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lunedì 11 luglio 2016

Come l'Invalsi (non) ti cambia la didattica

Riassunto della puntata precedente - Grazie alle sue rilevazioni l'Invalsi ha dimostrato ciò che era abbastanza prevedibile, ovvero che i risultati mediamente peggiori provengono dalle regioni meno ricche; nelle stesse regioni sembrano essere più frequenti gli episodi di "teacher cheating", insomma di docenti che imbrogliano. Secondo la presidente dell'Invalsi è un problema di didattica: gli insegnanti delle regioni più povere non hanno adeguato la loro didattica all'Invalsi. Ma di che didattica stiamo parlando?

Been cat stealing, once, when I was 5. 
Dovete sapere che in questi anni, in cui da una parte ci divevano che ci avrebbero valutati, e magari licenziati, oppure rinchiusi negli istituti a luglio, insomma ce ne dicevano un po' di tutti i colori... in questi stessi anni ci davano da correggere la prova Invalsi e ci spiegavano che era sbagliato allenare i ragazzi a superare la prova Invalsi. Giuro. Ci chiedevano di non fare teaching to the test. Guai a farlo.

Io non so se tutta questa commedia dell'assurdo si sia verificata anche in società non cattoliche, ma giudicate voi. Ci dicono che non siamo bravi. Ci danno una Prova. Ma ci dicono che non la useranno per valutarci. Solo per valutare i ragazzi nel loro insieme. Anche se a dire il vero, all'esame di licenza la Prova fa media. Però non dobbiamo preparare i ragazzi a superarla. Quindi cosa succede?

Caro insegnante, io sotto sotto credo che tu sia un incompetente, un mangiapane a tradimento. Lo si vedrà meglio dai risultati complessivi di questa Prova, che però non serve a valutarti, e che tu correggerai - mi raccomando, non barare. A proposito: la prova fa media. E magari non è facilissima. Ma non devi allenare i ragazzi a superarla. Ecco.

Vediamo i risultati... ops! Cosa succede qui? Sembra proprio che tu abbia barato. Lo vedi che lo sapevo? Sei un incompetente. Avresti dovuto cambiare didattica.

Quindi l'Invalsi serve a imporre un certo tipo di didattica? E perché non ce l'avete detto prima?
Forse dovevamo arrivarci da soli.

Per fare un piccolo esempio: a volte mi chiedo che senso ha studiare tutti i complementi, alle medie. Il complemento oggetto, per esempio, è molto importante. Il complemento di vantaggio non lo è altrettanto. Vale la pena dedicargli una lezione? Visto che dappertutto mi spiegano che la didattica va rinnovata, e insomma le competenze linguistiche si possono costruire in tanti modi, non per forza imparando a memoria tutti i nomi dei complementi. Così a volte il dubbio mi viene.

A questo dubbio, le prove Invalsi rispondono. Certi quesiti grammaticali compaiono quasi ossessivamente (il troncamento di "uno"), altri più saltuariamente. Ma insomma, quest'anno è uscita una domanda sul complemento predicativo del soggetto e dell'oggetto. Non pretendevo che molti alunni l'azzeccassero. Allo stesso modo, mi sarebbe dispiaciuto che arrivassero alla prova senza aver mai sentito parlare del complemento predicativo. Magari l'Invalsi non mi valuta, ma non vorrei che mi facesse fare una brutta figura. Continuerò a insegnare il complemento predicativo, e alla didattica innovativa ci penserò quando mi avanzerà del tempo (non mi avanza mai).

Insomma se la domanda è: cos'è un insegnamento di qualità? mi sembra che l'Invalsi mi risponda così: un insegnamento di qualità prevede, tra l'altro, che gli studenti conoscano i complementi, anche i meno noti (e a mio parere meno utili per costruire una reale competenza linguistica), come i complementi predicativi. E allora io mi adeguo. Ai miei studenti dell'anno prossimo, che sbufferanno durante le ore di grammatica, ricorderò che anche il complemento meno interessante all'Invalsi può uscire. "Pensate che l'anno scorso è uscito il predicativo del soggetto. Storia vera".

Naturalmente nessuno mi ha mai detto che l'Invalsi vuole imporre agli insegnanti una didattica, o dei contenuti. Tranne la settimana scorsa, quando la presidente Ajello ha suggerito che i prof delle regioni meno ricche truccassero i risultati delle prove perché... ancora non si sono adeguati alla didattica dell'Invalsi. Dunque c'è una didattica dell'Invalsi? E ci dobbiamo adeguare?

Perché a volte basta dirsele, le cose.

