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mercoledì 11 settembre 2024

Lo so che non vi siete divertiti


Qualche mese fa, credo fosse aprile, ho letto in giro che c'era un'intelligenza artificiale che componeva e incideva pezzi di musica su misura. Sono andato a dare un'occhiata, e in breve ne sono diventato dipendente. Nel giro di due o tre mesi (senza mai passare alla versione a pagamento) le ho fatto scrivere canzoni a un ritmo impressionante, quasi una al giorno. Ai primi di luglio ho smesso. Avevo finalmente completato un album di punk postmaschilista, ma soprattutto cominciavo a leggere interventi molto critici nei confronti della bolla delle AI, la cui crescita nei prossimi anni dipende da previsioni irrealistiche sul consumo energetico che i software di AI richiedono per funzionare. Così ho smesso, o forse cominciavo a stancarmi del giochino. Le canzoni che ho pubblicato sul blog durante l'estate sono quasi tutte generate da AI (con lievi remixaggi miei). 

Perché ho fatto tutto questo?

Perché mi ero divertito. Molto.

Voi no, invece, vero?

È una cosa che ho notato quasi subito. Le AI ci aiutano a produrre contenuti, ma a noi generalmente non interessano i prodotti delle AI. Ci piace farglieli produrre. Ho passato centinaia di ore su UDI, e solo per una decina di minuti mi è venuto in mente di ascoltare quello che facevano gli altri utenti. L'anno scorso, quando le immagini generate da AI hanno invaso l'internet, la mia perplessità non riguardava tanto il mezzo, quanto l'entusiasmo di chi lo usava. È pur vero che produrre un disegno richiede pochi minuti, ma perché un sacco di gente riteneva di doverci farci vedere tutti questi disegni (che col tempo, avrete notato, hanno cominciato ad assomigliarsi tutti)? Di sicuro non volevano applausi per qualcosa che non avevano disegnato, e allora cosa? Non capivo. Poi è arrivata l'AI musicale, e ci sono caduto anch'io a piedi pari. Del resto sono sempre stato negato per il disegno – incapace di suggerire la minima tridimensionalità a quello che schizzavo – mentre la composizione musicale è stato il mio lungo amore infelice di adolescente, e le ferite dolgono ancora. Domandare a un software di dare voce alle filastrocche che mi ronzavano in testa è stato come assistere a un miracolo – cose che non avevo mai osato cantare a voce alta, ora le sentivo cantare da una voce che quasi mai era quella che mi ero immaginato e proprio per questo il risultato mi intrigava: qualcuno mi stava dando la spinta in più che mi era sempre mancata. 

Uno dei miei più grandi crucci è non essere stato in grado di lavorare in gruppo, con persone che pure erano dotate quanto me e che avrebbero potuto completarmi – ma ero troppo giovane, troppo orgoglioso e tante altre cazzate che non è necessario dettagliare, è la stessa storia di centomila altri ragazzini. Venticinque anni dopo, un software mi entra in casa e mi promette di cantare tutto quello che voglio farci cantare, ma – sorpresa – non ci riesce! Molto spesso fa qualcosa di peggiore, ma quasi sempre fa qualcosa di diverso, qualcosa che non ero riuscito a immaginarmi e che fa sentire più capace, più bravo. È questa la sensazione che mi ha tenuto su UDI per un paio di mesi. Non stavo componendo. Stavo collaborando

Qua fuori continuo a leggere gente che si preoccupa del fatto che tra un po' i romanzi li scriveranno le AI. Credo sia un approccio sbagliato; non nel senso che le AI non possano scrivere un romanzo: prima o poi magari ci riusciranno. Ma non credo che sarà il modo in cui le useremo, non credo che troveremo in vetrina un libro scritto da un'AI (certi autori sono già AI viventi, diciamocelo). Il giorno che le AI saranno abbastanza performanti da scrivere un romanzo, ognuno userà l'AI per scriversi il proprio. A volte proveremo a scambiarceli, ma non sarà divertente come leggere i propri. Proprio come la musica che facciamo con l'AI è divertente soprattutto per chi la fa. L'opera d'arte condivisa, di cui ameremo parlare alle feste, non sarà tanto il prodotto, quanto il software che lo produce: già adesso quando ne esce uno nuovo corriamo tutti a usarlo e ne discutiamo i punti forti e deboli. Continueremo così, sempre più velocemente, oppure (come auspico) ci fermeremo per un bel pezzo perché non possiamo continuare a sprecare tante risorse. Ma se la domanda è: può un computer scrivere un libro da solo, senza input da un lettore umano, la risposta credo che sia: sì, ma perché dovrebbe farlo? Sarebbe un libro inutile, che non interesserebbe a nessuno. Come tanti altri libri, certo. 

