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domenica 31 luglio 2022

84. Keep your feelings in memory

[Potreste chiedervi cos'è questa, ebbene si tratta della Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con due canzoni che quando uscirono sembravano fantascienza, ognuna a suo modo, e che Battiato ha continuato a rimaneggiare fino agli ultimi anni]. 

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1974: Propriedad prohibida (#175)

Propriedad prohibida è stata, nel tempo, un brano di musica sperimentale, poi una sigletta televisiva, poi un ballabile techno.  

"Anzitutto cominciamo col dire che siamo tutti compositori, e che è proibita la proprietà acustica nel senso stretto del termine: se io, per esempio, scrivo un pezzo e lo sottopongo al tuo ascolto, dal momento che siamo diversi e molto anche (per interessi, per educazione, per neuroni eccetera eccetera) la mia musica, dentro il tuo io, cambia completamente. A questo punto sei tu il compositore, io ti ho fornito solamente il materiale sonoro, più o meno stimolante, ma le tue elaborazioni (almeno per adesso) sono diverse dalle mie". Questa concezione super-relativistica della musica, per cui siamo tutti compositori e il musicista è solo un tizio che raduna un po' di materiale e te lo mette in favore di orecchie, Battiato la esprime nel libretto allegato al 33 giri di Clic, che però sparirà dalla circolazione molto presto e Battiato non sentirà la necessità né di ristampare né di confermare: anzi quando nel 1992 Pulcini gli chiede conto in Tecnica mista su tappeto di quel brano di Clic che faceva da sigla televisiva, Battiato, che fino a quel momento non ha corretto degli evidenti errori dell'interlocutore su Aries – come se tutti questi vecchi dischi fossero ormai cose di poco conto – taglia la testa molto recisamente al toro: Propriedad era proprio una sigletta, tutto qui ("uno di quei tipici "stacchetti elettronici che abbiamo inventato agli inizi degli anni Settanta e che oggi hanno invaso tutto il mondo"). Non solo rinnega tutta la complessità di un brano che conteneva momenti per niente elettronici, ma introduce un paragone intrigante con "la musica sinfonica utilizzata nei film western. Apparentemente l'uso può sembrare scorretto. Eppure, se funziona, significa che qualcosa in quella musica giustificava quella certa utilizzazione. Non era una musica sinfonica dagli alti ideali, ma una musica violenta, tutta spari e cavalcate". 

Ricapitolando: gli "alti ideali" della musica sperimentale che Battiato tentava di fare nel 1974, non si sono infranti contro la loro irrealizzazione pratica. Tutto il contrario: è proprio quando Battiato ha visto la Rai impadronirsi di Propriedad prohibida e trasformarla così efficacemente in uno stacchetto televisivo, che ha intravisto il lato oscuro delle sue teorie. Un'utopia che si realizza è sempre deludente, e oggi noi ascoltiamo senza battere ciglio musica che negli anni '70 sarebbe sembrata avanguardia pura. È una cosa che lo stesso Battiato nota nel 1997. "Il primo posto in classifica dei Prodigy mi ha lasciato di stucco. Tre minuti di rumori assolutamente identici, senza nessun cambiamento, ossessione pura. Un disco che in Italia nessuna etichetta discografica avrebbe mai accettato di pubblicare. Qualcosa di simile ai miei lavori degli anni Settanta, con in più la ritmica, quel quid che oggi rende digeribile alle masse qualsiasi sperimentazione" (in Battiato. Niente è come sembra, 2017). Così, quando nel 2014 decide di riprendere in mano qualche vecchio pezzo elettronico, Propriedad diventa Proprietà proibita, un brano che dopo avere esibito l'accordo iniziale ormai iconico (come tale aveva fatto capolino anche nel 2008 in La musica muore) svela una ritmica ossessiva che evidentemente serve a rendere "digeribile alle masse" una musica che però 40 anni prima aveva il suo punto di forza proprio nell'ambiguità ritmica: come nota Boccadoro (2022), in Propriedad si realizzava "l'idea di musica a più velocità, teorizzata dal compositore americano Steve Reich, dove è l'ascoltatore a dover stabilire a quale di questi diversi livelli dare la propria attenzione". Per sopravvivere, Propriedad ha dovuto tradire sé stessa, come succede ad altre canzoni e a tante persone, se vivono abbastanza da sopravvivere ai loro ideali. 


1985: No Time No Space (#18)

Seguimmo per istinto le scie delle comete. Scusate, ho finalmente fatto due più due e capito quello che per alcuni di voi sarà stato ovvio dall'inizio, ovvero: la space opera adombrata da Battiato in Via Lattea e No Time No Space non è un progetto abortito. Essa esiste, ed è nientemeno che la prima opera del compositore Franco Battiato: la Genesi. Se l'avessi voluta ascoltare una seconda o terza volta mi sarebbe risultato evidente, diciamo che mi sono lasciato fuorviare dal titolo e mi sono dimenticato che non si tratta di un'opera sulla creazione del mondo, ma di un viaggio "metascientifico e allucinogeno" di quattro arcangeli inviati dagli Dei per salvare il genere umano da una decadenza quasi irreversibile "per ottenere così una nuova comprensione del mondo" (cito da... da Wikipedia). Con loro viaggiano alcuni Illuminati, tra cui un cantore che potrebbe benissimo essere la voce narrante dei due brani spaziali di Mondi lontanissimi. Ecco risolto il mistero, rimane soltanto da riascoltare la Genesi e controllare se in qualche modo somiglia a questi due brani, e forse un giorno lo farò (se NTNS passa il turno lo farò sicuramente). Succede probabilmente in questi casi quello che si verifica di nuovo tre anni dopo con Fisiognomica: mentre è assorbito dalla composizione di un lavoro più organico e complesso, Battiato si lascia sfuggire frammenti che assomigliano più a canzoni, e decide di inciderle a parte. Col tempo forse si rende conto che funzionavano meglio le canzoni che l'opera, perlomeno a un certo punto opere ha smesso di scriverne, mentre No Time No Space l'ha reincisa anche in Inneres Auge potenziando addirittura il groove, togliendo i violini straussiani che facevano così tanto melodramma, ma senza minimamente correggere l'inglese maccheronico, ormai assurto allo status di lingua autonoma, il battiatese. 

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sabato 30 luglio 2022

83. Codici di geometria esistenziale

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con due canzoni molto belle tra cui decidere non sarà forse così difficile, ma abbastanza doloroso].

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1981: Gli uccelli (Battiato/Pio, #15)


Cioè che rende Gli uccelli una canzone diversa da tutte le altre – comprese quelle scritte per assomigliare agli Uccelli – è probabilmente la progressione armonica (oppure no, ma io ho il pallino delle progressioni, scusate, fossi stato un pessimo pianista forse avrei il pallino delle scale e perderei il tempo a dire quelle cose che dicono i fulminati modali, tipo "misolidia!" "ma anche un po' eolia!", "senti senti, questa è chiaramente la scala laodicea!", invece fui pessimo chitarrista ritmico, e quindi anche oggi vi intratterrò su una progressione). Come in Stranizza d'amuri, ma con più raffinatezza, scatta l'effetto "insegna del barbiere", ovvero abbiamo sempre la sensazione di salire e invece torniamo al punto di partenza. Il punto di partenza è in Mi minore: la prima progressione è molto semplice (Mi-Do, Sol, Re, sottolineata dagli archi nell'introduzione. Dopo due giri assistiamo a quel cambio così battiatesco da Re a La-, e dopo un attimo di sospensione a quello che in seguito identificheremo col ritornello strumentale (anche se all'inizio Battiato ci canticchia sopra), sulla famigerata progressione I-V-iv-IV partendo dal Sol, quindi Sol, Re, Mi-, Do. Dopo due giri così, un Mi maggiore che ci prende di sorpresa (si fa per dire, la conosciamo a memoria – però un po' ci sorprende lo stesso – in cui per la prima volta nella canzone Battiato usa il procedimento di trasformare un accordo da minore a maggiore, creando una sensazione di liberazione che qui è soltanto pregustata, perché l'introduzione è finita e la strofa parte subito col Mi minore: Volano gli uccelli volano. 

La progressione è di nuovo quella iniziale (Mi-, Do, Sol, Re); dopo due giri c'è la transazione già introdotta all'inizio, da Re a La- ("A questa parte di universo, al nostro..."): quello che invece non ci aspettavamo è che il La-, stavolta, diventi maggiore. Il passaggio da minore e maggiore è un avvenimento abbastanza singolare in una canzone pop, che a volte ci si tiene per la coda finale: qui invece arriva al termine della strofa ("...sistema solare). A questo punto entra la chitarra acustica, con accordi nuovi che fin qui non abbiamo sentito (possiamo considerarlo un ponte). Questo ponte sembra volare un po' più in alto ma in realtà rimane sulla stessa quota: ciò che è cambiato davvero è che se la strofa iniziava col Mi minore, il ponte inizia con un Mi maggiore: è il punto in cui è più facile steccare. Notate come questo passaggio al maggiore assecondi una rivelazione: gli uccelli "aprono le ali". Il ponte è anch'esso abbastanza semplice, giocato sull'intervallo di quinta, tra mi maggiore e si maggiore. Dopodiché, ed è il vero momento in cui la canzone prende il volo, ci si sposta sul tono: la sensazione è quella di un tipico cambio di tonalità, invece la progressione cambia e diventa la famigerata I-V-vi-IV, ma in Do (Do, Sol, La-, Fa), dopodiché Battiato approfitta ancora della possibilità di trasformare un minore in maggiore e dopo due giri di I-V-vi-IV ci regala un imprevisto la maggiore subito dopo "geometria esistenziale". È solo un gradino per spiccare un volo più in alto: un intervallo di quinta e siamo in Re, con cui riprende la famigerata I-V-vi-IV che però adesso fa Re, La, Si-, Sol (mentre i violini propongono il riff iniziale della canzone, che è il vero ritornello). Poi si torna in Re, ci aspetteremmo un altro giro e invece ancora un tono più in alto: a questo punto però dove siamo? Siamo al Mi maggiore: basta rifarlo in minore e siamo tornati alla strofa. Ecco qui. E anche se nel frattempo vi siete persi, capite che questo non è esattamente come attaccarsi a un giro e ripeterlo per tutta la canzone, magari alzandolo di tono per ottenere un facile effetto "wow": no, qui c'è una sapienza compositiva che Battiato forse non ha saputo più eguagliare. 

