalle altre scuole e con metodo intendo il modo in cui il ragazzo affronta lo studio e un qualsiasi problema che gli venga posto.
      Io non volevo andare a parare sul fatto che al Classico si faccia poca Matematica. Non è la quantità il problema. Il punto sta nel vedere COME reagisce uno studente del Classico di fronte a qualcosa che non conosce affatto e su cui si deve applicare (nel mio caso la Matematica).

      Non so se si percepisca la mia difficoltà nell'esprimere questo concetto. Probabilmente sì. La mia professoressa di greco diceva sempre: io quando leggo le vostre versioni intravedo anche le vostre incertezze.
      Mi scuso.

      Giovanna

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  13. Suvvia, la scuola la fanno gli insegnanti, non c'è programma che tenga! Un bravo insegnante, che ha passione e capacità rende la lezione utile o inutile. Ma le materie, più o meno applicate di sicuro si applicano meglio alle predisposizioni dell'allievo.

    Ci sono studenti che non sanno fare 2 + 2 alle elementari e che continuano a non saperlo alle medie e alle superiori. Non è certo insegnandogli Cicerone o Eschilo che si apriranno la mente. Più facile che si appassionino di più a materie più applicate, come è dimostrato dalle statistiche.

    I licei hanno avuto un aumento spropositato di iscrizioni negli ultimi anni, per puro status simbol, ma insegnanti e discipline non lo giustificano. Se ora calano dello 0,6 % è pochissimo, speriamo di più.

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    1. Codnivido il fatto che un bravo insegnante saprebbe rendere interessante qualunque cosa, anche contare i capelli sulla testa dei leoni e raggrupparli in mazzetti da 150 l'uno.
      Non sono però sicuro che le materie più applicate siano automaticamente quelle di fascino più "immediato"... dopotutto la Filosofia nasce con domande che tutti si pongono: chi siamo? Da dove veniamo? E perché? A 16 anni un Epicuro o un Talete hanno un fascino enorme.
      Leopardi piace anche perché rappresenta appieno la disperazione dell'adolescente brufoloso snobbato dalle compagne... che magari da quell'adolescente sono viste secondo il modello della donna-angelo stilnovista.

      Le discipline classiche hanno un fascino immediato, ma è compito del buon insegnante di scienze far emergere il fascino nascosto che risiede nell'esplorazione del mondo naturale o dello sviluppo delle pure idee matematiche.
      La comprensione dei processi che avvengono dentro un organismo vivente è oltremodo fascinosa, ma all'inizio può sembrare un semplice fatto meccanico (Gentile docet!).

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  14. Insegno latino e greco da diversi anni. Dopo essermi spesso confrontato con ex-allievi, insegnanti, colleghi di discipline scientifiche e a volte anche tecnologiche, l'unica certezza che ho è che quando una disciplina è insegnata con rigore, passione, atteggiamento esigente, gli studenti ne godono come di un patrimonio utile a studiare tutto il resto. Latino e greco non sono lingue più 'razionali' di altre, ma razionale è il metodo con cui sono state studiate per alcuni secoli e questo metodo deve essere messo in luce dall'insegnante. La loro proverbiale attitudine ad "aprire la mente" è direttamente proporzionale alla serietà con cui le si insegna, non è un fatto di magia. Si potrà dire così allora anche della geometria, della biologia e di tutto il resto, ed è vero. Ma se una specificità delle discipline classiche si può raccomandare, oltre al suddetto rigore (che resta però da esercitare ogni volta), è il loro rapporto con le radici della nostra cultura nei vari ambiti in cui essa si è formata e continua a vivere. Difficile negarlo (certo tutto si può negare se uno fa il classico ma lo fa male o ha pessimi docenti). In ogni modo auspicherei un liceo classico con qualche ora di matematica in più: allora sì che sarebbe una scuola davvero completa (anche se le iscrizioni si abbasserebbero per l'intrinseca difficoltà del corso di studi).
    P. S.: io spiego sempre che cos'è una lectio difficilior, un'editio princeps, uno stemma, un apparato, etc. Sono peraltro molto lieto che i miei migliori studenti si iscrivano spesso alle facoltà scientifiche, giuridico-economiche o medico-sanitarie.