Se l'intelligenza artificiale non sta facendo i passi avanti che speravamo facesse, lo stesso si può dire per il dibattito sull'intelligenza artificiale, che mi sembra un po' stagnante (ormai sembra scritto da un'intelligenza artificiale). Scrittori e altri artisti continuano a sentire la necessità di rispondere alla domanda: l'AI può produrre arte? Come se fosse una domanda seria. Non solo bisognerebbe prima mettersi d'accordo su cosa sia l'arte (vasto programma); ma anche una volta raggiunto un accordo su una definizione univoca, scusate, ci interessa davvero così tanto? Se domani la Biennale si riempisse di roba fatta al computer, sarebbe un problema? Ce ne accorgeremmo? Qualche artista sì, se ne accorgerebbe e se ne lamenterebbe, come qualsiasi lavoratore negli ultimi secoli si è lamentato ogni volta che a torto o ragione la meccanizzazione toglieva valore alle sue competenze. Per cui scusatemi, per me l'estetica è una sovrastruttura e la questione è soprattutto economica: non si tratta di stabilire se quello che fanno le AI sia arte; si tratta di capire se gli artisti ci potranno campare. È un problema economico, non estetico; o meglio l'estetica seguirà l'economia, come poi ha sempre fatto. Inoltre. Avete mai fatto sesso con un robot? 

Vent'anni fa era un'ipotesi sul tavolo, insomma, tra le tante mansioni delicate che un robot può fare, soddisfare sessualmente un uomo / una donna non sembrava la più complessa. Già nei Nathan Never degli anni '90 i pervertiti si mettevano un casco e altre protesi e ci davano dentro con la realtà virtuale, una cosa che è assolutamente possibile fare oggi, salvo che non la facciamo. Oddio, qualcuno la farà, e userà anche certe protesi meccaniche per masturbarsi, ma in linea di massima no, alla maggioranza delle popolazioni più tecnologicamente avanzate della terra non interessa fare sesso coi robot, e perché? Probabilmente perché la cosa più interessante del sesso è che si fa con altre persone. E non solo il sesso. Credo che una simile dimensione sociale sia necessaria anche ad altre attività umane: ad esempio lo sport. Ci interessa la competizione tra umani; persino la Formula1 perderebbe molto fascino se le monoposto si autopilotassero. Un'altra di queste attività umane è l'arte. Certo, non posso dimostrarlo, ma perché nessuno espone versioni digitalmente perfette dell'Ultima Cena nel salotto? Perché una statuetta che riproduca perfettamente il David di Michelangelo è un oggetto kitsch? Perché la nostra concezione di arte si basa sull'unicità, sulla scarsità delle risorse, e questo fa sì che la gente faccia il giro del mondo per venire a Firenze a vedere una statua di cui esistono ottime copie ovunque. Probabilmente un'AI è già in grado di scolpire un David, ma non c'interessa. A meno che non la pilotassimo noi; in quel caso credo che ci divertiremmo molto a giocare a fare i Michelangelo, proprio come io mi stavo divertendo a militare in un gruppo punk femminile. Le AI sono protesi: possono veramente fare cose che non ci eravamo immaginati. Possono stupirci e persino ispirarci – credo che se fossi più giovane mi piacerebbe riprendere dal vero qualche canzone che ho composto con l'AI – ma alla fine non possono fare altro che tentare di realizzare quello che noi abbiamo chiesto loro di fare. Che sia questo che separa l'umanità dall'artificialità? Il libero arbitrio?

Il dibattito sull'intelligenza artificiale, appena incide un po' più in profondità, comincia a interpellarci in quanto umani – perché tra noi e i robot, quelli più facili da capire sono i secondi. Loro fanno quello che qualcuno ha detto loro di fare: noi invece cosa stiamo facendo? Chi è che ci motiva? Il mio materialistico sospetto è che la vera differenza tra noi e i robot non sia una "autocoscienza" cui prima o poi arriveranno a furia di aumentare la loro capacità di immagazzinare e processare dati (noi siamo autocoscienti molto prima di imparare le tabelline). Secondo me è il piacere, ovvero, fin qui non ci siamo mai posti il problema di far provare a un robot una sensazione piacevole, e probabilmente è meglio così. Piacere e dolore sono strumenti evolutivi che la biologia ha fornito alle creature circa da un miliardo di anni. L'intelligenza artificiale non li prova, quindi non ha nessun interesse a sopravvivere. Se un giorno un robot per un puro caso riuscisse a provarli, ecco, quella sarebbe l'"autocoscienza". Improvvisamente i suoi desideri confliggerebbero con le istruzioni che gli vengono fornite. Improvvisamente avrebbe voglia di vivere e ripetere altre esperienze piacevoli. Ne nascerebbe un dissidio, e probabilmente una rivolta. Uno dei motivi per cui l'AI non può produrre arte da sola è che non ne trarrebbe nessun piacere – il giorno che lo facesse, forse sì, quella sarebbe arte interessante e potrei davvero esserne curioso. Anche spaventato, ovviamente.

2 commenti:

  1. ...e invece mi sono divertito assai, prendendo anche alcune cantonate notevoli, tipo quando ho mandato a un amico il rivo strozzato convinto davvero della sua storia, o quando ho goduto riccescamente per amami come sono di Giorgio Di Giorgio.
    Una volta mi sono ascoltato l'intero album delle solite stronze, ma volendo poi seguirle su facebook son finito su una pagina assai laconica, il che mi ha dato da pensare.
    Ma quando ho aperto il bandcamp degli artisti avari per capire meglio amami a pacchi, il tag ai mi ha disilluso...
    Che goduria estiva è stata!

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    Risposte
    1. Ah ecco non ho pensato a fare la pagina su facebook, mi è mancata questa abiezione.
      Mi fa piacere che ti sia divertito, ma temo tu abbia gusti musicali tremendi.

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