Ci sarà un'altra strofa (con l'ingresso di basso e batteria ad accrescere la sensazione che la canzone stia decollando, anche se alla fine accordi e melodia sono gli stessi), un altro ponte, un altro ritornello... e di nuovo un altra strofa. Qui Battiato ritiene di averne abbastanza, e siccome la strofa finisce col La maggiore, alza di nuovo di un torno e inserisce una coda strumentale (quella coi trilli un po' vivaldiani) che è sempre la famigerata I-V-iv-IV, ma stavolta in Sol, come nell'introduzione: Sol, Re, Mi-, Do. Per cui negli Uccelli torna questa progressione, se ho contato bene, in sei momenti diversi e in tre tonalità diverse, e mai con il banale salto di tonalità, espediente tipico della canzone pop. Non troverete molte altre canzoni dove succede questa cosa. Forse nessuna. 


1991: L'ombra della luce (#50)


Che anche la luce abbia un'ombra è un paradosso semplice e sublime e forse c'è bisogno di poeti un po' ingenui e incespicanti, come era FB, per notarlo. L'ombra della luce assomiglia a certi luoghi di raccoglimento e meditazione che nelle grandi città europee vengono adibiti in ospedali, aeroporti, stazioni, ecc.: luoghi aconfessionali dove ognuno, in teoria, può andare a pregare il Dio che vuole. È un'idea molto postmoderna ma anche un po' ingenua, che presume che alla fine tutti i culti si somiglino o che comunque abbia un senso identificare un minimo comune identificatore: ci sarà silenzio, perché molti culti lo richiedono ma soprattutto perché qualsiasi musica porterebbe una connotazione troppo marcata, e quindi il silenzio è meglio della musica: allo stesso tempo la penombra è meglio dei colori, visto che ogni religione ha i suoi: alcune detestano le immagini di Dio, quindi niente immagini in generale... proseguendo per questa strada si arriva più o meno a quella stanza spoglia e a quelle parole vuote in cui consiste la religiosità new age: L'ombra della luce ci si avvicina. Dopodiché, ripeto, ci vuole ispirazione per scrivere qualcosa del genere senza apparire ridicoli o invasati. "L'ho scritta in stato di meditazione e nell'arco di sei mesi. Ogni giorno cresceva, aumentava. È un caso raro, simile a Oceano di silenzio" (Tecnica mista su tappeto, 1992).

"Credo che la canzone L'ombra della luce sia la vetta della mia produzione. E non media, come l'ascolti è. Faccio un grande sforzo a raccontare cose delle quali di solito non parlo, ma è la mia vita. Non voglio dire di essere sereno, ma ho dedicato il mio tempo alla contemplazione, non potrei scrivere e comporre in uno stato di nevrosi". Quest'ultima è una citazione che si trova nel volume della Kaos edizioni Battiato. Niente è come sembra (a cura di Gianni Castiglioni, 2017), e siccome la citazione è datata "1992" molti credono che sia in Tecnica mista, ma io non l'ho trovata. 

Paolo Jachia in Voglio vederti danzare nota almeno nei versi "Ricordami, come sono infelice / lontano dalle tue leggi" qualche assonanza col Salmo 119

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venerdì 29 luglio 2022

82. È colpa dei pensieri associativi

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con il brano apparentemente più debole della Voce del padrone contro una delle rivelazioni del torneo, un outsider da Gommalacca].

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1981: Segnali di vita (Battiato/Pio, #31)

L’idea del pensiero automatico, o appunto associativo, pregna tutta la psicologia gurdjieffiana, collegandosi direttamente al concetto di presenza: la possibilità di essere qui e ora, liberi dalla prigionia del pensiero associativo e automatico. Mentre la psicanalisi cercava uno spiraglio verso l'inconscio attraverso i pensieri associativi, Gurdjieff suggerisce di coprirsi, di concentrarsi. Non poteva che godere di un grande successo postumo oggi che dichiariamo tutti un deficit di attenzione, ma può darsi che la sua non fosse una proposta così dissennata. Insomma Freud voleva scoperchiare l'inconscio così come gli europei della sua generazione pensavano di poter colonizzare il mondo preindustriale. Gurdjieff alla fine era più guardingo, la sua diffidenza armena è forse più facile da capire oggi che sentiamo di vivere tutti sul confine, in una linea d'ombra che può spostarsi da un momento all'altro. Mi sono sempre chiesto perché è così difficile da cantare Segnali di vita: perché sale molto in alto, ok, ma non era questo il mio problema, semplicemente una volta su due non azzeccavo la nota giusta e non mi succede praticamente mai con brani pop (Sting escluso). Oggi che finalmente riesco a concentrarmi abbastanza da dare un'occhiata agli accordi, ebbene, può darsi che il problema sia quell'alternanza tutt'altro che banale tra Re maggiore e Re minore. Non capita molto spesso di trovare nella progressione di una strofa lo stesso accordo in minore e maggiore (e non accostati, notate). Per chi canta è un tranello: tra l'accordo maggiore e quello minore c'è appena un semitono di differenza, ma come sa chiunque abbia messo la mano su una tastiera in vita sua, è proprio la differenza più piccola (un semitono) a garantirti le stecche più atroci. Mentre canti devi stare attento a mettere un diesis, poi un bequadro, poi un diesis, poi un altro bequadro, eh sì non è una cosa che succeda molto spesso in ambito pop.  

1998: La preda (Battiato/Sgalambro, #162)

"Cerca di stare immobile, non parlare" ecco non è proprio la prima cosa che direi a una partner per invitarla alla fornicazione, ma che ne so alla fine io di queste cose. La sensazione è proprio che Sgalambro copuli in un modo diverso, di solito uno pensa di arrivare all'estasi accelerando sempre più (maledetta educazione pornografica) e invece lui si immobilizza come ho visto fare una volta a due piovre in un documentario, piano... e poi c'è un lento rilascio. Bravo, ma non credo che ci proverò.

Che ci fa La preda ancora in giro? Beh, per appena due voti ha mandato a casa Segunda-Feira, in una batteria in cui nessuna delle due era testa di serie (quest'ultima era Del suo veloce volo, decisamente sopravvalutata dagli ascoltatori su Spotify, o magari c'è un sacco di estimatori di Antony/Anhoni curiosi di sentirla cantare in italiano). Per la prima volta mi trovo costretto a ripubblicare lo stesso video perché non riesco a trovare esibizioni dal vivo, evidentemente non la faceva in concerto, forse per la scabrosità del testo (per carità siamo tutti adulti ma appunto: siamo un po' troppo adulti, dopo i 50 cantare di sesso diventa imbarazzante). Con Shock in My Town l'ars amandi sgalambriana costituisce tutto quello che resta del contingente di Gommalacca, al quale possiamo aggiungere Stage Door che è dello stesso periodo ma per qualche pazzo motivo non ha voluto mettere in scaletta. Così alla fine la sfida con L'imboscata è ancora in parità: tre brani contro tre brani. Sono gli ultimi due dischi con un certo peso: Ferro Battuto è già completamente scomparso, di Dieci stratagemmi ne resta in lizza una sola. Mi rifugio in questi fattoidi perché non ho molto da dire sulla Preda, parlare di sesso si sa non è il mio forte (preferisco i fatti ahr ahr), e comunque più del sesso questo brano mi fa venire in mente altri dello stesso disco più meritevoli che non ce l'hanno fatta, ma i tornei sono così. Al primo turno ci sono ancora molte magagne, poi progressivamente quasi tutto si sistema, chi doveva prevalere prevale. È un sistema infallibile per trovare il n.1, ma già molto discutibile anche solo per identificare il n. 2. Comunque è solo un gioco. Non è assolutamente meglio del sesso, è solo più socializzabile on line.

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81. A quei tempi in Europa c'era un'altra guerra

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con un brano che senza volere parla del padre e un brano che senza spiegarlo parla della madre].

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1974: Aria di rivoluzione (#63)

La canzone che parla di rivoluzione – e ne parla in modo abbastanza ambiguo – comincia con un'evocazione indebita della figura del padre: l'"autista che guida il camion". Ogni volta che ne ha parlato (poco), Battiato ha sempre qualificato suo padre in quanto camionista, specificando di solito che trasportava botti di vino (Battiato non beveva vino), e che è emigrato in America, quando Battiato aveva "sei o sette anni", quindi nei primi anni Cinquanta. Dunque non può essere il personaggio di Aria di rivoluzione. E allo stesso tempo, perché evocare proprio un camionista. E perché proprio in Abissinia. Ipotizziamo che l'Africa, nei testi di Battiato, sia sempre una Sicilia potenziata, ancora più arcaica. Battiato sta immaginando suo padre negli anni, nei mesi precedenti alla sua nascita. È una fantasia che non va da nessuna parte ("si riunivano": chi? altri camionisti? Oppositori al regime) e così si interrompe bruscamente. Passa il tempo, sembra non cambi niente, c'è una generazione che vuole "nuovi valori". Qualcuno sarà fucilato. Anche qui, non si dice chi. Forse non si sa chi. Ma di tanti personaggi che poteva evocare, all'inizio di questa canzone Battiato ha evocato un camionista.

In Tecnica mista su tappeto c'è uno scambio che la prima volta che lo leggi è esilarante. La seconda dà un brivido, specie se nel frattempo abbiamo riascoltato Aria di rivoluzione

"Che rapporto hai con tuo padre?"

"Non ottimo. Dopo la sua morte è molto cambiato".


