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sabato 31 dicembre 2016

Il Bob a ruota libera

The Freewheelin' Bob Dylan (1963).

(L'album precedente: Live at the Gaslight 1962:
L'album successivo: Brandeis University 1963).

Nel 1963 Tom Wilson era un promettente produttore trentenne. Non aveva ancora avuto l'idea di fornire a The Sound of Silence un accompagnamento elettrico, il gesto che di fatto rimise assieme i misconosciuti Paul Simon e Art Garfunkel e li proiettò verso la fama mondiale; non aveva ancora scoperto Zappa, né prodotto i Velvet Underground. Ma aveva già lavorato coi giganti del free jazz, Sun Ra e Coltrane. Quando alla Columbia gli chiedono di aiutare un nuovo folksinger a completare il suo album, non sembra molto convinto: "pensavo che il folk fosse roba da scemi (dumb guys). Lui suonava come quegli scemi, ma quando quelle parole saltarono fuori, restai sbalordito". Si tratta ovviamente del nostro Bob Dylan, che in quei mesi è già diventato uno degli artisti più cool in città. Anche se il suo primo disco ha venduto soltanto 5000 copie; anche se continua a suonare in seminterrati come il Gaslight (però Furio Colombo quando passa nota una fila di ragazzine che cerca di entrare). Anche se le nuove canzoni per ora è più facile leggerle che ascoltarle: gli spartiti di Blowin' In The Wing Oxford Town escono su rivista prima ancora che le canzoni siano incise.

(Persino io ho vissuto qualche anno in cui non sapevo chi fosse Dylan, ma già conoscevo una canzone che faceva Risposta non c'è, o forse chi lo sa, la luna nel vento sarà. La cantavano gli scout più grandi con le chitarre, rintanati sul fondo delle corriere; leggevano testo e accordi su fotocopie di ciclostili che circolavano liberamente, senza più indicazioni di autori e coi titoli sbagliati. Che in fondo era esattamente quel tipo di fama a cui aspirava Dylan prima del '63: spargere le sue note anonime nel mondo, come Woody Guthrie e tutti gli altri bardi più o meno sconosciuti di cui si sognava erede).

Il 1963 cambia tutto, o almeno in seguito ci siamo convinti di questo. In primavera escono due album che in teoria fanno tabula rasa dell'immaginario giovanile e della storia della musica: uno è proprio The Freewheelin' Bob Dylan, il primo capolavoro di Dylan; l'altro è il 33giri di questo nuovo gruppo inglese, i Beatles. Anche loro all'apparenza non fanno nulla di nuovo e neanche di troppo intelligente. Anche i loro brani possono essere smontati pezzo per pezzo, e rivelare gli antecedenti, anche meno clamorosi: c'è ancora molto rock'n'roll (un genere che da qualche anno era passato di moda), qualche ballata, qualche incursione spericolata nel rhythm and blues... nulla di eccezionale. Anche loro un po' scemi, un po' poser, con un'agguerrita fanbase di ragazzine. Quello che fa la differenza, nota Bob (o almeno così racconta 40 anni dopo), è un imponderabile elemento di simpatia. Istintivamente, Lennon e McCartney azzeccano la tonalità della nuova generazione: pur muovendo da radici più complesse, più contorte, Dylan fa la stessa cosa. Più delle parole conta il personaggio che stai costruendo, o meglio: il personaggio che riesci a costruirti, con quelle parole.

Sono mesi intensi. Dylan è diventato maggiorenne (al tempo succedeva a 21 anni) il che ha fornito al suo nuovo manager una scusa per rinegoziare il contratto con la Columbia; è stato addirittura in Europa in una balorda tournée - un regista inglese dopo averlo visto e ascoltato aveva deciso di scritturarlo per un dramma televisivo alla BBC; lui per l'occasione aveva dimostrato quell'inettitudine alla recitazione che tante frustrazioni arrecherà a lui e ai suoi fan più affezionati. Ma insomma, in città i giornalisti cominciano a parlarne bene. Pete Seeger e Dave Van Ronk, l'aristocrazia folk, lo invitano sui palchi, ai festival, sul divano quando c'è bisogno. Il nuovo disco sta crescendo, non è che il ragazzo si trovi sempre a suo agio in sala di registrazione: diversi esperimenti andranno buttati via - però quel che resta sembra proprio roba buona. Più originale del solito. Quasi ogni pezzo ha una sua storia, un suo pedigree, un paio di ballate hanno progressioni armoniche che puoi far risalire al Settecento. Ma basta attraversare la strada, anzi, un corridoio alla Columbia, e c'è già chi la pensa in un modo completamente diverso: il folk? Roba da scemi.

