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lunedì 18 agosto 2014

SCONVOLGENTE: ecco perché Joni Mitchell non andò a Woodstock

18 agosto 1969 - Joni Mitchell partecipa a un programma televisivo, il Dick Cavett Show. Per andare in tv aveva rinunciato a partecipare nei tre giorni precedenti a un certo festival di Woodstock che poi, si scoprì, sarebbe diventato il concerto più famoso del secolo. Se ne pentì. Poi si pentì di essersene pentita.


(La sublime ironia di accettare un cachet per cantare For Free)

(Segue vecchio pezzo)
Se c'è un motivo (non è detto debba esserci per forza) per cui la Woodstock di Iain Matthews mi sembra superiore alle altre versioni, credo che abbia a che vedere col sentimento del tempo. La storia racconta che Joni Mitchell scrisse la canzone nei giorni immediatamente successivi al festival, mettendo a frutto il rimpianto per non esserci andata, per aver capito troppo tardi quello che stava succedendo in quel pratone fuori New York; per aver dato retta al suo agente e barattato l'evento più importante della sua generazione con una comparsata in tv. D'altro canto solo la lontananza da Woodstock poteva permetterle di scriverci sopra un inno cosmico, pieno di fede nel futuro e vibrante del respiro dell'universo eccetera eccetera, al riparo dagli schizzi di fango e dal caos organizzativo. Quando poi le capitò di andarci davvero, ai concertoni, la Mitchell non ne trasse vibrazioni così positive. Un mese dopo portò la canzone inedita a Big Sur, dove cercò persino di insegnare agli hippie il ritornello: su, cantate con me, siamo polvere di stelle, siamo d'oro... no, niente, quelli sorridono, scuotono le chiome, e chissà su che pianeta sono in quel momento. Ma d'altro canto, come si fa a cantare dietro a Joni Mitchell? Cioè, davvero credevi che fossero tutti bruchi pronti a mettere le ali? tutti in grado di cantare quello che canti tu? Tutti pronti a fondare rock'n roll band e inseminare la pace del mondo? Ci credeva.



Ma non ci ha creduto a lungo.
Due anni dopo, all'isola di Wight, un fricchettone sale sul palco e la interrompe proprio mentre canta We are stardust. Il manager lo prende a calci – il pubblico fischia Joni. Joni chiede il rispetto per l'artista, cioè per sé stessa. Non ci si bagna più nello stesso fango del pubblico, non gli si insegnano più i ritornelli. Gli hippie saranno anche polvere di stelle, ma troppo spesso sono piantagrane sciroccati senza rispetto per gli artisti. Big Sur è lontana, Woodstock è già un museo di cere. La versione di Matthews scala le classifiche nello stesso periodo.

La distanza tra le versioni di CYSN e della Mitchell è di pochi mesi. Eppure Matthews ha saputo metterci qualcosa che interpreti più conosciuti di lui non avevano ancora trovato. La pedal steel, direte voi. Bravi. In realtà io intendevo la nostalgia. La Mitchell non aveva nostalgia per Woodstock; solo un po' di rimpianto per non esserci stata, e tutta la fantasia per immaginarsela più bella, un sogno oltre il tempo e lo spazio. Iain Matthews la sfoglia già come un vecchio album delle vacanze. In quegli anni le fotografie ingiallivano in fretta, le speranze duravano un paio d'estati e poi finivano, e anche le canzoni migliori dopo venti mesi erano roba vecchia. D'altro canto nascevano continuamente nuove speranze e nuove canzoni, per cui la nostalgia restava un prodotto di nicchia.

Oggi tutto quel passato è stato surgelato, per la comodità degli utenti: quando ne vuoi un pezzo lo scongeli e lo consumi in pochi minuti. Così ogni estate ci si mette a parlare di Woodstock, il grande evento che ha cambiato la storia della musica eccetera. Anche la nostalgia sa un po' di precotto. Del resto è tutta gente che a Woodstock non c'era, non era nata o ascoltava Gianni Morandi. Per quelli che c'erano passati, Woodstock era probabilmente roba vecchia già nel 1970. Ne sfogliavano le foto, e cominciavano a non riconoscersi più. Siamo polvere. Di stelle, ma pur sempre polvere.

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