1996: La cura (Battiato/Sgalambro, #2)


Perché odio tanto La cura? Perché avevo deciso che Battiato finisce nel momento in cui adotta Sgalambro, e questo super-successo mi smentisce platealmente? Perché mi vanto di aver capito Battiato negli anni '80 e di avere riscoperto quello anni '70, e questi fan che sbavano per un pezzo dei secondi anni '90 mi piace liquidarli come poser? Perché ok, non è una brutta canzone, ma non è neanche questo capolavoro che tutti pensano? No, non credo.
Pensavo di odiare La cura perché pensavo che Battiato mi prendesse in giro. In un modo diverso dal solito, e per la prima volta (per me) fastidioso. Pensavo di odiare La cura perché non è una cura, come si odia l'omeopatia. Nessuno può superare le correnti gravitazionali, e men che meno per non farmi invecchiare. Nessuno può guarirmi da ogni malattia, Battiato cosa stai dicendo. Nessuno può farmi dono delle leggi del mondo e soprattutto, soprattutto, io non sono un essere speciale: chiunque lo dica vuole solo fregarmi, vendermi un abbonamento o scucirmi una sottoscrizione. 
Oppure è la mamma.
Ecco perché detesto La cura: perché è la canzone della mamma. Quella di Battiato era appena scomparsa. Battiato non l'ha scritta pensando a lei: l'ha scritta pensando in lei, figurandosi tutto quello che una madre vorrebbe fare per un figlio. Forse la canzone più materna di tutte l'ha scritta un uomo, scapolo per di più, che mai ha voluto avere figli ma qui miracolosamente mostra di aver capito cosa vorrebbe essere un genitore per suo figlio. Io detesto La cura perché è come sentire mia madre al telefono che ha paura che non mangio abbastanza: e negli  ultimi anni la detesto ancora di più perché vorrei anch'io proteggere qualcuno dalle paure e dagli sbalzi d'umore – ci fosse un tasto che si potesse premere per superare le famose correnti gravitazionali, un milione che si potesse pagare, un braccio, un occhio, un'anima, e invece le onde gravitazionali non s'increspano nemmeno, e m'incazzo perché ha perso un'altra borraccia di alluminio. Detesto La cura perché non riesco a essere felice come vorrebbe mia madre e non riesco a far crescere felice la mia prole. Nelle canzoni è sempre tutto così facile, gli scapoli le scrivono e poi dormono contenti, senza sensi di colpa. 

giovedì 28 luglio 2022

80. I treni di una volta trasportavano le spie

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con una delle ultime cover rimaste in gara].

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1980: Passaggi a livello (Battiato/Pio, #85)

Correvano veloci lungo le gallerie. Tra L'era del cinghiale bianco e L'arca di Noè, i brani conclusivi hanno in comune una tensione all'erotismo e al viaggio. Si comincia con Stranizza d'amuri (l'unica vera canzone d'amore del Cinghiale bianco, ma forse anche di tutti e quattro i dischi), si prosegue con Passaggi a livello col brio avventuroso di quella prima strofa, gli sposini che fanno l'amore con l'ausilio del motore; poi verrà il viaggio nella sessualità di Sentimento nuevo e quello nella coreografia di Voglio vederti danzare. I finali dei dischi di Battiato vogliono veramente essere finali, ascoltandoli non viene voglia di girare il disco e riascoltarlo da capo, ma piuttosto di spegnere tutto, aprire la porta e andarsene, conoscere gente, ballarci, e poi da cosa nasce cosa. La vita ci prende con strana frenesia. È un'abitudine che si interrompe bruscamente con Orizzonti perduti, che invece finisce con la promessa di un ritorno a casa.  


1999: Te lo leggo negli occhi (Bardotti/Endrigo, #21)

A questo punto del torneo Te lo leggo negli occhi è credo l'unica canzone superstite a non avere Battiato tra gli autori, e il dislivello di ranking con la contendente mi fa pensare che possa essere la sola ad avere una chance di arrivare al terzo turno. Da cui la domanda: cosa rende Te lo leggo negli occhi una canzone così piacevole per gli appassionati di Battiato, una canzone quasi battiatesca anche se non assomiglia apparentemente molto a quanto Battiato ha composto almeno dal 1970 in poi? Qui credo che siamo al nucleo di tutto il concetto dei Fleurs: soprattutto nella prima fase (che è la più interessante), Battiato si rifugia nelle cover non per mascherarsi, ma per potersi concedere delle possibilità, sia musicali che liriche, che a un cantautore del 1999 non sarebbero più concesse. Come l'innamorato postmoderno delle Postille al Nome della Rosa (e qui mi scuso perché davvero, sembra che io abbia letto solo due libri in tutta la mia vita ed entrambi di Eco, giuro che non è vero ma è vero che alla fine cito sempre quelli) (e non li cito neanche tutti, ma sempre gli stessi passaggi) come l'innamorato, dicevo, che per confessare il suo amore si ritrovi a pronunciare la frase "Come direbbe Liala, ti amo disperatamente": il citazionismo è necessario non per occultare, ma per veicolare un sentimento sincero. Battiato non può più scrivere canzoni d'amore spudorate come si scrivevano negli anni Sessanta (è anche discutibile che ci sia mai riuscito, ci vuole talento, Liala non si nasce), e allo stesso tempo vuole farlo e anche noi scopriamo di voler ascoltare questo materiale da lui. Una cosa che forse non ha nessuna importanza: la progressione di Te lo leggo negli occhi, nella strofa, è quasi sovrapponibile a quella di Sentimento nuevo. Può essere una coincidenza, ma nei miei anni di chitarrismo casuale mi ero un po' abituato a riconoscere una certa sequenza (I-V-IV-I, oppure I-V-ii) come "quella di Battiato". È una progressione con un sapore schiettamente continentale, in cui è abbastanza facile riconoscere una matrice barocca. Sono accordi che Battiato ha amato sin da bambino e che ritrova istintivamente in qualsiasi musica incontri. 

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79. Cosa avrei visto del mondo

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, con una sfida molto difficile: ma la vera sfida di ogni canzone è il Silenzio].

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1979: L'era del cinghiale bianco (Battiato/Pio, #12)

"Era il simbolo dell'autorità spirituale presso i Celti. Infatti nella canzone canto: "Spero che ritorni presto l'era del cinghiale bianco", per sottolineare il fatto che, fin da quando è caduto il mondo, vi è sempre stato il conflitto tra autorità spirituale e autorità temporale, per il predominio di una sull'altra. L'autorità temporale non ha mai accettato l'autorità spirituale e ciò ha provocato sempre questa caduta" (Tecnica mista su Tappeto, 1992, insomma la prossima volta che ascoltate L'era del cinghiale bianco, ricordate che il ritornello auspica il ripristino di una teocrazia. Per fortuna che la strofa parla d'altro).

Motivi per cui L'era del cinghiale, anche se è il primo tentativo di hit del Battiato anni '80, può essere ancora considerato un brano anni '70, una hit prog fuori tempo massimo.

– Banalmente, è del 1979.

– È l'unico vero brano di Battiato in cui assistiamo a qualcosa di simile, attenzione, solo di simile a un virtuosismo: un fraseggio di violino che magari per Giusto Pio era un normale sgranchirsi le dita, ma che è esibito come il riff di un pezzo prog.

– Misticismi celtici. E tra parentesi, è un peccato che Battiato non si sia spinto un po' più in là con la cultura celtica, perché c'è un universo musicale là in fondo.

– Violino in evidenza. Ne abbiamo già parlato: sono gli anni di Branduardi, del tour di De André con la PFM, ogni radio appena l'accendi per prima cosa ti fa sentire Samarcanda, poi magari il traffico e il meteo, ma prima ridere ridere ridere ancora ora la guerra paura non fa.  


1988: L'oceano di silenzio (#53)

Che la musica di FB sia propedeutica al silenzio è un paradosso che l'autore ha ribadito più volte. L'oceano di silenzio è forse il momento in cui Battiato affronta il paradosso più direttamente: deve descrivere il silenzio con la musica. Ci riesce? Suppongo di sì. Confesso di avere trovato in passato abbastanza irritante il ritornello col soprano che canta tedesco, una lingua che in Battiato spesso segnala l'insorgere di pretese intellettuali. Però alla fine suona bene, e non è così strano che sulla strada verso il Silenzio totale FB punti verso il Nord, l'Europa. Viene in mente l'episodio, descritto in Tecnica mista su tappeto, in cui Battiato racconta la sua partecipazione a un festival musicale in Turchia. Dopo ore di musica ritmicamente ossessiva, Battiato sentiva "la necessità di depurare l'ambiente" e quindi si fissa su un accordo e non si smuove. Passa qualche minuto, Battiato rialza la testa: dei 2500 spettatori non è rimasto nessuno. "Loro avevano interpretato quell'accordo come saluto della buonanotte e se ne erano andati. Credo che il loro codice sia il ritmo. Quel suono tenuto a lungo non fa parte del loro linguaggio: a loro non dice niente".  

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mercoledì 27 luglio 2022

78. Sta frevi mi trasi 'nda lI'ossa

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, featuring Roberto "Juri" Camisasca].

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1979: Stranizza d'amuri (#28)


Franco Battiato, come tutti i veri boomer, è stato concepito durante la guerra. Se tutti noi passiamo la vita a ignorare accuratamente l'evidenza di essere il frutto di un atto sessuale commesso da due persone che abbiamo conosciuto solo in seguito, e che non amiamo associare a immagini sessuali, nei boomer oltre a un padre e una madre c'è da negare una guerra: non solo hanno fatto sesso, ma sotto le bombe, e magari avevano fretta, paura ecc. C'è chi a un certo punto accetta questa cosa e si mette a cantare solo di questo (Roger Waters il primo esempio). C'è chi lo fa senza accorgersene, ma insomma Stranizza d'amuri è una storia d'amore in tempi di guerra che Battiato ha scritto non si sa bene come e quando. L'ipotesi che sia un'evoluzione di Agnus, uno dei brani di Juke-Box, s'infrange quando nel 2002 Pino Massara riesce a pubblicare una strana raccolta in CD, La convenzione, magari approfittando del fatto che Battiato durante il tour di Gommalacca aveva rispolverato il suo vecchio singolo del 1972, La convenzione appunto. Il CD mette assieme senza troppi scrupoli materiale di Battiato, Camisasca e Osage Tribe, e sul finale un'inedita take di Stranizza d'amuri datata... 1975! Quindi sarebbe Agnus ad aver attinto da Stranizza d'amuri, e non viceversa. Secondo Zuffanti (2020) ciò è impossibile – e non posso che concordare, dal momento che al violino c'è già Giusto Pio: Battiato nel 1975 non lo conosceva. Ma anche postdatando la versione di almeno due anni (quindi 1977) qualcosa non torna. Bisogna ipotizzare che ancora prima del progetto Astra (quello di Adieu), e ben prima di incontrare Radius, Battiato e Pio avessero già messo un passo molto deciso in una direzione new wave (in un momento in cui collaboravano ancora con Massara). Ma bisognerebbe davvero riscrivere tutta la storia e non è nemmeno escluso che la versione contenuta nel CD non sia stata rimaneggiata in seguito da Massara per creare un falso d'autore (lo stesso CD contiene una versione hard rock della Convenzione completamente implausibile, benché divertente). 