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  15. Questo è un orribile periodo storico per chi ha fatto studi classici. Il modello vincente è sempre più quello del nerd, che ne è l'esatto contrario. Lo so perché nel mio lavoro sono circondato da nerd. Non li sopporto più. La loro idea di "bel romanzo" è "mediocre romanzo fantasy con un universo pieno di inutili dettagli tecnici, facente parte di un'enorme saga, così da dimostrare a tutti le mie capacità di perseveranza nella lettura e perciò nello studio".

    Non hanno la minima capacità di emozionarsi per una frase, per una parola, per un concetto che non sia tecnico.


    Capisco i nervi scoperti con cui ex-studenti del classico affrontano discussioni tipo questa. L'anonima di prima né è un perfetto esempio: giura che i suoi studi classici sono stati importantissimi... per affrontare i suoi successivi studi scientifici. :-) La contraddizione è involontaria ma lampante.

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    1. Non poi così lampante, se si considera che gli studi classici (i quali contengono cose assai disparate: dalla linguistica alla storia, dalla filosofia all'antropologia, etc.) sono essi stessi scientifici: muovono da ipotesi, formulano ragionamenti, accettano o respingono tentativi di verifica o di falsificazione. Si dirà che tutto questo concerne soltanto la parte più professionale di questi studi, ma non è esattamente così. In cinque anni di traduzione da testi scritti in lingue sì morte, ma spesso attentamente congegnati dai loro autori, profondi nel pensiero, ricchi nelle soluzioni sintattiche e nelle scelte lessicali (altro che i dialoghi con cui si apprendono le lingue moderne: efficaci ma necessariamente elementari almeno agli inizi), lo studente (serio) è continuamente costretto a formulare ipotesi di senso, riscontrarle attentamente sulla base di regole poste come assiomi, superare a volte le regole stesse comprendendone il limite, sondare le molteplici risorse di senso di una parola combinandole con quelle del contesto e dovendo infine produrre una soluzione espressiva adeguata nella propria lingua. Ma vi pare davvero che questo lavoro, condotto (e guidato) con una certa cura e con continuità, contribuisca tanto poco alla formazione di una mente pronta agli studi scientifici?

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    2. Sicuramente un lavoro logico analitico prepara la mente agli studi scientifici, su questo sono d'accordo al 100%.

      Non mi è del tutto chiara invece la parte circa la complessità, quella che dice "In cinque anni di traduzione da testi scritti in lingue sì morte, ma spesso attentamente congegnati dai loro autori, profondi nel pensiero, ricchi nelle soluzioni sintattiche e nelle scelte lessicali (altro che i dialoghi con cui si apprendono le lingue moderne: efficaci ma necessariamente elementari almeno agli inizi)"

      A quel che mi risulta, il Latino si inizia da rosa rosae, esattamente come il Francese si inizia da je suis, tu est e l'Inglese da my name is. Ogni lingua è semplice all'inizio e complicatissima alla fine, sia essa viva o morta.

      Una cosa che non sono del tutto sicuro è se leggere un brano classico formulando ipotesi, riscontrarle attentamente sulla base di regole ecc sia il modo in cui chi scrisse si sarebbe aspettato noi leggessimo.
      Non per fare processi alle intenzioni, ma di solito chi scrive si aspetta che il lettore comprenda le frasi mano a mano che le legge, non dopo dieci minuti di elocubrazioni: quello lo fa chi non conosce la lingua.

