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mercoledì 8 aprile 2015

Cestaro è un eroe, ma alle Diaz fu davvero "tortura"?

Ad Arnaldo Cestaro, l’uomo tranquillo che a 62 anni cercò di mettersi tra i giovani accampati nella scuola Diaz e le guardie impazzite che avevano fatto irruzione, dobbiamo più che una semplice riconoscenza. Cestaro poteva morirne; ne riportò danni permanenti. Da allora non ha smesso di testimoniare e denunciare quanto successo, finché anche a Strasburgo non gli hanno dato ragione: quel che accadde la sera del 21 luglio 2001 fu tortura, e se in Italia manca ancora una definizione giuridica del concetto, peggio per noi. Dobbiamo questo al signor Cestaro, che poteva starsene in un angolo zitto e buono, e si alzò a difendere ragazzi che avevano la mia età. Non ha ancora smesso: a 75 anni li sta ancora difendendo.

Detto questo, confesso una perplessità. Per la Treccani la tortura consiste in “varie forme di coercizione fisica applicate a un imputato, più di rado a un testimone o ad altro soggetto processuale, allo scopo di estorcere loro una confessione o altra dichiarazione utile”. La definizione si può applicare al caso Bolzaneto, ma non aiuta molto a comprendere quanto stava accadendo nello stesso momento alle Diaz: più che tortura, “macelleria”, come la chiamò un poliziotto. I colleghi che roteavano i manganelli sui denti di manifestanti nel sacco a pelo non stavano cercando informazioni. L’ordine era un altro: spaventarci? Alzare ulteriormente una tensione già insostenibile? Ancora non lo sappiamo. Ma la risposta è tra noi, non è che Strasburgo possa aiutarci anche in questo.

4 commenti:

  1. "Il termine ‘tortura’ indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate."

    Definizione che si trova nell’articolo 1 della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1984 e ratificata dall’Italia nel 1988.

    http://www.internazionale.it/opinione/luigi-manconi/2015/04/07/diaz-perche-in-italia-tutti-hanno-paura-della-polizia

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  2. La Cedu ha applicato l'art 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, quello che, stabilendo la Proibizione della tortura, recita "Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti". Sulla base di questo articolo e della giurispeudenza della Corte i fatti della Diaz (e ancor più quelli di Bolzaneto, che sono oggetto di altri ricorsi già presentati) configurano senz'altro torture in senso tecnico e proprio. La definizione della Treccani, che richiama lo scopo di estorcere una confessione o altre dichiarazioni utili perché si possa parlare di tortura appartiene a una nozione del passato, superata dalle convenzioni in materia attualmente vigenti e da tutte le normative degli Stati più evoluti che hanno introdotto il reato di tortura nel nostro ordinamento. Pur tutt'ora radicata nel senso comune l'idea che la tortura consista in violenze inflitta per estorcere una dichiarazione questa immagine è fuorviante. Oggi viene quindi considerata tortura l'uso di violenza e di trattamenti inumani e degradanti anche se non finalizzati a ottenere confessioni o altro dal torturato. La sentenza della Cedu resa ieri perciò dichiara nel punto più significativo al riguardo: "le violenze della Scuola Diaz Pertini, di cui il richiedente è stato vittima, sarebbero state perpetrare “a scopo punitivo, uno scopo di rappresaglia volto a provocare l'umiliazione e la sofferenza fisica e morale delle vittime".

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  3. Secondo me la risposta migliore è la sua: http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2015/04/08/ARA7n63D-tortura_continua_polizia.shtml e quindi mi limito a riportartela.

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  4. E ora me ne vado a leggere, nei commenti dei quotidiani italici, un po' di fascistume vario e inevitabile, con la cantilena "la polizia ha fatto bene, quelli hanno rotto le vetrine!"

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