C'è poi la questione del testo: Stranizza, qualcuno lo avrà notato, è in dialetto siciliano. In quanto canzone d'amore (e di guerra) non è molto compatibile con tutto il repertorio battiatesco da Fetus in poi – Cinghiale compreso. Quand'è che Battiato componeva canzoni in siciliano ambientate in un passato indistinto? Negli anni '60, quando si esibiva con Gregorio Alicata nel duo Gli ambulanti. Il repertorio consisteva in canzoni in siciliano scritte da FB e spacciate per tradizionali. Battiato non lo ha mai detto, ma sia Stranizza che Veni l'autunno potrebbero venire da lì (se non persino qualcosa del Cammino interminabile). Si tratterebbe insomma di una canzone dalla lunghissima incubazione. Se però si sente la versione del Cinghiale – magari dopo aver sentito quella della Convenzione – si capisce quanto sia fondamentale incubare, a volte.     


1988: Nomadi (Camisasca, #37)


A quante persone Battiato ha cambiato davvero la vita? Impossibile saperlo, tranne nel caso di Juri Camisasca, a cui Battiato ha cambiato persino il nome (prima si chiamava Roberto). Dà la vertigine pensare che si siano incontrati a servizio militare – sarebbe bastato un niente, un numero, una linea, e Camisasca non sarebbe mai stato Juri. Per un significativo paradosso, Nomadi, la canzone che segna il suo ritorno alla musica, è stata composta durante i dieci anni in cui Camisasca è stato confinato in un monastero: il nomadismo di cui si parla è quindi solo spirituale, intellettuale? Sì e no, pochi mesi dopo il successo di Nomadi (in Italia con Alice, in Spagna con Battiato) Camisasca ha abbandonato la clausura. Nomadi è uno dei casi più eclatanti di parodia battiatesca, tanto più interessante quanto completamente involontaria: in Fisiognomica era il brano che suonava più 'Battiato' di tutti, proprio perché non l'aveva scritto lui ma un volonterosissimo discepolo che non ha bisogno di alcuno sforzo per imitarne gli stilemi: gli vengono naturali. Quel che distingue un'ottima copia da un originale è proprio la necessità del copista di mantenersi aderente al modello, ad esempio Camisasca costruisce tutta la canzone su una progressione armonica che Battiato aveva effettivamente usato con risultati mirabili negli Uccelli o nella coda di Cuccurucucù, ma sempre alternandola con altre: Camisasca invece la adopera dall'inizio alla fine della composizione, il che forse suona un po' stucchevole all'ascoltatore di Battiato (perché appunto, è un Battiato alla massima potenza), ma intercetta la passione smodata degli ascoltatori di metà anni '80 per una progressione (I-V-vi-IV) che stava diventando ubiqua e non ci ha più abbandonato. 

77. Dovrei cambiare l'oggetto dei miei desideri

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con due canzoni scritte completamente da lui].

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1985: Via Lattea (#60)


"Via Lattea è piena di simboli esoterici" (Tecnica mista su tappeto, 1992). Una cosa che mi sarebbe piaciuto che qualcuno chiedesse a Battiato con più insistenza: chi è il capitano del centro impressioni colto da esaurimento che venne presto mandato in esilio? Chi è così indegno di prepararsi al lungo viaggio in cui ci si perde? Mondi lontanissimi comincia in modo non troppo dissimile dall'Arca di Noè: un ritmo lento, ipnotico, su cui si riversano improvvisi lampi sinfonici: e un risveglio improvviso. Là i cittadini attoniti erano in pigiama, qua ci si alza che non è ancora l'alba. Stavolta l'orchestra non è campionata, Battiato ormai ha più in mente la musica classica che il pop. L'idea di un concept album sull'esplorazione spaziale probabilmente è naufragata dopo No Time No Space e si fatica a rimpiangerla: tutto un disco di riferimenti esoterici contrabbandati per space opera forse non lo avremmo digerito, Battiato per primo. Rimane un certo incanto temperato da un senso d'incompletezza, una storia interrotta sulla rampa di lancio. Del resto, se un giorno avremo esploratori interstellari, li vedremo partire così, magari riappariranno dall'altra parte della galassia ma sarà tra centinaia di anni e noi non ci saremo più.

1988: E ti vengo a cercare (#5)


Come ormai tutti sanno, E ti vengo a cercare è la canzone che passerà alla storia non tanto per essere stata eseguita davanti a Giovanni Paolo II, non tanto per essere stata ripresa da Lindo Ferretti (capirai che onore, nella stessa teca di Voulez-vous un rendez-vous tomorrow...) ma per aver dato il titolo a una monografia di Scanzi su Battiato. Una cosa che forse interessa più gli appassionati del primo che quelli del secondo, ma insomma anche questi ultimi potrebbero essere curiosi di sapere cosa dice Scanzi di questa canzone così importante da essere degna di intitolare un volume della sua prestigiosa bibliografia, ebbene:


I lettori di Barthes staranno già pensando Racine est Racine... agli altri spieghiamo: l'ineffabile, l'indicibile, è il trucco dei commentatori pigri. Questo salvo poche eccezioni – la prima che mi viene in mente è la fine del Paradiso di Dante, dove quest'ultimo ammette di non avere parole per descrivere quel che ha visto, ma siccome (1) quel che ha visto è Dio, non una canzone di quattro minuti, Dio; e soprattutto (2) prima di arrivare a Dio, Dante è comunque riuscito a parlare di cielo e terra per tre cantiche, possiamo accettare che a un certo punto si fermi e dica no, questo io veramente non riesco a dirvelo. Ma "oltre, troppo oltre" per una canzone, no. "Avanti, troppo avanti", manco fosse dodecafonia, ma sapete qual è il problema? Che Scanzi, prima di essere Scanzi, era un giornalista musicale. Cioè uno che di musica, in teoria, dovrebbe saper parlare, senza rifugiarsi nel "sublime" o nell'"oltre, troppo oltre". Ma appunto, in teoria. Io invece che giornalista musicale non ci tengo e non ci tesi mai, annoto che col tempo E ti vengo a cercare è diventata una canzone che parla di sé stessa: intercettando una grande voglia di trovare maestri di vita che poi è una costante da mezzo secolo, Battiato alla fine ha scritto la canzone che viene in mente a tutti i suoi fan quando hanno voglia di risentirlo, rileggerlo, rivederlo: di andarlo a cercare, appunto. Quel che bisogna concedergli è che non ha mai approfittato del suo status di Maestro, non  ha sedotto e abbandonato nessuno che si sappia, e non si è mai rifugiato in tautologie o proteste di ineffabilità. Le sei o sette cose che pensava di avere imparato sulla vita e l'universo, cercava di spiegarle senza chiedere più soldi di qualsiasi altro cantante di canzoni qualsiasi. "Chissà se Battiato lo ha mai capito davvero e fino in fondo", conclude Scanzi, "quanto in tanti avessero bisogno della sua presenza". Quanto in tanti? Maccheccazzo. Cioè gli sta dando del deficiente, ché non lo capiva fino in fondo? Uno che non stava mai fermo e ha fatto concerti fino a frantumarsi il femore, dopodiché ha continuato a incidere finché gli reggeva la voce? Ma vabbe'.

martedì 26 luglio 2022

76. E l'animale che mi porto dentro vuole te

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con il primo derby tra due canzoni dello stesso disco, Mondi lontanissimi. A tal proposito devo confessarvi di avere fatto qualche lieve ritocco al ranking – giusto qualche decina di punti qua e là – per scongiurare che si verificassero dei derby nel primo turno: Battiato ha pubblicato molti LP nella sua carriera e mi sembrava giusto che in ogni batteria ne fossero rappresentati almeno quattro. Questo a quanto pare sarà l'unico derby del secondo turno].

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1985: Risveglio di primavera (Battiato/Pio, #45)

"Se non ricordo male, Risveglio di primavera aveva un testo abbastanza interessante: storico e paesano. Si parla alle [?] danzatrici di flamenco. Torniamo sempre al movimento pelvico, alla danza con scuotimenti del bacino".
"Voglio raccontarti un aneddoto che può chiarire anche la mia idea della donna. In Occidente viviamo una vita in cui non c'è molta attrazione per un certo tipo di donna archetipica e sensuale. Fino a un certo punto almeno la pensavo così. Poi ebbi una folgorazione. Mi trovavo in Egitto con amici. Una sera siamo andati a vedere lo spettacolo delle cosiddette "zingare del deserto". Tutto quello che avevo criticato nei fans dei gruppi inglesi e americani, dalle braccia protese verso il palcoscenico, mi capitò di viverlo in prima persona. Sarà stato il modo che avevano di muovere le anche, o quella gestualità trascinante... Da allora sono diventato un ammiratore di quel genere di donna. L'ho sperimentato nella mia vita tante altre volte. Mi successe con una donna armena. Mi trovavo, se ben ricordo, in un ristorante georgiano. C'era un'orchestrina. Una donna che mangiava si alzò e cominciò a danzare. Mi fece morire! Mi è successo anche con donne giapponesi. Il mio ideale di donna è medio-orientale, ma anche dell'estremo oriente. Trovo la donna occidentale un po' troppo legnosa". (Tecnica mista su tappeto, 1992, chiedo scusa a tutte le donne occidentali). 

(Risveglio di primavera è uno dei quattro brani di Mondi lontanissimi a mantenere la firma di Giusto Pio. In un qualche modo si ha la sensazione che sia un brano più datato di altri, più legato a una fase che sta finendo). 


1985: L'animale (#20)

L'animale – brano scritto forse pensando a Giuni Russo – è una delle prime (e delle poche) canzoni italiane in cui un solitario fa il suo coming out: avrei voglia di dirti che è meglio se sto solo. Anche stavolta, Ferretti è arrivato secondo (sì, anche nel Battisti mogoliano c'è più di un sospetto, su questo uomo trasognato, insidiato da femmine di dubbia moralità che vogliono trascinarlo nelle vigne a copulare, ma c'è sempre il dubbio che Battisti ci stia ridendo sopra). È buffa questa cosa, no? Che abbiamo dovuto aspettare un cantautore diciamo a-cristiano, né cristiano né anticlericale, per ascoltare inni alla castità – purché temperati dalla consapevolezza che si tratta di una rinuncia molto difficile. L'animale è una bella canzone perché è orchestrata come un Lied ma si canta in coro ai concerti; perché prima di trascinarsi in una disquisizione un po' arcana sui quattro elementi, parla di cose che capiamo tutti al volo con parole che usiamo tutti i giorni: lo sappiamo bene che l'animale è quell'entità interiore che vuole tutto di noi e se lo prende, ma è geniale sottolineare che si prende anche i caffè, perché il caffè è quella piccola cosa quotidiana che tante volte vorremmo gustarci noi e invece lo mandiamo giù senza neanche accorgercene, maledetto, se l'è preso lui. 