      Good morning, what can I do for you?
      Dunque, inizia con un saluto, poi c'è una wh- che introduce una domanda nella quale l'inversione soggetto-verbo non è obbligatoria, allora adesso devo cercare il verbo, ne ho trovati due: can e do. Can è un verbo modale mentre do è un ausiliare, vediamo di capire chi è che regge chi, il soggetto non mi aiuta perché è una prima persona, ma vista la posizione di can direi che è lui che regge, ma cosa ci faccio con quest'ausiliare? Questo significa che do ha la funzione di un verbo semplice, retto dal modale, infine c'è un complemento. Mettendo tutto insieme viene "Buona mattina, cosa posso io fare per te/per voi?" si, direi che mi sta chiedendo se ho bisogno di qualcosa, adesso gli rispondo.

      Definitivamente questo NON è il modo di sapere una lingua! :lol:

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    3. Capisco ed è evidente che ho saltato alcuni passaggi. Da quello che posso constatare, gli studenti di latino cominciano con rosa, ae, ma alla fine del primo anno scolastico trattano già periodi che possono avere un alto grado di subordinazione, mentre noto che, per esempio nello studio dell'inglese, restano più tempo su strutture elementari, magari arricchiscono il lessico e continuano ad esercitarsi su frasi abbastanza semplici. Questa differenza si deve al fatto che studiare una lingua per parlarla e studiarla per leggere testi dall'elaborazione retorica ormai per noi inconsueta sono due operazioni assai diverse; inoltre studiare una lingua direttamente parlandola e studiare una lingua solamente leggendo pone problemi molto differenti (a volte chi è molto bravo in inglese non lo è particolarmente in latino).

      "Chi scrive si aspetta che il lettore comprenda...non dopo 10 minuti di elucubrazioni": è vero, ma la memoria del pubblico (colto) antico era molto più allenata della nostra e recepiva con il semplice ascolto molto più di quel che faremmo noi davanti ad un periodo di 10 righe come sono a volte quelli ciceroniani. Noi non possiamo proprio fare a meno di 'elucubrare', tanto più che la conoscenza lessicale di uno studente di latino procede molto più lentamente perché non allenata dalla pratica del parlare, e la consultazione del vocabolario rallenta il lavoro e impone la riflessione: quando leggiamo Plauto abbiamo inizialmente notevoli problemi di comprensione morfologica e idiomatica ma poi tutto è più scorrevole (scriveva commedie, la gente rideva). Per padroneggiare le infinite sfumature del greco di Platone ci vogliono degli anni. Ciò sarebbe contro la sua volontà, ma non esistono viaggi di studio nella Grecia antica per una full immersion (i Romani imparavano il greco presto e bene, come noi potremmo fare con l'inglese, andando ad Atene o con il pedagogo greco, che discorsi). Quindi il nostro modo di studiare le lingue morte è necessariamente condizionato dal fatto che sono morte, è più artificiale, ma anche i loro testi lo erano: probabilmente di Eschilo e Pindaro i Greci capivano quello che un tedesco medio capirebbe di Wagner andando all'opera. Non si tratta solo di due stili di apprendimento diversi, ma anche, all'interno delle rispettive lingue, di oggetti di apprendimento molto diversi.
      D'altra parte, se ha ancora un senso fare tanto sforzo per capire Virgilio o Sofocle o Tucidide nell'originale, ci sono pochi altri modi di imparare le loro lingue (lingue letterarie, si badi bene, non parlate). E mi pare che un effetto collaterale di tanto sforzo, come scrivevo prima, sia quello di promuovere, sia pure a mezzo di un lavoro molto artificiale, una mentalità scientifica.

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    4. Boh, io feci cinque anni di liceo scientifico studiando il Latino come una lingua morta, poi in quinta feci uno scambio con la Finlandia e scoprii che i finlandesi (che partono da basi non indoeuropee) capivano il Latino assai meglio di noi semplicemente perché facevano conversazione latina, cosa che nelle scuole italiane non si fa. E sì che la vicinanza lessicale ci aiuterebbe non poco, allo stesso modo come ci aiuta per il Francese o il Portoghese.

      Non voglio assurgere la mia piccola esperienza personale a metro universale, ma secondo me una persona conosce una lingua quando non deve tradurre ogni frase, ogni parola, bensì quando riesce a pensare in tale lingua. In pratica quando una persona riesce ad assimilare le strutture logiche dela lingua in oggetto in maniera subcorticale.