Vado a riaprire i fascicoli di italiano degli anni scorsi. Tre quarti della prova consistono in comprensioni del testo (poi c'è la parte grammaticale, cui ho accennato sopra). Se era un messaggio, è arrivato forte e chiaro: quel che più importa all'Invalsi è che gli studenti siano in grado di comprendere un testo scritto. A me sta bene, credo anch'io sia la competenza più importante. Ma non solo a me. Direi che sta bene un po' a tutti. Date un'occhiata a qualsiasi antologia della scuola media: per tre quarti è composta da testi e da domande sui testi. Era così anche quando eravate giovani. È così ancora oggi. Dunque qual è l'aspetto innovativo della prova Invalsi d'italiano? Qualcuno pensa che siano le crocette. Sono diventate un po' un simbolo dell'Invalsi, le crocette. E tuttavia:

1) Anche in qualsiasi antologia ci sono esercizi a crocette (e a freccette, a vero o falso, ecc. ecc.). E non sono particolarmente innovativi: li facevamo anche noi da bambini.
2) Non tutti gli esercizi del fascicolo sono a crocette (il che rende la correzione più brigosa, ma anche più cittabile truccabile).
3) Le crocette sono uno strumento, non un fine: non vogliamo studenti solo in grado di mettere le crocette, ma se dobbiamo processare i dati di tutte le scuole italiane, non c'è un'alternativa ai test a crocette.

Insomma, l'Invalsi d'italiano è fatto così: comprensione del testo e quesiti grammaticali. L'innovazione quale sarebbe? Di tutte le idee strane fiorite intorno alla prova Invalsi, quella che la considera la portabandiera dell'innovazione didattica mi sembra la più curiosa. Tutte le volte che incontro qualche collega col pallino dell'innovazione, mi accorgo che (a) non ne può più dell'antologia delle medie "con tutte quelle domande noiose"; (b) non ne può più della grammatica prescrittiva, del complemento di svantaggio e della proposizione esclusiva. Bene, l'Invalsi vuole entrambe le cose. Le classi del prof innovativo rischiano di andare male all'Invalsi più di quelle di un qualsiasi prof che non cambia didattica dal 1970.

Per contro, un insegnante che volesse innovare un po', quando apre il fascicolo e scopre che si parla di complementi predicativi del soggetto, potrebbe anche essere tentato di barare. Provate di nuovo a mettervi in lui. Ha passato tre anni a far cose innovative, e adesso i suoi ragazzi si trovano davanti a una domanda noiosa, inutile, che inciderà sul loro esame. È colpa loro se hanno avuto in sorte un prof innovativo che non insegnava i complementi predicativi? Dannazione no, siete voi che avete voluto sperimentare cose che all'Invalsi non interessano. Perché dovrebbero pagare i vostri studenti per la vostra frenesia di cambiare didattica? Magari hanno lasciato le caselle vuote. Prendete la penna e inserite le crocette. Nessuno vi controlla.

Magari tra qualche settimana, applicando correttamente un algoritmo, un dipendente a tempo determinato dell'Invalsi scoprirà che avete fatto cheating. Ma nel frattempo i verbali dell'esame saranno già stati ratificati e imbustati, e i vostri ragazzi avranno già visto il loro voto sul tabellone. Saranno contenti. Anche i genitori. E il complemento predicativo del soggetto si fa sempre in tempo a imparare.

Se proprio l'Invalsi ci tiene.

(Magari continua).

1 commento:

  1. Io sto ancora cercando di capire come sia un professore innovativo e cosa sia la didattica innovativa. Innovativo significa NON insegnare la grammatica usando la LIM? E' questo?
    Gli ultimi 30 (trenta, non tre) anni di innovazioni ministeriali, tutte volte all'adattamento della scuola alla società e alle novità hanno condotto ad un completo disastro. Ci sono stati gli anni del giornalino di classe, ricordate? Eserciti di ragazzini completamente sgrammaticati che scrivevano spaventosi similarticoli di giornale dove neanche un complemento oggetto era al suo posto. Ancora oggi molti docenti pensano di innovare facendo studiare a memoria De André anziché Leopardi (dimenticando che De André è morto quanto Leopardi, morto per morto...). Alla fine dell'anno un ragazzino, per educazione musicale, ha portato all'esame di licenza media "C'era un ragazzo che come me".

    Personalmente ritengo che come nella religione cristiana vi sia un solo modo di rinnovare la scuola: tornare alle origini: far studiare i ragazzi. Non c'è altro metodo: devono studiare. E devono imparare che può anche essere faticoso, molto faticoso. E i contenuti devono essere importanti. Devono conoscere cose che non troveranno facilmente fuori dalla scuola. Si studia Dante, si studia Leopardi perché è ovvio che non ne sentirai parlare su Radio 105 e non sarà la prima stringa che digiterai su Youtube.
    Insomma, ho scritto un pippone disordinato, ma mi sale la rabbia e ho fatto delle pessime scuole medie.

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