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75. E avrei bisogno di tonnellate di idrogeno

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con due brani molto gurdjieffiani].

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1980: Prospettiva Nevski (Battiato/Pio, #13)

"Spesso nelle canzoni uso dei trucchetti "di sostituzione". Mi può succedere di raccontare una cosa in prima persona che in realtà non mi appartiene ed è invece ispirata a un racconto che mi hanno fatto. È un pretesto, un prestito, ma è molto più interessante che non averlo fatto in prima persona. I maestri sono le tante persone che, a un certo punto, ho conosciuto nel corso della vita. Sono presone che, a una certa età, hanno trovato la forza di ricominciare. Una donna che a settantacinque anni si diploma in clavicembalo è un maestro.
È difficile trovare "l'alba dentro l'imbrunire", però ci si può riuscire. L'alba è la gioventù, la capacità di cambiare, di evolvere, e l'imbrunire è la vecchiaia" (Tecnica mista su tappeto, 1992. Quindi, al netto di tutti i mascheramenti, Prospettiva Nevski avrebbe un messaggio non troppo diverso dalla Stagione dell'amore: ancora un altro entusiasmo deve tornare a farci pulsare il cuore. Non solo non nasciamo e non moriamo mai, ma in un qualche modo dovremmo riuscire a non invecchiare).

[Sull'impresario di Nižinskij]: "È una vicenda accaduta realmente, ma pare un racconto. Mi aveva appassionato l'idea di un impresario che delira d'amore per una stella che egli stesso ha creato. E quella stella declina quando s'incrina il loro amore. La fine dell'amore è la pazzia per lo stesso Nižinskij. Un amore omosessuale cieco. Lo stesso Djagilev non ha retto all'idea che Nižinskij si fosse sposato" 

1982: Clamori (Battiato/Pio/Tramonti, #52)

Clamori comincia con una specie di clarino computerizzato che suona una scala: Zuffanti (2020) suggerisce che sia un riferimento alla Legge dell'Ottava di Gurdjeff, e siccome il testo di Clamori è attribuito a "Tommaso Tramonti", ovvero Henri Thomasson, discepolo gurdjieffano, l'ipotesi è molto buona. Spero soltanto che la Legge dell'Ottava di Gurdjieff non sia proprio quella che ho capito io leggiucchiando qua e là su internet, perché la mia becera impressione è che il maestro si sia fatto un viaggio enorme su questa cosa che al Mi e al Si manchino i tasti neri, una lacuna che risuonerebbe a livello cosmico e causerebbe dei ritardi di vibrazione che influenzerebbero persino il nostro comportamento, ma possibile che nessuno abbia mai alzato la mano per dire scusi, maestro, ma è una questione puramente arbitraria, se ci fossimo messi d'accordo diversamente potevamo mettere i tasti neri in altre posizioni, alla fine i semitoni sono pur sempre 12, un tizio ha anche inventato un pianoforte senza tasti neri, pare che a modo suo sia anche più facile da suonare, il problema è che la lobby dei costruttori di organi e clavicembali coi tasti neri si è imposta nel Seicento e non si smuove, domina i conservatori di tutto il mondo e così... ehi, maestro? maestro? Ok, probabilmente sono troppo rompiballe per capire le sfumature iniziatiche. In compenso mi sono reso conto che la progressione armonica di Clamori è lontanamente imparentata con Cuccurucucù, mentre l'assolo finale (di synth e poi di sax, ma il sax ha un timbro felpato che ricorda il clarino computerizzato iniziale) è un passo di danza sulle note dell'Ottava che aggiunge un vago sapore di estremo oriente. 

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lunedì 25 luglio 2022

74. Su divani abbandonati a telecomandi in mano

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi intorno al quesito fondamentale: vivere o togliersi di mezzo? Battiato dopo qualche esitazione ha scelto di vivere, purché fuori Milano].

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1983: Un'altra vita (Battiato/Pio, #29)

Una cosa che nessuno mi sembra notare di Un'altra vita è quella nota pulsante a inizio strofa – in Inneres Auge decisamente un Re# – assomiglia davvero molto al Do altrettanto pulsante di voce sintetizzata con cui comincia Oh Superman di Laurie Anderson, il brano di musica sperimentale che per qualche ragione tuttora non trovata nel 1982 aveva ipnotizzato gli acquirenti britannici di dischi al punto che l'avevano mandata al primo posto in classifica. Non mi pare che Battiato ne parli mai; mi sembra improbabile che Battiato non la conoscesse e non sia stato anche lui in parte conquistato, se non ipnotizzato, da un brano che scende nell'uncanny valley tra la voce umana e la sintesi digitale. Non è soltanto Un'altra vita a portarne i segni: per più di dieci anni abbiamo avuto jingle e canzoni in cui tornava a un certo punto una nota pulsante e inquietante. In Un'altra vita sembra segnalare il momento in cui il disagio della civiltà viene alla superficie: nel giro di qualche battuta gli altri strumenti troveranno un modo per coprirlo, armonizzandoci intorno, perché vivere pure bisogna. Ma in sottofondo il disagio resta. 


1995: Breve invito a rinviare il suicidio (Battiato/Sgalambro, #164)

"Procurerò dunque di rispondervi, brevemente com'è decenza in queste cose. Capisco il vostro giovanile wertherismo. Ma rispondetemi: sino a che punto c'è causalità nel dolore? Ricordatevi, il dolore è una cosa passata. Il segno che resta nella coscienza mentre il corpo ha già dimenticato. Ascoltatemi, trattate i moti dell'animo come i moti dell'intestino. Un giorno bisognerà certo spararsi, ma per intanto viviamo" (se questo è veramente il brano di Anatol di Sgalambro da cui Battiato ha desunto il testo di Breve invito, bisogna concludere che S. qui più che co-autore è un ispiratore). Forse Breve invito è l'unica delle 64 canzoni sopravvissute di cui non riesco a ricordare la melodia. Le parole sì – questo è interessante, vale più o meno per tutte le canzoni dell'Ombrello e mi porta a pensare che l'Ombrello sia il disco in cui testi e musiche sembrano procedere in parallelo, senza scontrarsi ma anche senza amalgamarsi. In particolare il riff di tastiera è una follia che forse rimanda più al Battiato prog che al Battiato sperimentale; la si direbbe una sequenza di note casuali, non fosse che viene ripetuta fedelmente anche dall'orchestra sintetizzata. Breve invito è una delle canzoni col ranking più basso ad aver passato il turno (ma non la più bassa); le è capitata forse una batteria semplice, con due cover (Impressioni di settembre e L'addio, quest'ultima magari più meritevole).  

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73. L'ira funesta dei profughi afgani

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con due brani importanti con due code importanti. Fin qui tutti i brani della Voce del padrone e di Patriots hanno vinto contro tutti gli altri: stavolta no, uno solo può vincere, chi sarà? Seh vabbe' non è che accetterei scommesse].

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1980: Le aquile (Battiato/Pio/Jaeggy, #68)

"È una scrittrice e poetessa sublime. Il suo libro recente I beati anni del castigo ha avuto una accoglienza trionfale da parte della critica. Si è gridato al miracolo. Il suo stile assomiglia a quello che per un musicista è la musica pura. La sua letteratura è così illuminante, così ripulita da qualsiasi ridondanza. Ogni aggettivo è perfetto. Una bellezza di scrittura meditativa, pur non essendolo apparentemente". Battiato non ha parlato spesso di Fleur Jaeggy, ma quando lo ha fatto (Tecnica mista sul tappeto, 1992) ha espresso un entusiasmo da stamparci fascette editoriali per due o tre uscite. 

Una cosa particolare dei pezzi pop primi anni Ottanta è la coda. Non so esattamente come andò, ma a un certo punto tutti i compositori di canzonette decisero che ci stava bene la coda, così improvvisamente arrivarono queste lunghe code che sfumavano non prima di aver trasformato la canzone in qualcos'altro (che è poi la poesia particolare delle code: farti intravedere che la canzone potrebbe diventare qualcos'altro). Anche Battiato, tra le regole che aveva introiettato per "avere successo", c'era evidentemente questa cosa delle code soprattutto tra Patriots e L'arca di Noè, già in Orizzonti cominciano a sembrargli orpelli inutili. Una delle sue code migliori è quella delle Aquile, che poi a ben vedere è una riproposizione del ritornello, in cui Giusto Pio cambia completamente marcia al violino che aveva scandito velocissimo la strofa e Battiato intona i suoi canti "mantrici" (Zuffanti) uno dei rari momenti in cui riusciamo a riconoscere nel Battiato pop di quegli anni una traccia dei vocalismi bizzarri di Juke Box o di dischi ancora precedenti.


1981: Cuccurucucù (Battiato/Pio, #4)

"Penso sia una canzone dotata di una certa poesia" (Tecnica mista, 1992). Si parlava di code: nel caso di Cuccurucucù la coda diventa veramente un'altra canzone, segnalata dalla progressione I-V-vi-IV che ritorna qui per la seconda volta nella Voce del padrone dopo gli Uccelli: e come negli Uccelli, Battiato si guarda bene dall'usarla massicciamente, come stavano cominciando a fare un po' tutti (e come farà Camisasca in Nomadi), ma la alterna al secondo giro con una più struggente I-V-ii-ii. Quest'alternanza tra vi e ii, fa diesis minore e si minore, che si avverte già nell'introduzione vocale e prosegue nelle strofe, è credo quello che rende Cuccurucucù la canzone straziante che riesce a essere malgrado sia suonata a razzo e freddamente concepita per far sbracciare i trentenni in discoteca. Il fa diesis minore introduce la gravità, la tragedia del tempo che passa, l'ira funesta, Lady Madonna e Ruby Tuesday; il si minore la tempera con la dolcezza, le ore di ginnastica, le gesta erotiche di Squaw Pelle-di-Luna, il twist.  

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domenica 24 luglio 2022

72. Carico di lussuria si presentò l'autunno di Bengasi

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con una sfida insolita tra uno dei più antichi brani rimasti in lizza, contro un'autocover].

