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domenica 17 agosto 2014

Un Cossiga per tutte le stagioni

17 agosto 2010 - ci lascia Francesco Cossiga, il ragazzo terribile della politica italiana.

Guardando un po' più da vicino la traiettoria di Cossiga, si ha l'impressione che il secondo dopoguerra italiano sia un frattale. Cossiga lo contiene tutto in piccolo: la DC di sinistra, la strategia della tensione, il pentapartito, la crisi degli anni '90 e la nascita di un nuovo linguaggio politico che è poi lo stesso che oggi trovi in bocca a qualsiasi coglione si ritrovi a scrivere su beppegrillo.it. Cossiga è passato per tutte le svolte della storia d'Italia: in alcune occasioni le ha anticipate, di modo che ai suoi contemporanei sembrava che facesse strani slalom a vuoto come un mezzo scemo. 

La storia di come ha preso a picconate non soltanto la politica, ma soprattutto il linguaggio politico, è affascinante ma oggi è domenica 17 agosto e non ho voglia di scriverla: incollo un vecchissimo pezzo di Alberto Sobrero e buonanotte. 

Da quasi due anni il 'fenomeno Cossiga' è osservato sotto diverse angolazioni: politica, partitica, etnologica, dietrologica, psichiatrica... Poco si è detto del suo modo di parlare, o meglio di comunicare. Strano, visto che si tratta di un Grande Comunicatore. E tuttavia, un'occhiata al suo comportamento linguistico offre chiavi di lettura interessanti.

Tanto per cominciare, consente una sistemazione "storica" del personaggio. Com'erano i primi messaggi del Presidente Cossiga? Una noia mortale. Scorro qualche appunto preso al messaggio del Capodanno 1987 e trovo: massima austerità formale, immobilità solenne, dizione ben scandita e controllata, attenuazione delle caratteristiche sarde del parlato. Il discorso è costituito da una lunga esortazione seguita da un frammento di lezione universitaria, con i suoi bravi distinguo, i termini tecnici al posto giusto, e un gioco fine di argomentazioni e contro-argomentazioni. Argomento: la responsabilità. Taglio: tipico dell'uomo di potere. Il discorso non tratta della responsabilità di amministratori e politici (già allora la carne al fuoco non sarebbe mancata), ma del cittadino qualunque, perché "alla gestione della cosa pubblica nessun cittadino è estraneo". Il tono generale è predicatorio: i verbi dovere, occorrere, impegnarsi ricorrono ben 29 volte in 15 minuti, senza contare i verbi al futuro con valore imperativo. La lingua, infine, offre tutti i suoi strumenti per innalzare una cortina di fumo davanti al messaggio. Cossiga si rivela abilissimo nell'esprimere i concetti semplici in modo difficile: ad esempio, per dire che bisogna dare fiducia allo Stato come garante della sicurezza dei cittadini dice che bisogna avere "consapevolezza che soltanto lo Stato, nelle sue articolazioni democratiche, e non l'assenza dello Stato, la carenza dello Stato, può garantire il quadro di riferimento, di sicurezza nel quale la società e i singoli soggetti possono esprimere ogni giorno la loro peculiare vitalità e la loro personale responsabilità".

Il messaggio del Capodanno 1987 è un po' il simbolo di quello che possiamo chiamare il Cossiga I, il cui regno dura circa 5 anni. Anni iniziati con Capodanni tutti uguali: prosa paludata e surreale, discrezione e ufficialità. Noia. Quei discorsi allusivi destinati al Palazzo e dintorni Poi svolta. Il I gennaio 1991 il Presidente, nel bel mezzo del solito discorso auspicante e rassicurante, lascia il discorso ufficiale e apre una parentesi di veemente, appassionata, quasi rabbiosa difesa di Gladio, un'invettiva un po' cifrata destinata al Palazzo ma esibita davanti a milioni di telespettatori. È nato il Cossiga II, quello dei messaggi mandati a nuora perché suocera intenda, delle minacce a uomini e partiti, quello che sostituisce l'imparzialità con lo schieramento aperto, che esalta gli amici e offende i nemici.


Infine, l'ultimo - per ora - Capodanno con Cossiga: 1992. Uno show da grande maestro della comunicazione: tutti aspettano il messaggio, c'è chi spera in grandi picconate e c'è chi spera nell'annuncio delle dimissioni. Il nostro spiazza tutti, mette da parte i molti fogli scritti e rinuncia, in pratica, al messaggio. Tanti auguri, e via. È ormai il Cossiga III, la star della Tv. Questa messa in onda del Grande Silenzio è il trionfo del nuovo stile Advertising: nell'immaginario italiano si allinea tranquillamente - e trionfalmente - fra uno spot della pasta Agnesi e i Nuovi Aeroplani. Ecco, questi tre flash televisivi ci danno i caratteri essenziali delle "tre fasi".