      Ci possiamo domandare: l'insegnamento delle lingue classiche nelle nostre scuole segue metodi che portano l'assimilazione della struttura a livello subcorticale come si fa con qualunque altra lingua? Se si, bene, altrimenti per me sono un fallimento e il metodo deve essere rivisto.
      E se non è possibile fare un viaggio nella Roma antica, possiamo sempre sintonizzarci su quella radio finlandese che trasmette in Latino... possibile che dobbiamo farci insegnare il Latino dai finlandesi? ;)
      E senza andare in Finlandia, il Latino è stato lingua di scambio internazionale sino a un paio di secoli fa e lo è tutt'ora nella Chiesa, quindi non vedo perché non si possa fare conversazione latina.
      Quindi studiamolo il Latino, visto che sono le nostre radici, ma studiamolo per bene!

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    5. Gentile Claudio, non è per pignoleria che ribatto, ma perché l'argomento mi appassiona.
      In Italia esistono esperimenti d'insegnamento del latino simili al metodo finlandese, ma a quanto so, funzionano per esercizi di conversazione di livello limitato. Alla prova di una traduzione rigorosa di un autore antico di media difficoltà, non credo ci sia molta differenza tra chi ha studiato con l'uno o con l'altro metodo. Se Lei ci pensa, i nostri studenti italiani posseggono l'italiano 'in maniera subcorticale', ma è sempre più difficile che comprendano una pagina di Manzoni, di Leopardi prosatore (per non parlare di Machiavelli o di Boccaccio) e, purtroppo, nemmeno di Pirandello o di Gadda. Ciò non solo per povertà di lessico, ma anche per incapacità di governare strutture sintattiche ampie e complesse. Però tra di loro c'è una differenza tra chi ha studiato latino per 5 anni e chi non l'ha fatto (non è questione di classismo: molti studenti bravi del classico o dello scientifico vengono da famiglie non necessariamente agiate, lo so perché ci insegno).
      D'altra parte conosco studiosi inglesi che parlano l'italiano con una certa difficoltà, ma intendono scioltamente Tasso e Ariosto. Inoltre gli stessi mi raccontano che gli studenti inglesi leggono con sempre maggiore difficoltà Shakespeare o Milton o altri. Temo che la distinzione corra tra un livello elaborato e ornato della lingua e un livello elementare. Delle lingue antiche noi studiamo il primo (con fatica, e con successo spesso purtroppo scarso), i Finlandesi il secondo. Può darsi che capiscano Tacito o Cicerone meglio degli Italiani o dei Tedeschi o dei Francesi o degli Inglesi, però nella tradizione degli studi su questi autori non compaiono studiosi finlandesi. Dopodiché credo anch'io che male non farebbe tentare di far parlare e soprattutto SCRIVERE in latino nei licei classici (come si faceva una volta), di riscoprire i metodi di cui Lei parla, che costituiscono senz'altro una propedeutica molto preziosa. Poi però sarà formativa una lettura assidua ed ampia degli autori, che conduca alla familiarità con le lingue anche in assenza di conversazione: ad Oxford, per esempio, fanno così e gli studenti italiani bravi, mi si dice, sono avvantaggiati in virtù del tipo di lavoro che hanno fatto al classico. Sempre che sappiano l'inglese.

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  16. Ho fatto ingegneria venendo dall'ITI. Per il biennio non ho dubbi: erano nettamente favoriti quelli dello scientifico. Noi dell'ITI così così, migliorando con le materie di indirizzo. Quelli del classico avevano le mani nei capelli, peggiorando quando siamo arrivati alle materie tecniche.
    Unico loro vantaggio ma fondamentale era la capacità di studiare senza sosta per parecchie ore al giorno, cosa cui erano abituati mentre chi proveniva dall'ITI no. Era quello il "metodo".