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1973: Areknames (#41)

Ogni tanto bisogna ricordare che mettere in gara le canzoni è cosa assurda, non solo perché le canzoni non sono biglie o automobiline (ma se mi trovassero a giocare con le mie biglie e le mie automobiline mi ricovererebbero), ma anche perché le canzoni col tempo cambiano, si evolvono, noi insistiamo ad ascoltarle nella versione originale ma nel frattempo loro sono diventate tutt'altro, ad esempio Areknames ai tempi del tour dell'Imboscata era diventata questa cosa che forse si chiama Canzone chimica e oltre all'immancabile Sgalambro che lancia lessemi a caso, ci mostra un Battiato chitarra solista che si diverte troppo, cioè è buffissimo, e pensare che non volevo andare ai concerti perché credevo di beccarmi un guru sul tappeto e intanto lui faceva queste cose, prendeva i brani più inquietanti del suo passato lacerato da crisi esistenziali e ci ballava sopra con la chitarra a tracolla, le canzoni sono questo, noi le vediamo sempre congelate nel momento in cui fioriscono ma loro nel frattempo sono diventate frutto, pianta, un sacco di altre cose. 


1988: Lettera al governatore della Libia (Battiato/Pio, #105)

Molto più di Mesopotamia Alexander Platz, Lettera si adattava al mood complessivo di Giubbe Rosse, un disco festoso e mediterraneo. Anche se la festosità di Lettera è quella di chi balla su una polveriera, qualcosa che dovremmo sentire sempre più congeniale. "Quell'idiota di Graziani" non avrebbe fatto una brutta fine tutto sommato: condannato nel 1949 a 19 anni di carcere, fu amnistiato nel 1950 e divenne presidente onorario del Movimento Sociale Italiano. Nel 2012 ad Affile hanno inaugurato un sacrario in suo onore. Nel 2017 il sindaco di Affile è stato condannato a otto mesi per apologia di fascismo, per via di questo sacrario. Nel 2019 la condanna è stata confermata in appello. Nel 2020 è stata cassata in cassazione. 

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sabato 23 luglio 2022

71. L'ultimo appello è da dimenticare

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, un prolisso torneo di canzoni con cui attoniti fingiamo di non capire niente, mentre radio Varsavia dice che tutto va bene e che l'ultimo amore è da dimenticare].

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1982: Radio Varsavia (Battiato/Pio, #9)

Chi considerava Battiato un post-moderno, maestro della citazione «al di fuori del contesto» e seminatore ironico di codici non ideologici, dovrà ricredersi: questo disco è un manifesto serissimo. E veniamo cosi a dire «tutto il male possibile»: proprio perché dai solchi, pezzo dopo pezzo, viene fuori il «Battiato-pensiero», è bene dire una volta per tutte di che pensiero si tratta. È un vero Bignami di stimabilissima cultura da Nuova Destra, quella che alletta Cacciari e molti altri. Gli ammiccamenti si sprecano: si ritorna a parlare di «chi scappa in Occidente», degli appelli di «Radio Varsavia»; si mette in prima fila «l'imperialismo degli invasori russi» (davanti a inglesi e americani si intende) (Esodo), si apprezza da veri snob la nuova cultura penitenziale cattolica (Scalo a Grado); si affonda nel narcisismo della propria diversità modellando le proprie fantasie sessuali sulle movenze dei danzatori dervisci: la distinzione del linguaggio sembra voler far dire all'ascoltatore: «Euh! Ma com'è colto il Battiato». Gianfranco Manfredi, Sull’arca di Battiato c’è la cultura della nuova destra, "Tutto Libri" (supplemento della Stampa), 11 dicembre 1982. Alla fine non è che Manfredi avesse proprio tutti i torti – certo, fa sorridere che tipo di cultura sembrasse "nuova destra" nel 1982: ma cominciando il nuovo disco con un'istantanea dal golpe di Jaruzelski, Battiato giocava veramente con un fuoco a cui i cantautori non osavano più avvicinarsi. L'idea che nel collage postmoderno potesse rientrare anche la cronaca più recente e più drammatica faceva fatica a passare – forse è più semplice oggi, da una ragionevole distanza. L'altissima posizione di Radio Varsavia nel ranking non credo dipenda da ascoltatori di (nuova) destra: il brano è anche nella colonna sonora di un film di Guadagnino, forse sarà quello. 


1999: Amore che vieni, amore che vai (De André, #56)

Fa un po' strano che tra De André e Battiato alla fine vi fossero soltanto cinque anni di distanza: la sensazione è che il secondo abbia cominciato a brillare soltanto quando il primo cominciava a offuscarsi. In ogni caso, fino a Fleurs una convergenza tra i due sembrava impensabile: tutto li separava. Amore che vieni e La canzone dell'amore perduto ci hanno mostrato un punto di contatto che alla fine avremmo potuto trovare da solo, unendo i puntini: entrambi partono da radici europee che includono il repertorio classico, che sia il De André degli anni '60 che il Battiato dei Lied saccheggiano senza quel senso di deferenza che sembra necessario ostentare quando si ascolta la musica del passato. Per De André e Battiato (e per il Bennato di Dotti medici e sapienti), la classica può benissimo servire a far canzoni d'amore. Il fatto che Amore che vieni non sia esattamente una canzone d'amore, anzi, una riflessione sulla natura effimera di questo sentimento, non fa che renderla ancor più congeniale a Battiato. 

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Fuori concorso (canzoni che non hanno partecipato alla gara per questo o quest'altro motivo).

1972: Giorno d'estate (Genco Puro & co.)

Come spiega Battiato in questa intervista telefonica che ho molto faticosamente rintracciato (non è vero, c'è il link su wikipedia), il disco di Genco Puro & co. è quel che succede quando un'etichetta ha bisogno di tot uscite per motivi burocratici, sicché Pino Massara dice a Franco Battiato: prendi la sala di registrazione e fammi un disco in due giorni. Benché le maggiori incombenze ricadano su Riccardo Pirolli, tecnico del suono che si improvvisa per l'occasione cantautore, secondo l'opinione comune i due brani più convincenti sono quelli cantati da FB: Nebbia e Giorno d'estate. Alla vigilia di Pollution, Genco Puro è un Battiato anti-Pollution: solare, sereno. Anche il fedele synth che in Pollution pulsa l'ora della fine del mondo, qui riscopre certi fraseggi barocchi dei tempi delle canzonette. 

venerdì 22 luglio 2022

70. Nelle vie calde la temperatura si alzerà

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, un futile torneo di canzoni con cui inganniamo il tempo mentre nelle vie calde la temperatura si alza, e Battiato ce l'aveva ben detto. E che siamo solo di passaggio].

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1982: L'esodo (Battiato/Pio/Tramonti, #89)

L'esodo probabilmente non vincerà la Gara; ma se invece succedesse, non sarebbe appropriato, nell'estate più calda di sempre e più fresca della prossima? Quando la incide, nel 1982, in un album che sembra voler deludere le aspettative, le correnti migratorie dal sud del mondo stanno ancora per lo più ignorando la penisola. Il muro di Berlino sembra ben saldo, la guerra fredda mantiene il pianeta a una temperatura ideologica costante, le distopie desertiche sono materiale per film di fantascienza a basso budget (anche Mad Max non è ancora mainstream). Battiato, vuoi per la frequentazione di Nordafrica e Levante, vuoi per un suo barometro interiore, ha già un'idea della Fine che molti intellettuali faticano ad accettare quarant'anni dopo, quarant'anni dopo. Nell'Esodo si incastrano mirabilmente tante idee con cui Battiato sembrava essersi trastullato in precedenza senza apparente costrutto: è l'ultima grande composizione per sintetizzatori a valvole, i violini e i cori sembrano già campionati. Io poi ci sento, malgrado tutto, qualcosa di triviale, di esibitamente commerciale: ci sento la disco, come se di questa fine del mondo Battiato volesse accreditarsi come DJ, se non come MC. Quel beffardo "mamma mia che festa" me lo immagino sul cartiglio di una totentanz medievale.   


1996: Di passaggio (Battiato/Sgalambro, #104). 

 

Ταὐτὸ τ΄ἔνι ζῶν καὶ τεθνηκὸς καὶ ἐγρηγορὸς καὶ καθεῦδον καὶ νέον. Non è fantastico questo greco, che malgrado milioni di italiani lo studino alla media superiore, basta copia-incollarne un po' per sembrare persone più colte? Essendo generosamente accreditato come coautore di praticamente tutti i brani originali di Battiato dal 1995 in poi, Sgalambro firma una sessantina di canzoni: un quarto di tutto il catalogo. Di queste, quante hanno passato il primo turno? Nove. Su 64 sono abbastanza poche – diciamo poco più della metà di quante statisticamente avrebbero dovuto essere. Ora, questa non è necessariamente più responsabilità dei testi di Sgalambro che di una certa flessione qualitativa della produzione musicale di Battiato, flessione occultata dalla quantità di materiale che continuava a pubblicare, comunque sempre più che dignitoso. Di passaggio è quasi il manifesto del Nuovo Battiato anni '90, quello che senza rinnegare la sua componente mistica (il testo sta tra Eraclito e l'Ecclesiaste) cerca di rinnovare l'immagine attraverso gli arrangiamenti; il paradosso è che questo rinnovamento, che ottenne un notevole riscontro commerciale, tutto sommato si poggia su ingredienti non così nuovi: qui soprattutto la chitarra di David Rhodes, un'aria più 'rock' che per un miraggio tutto italiano suonava in qualche modo più contemporanea dei tappeti digitali dell'Ombrello. È anche il brano in cui Battiato spreca un featuring del livello di Antonella Ruggiero per farle leggere un'epigramma di Callimaco sul suicidio di Cleombroto d'Ambracia. L'espediente di cantare gli stessi versi all'unisono non ottiene il sortilegio ermafrodita che avviene con Alice: la Ruggiero ha un timbro troppo diverso. L'epigramma è comunque interessante e ve lo riporto dalla mia edizione dei versi di Call... ok da wikipedia: "Dicendo «Addio sole!», Cleombroto d'Ambracia da un alto muro si gettò nell'Ade: non gli era capitato alcun male degno di morte; aveva solo letto uno scritto, quello di Platone sull'anima". Ecco quindi andateci piano a leggere Platone, e tutti gli scrittori di anima in generale: è un argomento pericoloso. 