I segnali linguistici del cambiamento sono vistosissimi. Fra il '90 e il '91 Cossiga abbandona i rotondi giri di frase dell'oratoria solenne, prudente, aristocratica, un po' demodée usata negli anni precedenti, per adottare un linguaggio aggressivo, fortemente "popolare", con punte plebee di grande espressività: alterna l'ironia al sarcasmo e all'insulto. Per l'insulto, in particolare, dispone di una tastiera ricchissima: c'è quello colto, che capiscono solo i cinquantenni acculturati (piccolo Wisinskij), quello semi-colto (velinaro e libellista, riferiti a Pasquale Nonno), e quello popolare: pataccaro (Onorato), ma ci sono soprattutto quelli triviali: cretino (il sindaco di Bari), imbecille, pagliaccio, sino a figlio di... La conversione è totale, e mostra un'incredibile capacità del linguaggio cossighiano di cambiare registro e di adeguarsi a pubblici, stili, gusti diversi.

Ci sono le espressioni e i modi di dire "forti" che per consolidata tradizione ci si immagina di sentire sulla bocca della "gente" (parola assai cara al Presidente): carabinieri e guardie di finanza "s'incazzano", "Moro si rese conto che non erano dei ladri di polli", "mi fischiano. E chi se ne frega, se non controfirma, ciccia!". Ma c'è anche l'imitazione perfetta di ben altri modelli. Il passo che segue ricalca in modo stupefacente - nella scelta delle parole e dei gergalismi, nei giri di frase, nella struttura argomentativa - la prosa degli "storici" documenti delle Br: "più che di terrorismo si dovrebbe parlare di sovversivismo di sinistra, di un movimento cioè che assumeva quale scenario obiettivo della propria azione e fine mediato della propria iniziativa, quella rivoluzione per la conquista del potere e il rovesciamento delle istituzioni borghesi che erano stati rappresentati come 'oggetti politici definiti', di cui la pratica terrorista doveva costituire l'innesco della rivoluzione di massa a livello di 'movimento'". Una mimesi perfetta.

Con Cossiga II e III non cambiano solo le parole, cambia anche la gestualità. Il Presidente lascia in soffitta la divisa in pompa magna, indossa la maglietta Lacoste e improvvisa dichiarazioni a braccio, urla col volto congestionato, gesticola ricorrendo a tutta la mimica dei popoli mediterranei. L'autocontrollo, in queste condizioni, si attenua, e oltre a piccoli lapsus (un pares inter pares in luogo di par inter pares può essere, oggi, peccato veniale), tornano ad affiorare antiche caratteristiche sarde: le consonanti doppie, le vocali chiuse, persino gesti tipici come la cosiddetta "borsa". La borsa è un gesto che consiste nel riuniore le dita di una mano a cono, con la punta rivolta verso l'alto, avvicinando e allontanando rapidamente la mano dal petto. Tutti lo usiamo, ma con sfumature diverse nelle diverse regioni: in sardo il significato, dispregiativo, è "Beh, che vuoi?", e non è propriamente un gesto elegante.

La gesticolazione e la mobilità facciale che accompagnano l'ira presidenziale sono perfettamente aderenti al messaggio: persino un fremito ricorrente al labbro superiore sembra più un optional stilistico che un tic nervoso. È questo il periodo della gloria televisiva, il trionfo del "personaggio", che fa audience: pur di violare il sistema delle attese il già correttissimo Cossiga non disdegna neppure la scorrettezza, come quando non mantiene l'impegno dell'intervista con Enzo Biagi. Stella televisiva, non si sottrae né al pettegolezzo da Novella 2000 né al battibecco in diretta. E come accade ai grandi personaggi dell'effimero televisivo, anche lui lascia la sua impronta linguistica: la metafora del piccone - di cui rivendica con civetteria la paternità - diventa prima il tormentone di mille comici-imitatori poi, addirittura, lo slogan elettorale del Msi. Per non parlare dell'esternazione, parola che nel Lessico di Frequenza della lingua italiana contemporanea di Bortolini, Tagliavini e Zampolli, basato su uno spoglio di 500.000 parole (appartenenti a testi diversi) non compare nemmeno: dal tassista al ragazzino delle scuole medie oggi tutti esternano. Anche in documenti ufficiali: a Milano "il Consiglio di quartiere ha voluto esternare la sua insoddisfazione per la mancata soluzione del problema dei cani randagi" [...]

2 commenti:

  1. Non si capisce dove inizia Sorbero e dove finisci tu, metti almeno delle virgolette.

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    1. Non bastasse la logica a suggerirti di considerare scritta da Leonardo la parte fino a "e buonanotte" e da Sobrero tutta la successiva, ulteriore aiuto a questa tua difficoltà d'orientamento può offrirtelo il link all'articolo originale, aperto il quale puoi verificare che l'attacco dello stesso e la frase successiva a quel "e buonanotte" curiosamente coincidono.

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