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sabato 23 agosto 2014

Sacco e Vanzetti: innocenti o...

23 agosto 1927 - A Boston, Massachusetts, Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti sono giustiziati per aver ammazzato un contabile e una guardia giurata. Esattamente 50 anni dopo (23 agosto 1977) il governatore del Massachusetts, li proclama innocenti. Meglio tardi che mai. Ma c'è ancora chi non si rassegna...


Alle 23,40 (ora americana) i personaggi ufficiali ed i testimoni sono entrati nella parte del carcere riservata ai condannati a morte. Poco dopo, la triplice esecuzione aveva luogo. Alle 0,9 minuti (ora americana) Madeiros, che aveva preso posto per primo sulla sedia elettrica, è stato dichiarato morto. Alle 0,19 Sacco era a sua volta giustiziato; e per ultimo Vanzetti, alle 0,26. La tragedia è compiuta. Dopo sette anni dalla sentenza di condanna a morte, pronunziata senza che la loro colpevolezza, nel delitto a essi ascritto, fosse menomamente provata, Sacco e Vanzetti sono stati elettresecutati. La barbarie della parola s'adegua alla barbarie del tatto. E la nostra coscienza di uomini civili, la nostra coscienza romana e cristiana ed europea, ha avuto un sussulto, ha subito un'offesa non facilmente dimenticabile. ("La Stampa", 23 agosto 1927).


Se fosse un agosto qualsiasi - se non ci fosse una guerra in Europa e un'altra guerra in Medio Oriente che parla fin troppo europeo - e il cambiamento climatico - e la mancata ripresa - se insomma fosse uno di quegli agosti in cui il problema dei redattori è come riempire una dozzina di pagine senza annoiar troppo il lettore sotto l'ombrellone - potremmo facilmente scommettere sulla riapertura del caso Sacco-Vanzetti da parte di qualche testata di centrodestra.

I dettagli sono sempre gli stessi: malgrado lo Stato del Massachusetts abbia formalmente e solennemente scagionato i due italiani (cinquant'anni dopo averli inceneriti), qualche indizio di colpevolezza continua a trascinarsi. La confidenza raccolta da Carlo Tresca, uno dei promotori delle manifestazioni pro-Sacco-e-Vanzetti, che riteneva in cuor suo che il primo fosse colpevole e il secondo complice. E la perizia balistica del 1961, che afferma che fu la colt di Sacco a sparare il colpo che uccise il custode Alessandro Berardelli. Storie arcinote che possono vivacizzare una discussione da spiaggia ma non sarebbero sufficienti a riaprire un processo: la versione di Tresca è solo una delle tante che fornì, quando aveva preso le distanze dalla frazione anarchica in cui avevano militato i due martiri; la stessa "colt di Sacco" potrebbe anche non essere davvero quella di Sacco (la polizia ebbe molto tempo a disposizione per sostituirla).