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69. I desideri non invecchiano quasi mai

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, un futile torneo di canzoni con cui inganniamo il tempo mentre l'Italia s'inabissa come Atlantide – cosa resterà di noi? Del transito terrestre? Magari una o due belle canzoni].

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1983: La stagione dell'amore (#8)  


Riflettendoci, La stagione dell'amore potrebbe essere "la" canzone di Battiato. Che ne ha scritte di più popolari, ma non poi così tante di più, e soprattutto le altre canzoni sono famose per un arrangiamento, per un ritornello, per il lessico peculiare, per i toni d'invettiva, ecc. La stagione dell'amore non ha un lessico peculiare, non è famosa per l'arrangiamento ma nonostante l'arrangiamento – non posso dimostrarlo, ma credo che l'idea mentale che l'ascoltatore ha della Stagione dell'amore somiglia più alla versione live di Unprotected che a quella elettropop di Orizzonti perduti: anzi a una certa distanza la prima sembra una cover situazionista della seconda. La stagione dell'amore è famosa perché è una bella canzone con un bel testo, fine. Quando altre canzoni di Battiato avranno bisogno di essere contestualizzate per essere apprezzate, credo che La stagione dell'amore continuerà a piacere per un po' perché è fatta di cose semplici dosate con molta cura, cose che funzionano per secoli – l'accenno di 50's progression nella strofa, e poi quel passaggio dal Re al La- sul "Non rimpiangerle" che è in effetti una delle cose che rimpiango di più di Battiato, un salto di accordo che con me funziona sempre benissimo e ogni volta che funziona mi ricorda Battiato. Molto più curioso l'inserimento dell'inciso ("Ancora un altro entusiasmo...", che parte da un Si bemolle piuttosto inatteso ed è costruita attorno a una progressione I-II-III (Sib-Do-Re) che correggetemi se sbaglio, ma non è affatto tipica né nella tradizione melodica italiana, né nel rock e men che meno nella musica classica, ma ha un caratteristico sapore disco-music. Questa cosa a livello subliminale ci fa immaginare che il protagonista della canzone (una persona che non vuole accettare l'invecchiamento dei suoi desideri) si imbuchi in una discoteca per clientela un po' agée, se non proprio un nightclub, magari per scoprirvi che gli orizzonti perduti non ritornano mai. Il che contraddice meravigliosamente l'assunto di partenza: come ogni grande canzone, La stagione è un meccanismo ambiguo. 


1993: Atlantide (Battiato/Wieck, #72)


A volte mi domando se non sto influenzando il torneo, che in effetti fin qui vede una netta prevalenza del Battiato postmoderno che mi piace di più (1979-1985) a scapito di quello precedente e successivo. Può benissimo darsi (così come può darsi che io abbia semplicemente i gusti della maggior parte degli ascoltatori) ma ecco un'eccezione che conferma la regola: Atlantide in assoluto è uno dei suoi brani che capisco di meno, e che a ogni ascolto mi fa domandare: ma perché? Che bisogno c'era di incidere questa cosa? Su un accordo solo, Battiato perfeziona il suo stile salmodiante raccontando la storia di un continente perduto e terribile si insinua nell'ascoltatore razionalista il sospetto che per lui non sia una leggenda ma una cosa successa davvero. Lascia perplessi anche il video ufficiale, in cui Battiato anima i suoi ritratti con una tecnica digitale che anche nel 1993 non doveva apparire lo stato dell'arte, diciamo. 

giovedì 21 luglio 2022

68. Facciamo un po' di largo con un'altra guerra

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi una delle poche cover sopravvissute si batte contro una rappresentante di uno dei due dischi – a sorpresa – più votati].

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1980: Venezia-Istambul (Battiato/Pio, #48)


Che scherzi gioca all'uomo la Natura. Sono ancora relativamente sbalordito dall'exploit di Patriots, che non ero nemmeno sicuro fosse uno degli album più popolari di Battiato e invece com'è come non è ha portato il 100% delle sue sette canzoni al secondo turno. Questo, ricordiamoci, è un fattoide (la Gara è un sondaggio a cui partecipano meno di cento persone in tutta FB): invece è un fatto che Patriots subito vendette quarantamila copie, e sembrava già un successo; poi arrivò La voce del padrone e ne vendette un milione. Patriots insomma è la camera di incubazione del successo, il momento fondamentale nella carriera di un artista in cui capisce cosa la gente vuole, ma attraverso un processo di tentativi ed errori di cui dovrebbero restare tracce – benché non sia poi così facile trovare tutti questi errori in Patriots. È anche il disco per il quale si può parlare di successo postumo, ovvero alcuni brani di Patriots la gente cominciò a capirli in seguito (Nevski il caso più classico) e probabilmente anche l'apparente cinismo di Venezia-Istambul nel 1980 doveva lasciare perplessi molti ascoltatori. È il disco dei montaggi postmoderni, ma riascoltandolo è anche quello in cui Battiato scopre, fin dal titolo, quanto sia efficace giocare col merchandising delle ideologie, tutti gli slogan e le spillette lasciati sul terreno da battaglie culturali che dopo l'improvviso ritiro delle parti in conflitto cominciavano a diventare incomprensibili. I Sex Pistols sfoggiavano le svastiche, Battiato chiamava i suoi patrioti alle armi e proponeva, con espressione ieratica, di far largo con un'altra guerra al Sol dell'avvenire. Questo un anno prima che i DAF cantassero Der Mussolini, due anni prima che i CCCP cantassero CCCP, insomma abbastanza presto.  

1999: Ruby Tuesday (Jagger/Richards, #17)


Dal 1999 in poi, Franco Battiato ha voluto essere anche un interprete, incidendo tre dischi di Fleurs a cui vanno aggiunte altre cover lasciate qua e là nella sua discografia. Su 256 brani, una buona quarantina erano reinterpretazioni; molte con un ranking insospettabilmente alto (il ranking, ricordo, è basato unicamente sul numero di ascolti sulla piattaforma Spotify): solo tre brani hanno resistito alla falce del primo turno: Ruby Tuesday, Amore che vieni amore che vai e Te lo leggo negli occhi. Tutti brani del primo Fleurs (poi ci sarebbe Nomadi, che a suo modo è una cover anch'essa).  Insomma il Battiato interprete piace molto di più agli utenti spotiffari che agli elettori della Gara. Questo a pensarci ha un senso: le cover funzionano molto bene su Spotify, che te le mostra ogni volta che cerchi il brano originale, stimolando la tua curiosità, per cui è probabile che qualche migliaio di ascolti siano arrivati da gente che Battiato lo conosce poco o nulla (si aggiunga che Ruby Tuesday è l'unica cover di Battiato che ha avuto una risonanza internazionale, quando fu inserita nella colonna sonora di Children of Men). Laddove un torneo di canzoni di Battiato seleziona soprattutto gente appassionata di Battiato, in linea di massima più compositore che interprete. Questo non toglie che Battiato sia stato un interprete veramente originale – forse l'unico italiano di sesso maschile a concepire negli ultimi trent'anni l'interpretazione come reinvenzione (ok, Mario Biondi mi sembra un campionato diverso), che Fleurs stia tra i suoi quattro o cinque dischi meglio riusciti in assoluto, e che la sua Ruby Tuesday non strameriti il suo diciassettesimo posto. Forse anche qualcosa di più. 


Fuori concorso (canzoni che non hanno partecipato alla gara per questo o quest'altro motivo).

1969: Lacrime e pioggia (Pachelbel/Pallavicini/Papathanassiou)

A proposito del Battiato interprete: questa me la sono proprio lasciata sfuggire. A mia discolpa, faceva parte del 33 giri abortito nel 1969 che Battiato non volle mai pubblicare, anche in seguito: in qualche fortuito modo fu rilevata dall'Armando Curcio Editore che nel 1982, quando Franco Battiato vendeva come il pane, mandò fuori un disco che se non è un bootleg poco davvero ci manca. Lacrime e pioggia è una cover di Rain and Tears degli Aphrodite's Child, il brano con cui la progressione Pachelbel entra ufficialmente a far parte della musica pop europea – il debito è talmente evidente che l'oscuro compositore è incluso nei credits accanto a Vangelis Papathanassiou. Quando Battiato ci si cimenta, erano probabilmente già nei negozi di dischi un paio di cover italiane con lo stesso testo di Pallavicini. Rispetto ai Trolls e ai Quelli(*), Battiato ha l'impudenza di dare maggior risalto alla sua prestazione vocale, ovvero di sfidare Demis Roussos nel suo campo! E pur essendo un confronto impari, non ne esce malaccio. Sarei tentato di considerarla la migliore cover italiana di Rain, o perlomeno se la gioca con Dalida (e forse è più ispirato da Dalida che da Roussos). Il brano era assolutamente nelle sue corde, e non si capisce davvero perché non abbia provato a inciderlo. Nel 2008 si ricorderà degli Aphrodite's Child riprendendo It's Five O'Clock, neanche a farlo apposta un'altra Pachelbel. Ma era meglio questa.

67. L'animale più domestico e più stupido che c'è

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con due brani pregni di memorie dell'infanzia, ma non è una grande coincidenza, FB ci è tornato spesso, e mi domando se non mi potrei concedere a mia volta un'analoga digressione sui fatti miei, ad esempio sapete che per molti anni ho considerato la parte strumentale di Sequenze e frequenze come la coda di Aria di rivoluzione, perché così era stata sventatamente ritagliata nella cassettina di Feedback che ero riuscito a procurarmi? Una scelta che ancora oggi non riesco a capire, cioè nel momento in cui la BlaBla non ristampa più i vecchi dischi e la Ricordi ti chiede un'antologia con le cose più presentabili, tu tagli la parte cantata di Sequenze e frequenze? Per risparmiare cosa? Spazio per Rien ne va plus? Roba da matti. E inoltre: sapete qual è stata la prima canzone che ho cantato davanti a un pubblico? La domanda, mi rendo conto, sarebbe interessante solo se in seguito io avessi continuato a cantare davanti ad altri pubblici, ma comunque mio cugino grande aveva gli spartiti ufficiali di Patriots e siccome al tempo suonavo al massimo il flauto Yamaha (ma forse neanche quello) decise che io avrei cantato. Perché per esibirsi davanti ai parenti scelse proprio Arabian Song non lo so, forse era facile, la parte di tastiera intendo. La parte vocale non esattamente. Gli strumenti erano: tastiera Gem, violino, forse chitarra, ma solo due di questi tre, perché i miei cugini erano due e io cantavo soltanto, in un arabo traslitterato dallo spartito che tuttora ignoro cosa significhi, anche perché mica posso andare da un mio studente a chiedergli senti ma cosa si intende abitualmente per figgiabalù figgiabalì, come minimo nel frattempo gli ho offeso la patria, i parenti, la divinità. L'esibizione non so come andò, di solito dopo tre volte che cantavo una canzone diventavo rauco, e intonare "la mia classe fu allevata con il latte di una capra" mi lasciava perplesso. Però ancora oggi ricordo benissimo che gli orchestrali sono uguali in tutto il mondo, simili ai segnali orario delle radio, grazie cugino grande].