Sono quelle percezioni che ad alcuni dylaniti sfuggono. Oggi dissezionare le radici è fin troppo facile. Woody Guthrie, il blues del Delta, il folklore inglese, sono a portata di clic. È facile rendersi conto che il cantautore ventenne era una spugna imbevuta di antichità europee e americane; le fonti dirette e indirette sono lì apposta per autorizzare qualsiasi deriva erudita: lo stesso Dylan ci tiene a farci sapere che in lui convergono il blues di Robert Johnson, il simbolismo di Rimbaud, l'espressionismo di Jenny dei Pirati. E allo stesso tempo, tutta questa roba è un po' da scemi. Tutto il revival folk, questa sottocultura del Village che tiene in piedi qualche caffè, che se ti sbatti ti può far vendere qualche migliaio di dischi. Roba da studenti. Specchietti per le allodole. È un sospetto che sfiora lo stesso Bob, quando all'inizio del suo blues omonimo avverte: le canzoni folk di oggi le scrivono a Tin Pan Alley (il quartiere degli editori di musica commerciale).

È fin troppo facile oggi prendere The Freewheelin' e smontarlo nei suoi fattori primi - per scoprire che su 13 pezzi Dylan è responsabile sì e no di un paio di melodie (c'è di nuovo un ragtime sparato a cento all'ora Honey, Just Allow Me One More Chance, e a ben vedere anche Don't Think Twice è un ragtime), e che certe invenzioni (la progressione di Girl of the North Country) sono fortuite, magari causate dal fatto che non conosceva gli esatti accordi di Scarborough Fair, o magari l'aveva ascoltata una volta sola e se la ricordava in una scala diversa. È fin troppo facile perdersi nell'enciclopedia dei rimandi, ed è il modo migliore per non capire l'impatto del disco nel 1963. Persino Blowin' in The Wind non era un'aria originale, ma nel '63 chi poteva saperlo? Solo Pete Seeger ricordava di aver sentito il canto degli schiavi ribelli, No More Auction Block, da cui Dylan aveva preso la strofa. Quel che crea veramente la tabula rasa non è Dylan, ma l'ignoranza del pubblico a cui si rivolge. Questi ventenni suoi coetanei, o di poco più giovani, che Guthrie non lo ascoltano e non lo ascolteranno mai. Di Robert Johnson deve ancora uscire un LP. Per loro The Freewheelin' suona assolutamente nuovo e fresco. E Dylan non fa nessuno sforzo per suggerire il contrario: il folk, dice, ormai si fa a Tin Pan Alley. Forse ce l'ha col folk commerciale, quello che sta per riempirgli le tasche appena gli artisti più affermati di lui cominceranno a incidere le sue canzoni. Forse ce l'ha col suo pubblico di finti poveri e hipster (il termine esisteva già, anche se indicava più spesso i bohemién bianchi che ascoltavano il jazz). Forse non ce l'ha con nessuno: sta solo suggerendo di non essere preso sul serio.

Per fare un esempio: una prestigiosa rivista studentesca ha indetto un concorso: scrivete una canzone sui fatti di Oxford. A Oxford, Mississippi, il presidente Kennedy ha dovuto mandare la Guardia Nazionale per tenere aperta l'università - altrimenti i bravi cittadini del posto avrebbero sparato a James Meredith, primo studente universitario afroamericano. Dylan partecipa al concorso con questa canzoncina che sembra incaricarsi di deludere qualsiasi aspettativa: racconta di essere stato a Oxford (non è vero) e di avere incontrato la sua ragazza - e il figlio della sua ragazza - in mezzo ai fumogeni. Nel frattempo è morto qualcuno e bisognerebbe investigare. Fine.

È difficile capire come l'autore di bozzetti del genere possa essere stato identificato come portavoce politico di una generazione (continua sul Post).

3 commenti:


  1. Allora, mi chiedete perchè son sbronzo permanente
    Mi sistema la testa e mi calma la mente
    Me ne vado un po' in giro, vado a zonzo e canterello
    Vedo giorni migliori e faccio qualcosa di meglio.
    (Acchiappo dinosauri
    Faccio l'amonre con Elizabeth Taylor...
    Le prendo sode da Richard Burton!)

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  2. Ma se ti telefona Mattarella e ti dice "Leo, amico mio, che ci serve per far crescere il Paese?", tu che gli dici?

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