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  17. Comunque l'articolo di Giorgio Israel sul Messaggero è da facepalm. Si vede chiaramente che vive in un mondo a sé, senza più contatto con la realtà.

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    1. Francamente non mi sembra: l'autore parla con cognizione di causa, in modo chiaro, concreto e privo di quelle piccole strategie retoriche che di solito si accompagnano fastidiosamente alle "apologie". Il sapere è visto senza preconcetti e barriere nella sua naturale continuità tra teoria e pratica, tra immaginazione e applicazione, tra interesse speculativo e realizzazione dell'utile inteso in ogni sua forma. Infine è messa giustamente al bando l'assurda distinzione tra discipline "scientifiche" ("forti") e discipline "umanistiche" ("deboli"). Forse il tono allarmistico sul declino del liceo classico è esagerato, ma per il resto mi sembra di leggere molti più luoghi comuni e discorsi approssimativi in buona parte di questi post che in quell'articolo.

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    2. una roba da facepalm = res horrida relatu
      Così, tanto per coltivare il Latino come lingua viva...

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    3. Francamente mi sembra proprio: l'autore tira l'acqua al proprio mulino propagandando vecchie concezioni elitarie sugli studi classici. Il tutto con poca cognizione di causa e un'irritante spocchia da tempi pre-crisi.

      Confonde (dolosamente?) lo studio classico con "la teoria" e lo studio scientifico con "la pratica", e poi imposta la facile argomentazione "teoria VS pratica". Questo non ha nessun contatto con la realtà.

      Secondo lui gli studi classici danno "persone di ampia formazione e capaci di scelte autonome". Tutti gli altri sono "polli di batteria formati per una sola funzione".

      Ma il facepalm mi è partito quando fa gli esempi "concreti". Il triste tecnico intriso di studi scientifici risolve il problema di carburazione allargando il tubo di 2 millimetri. Invece il glorioso letterato cosa avrebbe fatto? Quali incredibili soluzioni avrebbe tirato fuori? Sembra l'inizio di una barzelletta. C'è uno studente scientifico, uno studente ITIS e uno studente classico. Devono risolvere un problema di carburazione...

      Il tutto comunque si riduce al solito trappolone del "gli studi classici 'aprono la mente' per fare successivi studi scientifici". Alché una commentatrice (Pat Z) gli ha fatto un lunghissimo commento, ma che stringi stringi si riduce in un: "Lei ha ragionissima. Dove andremo a finire. Però mio figlio che vuole fare l'ingegnere lo mando allo scientifico. Con tutto il rispetto." Risate dal pubblico.

      Dài, è ovvio che il suo scopo non è "mettere al bando l'assurda distinzione tra discipline scientifiche e discipline umanistiche." Se Isreali è il campione della difesa degli studi classici non siamo messi granché bene.

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    4. Forse abbiamo letto due articoli diversi. Israel sostiene che il volgersi di molti alla cultura tecnica in Italia è auspicabile, ma è meno auspicabile che ciò comporti una svalutazione delle forme di sapere più astrattamente speculative (scienze comprese) e che ciò comporti un'incapacità progressiva di godere e di far fruttare il patrimonio storico e artistico di cui il nostro paese è così ricco. La distinzione posta da Israel non corre tra studi classici e tutto il resto, ma tra una concezione meramente "applicativa" dello studio, che riduce la varietà delle discipline degne di apprendimento, e una concezione più ampia e creativa dello studio che assegna ai saperi teorici (classici e scientifici) un ruolo di guida rispetto alle competenze tecniche e alla pratica, alla quale non è negata nessuna dignità. Si tratta, tra l'altro, di uno studioso che proviene dagli studi scientifici e non vedo quale vantaggio intellettuale possa trovare nel sottovalutarli. Francamente io stesso non vedo nessun'utilità di "difendere" oggi gli studi classici arroccandosi a proteggerli (e dire che sono un insegnante di greco e latino) contro le altre forme di sapere o contro la tecnica. Proprio per questo l'articolo di Israel mi è parso particolarmente equilibrato. Forse ho letto male.

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