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1974: Sequenze e frequenze (#144)

Sequenza e frequenze per Battiato è un nuovo inizio, qualcosa di cui in seguito forse ebbe pudore e sentì la necessità di prendere le distanze – non solo in Feedback, ma anche nelle uscite in inglese, la parte iniziale era stata soppressa e la parte strumentale ricucita come coda di Aria di rivoluzione. Solo a partire da Giubbe rosse la maestra che dava ripetizioni viene rivendicata, e non è un caso che Giubbe sia anche il disco del ritorno in Sicilia. Vent'anni più tardi, al suo primo lungometraggio (Perdutoamor) vorrà ancora mostrarci un bambino che fissa il mare. Sicilia, infanzia, memorie, mare: Battiato non aveva mai parlato di queste cose prima di Sequenze e frequenze. Solo sei brani degli anni pre-cinghiale bianco hanno passato il turno: La convenzione, Areknames, Plancton, Sequenze e frequenze, Aria di rivoluzione e Propriedad prohibida. Il ranking non li aiutava: è un Battiato più famoso che ascoltato (e non è neanche così famoso). 


1981: Arabian Song (#80)

Qual è l'album di Battiato che è andato meglio al primo turno? Mi sembrava una domanda abbastanza scontata, e invece è successo questo: tutti i brani di Patriots hanno vinto le rispettive batterie, e quindi per ora La voce del padrone e Patriots sono affiancati in prima posizione. Nel frattempo ho controllato: il ritornello recita: "Ha detto il maestro del villaggio: è stata la montagna nella montagna [ma questo forse è un superlativo, come per dire la più grande di tutte le montagne]. La pace su di voi e su di te / Adesso io abito". Battiato ha più volte rivendicato la propria levantinità, affermando di riconoscere più facilmente nel Nordafrica o in Medio Oriente fisionomie simili a quelle dei suoi famigliari. È il motivo per cui l'arabo fa capolino spesso in canzoni di ambientazione siciliana (ad es. Veni l'autunno). Fa sorridere che si tratti di un arabo maccheronico, una spia del fatto che ogni radice è sempre una ricostruzione a posteriori. 

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mercoledì 20 luglio 2022

66. Dalla pupilla viziosa delle nuvole

[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con il confronto più equilibrato di tutti i trentaduesimi, e un brano fuori concorso]. 

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1984: Chanson egocentrique (Battiato/Messina/Tramonti, #32).

Chanson egocentrique alla fine è una delle poche canzoni battiatesche della prima metà degli anni Ottanta che abbiano un mood 'Europa, prima metà anni Ottanta', uno dei casi in cui Battiato potrebbe essersi veramente detto: cosa ascolta la gente in radio oggi? C'è una progressione tipica di quegli anni (ma è anche una riedizione di Areknames, è da lì che arriva quel senso di compimento autoipnotico quando alla fine del giro si ritorna su re maggiore). C'è anche una specie di rap in inglese/tedesco, molto trasognato, e credo che saremmo sulla pista sbagliata se pensassimo che si tratti di un addobbo finale: secondo me la canzone è cominciata così, da una serie di parole straniere compitate a caso. Non sarebbe la prima né l'ultima.  

(Intervallo autoreferenziale: un paio d'anni dopo cominciai a farmi insegnare gli accordi di chitarra, appena ne seppi tre cominciai a improvvisare canzoni in un inglese immaginario di cui molto mi vergognavo, il che non m'avrebbe impedito di continuare a salmodiare questi prisencolinensinainciusol privati fino a vent'anni suonati, che se penso ai miei coinquilini tuttora meco mi vergogno. Poi smisi perché ormai sapevo troppo inglese per non sentirmi ridicolo, però ecco, smisi anche progressivamente di comporre canzoni. Stacco).

Qualche mese fa mi sono messo a guardare 33 giri Italian Masters e ho scoperto che i più grandi cantautori italiani, anche insospettabili, facevano la stessa cosa: che insomma dai Settanta in poi l'inglese diventa la lingua mentale della musica (quella che nel Settecento era l'italiano, e bisogna immaginare i compositori tedeschi improvvisare versi con sillabe italiane a caso stile Bohemian Rapsody). Questo accade anche se nessuno l'inglese lo sa, anzi accade proprio perché nessuno ancora lo sa, è qualcosa di analogo alla fase della lallazione infantile (il momento in cui il bambino comincia ad articolare sillabe a caso senza necessariamente veicolare significati, soltanto per sperimentare la produzione di suoni).

Questo inglese immaginario è un idioletto privato che consente ai compositori di mettere insieme note e accordi, dopodiché, quando la musica più o meno è pronta, anche il testo comincia a prendere forma. Il passaggio dall'inglese immaginario all'italiano è molto brusco, perché le due lingue hanno veramente poco in comune dal punto di vista prosodico. A volte c'è una fase intermedia in cui il cantautore passa dal suo inglese immaginario a un inglese 'vero', lo scrivo tra apici perché non fidandosi (giustamente) della propria competenza linguistica, il cantautore non mette insieme le parole, ma incastra frasi inglesi che conosce già, dall'esiguo campionario di frasi che conosce: la maggior parte sono versi di altre canzoni (in Chanson Battiato riprende addirittura Prehistoric Sound degli Osage Tribe). Il citazionismo insomma non è sempre necessariamente una strizzata d'occhio all'ascoltatore medio-colto: a volte è l'unica soluzione per trovare qualcosa che suoni bene sulla melodia già composta. È una delicata fase di cristallizzazione in cui se ti capita di ripetere troppe volte una qualsiasi scemenza (che ne so, another race of vibration), non te ne liberi più, ormai fa parte della canzone, toglierla sarebbe come togliere una nota o un accordo. Il risultato è una macedonia che a volte trattiene un contenuto lirico, o perlomeno il cantautore ne è convinto e se è bravo riesce a convincere anche l'ascoltatore, purché non conosca troppo l'inglese 'vero'. Non ha senso e allo stesso tempo capiamo tutti cosa ci vuole dire, tranne ovviamente gli anglofoni che devono rimanerci come... voi come ci rimanete davanti a Bohemian Rhapsody? A me confesso dà un certo fastidio, non posso farci niente. 


1996: Strani giorni (Battiato/Sgalambro, #33).

Nulla si crea, nulla si distrugge, e forse dopo una certa età non si inventa neanche nulla di particolarmente nuovo. Quando mette assieme Strani giorni, FB sta semplicemente riscoprendo un procedimento di montaggio che aveva già usato in vari momenti della sua carriera – persino negli anni Sessanta ogni tanto gli capitava di 'montare' una canzone con pezzi di altre canzoni, penso a Occhi d'or – poi ovviamente c'è la fase collage, Ethika fon ethica, ma altri collage arrivano nel decennio successivo, ad esempio Temporary Road. Dunque perché questo procedimento, che fino a quel momento mi lasciava divertito e in certi casi persino ammirato, proprio a partire da Strani giorni mi risulta frastornante? È responsabilità di FB o è colpa mia? Può darsi che nel bel mezzo degli anni Novanta quello che Battiato aveva iniziato pionieristicamente a congegnare vent'anni prima fosse diventato un procedimento fin troppo banale: qualcosa che tra l'altro le tecnologie ormai consentivano di farsi in casa (e Battiato è stato il primo ad approfittarne: la sua musica dai Novanta in poi è particolarmente 'fatta in casa', anche se non sembra). Questo m'induce a considerazioni sulla futilità dell'arte contemporanea, ho appena letto di un tizio che ha denunciato Cattelan (l'artista) perché ha osato attaccare al muro una Banana col nastro adesivo, pare che lui l'abbia fatto qualche anno prima e quindi, a parte la questione della proprietà intellettuale (c'è gente che reclama il possesso dell'idea di attaccare frutta alla parete di una mostra d'arte) implica che l'opera di Cattelan sia molto meno interessante – e in effetti anche una copia perfetta della Gioconda dipinta nel 2020 non è meno interessante della Gioconda originale? Boh, viviamo in strani giorni. 


Fuori concorso (canzoni che non hanno partecipato alla gara per questo o quest'altro motivo).

1971: Prehistoric Sound (Conz / De Joy)

Prehistoric Sound è la versione inglese di Un falco del cielo, primo singolo degli Osage Tribe, che uscì con il lato A in italiano e il B, appunto, in inglese, con un testo molto diverso: niente più nativi americani, ma uomini preistorici intorno al fuoco "all'età dei dinosauri", questa cosa forse negli anni Settanta si poteva dire impunemente. Ma in linea di massima la versione inglese aveva questo vantaggio, ché non si capivano le parole e quindi sembrava più interessante. Questo singolo fu la prima collaborazione tra Battiato, Pino Massara e Gianni Sassi (la copertina del 45 giri era una bambola con la bocca insanguinata!), ma non è affatto chiaro quale sia stato il grado di coinvolgimento di FB: se è solo passato per dare una mano, anzi una voce a una band genovese che aveva già un suo stile e un suo suono (un suono che si metteva alle spalle il prog e viaggiava verso orizzonti più tribali, qualcuno avrà senz'altro fatto il nome di Adam and the Ants), oppure se per qualche tempo ha veramente pensato di essere il cantante del gruppo e magari ha persino collaborato alla canzone ("Ed De Joy" è uno pseudonimo di casa Bla Bla, lo usava Massara ma poteva adoperarlo anche Battiato). Il fatto che nel 1984 abbia ripreso una strofa di Prehistoric per lo scat in inglese in Chanson Egocentrique potrebbe far pensare che lo considerasse tutto sommato materiale suo – senonché, FB ha sempre usato anche il materiale degli altri con molta disinvoltura. 

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