In questa situazione - in cui Sacco e Vanzetti sono contesi da avverse tifoserie, interessate più a manifestare le proprie convinzioni immutabili che a sapere come siano andate davvero le nude cose - può essere spiazzante rileggersi i fascistissimi quotidiani del tempo e scoprire che i due anarchici erano visti come martiri. Forse non tutti sanno che... Mussolini aveva iniziato a chiedere alle autorità USA una revisione del processo sin dal 1923, quando era ancora un presidente del Consiglio con la bombetta. Quattro anni dopo - in luglio - ancora scriveva all'ambasciatore americano di intercedere presso il governatore del Massachusetts. Può darsi che nei due espatriati nei guai, Mussolini riconoscesse una copia sfortunata di sé stesso, socialista rivoluzionario spiantato in Isvizzera. Ma la posta in gioco era più alta: recuperare il rispetto e la fiducia degli italiani nel mondo, anarchici compresi. Distogliendo l'attenzione da chi stava espatriando proprio per fuggire dal fascismo e dai suoi manganelli, additando un nuovo avversario contro cui fare fronte comune: un'America meccanica, brutale torturatrice:
C'è un immenso mare tra noi e l'America, un oceano d'abissali profondità e con procelloso cielo: quell'oceano che hanno varcato, iniziando un'era nuova all'umanità, le tre caravelle di Colombo; quel cielo che hanno rivarcato le sportive ali di Lindbergh. Ma tra noi e giustizieri del Massaciussetts c'è anche qualche cosa di più di quel mare, e col suo cielo, che ci separa, che ci distacca: ci sono i millenni di civiltà, di esperienza storica, di raffinamento etico e di ascensione spirituale, che noi portiamo, glorioso carico di memorie e nobiltà collettiva, che noi abbiamo infusi nel sangue azzurro delle nostre pure razze, e che mancano totalmente alla gente dell'altra sponda, gente nuova, di varie origini, che nella gara del progresso si scaglia come a un arrembaggio. Tra noi e loro quindi permane — e non potrebb'essere diversamente — un'incomprensione fondamentale. Questo di Sacco e Vanzetti, non è che un episodio, orrendo ma limitato: al di là dell'episodio, e che di tanto lo sopravanza, il dissidio, tra la civiltà morale della vecchia Europa e la civiltà prevalentemente meccanica della giovine America, spalanca voragini, che ci paiono incolmabili. Le due vittime d'oggi sono, in fondo, vittime di tale incomprensione, di tale stato di cose. A noi Europei, a questo nostro ancestrale e sperimentato senso giuridico e sociale, è parso enorme, inammissibile, perché contrastante con l'elementarità del diritto penale, quale noi l'intendiamo, il supplizio inaudito inflitto a due uomini, di tenerli di fronte alla condanna capitale per sette anni di sèguito, di fare a essi, per sette anni, d'ogni giorno la vigilia mortale. Poiché la pena non è, e non può essere, se civilmente intesa, una tortura per il condannato, in espiazione della sua colpa, sibbene deve costituire un ammonimento e un preservamento sociale; s'intende che essa mantenga sempre, pur nelle sue forme di massima severità, nelle graduazioni estreme, e in quella stessa, oltre la quale più nulla si concepisce, dell'esecuzione capitale, mantenga carattere e aspetto di ineccepibile, superiore equanimità, e che nulla mostri di spietato o di feroce; e s'intende insieme che essa, qualsisia, segua immediatamente la sentenza che la decreta: che, se no, perde d'efficacia educativa, o, come nel caso presente, si trasforma in una altrettanto vana quanto feroce rappresaglia, e diventa quindi altrettanto immorale, altrettanto antigiuridica e antisociale, che il delitto. Noi Europei inoltre siamo troppo saturati d'esperienza troppe volte secolare, per non temere, raccapricciando, degli errori, cosi facili alla pratica umana della giustizia; ed escludiamo in modo assoluto che sia applicabile l'irreparabilità d'una condanna capitale in ogni caso in cui la colpevolezza dell'imputato non sia più che convincentemente, esaurientemente provata. ("La Stampa", 23 agosto 1927).

Che belle parole. Nella stessa prima pagina si informa il lettore che "dopo l'esame e l'approvazione da parte del Capo del Governo del testo del progetto del nuovo Codice penale[...] È punito, secondo la legge italiana, il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero un delitto politico che sia contro la personalità dello Stato. Agli effetti di questa disposizione è delitto politico ciò che offende un diritto o interesse pollice dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino. Nei titolo 2.0 sono contemplate le pene, che sono distinte in principali e 'accessorie. Le pene principali stabilite per i delitti sono: la morte, l'ergastolo, la reclusione, la multa. Le pene principali stabilite per le contravvenzioni sono: l'arresto e l'ammenda. La pena di morte si esegue menante fucilazione nell'interno di uno stabilimento penitenziario o in altro luogo designato dal giudice". E ancora: In conformità con queste leggi il nuovo Codine stabilisce la pena di morte per chiunque commetta un fatto diretto a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l'indipendenza dello Stato: per chiunque commetto un fatto diretto a disciogliere l'unità dello Stato o a di staccare dalla madre patria una colonia o parte del territorio soggetto, anche temporaneamente, alla sua sovranità; per chiunque attenti alla vita o alla incolumità o alla libertà persona le del Re o del reggente, della Regina e del Principe Ereditari; per chiunque attenti alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Capo del Governo. È anche punito colla pena di morte il cittadino che, rivestendo un comando superiore o una funzione direttiva nell'Esercito Italiano, porti le armi contro lo Stato o presti servizio nell'esercito di uno Stato in guerra con lo Stato Italiano.

Quest'ultimo comma credo si sarebbe ritorto su Mussolini una volta che provò a camuffarsi da tedesco (nella stessa pagina scopriamo tra l'altro che "chi inciti a pratiche contro la procreazione" sarebbe stato punito con un anno di reclusione; cinque anni invece a "chiunque si renda colpevole di relazioni omosessuali").

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